domenica 25 novembre 2018

Nero italico itinerante - 25 novembre 2018


In questa solitaria trama novembrina, salutando nuovi lettori cui rimando al PS, tra il ritorno di un bellissimo viaggio in Botswana e l’attesa di un problematico Natale, eccoci a girare per l’Italia, con alcuni spunti “noir”, di media resa. Giriamo dal Molise di Morlacchi alla Sardegna di Soriga, dalla Napoli di Elda Lanza alla Roma di Alice Gazzola. Con spunti di nero, ma anche con tanti spunti di italica pragmaticità. Meglio i secondi, in ogni caso.
Patrizia Morlacchi “Hanno ammazzato il Guercio” Repubblica Italia Noir 35 euro 7,90
[A: 26/01/2017 – I: 01/06/2018 – T: 03/06/2018] - &&& 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 187; anno 2016]
Direi un buon risultato questa collana che risente spesso di alti e bassi, a volte uniti a scelte editoriali non sempre felici. Qui invece abbiamo l’opera seconda di Patrizia Morlacchi, una lombarda di nascita ma molisana d’adozione dopo aver sposato un notaio ed essersi trasferita in questa non molto frequentata regione italiana. L’opera prima era ambientata nel Salento, come ho appreso dalla rete, ma aveva sempre come protagonista ed investigatore Eraldo Sparvieri, un bel nome e cognome italico. Perché non si può non pensare al grande Eraldo Monzeglio, calciatore bi-campione del mondo. E quello Sparvieri come simbolo araldico dedicato a Marte, nonché uccello rapace eurasiatico. Ma stiamo al solito divagando. Perché, detta della genesi, il libro non proviene da collane minori, come spesso accade in questa collana, ma è stato espressamente scritto per Repubblica, in quanto poco si aveva, nel Giro d’Italia in Nero, sul Molise. Quindi, il nostro Eraldo, dopo aver risolto il caso salentino, si trova ad accettare il trasferimento nel natio Molise, nell’immaginaria località di Corniola, che collocherei a nord di Termoli, in una zona tra mare e collina. Ma poco importa la sua ubicazione, quello che ci preme è, nelle generali descrizioni di luoghi e tipicità, il risalto che viene dato a due fattori: la collocazione di una cittadina su colline, o premontanità, che consentano di vedere, o andare, presto in un mare, l’Adriatico che, per quanto poco presente nella mia maturità, tanto spazio ha avuto nella mia infanzie e nella mia giovinezza. L’altra è il legame con odori e sapori, soprattutto questi ultimi legati al mangiare, come i cavatelli, che proprio qui hanno origine, o dei formaggi pesanti ma saporosi, come il caciocavallo di Agnone, per finire con la non sempre frequentata, ma di gusto pieno, cipolla di Isernia. In questa ambiente che mi fa fare salti indietro nel tempo (dimenticavo di passaggio un saluto a Nicoletta e la sua Capracotta), la scrittrice ambiente una storia dal doppio binario nero, con alcuni personaggi interessanti, ed altre tipicità non solo molisane ma italiane a tutto tondo. C’è l’inchiesta nera, quella che dà il via al libro, quando un personaggio locale, soprannominato “il Guercio” (e vi sfido a trovarne il perché) viene trovato ucciso in malo modo (diremmo in modo mafioso). Sparvieri indaga, e nell’indagine da una parte trova alleati nella “parte buona della società”: un direttore di banca onesto, un altrettanto ben disposto notaio (forse un piccolo omaggio alla famiglia) ed un vice-procuratore donna alle prime armi, ma molto combattiva. Dall’altra c’è il piccolo e grande mondo della politica e del malaffare: l’immancabile ex-onorevole democristiano, ora ottantenne, ma sempre con le mani in pasta, il sindaco rampante, gli addetti alle Divisioni Territoriali, sempre in prima linea nella corruttela. Poi c’è lo stesso Guercio, che dovrebbe essere un dottore, con tanto di clinica della salute, moglie belloccia para-estetista, ed un tentativo, dei due, di entrare nei giri locali. Sparvieri, guidato da una catena di lettere anonime, fa, con l’aiuto dei suoi sodali, un grande ripulisti del malaffare locale, su cui torneremo. Ma noi, e lui, fin dall’inizio subodoriamo che la morte poco sia legata alla politica, per il modo troppo palese di evocare. E molto, probabilmente, sia invece legata a motivi personali e privati. Tanto che viene allo scoperto attraverso un verso di una canzone di Baglioni (ah, ahi, ahi) ed il cattivo uso della grammatica italiana. Questa è la fine della parte nera, che vi lascio indagare. Mentre vorrei tornare sul giro legato alla corruzione, che è di una bellezza cristallina: ci sono terreni agricoli non edificabili che una società di comodo acquista a prezzi stracciati. Poi la stessa società chiede l’autorizzazione al comune di trasformarli in edificabili. Il comune, per non sporcarsi le mani, tace. La società quindi, dopo 60 giorni, è autorizzata a chiedere una sentenza del TAR. Il TAR nomina dei periti, in genere poco legati alla territorialità indicata. Che ovviamente non si curano di entrare nel merito, ed emettono una sentenza liberatoria per la società. Così alla fine si edifica, a prezzi centuplicati, senza che, palesemente, né il comune, né il TAR né altri possano essere direttamente imputati. Meccanismo democristianamente di una precisione chirurgica. Insomma, non mi ha stravolto, ma non mi è dispiaciuto. Un solo appunto culinario. L’ottima Vera, moglie di Eraldo, organizza un’ottima cena (tortino di alici, spaghetti allo zafferano, sarago) ma la corona con un dolce che non utilizzerei mai: le pesche Melba (ricordo ai profani, ricetta francese del grande Escoffier per omaggiare la sua grande passione, la cantante d’opera Nellie Melba, con pesche, gelato alla vaniglia e sciroppo di lamponi: distante anni luce da una caprese di Alessandra).
Flavio Soriga “Metropolis” Repubblica Italia Noir 12 euro 7,90
[A: 11/10/2016 – I: 16/07/2018 – T: 19/07/2018] - &&& -
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 283; anno 2013]
Ci sono un paio di cose che non mi dispiacciono in Flavio Soriga: la capacità di intrecciare storie ed il suo amore per la Sardegna, nel solco del più sardo degli scrittori sardi. Quel Sergio Atzeni di cui ricordo quel mitico, postumo “Passavamo sulla terra leggeri”, da cui Soriga ha preso lo spunto per quel bellissimo festival di letteratura che si svolge ogni anno tra Sassari e Alghero. Ma di Atzeni parleremo, forse, altrove. Qui, tornando al libro, devo dire che è un po’ stretto nella connotazione “Noir” che ne dà Repubblica. Certo c’è un morto, certo c’è un’inchiesta, c’è un investigatore ed una soluzione. Tra l’altro l’investigatore è il capitano Martino Crissanti, già protagonista del primo libro di Soriga, “Neropioggia” che non ho letto ma che prima o poi … Ma questi sono solo spunti per parlare di tanto altro: di rapporti umani e di Sardegna. O meglio di quell’eponimo sardo che è Cagliari con il suo mondo. Liquidiamo allora velocemente la parte noir: c’è una morta, orrenda sfigurata nello stabilimento Karalis (ricordo per i non addetti che questo non è che l’antico nome proprio di Cagliari), uno dei tanti che si affacciano nella spiaggia di Poetto. È un’illustre cittadina, discendente di una famiglia potente del cagliaritano. È Giulia Hernandez di San Raimondo, e già dal nome capiamo che l’inchiesta non sarà facile. Giulia è una donna molto, molto libera, piena di rapporti, di amori. Ma anche con possibili risvolti alla stirpe degli Hernandez ed ai loro affari, in città e per tutta l’isola. Il nostro capitano, comunque, dopo aver girato a vuoto per un bel po’, riesce a focalizzare il problema scoprendo che la morta ha un doppio legame: con Jane, la moglie del fratello, e con lo scrittore Aureliano Demontis. Dopo aver sfrondato il problema di tutti i rami secchi, è nel triangolo di zeriana memoria che si appuntano le indagini. E dove si troverà la soluzione. Tuttavia, questa storia potrebbe essere risolta in una cinquantina di pagine. E il resto? Come detto, da un lato i rapporti. Certo, interessanti quelli di Giulia con il sesso, con Aureliano, con Jane, ma anche con tanti altri, compreso uno dei miti locali, anche per Crissanti, il cantautore Valdemaro Cristobal. Servono un po’ ad intorbidire le indagini, ma anche ad illustrare la solitudine di chi cerca una soluzione alla propria vita solo nel sesso. Cosa che cercava anche il nostro Martino, se non che, fin dall’inizio della storia, vediamo che il capitano si rapporta, sempre più intensamente, con la simpatica Anna Sofia. Con cui non solo instaura un bellissimo rapporto, ma da cui scopriremo alla fine che aspetta anche un volutissimo pargolo. Poi c’è la Sardegna, poi c’è Cagliari. E non solo la spiaggia. Ma la vita seral-notturna tra aperitivi, chiacchiere ed iniziative varie. Compresi, immancabilmente, accenni alla musica. E non è un caso che una delle punte della musica attuale sia il trombettista e poli-strumentista sardo Paolo Fresu (bellissime sonorità, se non lo conoscete dovete assolutamente sentire “Almeno tu nell’universo”, in duo con Danilo Rea, meraviglioso!). E le passeggiate: da Castello a Porta San Pancrazio, passando per le torri pisane, le processioni per Nostra Signora di Bonaria, la Basilica del patrono della città, San Saturnino. Ma gli intrecci di Soriga vanno anche al di là. Portano a storie di appuntati e marescialli, storie di bagnini, storie di reading e di suoni (in cui Soriga mette molto, tanto delle sue vicende private, dei suoi amori, delle sue frequentazioni). Certo, in ogni romanzo, spesso il personaggio principale è un alter-ego dello scrittore, con tutti i distinguo del caso. Ma non è un caso che in “Sardinia Blues” uno dei protagonisti sia talassemico come il nostro Flavio. Ed è forse un caso che Crissanti ami la musica e la scrittura? E che si interroghi sulla paternità, come anche Soriga fa in qualche intervista su diversi quotidiani? Rimane l’ultimo dubbio su quel titolo “Metropolis”, mutuato tra greco ed inglese per una città di grandi dimensioni, tanto che, sintatticamente, in italiano va ad indicare una città con più di un milione di abitanti. Cagliari non arriva a 200.000 unità, quindi più che un’etichetta, una possibilità, una voglia di essere più grande, diversa. Come diversi vorrebbero essere i personaggi che pullulano l’interessante scritto di Soriga. Un autore da tenere comunque presente.
“C’è gente che legge libri tutta la vita e sa tutto, ma ugualmente non capisce nulla, assolutamente nulla di nulla.” (69)
“Dopo i trent’anni, nello sport come per la seduzione, l’importante non erano i risultati ma il miracolo di avere ancora voglia di accettare le sfide.” (113)
Elda Lanza “Il venditore di cappelli” Salani euro 9,90 (in realtà, scontato a 4,95 euro)
[A: 23/09/2016 – I: 22/08/2018 – T: 24/08/2018] - &&&---
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 463; anno 2014]
Siamo al terzo episodio della saga di Max Gilardi, con un andamento devo dire molto altalenante. Ricordo che la più che novantenne scrittrice fu la prima signorina buonasera nei primi anni ’50, e che da meno di dieci anni ha cominciato a redigere la saga di questo signore. Ricordo anche che il primo libro (“Niente lacrime per la signorina Olga”) l’ho giudicato interessante, pur nella complessità di una vicenda e di un percorso di vita. Mentre il secondo libro (“Il matto affogato”) mi è sembrato inutile, un po’ stiracchiato e sicuramente poco coinvolgente. Ora, in questa terza prova, la china si risale con una scrittura sempre un po’ attorcigliata, ma con una trama, nel fondo, abbastanza lineare. Pur se, per decifrarla, impieghiamo, sia io che l’autrice, un congruo numero di pagine. Cominciò nel primo libro con Gilardi commissario al Nord, pur essendo napoletano verace. La sua storia con la bella eritrea, uccisa in un conflitto a fuoco, le dimissioni ed il ritorno a Napoli come avvocato. Ora, Max è “solo” avvocato, con il suo studio ben avviato, ed il giro di amici e conoscenti nella Napoli “bene”. Questa è la parte più pallosa di tutto lo scritto. Feste, barche, Ischia, circolo nautico e tante altre inutili esibizioni di soldi e mondanità. Non si vede l’ora di tornare ai Quartieri Spagnoli, a San Domenico, magari con una pastiera da Scaturchio ed una visita al Cristo velato. Magari finendo per via dei Tribunali ed una pizza fritta. In questa Napoli a volte fasulla (ma forse non tanto, se poi conosci la gente che sta al Vomero ed altre amenità), si snoda la vicenda di Domenico Sarli, il cappellaio del titolo. Terza generazione di venditori di cappelli, tutti di nome Domenico, ma grandi solo per le capacità e l’imprenditorialità di nonno Domenico. Che papà Domenico vivacchiava, ed il figlio, ora, sembra proprio non sapere dove mettere le mani. O la testa (ah, ah). L’intreccio comincia con il ritrovamento di un corpo bruciato ed irriconoscibile trovato alla marina. Poi con la scomparsa di Domenico. Ma dopo venti giorni, il nostro ricompare, con al braccio la neo sposa, la rumena Ermeline. Che sarà per un mio atavico senso di incomprensione con quel popolo, già dalle prime pagine mi puzza. Non solo perché fa il filo a Gilardi (d’altra parte sono problemi suoi), ma per come si comporta in quel “gran mondo”: un po’ prima donna, un po’ cameriera. Dopo un paio di mesi di vagabondaggi in cui seguiamo Max di festa in festa, al seguito dei suoi amici di buon lignaggio (economico), Domenico sparisce di nuovo, ed Ermeline subisce uno strano furto. La bella rumena torna scornata in patria, per poi riapparire, altri mesi dopo, come organizzatrice di eventi. In tutto ciò, analisi del DNA ed altre indagini, un po’ alla “CSI – New York”, portano Max ed i poliziotti ad individuare in Domenico il primo morto. Ma allora chi era il Domenico comparso con Ermeline. Scopriremo, ma non ci sono misteri particolari, che è tutto un giro di camorra e di soldi, di prestanome e di truffe in grande stile. Di partite a carte truccate ed altre amenità. Non ci sorprende che Ermeline fosse coinvolta, e con Max supponiamo (o meglio sappiamo) che era sicuramente uno dei motori delle truffe. Ma Ermeline, scoperta la morte anche del suo secondo accompagnatore, si fa prendere dallo spavento, vorrebbe passare tra i testimoni di giustizia. Ce la farà o si affiderà a persone sbagliate? Questo lo scoprirete leggendo il libro. Che intanto, un nuovo filone si apre, e lo seguiamo con più passione. Che in una di queste stravaganti feste, Max conosce la super-giovane Paola, disegnatrice di talento e proponitrice di modelli di tessuti e gioielli. Per scacciare brutti ricordi e nuove brutte fantasie, Max comincia a frequentarla. E verrà travolto dall’esuberanza e dalla solarità di Paola. Che sarà anche utile alle indagini, quando, disegnando uno dei “Domenico” fa scoprire la differenza tra il primo ed il secondo. Ma quello che ci preme di più è il rapporto di allegria che si instaura tra Max e Paola. Prima, oltre che per le piccole follie che fanno, anche per la nascita di una bella bambina di nome Alice. Poi per il matrimonio (senza fede al dito, che quando si ama non c’è bisogno di mostramenti esteriori: lo si sa, e basta). Poi altro. Spero che la nostra signorina Elda non decida di mandare a male “anche” questo rapporto, non potrei sopportarlo. Per tornare ai commenti iniziali, la profusione di feste ed altro ingenera sin dall’inizio un sovraccarico di nomi e situazioni che rende difficile seguire in maniera lineare cosa sta realmente accadendo. Non so se voluto o meno, ma avrei preferito qualche guazzabuglio in meno. Comunque il testo risale, non proprio a livelli di pienezza, ma sicuramente per gradevoli gradini evolutivi. E se avete altre assonanze, ben vengano. Per ora, un saluto ed una sfogliatella.
Alessia Gazzola “Una lunga estate crudele” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 10,20 euro)
[A: 28/05/2016 – I: 09/09/2018 – T: 11/09/2018] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 313; anno 2015]
Mi incuriosisce capire perché l’esimia Giulia Fiore lo metta tra i libri che potrebbero renderci felici. Intanto, per me è solo un nuovo capitolo della saga dell’allieva anatomo-patologa Alice Allevi (ricordo che in un mio precedente scritto avevo sviscerato l’uso di mono-lettere per i suoi personaggi). Un serial che prosegue con una sua scrittura di facile presa, con un buon successo di vendite, anche sostenuto dalla serie televisiva, con la nostra Alice interpretata da Alessandra Mastronardi. Purtroppo, però, dopo le prime prove più interessanti, questo quinto libro si trascina un po’, certo mescolando al solito pubblico e privato. Ma Alice non ha più il piglio arrembante da allieva di Tempe Brennan (ricordo che, nel mio immaginario, niente mi toglie dalla testa fino ad ora, che questo sia un tentativo di fare un “Bones in salsa di pomodoro”). Tra l’altro, il lato pubblico, quello dell’indagine, è molto diluito, non ci vengono date più le notizie su come, su cosa, su ricerche che Alice (ma forse sarebbe meglio dire il suo capo Claudio) effettua sui morti. Con un prologo ed un epilogo che spiegano tutto quello che c’è da spiegare e capire (tanto che forse li avrei eliminati; leggi questi e lasci perdere le restanti 300 pagine). In una stanza segreta di un teatro di periferia dedicato al teatro shakespeariano (un po’ come il Globe Theatre di Villa Borghese) viene trovato un corpo. Si tratta di Flavio, un attore scomparso una ventina di anni prima. Attore promettente, molto gay ed un poco etero. La compagnia del tempo si sfasciò, ma non Sebastian, l’altro attore promettente, che invece sfonda. Ed è da lui che l’ispettore Calligaris parte, portandosi a rimorchio la nostra Alice. Si scava nella vita familiare di Sebastian, con moglie Stella, figlio Matteo e tata Nicole. Flavio era gay ed innamorato di Sebastian, che stava un po’ qui ed un po’ lì. Nel cast c’era Diana, innamorata persa di Flavio, con cui andò a letto e generò una figlia. Poi anche Diana entra in depressione, cerca di risalire la china teatrale, ma l’ostruzionismo di Sebastian le sbarra la strada. E lei si uccide. Come si era uccise una giovane promettente attrice, anche lei sedotta e abbandonata da Sebastian. Poi qualcuno tenta di uccidere Stella, ma non porta a termine il lavoro. Poi Nicole sparisce. Ma da metà romanzo si poteva capire che Nicole era proprio la figlia di Flavio e Diana. Ma chi ha ucciso veramente Flavio con il cianuro? Sebastian spaventato dall’avventura gay o Diana imbestialita dall’essere abbandonata? Questo ve lo lascio scoprire se volete leggere quelle decine di pagine di cui sopra. Il resto, magari un po’ più polposo, anche perché così meglio si addice alla televisione, con quell’andatura tipo “Tutto può succedere”, è la storia delle persone. La solita Alice sempre presa dalla sua vita sentimentale. Un po’ circuita dal perfido (sentimentalmente parlando) Claudio, che vorrebbe con lei solo una storia di sesso. Allettata da un nuovo personaggio, il tossicologo Sergio (quello che scopre il cianuro), un quarantenne (almeno) divorziato con figlia ed una casa da sogno a Filicudi. Gentile, poco invadente, sicuro della sua età e dei suoi comportamenti signorili, ma senza quell’afflato di passione che potrebbe permettere ad Alice di lanciarsi in nuove avventure. Poi c’è sempre l’Innominabile, l’amore profondo di Alice, Arthur che l’ha miseramente lasciata in precedenti libri, per fare il corrispondente di guerra. E che qui ritorna, provato da un’esperienza a Gaza e con il compito di riportare la piccola Nur al padre emigrato a Spoleto. Arthur che sembra rientrare dalla finestra dopo essere uscito sbattendo la porta. Che chiede di tornare in Italia, e che ne vedremo delle belle (credo) nelle prossime puntate. Sesso, sicurezza o amore? Cosa sceglierà Alice? Per ora, attraversa tutta la storia sempre un po’ tirata qua e là dagli avvenimenti. Ci sono poi i “caratteristi” di contorno: la coinquilina Cordelia (sorellastra di Arthur), aspirante attrice, nonna Amelia, con le sue belle parole ed il suo spigliato carattere, l’ispettore Calligaris, sempre pronto a coinvolgere Alice nelle indagini, e la nuova entrata Erica, una dottoranda molto preparata che credo troverà più spazio nel futuro. tuttavia le due parti non sono bilanciate, come dicevo. La confezione finale non porta i frutti che ci si poteva aspettare. Ultimo carattere distintivo degli scritti di Alessia sono le epigrafi poste a mo’ di titoli dei vari capitoli. Anche qui, con un tentativo di indirizzare la lettura “a chiave”, ma che non sono particolarmente significativi, a parte l’unico che riporto sotto come frase che rimane alla mente (anche se non è della penna di Alessia). Aspettiamo tempi migliori, anche se le parti teatrali, sia di Shakespeare, ma soprattutto le frasi di Yasmine Reza, sono apprezzabili.
“I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo (Fernando Pessoa)” (243)

Unica trama di questo mese di novembre viaggiante, ma che riporta le tante letture agostane, aiutate dal forzato riposo per le note vicende ossee. Tuttavia un mese di poco spessore (forse c’era bisogno di riposo anche mentale), con l’unica e scontata delusione del seguito dei libri di Helen Fielding.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Giorgio Faletti
L’ospite
Einaudi
s.p.
2
2
Sue Monk Kidd
La vita segreta delle api
Mondadori
6,90
2
3
Andrea Camilleri
La rete di protezione
Sellerio
14
3
4
Allison Pearson
Ma come fa a far tutto?
Mondadori
6,90
2
5
Roberto Bolaño
Notturno cileno
Repubblica Duemila
9,90
2
6
Douglas Gordon Browne
Troppi cugini
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
7
Alan Hollinghurst
La biblioteca della piscina
Mondadori
10,50
2
8
James Harold Wallis
La formula del delitto
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
9
Ann Patchett
Corri
TEA
8,60
3
10
Clifford Witting
Ipotesi per un delitto
Corriere della Sera Gialli
6,90
2
11
Neil Gaiman
Il figlio del cimitero
Mondadori
10,50
3
12
Michael Connelly
Il dio della colpa
Pickwick
10,90
3
13
Elda Lanza
Il venditore di cappelli
Salani
9,90
2
14
Helen Fielding
Che pasticcio, Bridget Jones!
BUR
9,90
1
15
Giovanni Iudica
Il pittore e la pulzella
Corriere della Sera Arte
7,90
3

Mettiamo mano allora a questo novembre, archiviandone i viaggi, in attesa di nuove e coinvolgenti mete, ricordandone i tanti compleanni, e programmando attentamente le prossime settimane, tra campagne e bianchi Natali.