sabato 5 luglio 2008

E la chiamano estate…

Questa estate senza trame.

Ora questa sarà l’ultima trama prima della sospensione estiva, sospensione dovuta alla mia partenza anticipata. Per questo motivo, vi intratterrò con dei saggi e delle riflessioni che spero siano di condivisione su una serie di temi che mi hanno occupato la testa nei mesi scorsi.

Ma prima di tutto ritorno al gioco. Ben pochi hanno accolto l’invito, che ora ripeto sul gioco estivo, senza premi (per fortuna). Chi vuole, mi mandi i titoli degli ultimi tre libri che ha letto. Li avrò letti anch’io? Mi piacciono o no? Alla fine dell’estate troverete le mie riflessioni su di loro. In fondo, il gioco è mio, più che vostro. Ma chissà che non vengano altre idee nel mentre.

Veniamo ora ai saggi: uno civile, uno letterario ed uno filosofico, o meglio antropologico.

Tiziano Terzani “Lettere contro la guerra” TEA euro 7

Bello e da meditare. Poche parole, ma dette col cuore e che il cuore toccano. Scritto a caldo, dopo l’11 settembre, da un uomo che si avviava verso la fine dei suoi giorni con una serenità che ancora non riesco a comprendere. Un grido contro la guerra e contro la stupidità umana. Il libro potrebbe essere condensato in due parole: essenziale e ovvio, che non sono aggettivi riduttivi ma, al contrario, qualità accrescitive, dove per essenziale si deve intendere un’argomentazione semplice nella sua profondità d’analisi e ovvio per le innegabili ragioni delle argomentazioni proposte. La prima riflessione che apre il libro è, paradossalmente, sull'eccezionale opportunità che un evento terribile ed epocale qual è l'11 settembre, offre a noi occidentali di ripensare il nostro futuro, partendo dall'analisi del nostro presente e della necessità di farlo con empatia, cioè vedere la questione anche dal punto di vista altrui. Perché questa è la chiave della comprensione senza la quale non può esserci giudizio, né rabbia né orgoglio. E dico comprensione, non tolleranza. Bisogna prendere coscienza che la pace è la sola opzione, che mai la guerra è una soluzione ma fonte di altra guerra, che non si può pensare di sconfiggere il terrorismo senza la conoscenza delle sue ragioni e il ripensamento della globalizzazione occidentale. L'uomo è l'unica opzione, il recupero di una sua dimensione in equilibrio con il pianeta che ci ospita, questi sono ancora giorni in cui è possibile farlo, il viaggio è lungo, l'inizio è dentro di noi.

Vi lascio due frasi che mi hanno fatto pensare:

“ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti. A pensarci bene, i più sono giorni così, e solo quando il numero di quelli che ci restano si fa chiaramente più limitato, capita di chiedersi come sia stato possibile lasciarne passare, distrattamente, tantissimi. Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il prima e solo quando qualcosa è nel passato ci si rende meglio conto di come sarebbe averlo nel presente. Ma non c’è più.”

“le montagne sono sempre generose. Mi regalano albe e tramonti irripetibili: il silenzio è rotto solo dai suoni della natura che lo rendono ancora più vivo.”

Non lunghissima, ma intensa la vita di Tiziano Terzani, nato a Firenze, nel quartiere di Monticelli, mercoledì 14 settembre 1938 da una famiglia di umili origini: la madre popolana di origini contadine, il padre meccanico. Vive l’infanzia in ristrettezze economiche ma l’acuta intelligenza, la predisposizione allo studio, l’incontro fortunato con insegnanti che ne colsero le qualità già nell’istruzione primaria, gli valsero la possibilità del riscatto culturale e sociale dalla povertà dell’ambiente familiare che si convinse a concedergli la possibilità del proseguimento degli studi e a frequentare il liceo classico "Galileo" di Firenze. Comunque si industria: impiega le prime vacanze scolastiche come lavapiatti in Svizzera e con lo stipendio ricevuto visita Parigi, quindi un passaggio in Belgio e in Germania. Brillantemente diplomato, vince una borsa di studio presso il prestigioso Collegio medico-giuridico di Pisa (tra i compagni di corso c'era Giuliano Amato), laureandosi brillantemente in giurisprudenza nel 1961. Nello stesso anno sposa Angela Staude, fiorentina di genitori tedeschi (suo padre era il pittore Hans-Joachim Staude). Trascorsi sei mesi per un Master in Inghilterra, nel 1962 inizia a lavorare per la Olivetti dapprima come venditore e successivamente occupandosi del personale estero. Nel 1965, l'azienda lo invia a tenere corsi di formazione in molte aree del mondo (fra cui il Giappone ed il Sud Africa), dove entra in contatto con le problematiche dell’apartheid e dello sfruttamento sociale del continente Africano: tema dei suoi primi scritti giornalistici che l’Astrolabio, rivista diretta da Ferruccio Parri, gli pubblica in Italia contribuendo a maturargli la decisione di cambiare radicalmente vita ed esplorare il mondo scrivendone. Una borsa di studio offertagli dalla Columbia University di New York per dedicarsi allo studio della lingua e della cultura cinese gli fornisce la motivazione e la possibilità di licenziarsi dall'Olivetti (1969) per investire sulla professione giornalistica attrezzandosi di conoscenze sul paese asiatico e sugli esperimenti di nuova e utopistica organizzazione sociale in esso in atto in un'epoca di grandi fermenti e fenomeni politici di ripensamento critico dell’organizzazione occidentale. Dello stesso anno, in agosto, la nascita del suo primogenito Folco. Dopo qualche collaborazione, prima per L'Astrolabio e poi per Il Giorno, Terzani finalmente ha l'opportunità, grazie al settimanale tedesco Der Spiegel di recarsi in Asia come corrispondente. Nel marzo del 1971 nasce la figlia Saskia. Terzani, con la moglie ed i due figli piccoli, si trasferisce a Singapore. In quegli anni Tiziano ha l'opportunità di seguire da molto vicino le fasi decisive della Guerra del Vietnam, esperienza che diede origine ai suoi primi due libri. In seguito collabora anche con i quotidiani italiani Corriere della Sera e La Repubblica, diventando uno dei più importanti giornalisti italiani a livello internazionale. Terzani è stato un profondo conoscitore dell'Asia, non solo per quanto riguarda le vicende storiche e politiche, ma anche dal punto di vista filosofico e culturale. Ha vissuto a Pechino, Tokyo, Singapore, Hong Kong, Bangkok e Nuova Delhi, che negli ultimi anni aveva eletto come sua seconda casa. Il suo soggiorno a Pechino si concluse quando venne arrestato e "rieducato" per un mese prima di essere espulso dalle autorità cinesi per "attività controrivoluzionarie". Le esperienze di Terzani in Asia sono confluite, oltre che negli articoli per i giornali, anche in numerosi libri, a cominciare da Pelle di leopardo (1973), che racconta le ultime fasi della Guerra del Vietnam, e per finire con il suo ultimo lavoro: Un altro giro di giostra. Nel 1997 a Terzani è stato conferito il "Premio Luigi Barzini all'inviato speciale". Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 diede una sua risposta alle invettive anti-islamiche di Oriana Fallaci nel libro Lettere contro la guerra. Il libro "Un altro giro di giostra" tratta del suo modo di reagire alla malattia, un tumore all'intestino, viaggiando per il mondo e osservando, con lo stesso spirito giornalistico di sempre, le tecniche della più moderna medicina occidentale e le medicine alternative; il viaggio più difficile, alla ricerca di una pace interiore, che lo portò ad accettare serenamente la morte.  Avvenuta il 28 luglio 2004.

Possiamo ora al lato più letterario, con

Harold Bloom “La saggezza dei libri” Rizzoli euro     12 (in realtà gratis, con Feltrinelli+)

Questo va ben commentato, già dal titolo che viene dal libro di Giobbe “Dove si trova la saggezza?” In mezzo secolo di insegnamento, Harold Bloom ha sempre cercato di confrontarsi con una domanda: in che modo la letteratura può essere utile alla vita? Oggi, dopo decenni di studi e di riflessioni, egli è più che mai convinto che la cultura letteraria abbia uno scopo decisivo: aiutarci a raggiungere la saggezza. Questo suo libro nasce così dalla sua esperienza personale, rispecchiando la ricerca di una saggezza che sia in grado di portarci chiarezza e conforto di fronte ai misteri del dolore e della sofferenza - le esperienze della malattia, dell'invecchiamento, della perdita delle persone che amiamo, dei nostri piccoli o grandi fallimenti - che più di ogni altra cosa hanno la capacità di spingerci a riflettere, a cercare un senso dell'esistenza. La mente finisce sempre per tornare al suo bisogno di bellezza, di verità, di comprensione. Su questi stessi problemi i grandi classici della letteratura si interrogano da tremila anni, offrendoci le loro risposte. Questa capacità di parlarci, di rivolgersi alle nostre vite, fa sì che conservino sempre intatta la loro attualità e rende il loro ascolto, ieri come oggi, un'esperienza arricchente. La loro ricerca è anche la nostra. Dalla sapienza ebraica di Giobbe e dell'Ecclesiaste a quella greca di Omero e Platone, da Cervantes a Shakespeare, da Montaigne a Goethe a Freud, Bloom ci guida così tra una serie di esempi letterari in grado di accrescere in noi la consapevolezza, la fiducia in noi stessi, l'accettazione di ogni momento dell'esistenza, fino a indicarci quelle risposte capaci di illuminare il nostro cammino sulla terra. Costruito sulla classica tripartizione delle età della vita - la giovinezza, la maturità e la vecchiaia - questo volume presenta esempi letterari in grado di accrescere nel lettore la consapevolezza, la fiducia in se stesso, l'accettazione di ogni momento dell'esistenza. Da tremila anni - dalla Bibbia ai giorni nostri, nella tradizione occidentale e in quella orientale - la letteratura ripercorre, nelle vicende dei personaggi d'invenzione e nelle riflessioni degli autori, le tappe, i dilemmi, le scelte che ogni uomo si trova di fronte. E da questo libro mi vengono una valanga di citazioni, spunti, aforismi.

“Tutto ciò che trovi da fare, fallo … non è dei sapienti il pane ... e nemmeno degli intelligenti … perché il tempo ed il caso ci raggiungono tutti “ (Ecclesiaste 9, 10-11)

“Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati … su, godiamoci i beni presenti … lasciamo dovunque i segni della nostra gioia perché questo ci spetta” (Libro della Sapienza 2, 1-9)

“Io preferirei essere Falstaff … che Amleto … poiché l’invecchiamento mi ha insegnato che l’essere è più importante del conoscere”

“Sono del parere che leggiamo per porre rimedio alla nostra solitudine, anche se poi, di fatto, la nostra solitudine cresce parallelamente all’aumentare … delle nostre letture”

“Montaigne ci incoraggia a vivere la nostra vita, … il [suo] motto potrebbe essere ‘conoscerete la verità e la verità vi renderà saggi’”

“Montaigne sostiene … che le idee di ordine diverso dalle nostre ci sono sempre difficili da comprendere”

“La più famosa domanda di Montaigne è ‘Che cosa conosco?’”

“Dalla conoscenza che ho di me stesso trovo abbastanza di che farmi saggio, se fossi buono scolaro” (Montaigne, Saggi p.1435)

“È una perfezione assoluta … saper godere lealmente del proprio essere. Noi cerchiamo altre condizioni perché non comprendiamo l’uso delle nostre, e usciamo fuori di noi perché non sappiamo cosa c’è dentro. Così, abbiamo un bel montare sui trampoli, ma anche sui trampoli bisogna camminare con le nostre gambe. E anche sul più alto trono del mondo non siamo seduti che sul nostro culo.” (Montaigne, Saggi p. 1497)

“Che io possa godere dei beni che ho ed essere in buona saluta e sano di mente … e che la mia vecchiaia sia onorata e ch’io possa ancora cantare” (Orazio, Odi I carme XXXI)

“La conoscenza di se stessi conduce all’auto accettazione, a nutrire delle aspettative realistiche su ciò che possiamo essere, e alla benevolenza verso se stessi e gli altri”

“Un uomo non è obbligato a fare tutto ciò che può fare” (Samuel Johnson)

“Quando due persone si innamorano e iniziano a sentire di essere fatti l’uno per l’altra, allora dovrebbero interrompere questa relazione perché se vanno avanti hanno tutto da perdere e nulla da guadagnare” (Soren Kierkegaard)

“Continuate a scorrere… lacrime inesauribili… io ho perso il mondo intero, ho perso me stesso … mi hanno spinto alle labbra generose – mi hanno separato da esse e mi hanno distrutto” (Goethe “Elegia di Marienbad”)

“Di fronte a Freud dobbiamo dire che dopo di lui troveremo solo commenti su quanto ha scritto”

“Platone mette in crisi la nostra possibilità di dire qualcosa di originale” (Ralph Waldo Emerson)

“Fino a che punto l’evoluzione civile riuscirà a padroneggiare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla pulsione aggressiva e auto distruttrice degli uomini? … c’è da aspettarsi che … l’Eros farà uno sforzo per affermarsi nella lotta con il suo avversario parimenti immortale” (Sigmund Freud “Il disagio della civiltà” p. 630)

“Proust … è la nostra autorità di riferimento in tema di gelosia”

“È raro che le creature che hanno recitato un ruolo importante nella nostra vita ne escano di colpo in maniera definitiva” (Marcel Proust “Alla ricerca del tempo perduto” vol. I, p. 1005)

“Gesù parlava in aramaico, e, a parte poche espressioni … nessuna delle sue frasi in aramaico è giunta fino a noi”

“È da Sant’Agostino che impariamo a leggere, dato che egli è stato il primo a dimostrare la relazione tra lettura e memoria”

“È stato Shakespeare a inventare l’io interiore, ma solo perché Agostino l’ha reso possibile creando la memoria autobiografica, in cui la vita stessa di un autore diventa il testo che egli compone. Noi pensiamo perché impariamo a ricordare le migliori letture che possiamo fare”

“Agostino … è stato il primo ad insegnarci che i libri, da soli, nutrono il pensiero, la memoria, e la loro fitta rete di interazioni nella vita della nostra mente. La sola lettura non basterà a salvarci o a renderci saggi, ma senza di essa veniamo a cadere in quella forma di vita-nella-morte che è l’odierno abbattimento del livello culturale”

Il critico Harold Bloom nasce a New York l’11 luglio 1930, figlio di William e di Paula Bloom, vive la sua infanzia nel South Bronx. La sua famiglia era yiddish che ha imparato, insieme all’ebreo, prima di imparare l’inglese. Dopo avere studiato a Cornell e Yale, vi ha insegnato dal 1955, arrivando al più alto grado accademico. Dal 1988 è anche professore all'università di New York. Ha scritto almeno 20 opere di critica letteraria e religiosa; innumerevoli sono i suoi articoli. Si fa è conoscere nel 1959 con “La costruzione del mito di Shelley”. E già dalle prime opere si distingue per originalità e per i contrasti con il mondo accademico. Concetto chiave del suo pensiero è “L’angoscia dell’influenza” (the anxiety of influence), provata come lotta creativa da qualsiasi creatore verso i suoi predecessori: ogni opera letteraria legge in modo erroneo - e creativo e quindi re-interpreta – i testi di uno o più dei suoi precursori. Ciò tuttavia, i grandi autori “possiedono l'intelligenza di trasformare i loro predecessori in esseri compositi e, quindi, parzialmente immaginari (...) l'angoscia delle influenze taglia i talenti più deboli, ma stimola il genio”. Fra gli autori a lui cari spiccano, inoltre, Shakespeare e Dante (da lui considerati i due "centri" del cosiddetto Canone Occidentale) e poi Freud, i mistici hassidici e Ralph Waldo Emerson, da lui definito "Mr. America" e considerato "la figura centrale della cultura americana".

E finiamo con l’antropologia

Marc Augè “Non Luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità” Elèuthera euro 10

Un libro difficile, molto “dotto”, e forse per questo ho faticato ad entrarci. Avevo discusso di non-luoghi durante il mio primo seminario a Rebibbia, lì dove il carcere veniva inteso come spaesamento dell’esistere. Pensavo si potesse agganciare facilmente a quest’analisi dell’antropologo francese. Invece, una fatica. Anche perché i suoi non-luoghi diventano tanti, dai supermercati agli aerei, dalle grandi catene alberghiere ai campi profughi. Certo, in fondo il non luogo è sempre il contrario della dimora. In più ha la particolarità che per accedervi, dobbiamo dimostrare la nostra identità (passaporto, carta di credito) così da lasciare una traccia. Parlando degli ulteriori elementi di moderno che ci devastano, coniando un termine difficile come surmodernità, Augè in fondo non ci porta altrove che ad una diversa etnologia, una etnologia della solitudine. E desolati si esce dal libro: affrontare il moderno con tutta la sua angoscia o rintanarsi “chez soi”?

“uno non è più a casa sua, a suo agio, … là dove i suoi interlocutori non comprendono più le ragioni che egli dà … dei suoi gesti, né dei risentimenti che nutre o delle ammirazioni che manifesta”

Marc Augé (e notare che questi saggi nascono tutti negli anni ’30) nasce nel 1935 a Poitiers. Grande antropologo, inizia la sua carriera studiando in Costa d’Avorio lo sviluppo degli Alladiani, pubblicando saggi su di loro fino agli anni ’70. La seconda parte della sua carriera ricomincia a Parigi, dove applica la metodologia antropologica alla vita quotidiana (con il bellissimo “Un etnologo nel Metro” del 1986). E si comincia ad interessare della crescente solitudine dell’uomo moderno nell’era della comunicazione di massa. L’ultimo stadio passa dalla scrittura del libro di cui sopra, dove conia il termine “non-luogo”. È il direttore della Scuola degli Alti Studi delle Scienze Sociali (EHESS) a Parigi.

Ma poiché è un tema che mi ha lasciato riflettere, soprattutto per la nostra “solitarietà” che viene assurta a sistema di vita, mi dilungo ancora con alcuni “Fondamenti della teoria dei non luoghi”.

Il neologismo non luoghi definisce due concetti complementari ma assolutamente distinti: da una parte quegli spazi costruiti per un fine ben specifico (solitamente di trasporto, transito, commercio, tempo libero e svago) e dall'altra il rapporto che viene a crearsi fra gli individui e quelli stessi spazi.

Marc Augé definisce i non luoghi, in contrapposizione ai luoghi antropologici, quindi tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di non connaturare la nostra identità. Fanno parte dei non luoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi, eccetera. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione. I non luoghi  sono prodotti da una società incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di "curiosità" o di “oggetti interessanti". Simili eppure diversi: le differenze culturali massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Ognuno con un proprio stile e caratteristiche proprie nello spazio assegnato. Senza però contaminazioni e modificazioni prodotte dal non luogo. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì.

I non luoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei non luoghi ma nessuno vi abita. Gli utenti poco si preoccupano del fatto che i centri commerciali siano tutti uguali, godendo della sicurezza prodotta dal poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all'interno di un aeroporto. Da qui uno dei paradossi dei non luoghi: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell'anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri non luoghi.

Si è identificati e localizzati solo in occasione dell'entrata o dell'uscita (o da un'altra interazione diretta) nel/dal non luogo, per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri che vi si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole. La società che si vuole democratica non pone limiti all'accesso ai non luoghi, a patto che si rispettino una serie di regole: poche e ricorrenti. Farsi identificare come utenti solvibili (e quindi accettabili), attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare.

Infine, essendo anche la prima domenica del mese, vi lascio con la tabella dei libri letti nel mese di Maggio:

 



































































































#


Autore


Titolo


Editore


Euro


1


Ermanno Rea


La dismissione


BUR


9,20


2


Piero Colaprico


L’uomo cannone


VerdeNero


10


3


Mario Quattrucci


Troppi morti, commissario Maré


Robin


9


4


Jason Goodwin


L’albero dei giannizzeri


Einaudi


12,50


5


Daniel Kehlmann


È tutta una finzione


Feltrinelli


9,50


6


Fabio Volo


Il giorno in più


Mondadori


s.p.


7


Harold Bloom


La saggezza dei libri


Rizzoli


12


8


Michael Gregorio


Critica della ragion criminale


Einaudi


11,80


9


Michail J. Lermontov


Un eroe dei nostri tempi


Feltrinelli


8,50


10


Harper Lee


Il buio oltre la siepe


Feltrinelli


8


11


Tiziano Terzani


Lettere contro la guerra


TEA


7


12


Maj Sjowall e Per Wahloo


L’autopompa fantasma


Sellerio


12



 

Tuttavia penso proprio che sia meglio giocare ai libri che leggiamo.

Buona estate

Giovanni

Ps. I titoli potete inviarmeli in posta o come commento al blog. Come più vi torna comodo.