domenica 8 settembre 2013

Bellano sul lago di Como - 08 settembre 2013

Settimana dedicata ad un solo autore: Andrea Vitali da Bellano. Già molto ne ho letto e parlato, e tuttavia ne continuo a leggere e parlare, che è gradevole e scorrevole. Medico a Bellano, inizia a scrivere trasportando sulla carta piccole storie locali, tanto da elaborare alla fine una complessa saga locale. Sempre interessante, con romanzi che svariano tra i primi anni del secolo e vicende quasi a noi vicine.
Andrea Vitali “Una finestra vistalago” Garzanti euro 12
[A: 15/04/2012 – I: 06/02/2013 – T: 08/02/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 360; anno: 2003]
Finalmente si torna a leggere la scrittura scorrevole, leggera e tuttavia piacevole del medico di Bellano, che della saga di questa cittadina sul lago di Como ha fatto (come ho detto altrove) il centro del proprio mondo narrativo. Qui siamo tuttavia più sul versante di verità che di verosimiglianza alla Vigata di Camilleri. Bellano è lì, e intorno c’è il lago, i monti, ed a valle tutto il nord lombardo – veneto – emiliano. Vitali ci ripropone il suo stile fatto di corti capitoli, che sbocconcellano la storia, facendocene digerire piccoli pezzi alla volta, per non essere indigesta. E ci ripropone il giro di valzer delle storie stesse. Anche questa volta si parte da lontano, dal 1919, ma solo per imbastire storie e per darci qualche caratterizzazione non tanto dei personaggi ma del clima generale della storia stessa. Dato che poi il nucleo narrativo centrale del tutto si colloca tra il 1967 ed il 1972 (piccola citazione interna, il via alla vicenda trainante si ha con una gita da Bellano verso il Polesine il … 7 maggio 1967, e non dico altro). Ma lì negli anni Venti si colloca il punto di inizio, con la fondazione di un consorzio dove uno dei titolari è tal Quintiliano Arrigoni. Fortune della ditta, commerci di bachi da seta, nascita di figli fuori del matrimonio, tanto per dipingere un po’ di tutto. E questo figlio (che si chiamerà Arrigoni pur non essendo riconosciuto) lo seguiamo per un po’, lì dove, ventenne nei primi anni cinquanta, si invaghisce e sposa la bella Maria Grazia (non senza aver seminato qualcosa nel Polesine del ’51). Bella e ricca, e concupita dal nuovo arrivato, il dottor Benito Tornabuoni, che sarà l’anima del Partito Comunista locale, in un paese, lombardo al solito, sempre vicino al Bianco Fiore. Ed arriviamo così alle sarabande della seconda metà degli anni Sessanta. Laggiù sui monti non si sente l’aria di rivoluzione che si respirava in pianura, nelle grandi città. Lì c’erano, e ci saranno per anni, solo riflessi locali delle grandi masse. C’è un cammeo del mancato segretario del PCI, che avrebbe dovuto sostituire il dottore, ma che non viene nominato perché si chiama Benito! C’è un ricordo che sbiadisce, quando Eraldo, il presunto eroe della vicenda, sbandiera le sue simpatie per il …PSIUP. Spero che, oltre a me, Carlo e Luciano, ci sia qualche d’un altro che se ne ricorda. Eraldo che appunto nella gita di cui sopra conosce Elena, che non vede l’ora di sposarsi (essendo ragazza madre), con la sorella acquisita figlia dell’Arrigoni di cui sopra. Elena la bella che si trasferisce a Bellano anche per le belle parole di Eraldo, ma che si ritrova a vivere con i di lui genitori, in una casa dove dalla finestra il lago lo può vedere forse una giraffa. E quindi a Bellano si intrecciano i mille motivi e le mille storie dei paesi di provincia. Le elezioni, i piccoli scontri tra Benito ed Eraldo, Elena che va a fare da tata all’Arrigoni morente di cui sopra. Dove conosce un piccolo truffatore dalla parlata audace, il bel Curzio. Maria Grazia che tira avanti la ditta paterna. Il Tornabuoni che fa carriera, ma che sempre comunista è. La fabbrica. Le micro lotte sindacali. La pesca di frodo. Il piccolo contrabbando con la Svizzera, prima solo di sigarette e poi (con una piccola microstoria simpatica) con i contraccettivi. Perché forse qualcuno si è scordato che fino al 1972 la pillola NON era commercializzata in Italia. C’è anche il maresciallo, solita figura umana, che cerca di mettere a posto quelli che non rigano dritto, senza però esercitare la forza bruta delle forze dell’ordine tradizionali. C’è anche l’industriale che tenta di circuire la vedova Maria Grazia, ma che sarà colto in flagranza di reato dalla finanza. Insomma il solito e simpatico mondo di paese, dove ci aspettiamo di vedere se Tornabuoni ci riprova con la Maria Grazia o si mette il cuore in pace, se Elena lascerà Eraldo per Curzio (ma bisognerà aspettare che questi esca di prigione, dove è rinchiusa per truffa), se il PSIUP riuscirà ad aprire una sezione locale, se Quintiliano, infine, doppiata la boa dei cento anni, continui ad essere una presenza pur se lontana, o finalmente si aggiunga alla schiera dei defunti. Come detto, un buon esercizio di valzer, qualche sorriso, e tuttavia mi aspettavo qualcosa di più incisivo, come in altre storie compare, vuoi per la parte storica vuoi per la parte ironica. Qui sono un po’ carenti, ed il libro scorre via, in attesa di una nuova storia.
Andrea Vitali “Almeno il cappello” Garzanti euro 12
[A: 01/11/2012 – I: 10/04/2013 – T: 12/04/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 410; anno: 2009]
Un'altra buona prova del medico di Bellano, che imbastisce un lungo romanzo, rispetto ai soliti che vanno più sulle 200 che le 400 pagine, con la solita e ben collaudata tecnica che chiamo alla “Schnitzler”. Un grande girotondo, pieno di personaggio che a volte si fa difficoltà a tenerne a mente tutti i nomi. Pieno di storie che si intrecciano, si ostacolano e poi si esaltano a vicenda. Il nodo centrale della storia, motore del romanzo, la nascita, difficile, contrastata ma (forse) alla fine ben voluta del Corpo Bandistico di Bellano. Siamo di nuovo nel periodo migliore delle storie di Vitali. Il ventennio, con tutte quelle figure senza molto spessore, ma che allora (solo allora?) comandavano i paesi ed i paesotti di un’Italia unificata forse solo di nome e non di fatto. Vitali ha quindi modo di mettere in piedi tutta una schiera di personaggi, da furbetti a poco scaltri, uomini irretiti da donne ingegnose, e quando Vitali usa questo periodo la sua vena sembra distendersi nel passo lungo del fondista. Diciamo che tre sono le storie in un certo senso predominanti nel romanzo. La prima vede protagonista Lindo Nasazzi (e complimenti a Vitali che ha dato il cognome di questo personaggio come quello del capitano del grande Uruguay primo campione del mondo, che d’altra parte era oriundo di Esino Lario, un paesino a soli 15  Bellano) il bombardino (o flicorno baritono) della fanfaretta di Bellano. Diventato vedovo, cerca e trova una nuova sposa nella campagnola Noemi. Ma questa di ben altra pasta della prima moglie è fatta. Non lo fa più ubriacare e diventa più manesca di lui (se arrabbiata). Il suonatore cercherà tutto il romanzo di trovare il modo di racimolare soldi per le bevute. Li troverà soltanto con un inganno relativo alle divise della futura banda. Peccato che ne godrà per poco dato che … E qui sospendiamo il Lindo e passiamo ad Onorato Geminazzi, il ragioniere che da Maneggio, sull’altra riva del lago, si trasferisce a Bellano quando la sua vecchia ditta di liquori sta per fallire (e si troverà accusato di frode, poi salvato da testimonianze varie, all’interno di una delle tante storie nella storia, quella del commendator Varechini, che però vi lascerò scoprire). Ragioniere che sa far ballare i numeri, tanto da risollevare le sorti del collassante ospedale, perché sa di musica. Era stato seconda (ma lui sostiene prima) cornetta nella Banda di Laveno. Ed ora farà di tutto per trasformare la fanfaretta in un Corpo Bandistico. Si batte come un leone, contro il podestà Parpaiola (uomo veramente ottuso come tutti i podestà) che cerca in tutti i modi di contrastarlo, per avere prima gli strumenti, poi un luogo per le prove, infine le divise. Fiore all’occhiello di tutte le prove sono i duetti che imbastisce con il Nasazzi, e che dovranno sfociare in un grande assolo durante il debutto della Banda, nel giorno dei santi patroni di Bellano in quel di fine luglio. Ma oltre ai numeri e la musica, l’altra passione di Onorato è la moglie Estenuata, con la quale continua a sfornare figli su figli. Non ultimi, i gemelli che avranno anche loro un ruolo nella terza storia. Intanto, nonostante tutte le traversie, Geminazzi riesce a mettere su la Banda per il debutto, se non che, il Nasazzi… La terza storia vede invece protagonisti il segretario locale del fascio Bongioanni che in tutti i modi favorirà il Geminazzi contrastando il Parpaiola. Tanto che frequenta assiduamente la casa del ragioniere, e vi trova e si invaghisce di Armellina Banchieri, un’orfana ormai cresciuta, andata a servizio a Milano, ed ora tornata, che ha due tette indescrivibili. Il Bongioanni si innamora prima delle tette poi dell’Armellina tutta. Ed anche quando scoprirà il segreto delle suddette, non cesserà l’amore. Anzi, si sposeranno presto, un mese prima che la banda … Ecco, le storie principali si intrecciano, si alimentano, producono rivoli anch’essi gradevoli. Bello l’inserimento nella storia e nella geografia, anche se, rispetto alle prove migliori (non tante che questa si colloca nel gruppo di testa) c’è un po’ meno umorismo ed un po’ meno di quei sani e ridanciani accenni al sesso paesano. Ah, il cappello del titolo è ovviamente quello del Corpo Bandistico, ed ha un suo preciso ruolo, come si scopre alla fine, perché… Leggetelo, va.
Andrea Vitali “La mamma del sole” Garzanti euro 12
[A: 13/06/2012 – I: 18/05/2013 – T: 18/05/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 286; anno: 2010]
Un nuovo libro veloce e scorrevole, come al solito i libri del medico lariano. Rispetto agli ultimi letti, ha un andamento in minore, senza una vera storia. Cioè, di storie ce ne sono tante, affabulate alla maniera di Vitali. Cominciano, si intersecano, un po’ si incartano su se stesse, e poi scorrono verso un finale, generalmente abbastanza esplicativo degli eventuali misteri rimasti in sospeso. Non c’è però, come in altri romanzi, un punto centrale. Più che altro è un affresco di un momento di Bellano, collocato (dando fede ai riferimenti storici) nei mesi di luglio e agosto del 1933. Questo perché, come motivo di fondo, ci sono i riferimenti alla Crociera Aera del Decennale, organizzata appunto in quei mesi da Italo Balbo. Siamo quindi nei momenti più caratteristici degli scritti di Vitali: periodo fascista e vita di provincia. Vita che si snoda intorno alla Caserma di polizia ed alla segreteria del Partito Fascista, due pallini ricorrenti nei suoi scritti, che gli consentono da un lato di mettere alla berlina i tronfi personaggi sedotti dal potere, e dall’altro di evidenziare come, nella vita quotidiana, c’è uno scorrere delle cose che per nulla erano intaccate dal regime imperante. Una storia passata, che molto risuona nel presente. Il motivo che dà l’avvio al romanzo è appunto l’estate, il caldo che anche sul lago si fa sentire, e, con i colpi di calore, anche qualche comportamento un po’ “fuori le righe”. Si intrecciano così, nel caldo del lago, le storie di Maria che dall’ospizio si va a confessare dal vecchio don Carlo, e poi muore sulla nave durante il ritorno. La ricerca dell’anziana si unisce alle richieste di informativa su tal Velia, madre di quattordici figli (non tutti suoi), inopinatamente arrivata al nuovo segretario del PNF da parte della sede di Como. Il tutto cade sulle spalle dei militi, il maresciallo Maccadò ed il brigadiere Efisio Mannu in primis. Tra messaggi che girano tra le varie stazioni di polizia, vetri della caserma che si rompono, caldo che impera e radio galenica che trasmette le notizie della Crociera di cui sopra, si dipanano i comportamenti quotidiani dei bellanesi. Don Carlo che non vuole dire i motivi della visita di Maria. Lì dirà solo per iscritto, al maresciallo e riguarda la scomparsa del figlio di Maria neonato, che la levatrice, piuttosto che mandarlo all’orfanotrofio, sottrae e dona alla sorella sterile. Il buon Alvise, che cresce un po’ ritardato, e che sarà l’unico (ma non creduto) a vedere Maria per le strade di Bellano. Intanto i vetri della Caserma continuano a rompersi che le finestre sbattono per fare corrente. E qui si innesta la macchietta del vetraio scansafatiche, che dovrà fare i conti con l’autorità della Caserma, vincendo la sua indole poco produttiva (perché dannarsi, se si riesce a mettere in fila i pasti di ogni giorno, con qualche partita a scopa in sovrappiù?). Rimane il mistero delle informative richieste sulla Velia di cui sopra, che si vorrebbe portare al cospetto del Duce a Roma, come esempio di “romana prolificità”. Peccato che la suddetta Velia sia stata una delle più richieste meretrici del paese in gioventù. E che i suoi numerosi figli, vengano da padri molto diversi. E che tra i suoi più calorosi sostenitori c’è proprio il cavalier Viglietta, attuale segretario del Partito. Che in un’esilarante scena campestre, deve confessare i suoi misfatti al maresciallo e con lui ordire una trama di salvataggio per non sputtanare se stesso e il partito. Ma risolto il problema di Velia, rimane il dubbio su chi abbia fatto partire l’inusuale richiesta. Anche qui, travisamenti, mezze verità, fino alla soluzione (che non vi narro) data all’epilogo e che riconcilia la tutta questa parte di vicenda. Insomma, si comportano tutti un po’ strampalati, per colpa di quei colpi di sole agostano che fanno andar via di testa anche i ben assennati abitanti prospicienti il lago. Alla fine si sorride, si apprezzano le piccole immagini della vita normale, come se fossero foglietti che il medico Vitali scrive nella sua condotta, tra un paziente e l’altro. Ipotesi rafforzata dalla stringatezza dei capitoli, che sono corti, cortissimi, come appunto scritti velocemente tra un paziente e l’altro. Un solo punto vorrei chiarire con l’autore: il brigadiere Efisio Mannu, in “La signorina Tecla Manzi” si innamora della bella Osmide; qui invece Osmide diventa una zia lasciata nel natio paesello sardo. Come mai? Anche perché in quello c’era già come in questo la rivalità a colpi di piccoli dispetti tra il brigadiere sardo e l’appuntato siculo. Mentre vorrei ringraziarlo per un nuovo elemento di cultura medica che mi fornisce. Finalmente ho capito cosa affligge il rinofimico Tino: il nasone, vero Emilio?
Andrea Vitali “Un amore di zitella” Garzanti euro 9,90 (in realtà, scontato a 7,43 euro)
[A: 19/06/2013 – I: 12/07/2013 – T: 13/07/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 116; anno: 2004]
Un nuovo capitolo della sterminata saga ambientata a Bellano, non solo paese reale ma anche paese natale del prolifico Vitali. Abbiamo ormai imparato che l’autore prende spunto da piccoli fatti vissuti o conosciuti durante la sua costante carriera di medico condotto, e da questi trae piccole o grandi storie. Certo, meglio rappresentate ed argomentate quelle che si svolgono nel ventennio, dove, utilizzando i vari personaggi, riesce da un lato a mettere in vista le contraddizioni del regime fascista, dall’altra ci riserva le gustose parentesi umoristiche della vita quotidiana. Subito sotto le altre, da quelle ambientate ai primi del secolo, a quelle (come la presente) che invece si svolge nel 1962. Siamo nell’Italia del boom, c’è Tony Renis che canta “Quando, quando, quando”, ci sono i sogni del totocalcio e delle prime lotterie. E c’è la vita che gravita intorno all’Ufficio Comunale. Intorno ai personaggi dell’ufficio, Vitali costruisce la sua microstoria, sempre con quel suo marchio dei capitoli brevi, di un paio di pagine l’uno, che danno ritmo alle storie (come se fossero scritte su piccoli fogli volanti, tra una visita e l’altra). Il perno della vicenda è Iole, la zitella del paese (e del titolo), non bella ma forse piacente, sicuramente con un buon cervello (che a volte le consente voli che non seguono i suoi cittadini). E c’è il contraltare Iride, la maneggiona, che cerca di arrotondare lo stipendio con piccoli espedienti e molte chiacchiere. Controllore ed arbitro delle vicende, il segretario Restelli, con il suo piccolo problema privato (ma per lui gigante) di una prostata che non fa il proprio dovere. Il tutto si scatena proprio dalla prostata. Restelli per mettere a posto l’Ufficio prima dell’operazione toglie un lavoro a Iride dandolo a Iole. La prima non si capacita, la seconda non può rifiutare. Nasce così una lotta senza esclusione di colpi. Che avrà il suo culmine quando Iride non invita Iole al suo matrimonio. Iole, per far sentire la sua superiorità, invia comunque un regalo ai novelli sposi. Una Divina Commedia rilegata. Scrivendo un biglietto firmato “Iole e … Dante”. Ovviamente i grandi somari del paese cascano nella trappola. E da quel momento nasce tutta una serie di qui pro quo della segreta tresca amorosa con il misterioso Dante. In tutto si innesta la presenza della zia Ortensia di Rapallo. Una costante nella vita di Iole, anche se è più un’amica che una parente (e mi domando se sia la stessa che profuma di menta in un altro libro di Vitali). Presenza anche pesante, che assedia la nostra zitella con richieste varie (una gamba rotta, un’influenza perniciosa, ed altro ancora), ma che alla fine troverà il modo, in maniera inconsueta (e con l’aiuto del pur buono Restelli) di togliere Iole dalle peste dell’assedio del paesello alla scoperta del misterioso Dante. Con una fine in sordina, se vogliamo, ma com’è in sordina tutto il libro. Ho trovato molta malinconia, infatti, in queste vite di provincia appese al quotidiano. Non solo quelle dei protagonisti, ma forse e di più dei comprimari. L’autista di corriera, il radiotecnico, la moglie del medico. La capacità, sempre di buon livello, di Vitali è di non dimenticare personaggi per strada, di inventare nomi che rimangono in testa. E spesso di riprendere nomi e situazioni tra un libro e l’altro. A volte si creano confusioni o qui pro quo, ma continuo a trovarlo gradevole e degno di continuare ad essere menzionato e letto. Perché comunque ci sono spunti (come avete letto sopra), o a volte, come in questo caso, piccoli ricordi. Il mio è legato al Festival di Sanremo. Benché piccolo, ben ricordo il testa a testa di quel festival, che non fu vinto da Tony Renis (arrivò solo quarto, anche se poi risultò il più venduto, e lo è tuttora), ma che vide l’alternarsi tra “Addio… addio” di Modugno (di cui ricordo ben poco) e “Tango italiano” di Milva (che invece ben ricordo, di cui facevo il tifo, e che ovviamente arrivò secondo). Ricordo l’atmosfera di quelle prime settimane di febbraio, cui mi era concesso di stare alzato un po’ di più. Ma queste forse sono altre storie che andranno raccontate in altri lidi. Per ora, un piccolo grazie ancora a Vitali.

Ed ancora un’estate che non finisce (fortunatamente) con il vostro lettore che da qualche mese legge poco e viaggia molto. Quindi, dietro le solite sollecitazioni avventurose, ecco che ci apprestiamo a partire per un giro di più di due settimane in Tanzania e Mozambico. Viaggio deciso in tanta fretta che non ho avuto tempo neanche di parlarne in giro. A questo punto, ci diamo appuntamento ad ottobre, credo.

domenica 1 settembre 2013

Gialle - 01 settembre 2013

Non nel senso di donne cinesi, ma di scrittrici di polizieschi al femminile. Riprendiamo il filo delle trame che questa estate è stato continuamente interrotto da viaggi belli e coinvolgenti, e che continuerà ad esserlo ancora tra poco (almeno si suppone, poi si vedrà e ne verrete informati). Per la scrittura, riprendiamo anche con qualcosa di leggero, adatto ai mesi estivi. Purtroppo, oltre che leggero anche di poca sostanza. Certo la signora del poliziesco d’intreccio ci regala una bella trama, pur se di quaranta anni fa. E la settantacinquenne londinese ci presenta un solido episodio della saga dell’ispettore Monk. Meno solide, per non dire ai limiti della leggibilità, la scrittura della russa Marinina e della svedese Larson. Ci si aspettava di meglio, soprattutto dai paesi scandinavi che ultimamente hanno prodotto risultati interessanti.
P. D. James “Scuola per infermiere” Mondadori euro 9
[A: 25/04/2012– I: 11/03/2013 – T: 13/03/2013]
[tit. or.: Shroud for a Nightingale; ling. or.: inglese; pagine: 325; anno 1971]
La signora del poliziesco d’intreccio non si smentisce. Era qualche anno che avevo lasciato da parte i suoi romanzi, per pigrizia o altro. Nella messe degli acquisti dello scorso anno, ha trovato posto anche questo. Ed un buon posto. Una trama lineare ma efficace. Morti che si accumulano. E l’ispettore – poeta Adam Dalglish indaga. Tutto sul filo della parola. Un po’ d’azione ma laterale. Certo all’inizio è un po’ difficile entrare nella trama, data la difficoltà linguistica del titolo. In inglese, letteralmente, “Sudario per un usignolo” (o anche bara, o comunque qualcosa che ha a che fare con la morte). Ma l’autrice gioca sul doppio senso, perché Nightingale è anche l’infermiera per antonomasia, la famosa Florence fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. E qui c’è il romanzo, che le morti sono infermiere, e tutto si aggira intorno a questa tipologia di personaggi. L’azione si svolge in una scuola per infermiere, annessa ad un ospedale. E tutti i personaggi, morti e sospettati, sono infermiere. C’è il circolo delle “anziane” che gestisce ospedale e scuola, capeggiata dalla severa capo-infermiera coadiuvata dalla sua fida capo-sala con cui da sempre fa “coppia”. E c’è il circolo delle giovani, le apprendiste, con i loro problemi di crescita (istruzione, innamoramenti, dissapori, e tutto quanto ci può essere intorno a giovani che vivono a stretto contato). Dopo la prima, inspiegabile morte, sulla scena entra, in punta di piedi, il nostro ispettore. Non ci sono indizi palesi, ma il buon Adam è della vecchia scuola, quella aulica dei Maigret per intenderci. Cominciano così pagine e pagine di interrogatori e di susseguenti deduzioni. Come detto, l’azione è ridotta al minimo essenziale. È tutto un ragionare, costruire, poi buttare a mare e ricominciare di nuovo. Ed in questo Dalglish, per mano dell’anziana scrittrice, è un maestro. Ricostruisce passo dopo passo il primo e poi gli altri omicidi, collegandoli alla fine al lontano passato. Un passato che ancora è legato alle poco più che trentennali vicende precedenti di guerre e nazismi. Un libro magistrale quindi, anche se, di natura essendo stato scritto quaranta anni fa, sicuramente datato, se non altro nelle tecniche mediche. Ma piacevole di lettura e di argomentazioni. Poi mi è simpatico l’ispettore, e quel suo essere anche poeta (citazione incrociata: nella libreria di un’infermiera della scuola c’è un suo libro di poesie). Che mi sollecita anche ad altri rimandi: anni dopo, un cinese laureato in letteratura ed emigrato in America (Qiu Xialong) scriverà di un poliziotto cinese che scrive poesie moderniste (e quando ne parlerò vedremo di capirne meglio). Ci saranno state “filiazioni” trans-nazionali? Per finire un’ultima domanda cui non so dare risposta. La James, a pagina 177, per spiegare le inspiegabili morti, fa dire ad un personaggio una battuta che lei riferisce allo scrittore inglese G. K. Chesterton: “Quando non esistono spiegazioni possibili, allora l’improbabile diventa verità”. A me non suona tanto perché mi rimanda maggiormente a quanto Conan Doyle mette in bocca al suo Sherlock Holmes: “Una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità”. Chi avrà ragione?    
“Aveva un terrore folle della vecchiaia, delle malattie incurabili e delle invalidità. Temeva la perdita dell’autosufficienza, le umiliazioni della tarda età, la rinuncia alla propria privacy, l’abominio del dolore fisico, gli sguardi di paziente compassione degli amici.” (158)
“L’amore non era una prerogativa delle persone giovani e attraenti.” (210)
Alexandra Marinina “La settima vittima” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 10/09/2012– I: 02/05/2013 – T: 04/05/2013]
[tit. or.: Sedmaja Zhertva; ling. or.: russo; pagine: 380; anno 2004]
Nelle lunghe visite alle librerie fatte in questi anni avevo notato i libri di questa scrittrice russa di gialli. Libri post ’89, come quelli di altri russi. Ma non mi ero mai convinto a comprarne. Approfittando delle solite “infornate” periodiche di Repubblica, eccoci quindi alle prese con la Marinina. E devo dire che la sensazione che non mi convincessero più di tanto, che fossero operazioni commerciali e basta, è stata confermata a pieno. Non che non abbia dei momenti interessanti, ma la trama, le storie raccontate, i personaggi, insomma il libro come entità globale, non mi ha convinto troppo. Tra l’altro è anche decisamente datato, non solo che in Italia è uscito 10 anni fa, ma l’originale è del 1999. E si nota: si parla ancora di Eltsin alla guida dello stato. Inoltre è la quindicesima storia che ha per protagonista Nastasija Kamenenskaja, tenente della Polizia di Mosca. Ci sono quindi molti personaggi ricorrenti, storie che vengono dal passato, e che (limite di chi è poco attento allo sviluppo dei seriali) non vengono spiegati. Chi non ha letto le altre puntate rimane a volte sospeso. Quindi ci viene dato per scontato il rapporto tra la Kamenenskaja ed il giudice Obratsova, amiche e qui coinvolte in una trama che si preannuncia oscura. Durante una loro intervista televisiva in parallelo, qualcuno innalza cartelli minacciosi. Per chi delle due? Poi, a poco a poco, cominciano le morti violente. All’inizio sembra solo per coprire l’autore del cartello di cui sopra. Poi ci si comincia a chiedere altro. Che tutti i morti hanno accanto un pesce con un uomo in bocca. Noi che sappiamo del mondo già vediamo il tocco di Bosch, mentre Nastasija impiega metà libro per arrivarci. E solo aiutata dalla giovane Irina, cognata del giudice di cui sopra. La Marinina cerca di complicare le storie, variando punto di vista o “soggettiva” come direbbero i più esperti, ogni poche pagine. Soggettiva che riguarda sia i poliziotti, sia i morti, sia parenti dell’assassino. Che capiamo essere sicuramente una persona preparata e che gioca con le forze dell’ordine, sfidando la loro intelligenza. Tanto per citare uno dei tanti raggiri, dopo Bosch, cerca di incanalare le ricerche della polizia verso una struttura criminale che ricalca il film “Seven” (che ricordo è del 1995). Ma non tutte le morti ricalcano lo schema dei sette peccati capitali. E come si dice argutamente, se tutte le morti di un serial killer non rientrano in uno schema, non bisogna forzare le morti ma cambiare lo schema. Senza patemi e sussulti, con qualche piccolo ammiccamento che cerca di farci prendere di mira un colpevole che invece colpevole non è, alla fine la nostra eroina sbroglia il bandolo della matassa. Che noi sappiamo essere originata da una “follia” del killer. Capiamo (dai soggettivi) che è una persona di cultura, che è travolto dalla nuova vita della Russia post ’89, che cerca il modo di dare un senso alla sua vita, e visto che non ci riesce, di dare un senso alla sua morte. Cosa che, ovviamente, non gli riuscirà. Ma come detto la trama non regge la tensione, non coinvolge nella suspense. Scivoliamo così per le 400 pagine chiedendoci cosa abbiamo letto. Bozzetti di vita quotidiana della Russia della fine dei Novanta. La Marinina tenta di utilizzare questa scrittura anche per farci vedere come stia modificandosi la vita in Russia dopo la caduta del comunismo. E come comincino a nascere i nuovi potentati, che daranno vita poco dopo all’impero di Putin. Tuttavia non ha le capacità analitiche né degli svedesi, né del nostro Camilleri. Come detto rimangono piccoli quadri: nascita e morte di micro-imprese, fallimenti personali, tanti barboni, tossicodipendenti a go-go, alcolizzati, storie d’amore che nascono tra Irina ed un giovane ispettore, nuovi ricchi che girano in macchinone, poliziotti che continuano ad andare in metropolitana, il problema degli alloggi. Ma tutto senza un vero e reale mordente. Le analisi in rete della scrittrice ci parlano della sua capacità di scrittura psicologica. Ci rimaneva quest’ultimo appiglio, ma personalmente i personaggi criminali mi sono sembrati piatti, quando non inutilmente psico-labili. Poche cose da salvare. Una scrittrice cui difficilmente ci si tornerà sopra presto.
Anne Perry “Il fiume mortale” Mondadori euro 4,90
[A: 04/08/2012– I: 09/05/2013 – T: 13/05/2013]
[tit. or.: Dark Assassin; ling. or.: inglese; pagine: 283; anno 2006]
La settantacinquenne scrittrice londinese è ormai un classico ed una pietra di paragone nell’ambito della scrittura, anche se non tanto presente nella mia biblioteca. Ha trovato il modo di unire la passione (molto british) per l’epoca vittoriana con dei possibili e sensati intrecci polizieschi, molto “salottieri” alla Agatha Christie (ed è ovvio dato il tempo in cui si svolgono le sue vicende). Due sono i personaggi che popolano maggiormente le sue storie: l’ispettore Pitt di quella che potrebbe essere Scotland Yard (ma ancora non è) e di ascendenze aristocratiche, e l’ispettore Monk, più inserito nell’aspetto plebeo della vita. La Perry ha scritto almeno una cinquantina di titoli alternando i due personaggi, consentendole, nel dualismo, di dare un panorama “a tutto tondo” della metà del secolo diciannovesimo. Del primo ne abbiamo letto tempo fa. Ora per la prima volta incontriamo il secondo. Ed anche questo “nel mezzo del cammino”. Dato che questo fiume del titolo è il quindicesimo romanzo della serie Monk, anche se l’originale porta invece il titolo di “nero assassino”, che ben capiamo presto essere dedicato al Tamigi ed alle acque sotterranee della Londra vittoriana. La capacità della Perry è tuttavia quella di metterci in grado (al contrario della Marinina)  di seguire il romanzo, cogliendo l’occasione, quando lo consente l’economia della storia, di aggiornarci “sulle puntate precedenti”. Veniamo così a sapere che Monk inizia il suo percorso nella Polizia Municipale di Londra. Poi, in seguito ad un avvenimento che però non sappiamo, rischia la vita, perde parte della memoria, viene curato dall’ex-infermiera della guerra di Crimea Hester, di cui si innamora e che, riamato, sposa. Poi attraversa un periodo difficile, lavorando saltuariamente come investigatore privato. In questa veste entra in urto con la Polizia (e si scavano solchi di rancore con ex-colleghi), ma nell’ultimo episodio ha un proficuo rapporto con Durban, il capo della Polizia Fluviale, dove insieme risolvono un guaio, ma alla fine Durban muore, raccomandando tuttavia Monk come suo successore. Arriviamo così a questo romanzo, in cui Monk inizia il suo nuovo lavoro. E si trova subito davanti ad una grossa difficoltà: pattugliando il fiume, vede due persone, un uomo ed una donna, discutere animatamente, e poi precipitare nel fiume, trovandovi la morte. Un tentativo di salvare un suicidio finito male, o un omicidio anch’esso maldestro? Monk comincia ad indagare, scoprendo il tessuto che sorregge la vicenda: gli appalti per la costruzione delle nuove fogne di Londra, dove vengono usate grosse macchine (dette “talpe”) che tuttavia rischiano di destabilizzare il sottosuolo londinese. Il padre della ragazza, poi, si scopre essere morto probabilmente suicida pochi mesi prima, essendo un ingegnere che poneva dubbi sulla sicurezza. E l’uomo, ex-fidanzato della ragazza, è anche il fratello del maggior appaltatore di queste fogne, nonché ex-capo del suicida. La trama va avanti per pagine e pagine, ponendo le basi di tutta una ricerca nel mondo dei dropout londinesi, della gente che vive ai margini, nonché (in virtù del lavoro di Hester e del suo aiuto nella vicenda) delle “donne perdute”. Si fanno pochi passi avanti significativi, si fatica a trovare i bandoli dell’intricata matassa. Ma si capisce presto che il suicida non è suicidio, che forse i due sono più vicini anch’essi all’omicidio. Non si trovano prove. Ci vuole la pazienza di Monk che, abbassando il proprio orgoglio, chiede scusa ed aiuto. Alla Polizia, ad alcuni colleghi onesti della fluviale (che anche lì ci sono fior di corrotti). E si arriverà ad un bivio: è il capo degli scavi ad aver ordito il tutto o il suo direttore tecnico? E che ruolo ha la moglie del capo, nonché sorella della morta e figlia del finto suicida? Si arriva ad una fine veloce e poco avvincente, che, seppur spiega motivi e fatti, lo fa quasi con noncuranza, come se il problema maggiore fosse solo quello di aver fatto un dipinto dell’atmosfera e della vita dell’epoca. Talmente tirato via, che pensavo fosse quasi un problema di traduzione, magari l’originale era troppo lungo. Ed invece anche l’originale (che ho consultato) è ugualmente sbrigativo. Questa fa perdere un po’ di punti alla storia, dove invece i caratteri e le situazioni al contorno erano anche interessanti. Monk, la moglie, ma anche il sovraintendente Runcorn o il sergente Orme, presentano punti di buona caratterizzazione, dove si dimostra che la Perry sa ben maneggiare la penna. Peccato lo scivolone finale. Vedremo altre volte, se capiterà.
“Il fatto che qualcuno lo conoscesse così bene lo faceva sentire a suo agio ma lo allarmava pure. Anni addietro l’avrebbe terrorizzato. … C’era più dolcezza di quanto si fosse aspettato nel non essere soli e nel non dover spiegare la propria natura perché si veniva capiti e accettati per come si era. “ (29)
“Quando si è impotenti, l’ignoranza è un grande conforto.” (78)
“Aveva vagheggiato una donna ideale che non avrebbe visto i suoi difetti, le sue debolezze e i suoi errori di giudizio; ma con una donna così innocente, anche se avesse sempre avuto l’ultima parola, non avrebbe mai potuto condividere le passioni, le brame e i dolori della vita. Sarebbe stato impossibile avere con lei una comunanza profonda.” (245)
Åsa Larsson “Finché sarà passata la tua ira” Marsilio s.p. (regalo 2012 di Rosa&Emilio)
[A: 07/05/2012– I: 20/05/2013 – T: 23/05/2013]
[tit. or.: Till dess din vrede upphör; ling. or.: svedese; pagine: 310; anno 2008]
Non è un caso la citazione in exergo (il titolo è una citazione del Libro di Giobbe). E ci vuole la pazienza di Giobbe per portare a termine con un sorriso sulle labbra questa fatica della scrittrice svedese. Che non a caso si chiama Åsa, dove i ben informati mi dicono possa essere tradotto con Tea, nome femminile dedicato agli dei. E qui, più che in altre prove, nel nord della pur pacifica provincia svedese, ci vogliono tutte le raccomandazioni di un dio benevolo, per portare avanti una storia così poco “affascinante”.  Non è un vero thriller, che sappiamo subito chi muore e subito dopo si capisce l’assassino o gli assassini. Mancano solo le modalità ed il movente, ma ci si arriverà ben presto, e sicuramente prima della fine. Per il resto, è come una puntata di passaggio di una serie televisiva altrimenti ben fatta. Capita, che a volte si debba fare un passaggio minore che non si hanno molte idee e si voglia arrivare presto a nuovi personaggi e nuove situazioni. Ricordo che siamo a Kiruna, località spesso coperta di ghiacci. Che c’è il protagonista principale, modellato sull’autrice, l’avvocato ora procuratore Rebecka. C’è la poliziotta capace, bassa e procace Anna-Maria. Ci sono i cani da neve ed il loro addestratore. C’è il vicino di casa che invecchia ma cucina da dio. C’è l’amante di Rebecka che vorrebbe riportarla a Stoccolma, ma non ne capisce il desiderio di “aria del Nord”; e penso che si cominci a sentire l’allontanamento tra i due. L’indagine parte dalla morte nel lago ghiacciato di due fidanzati alla ricerca di improbabili tesori sommersi. La ragazza viveva con la bisnonna, la quale ha una sorella sposata con un losco figuro che si è arricchito non poco durante la guerra facendo favori ai tedeschi (ma anche la sorella sembra…). E i due hanno due figli: il maggiore forte di fisico ed amante della matematica, il minore un insolente pezzo di m… Capite presto chi dei due è il capintesta dei casini (anche se ci sarà qualche sorpresa nel finale, che i figli son sempre figli di qualche genitore, e non a caso). E pare che il pagamento ai coniugi Kerula doveva essere trasportato da un idrovolante, che si inabissa nel lago. I giovani cercano di ritrovarlo come detto, e vi muoiono. Basta questo per farvi riannodare i fili della trama. Inclusa l’inutile uccisione di un solitario anziano che l’estate per il caldo (caldo? In Svezia a Nord del Circolo Polare Artico?) gira nudo non solo nei boschi, ma anche per la cittadina, e che è stato l’ultimo a vedere vivi i giovani. Per il resto, appunto, qualche fior di penna senza affondi. Anna-Maria ed il suo vice sono sempre ai ferri corti che nel romanzo precedente la sventatezza della prima stava per far uccidere il secondo. Rebecka sente la mancanza del suo amante cittadino, ma si prenderà cura del cane del vecchio ucciso, e si vede che sta per nascere una simpatia con l’addestratore di cani. L’ottima Katia Di Marco non ha avuto problemi questa volta nei titoli, che appunto sono una citazione del libro di Giobbe. E quanta pazienza deve avere il maggiore dei Kerula, per resistere alle intemperanze del padre, ai rimproveri della madre, alle incursioni nella violenza del fratello, per studiare anche se la famiglia non vuole, e laurearsi di nascosto in matematica. E fare lezioni di matematica alla nipote che sarà la morta di cui all’inizio. Ma tutta queste citazioni bibliche sono un po’ incomprensibili per noi non pervasi dalla cultura luterana del profondo nord. Come inutili mi sembrano le concessioni ai fantasmi che pervadono il testo. La fanciulla che svolazza dall’inizio alla fine, e che ci conduce per mano nella trama, e che muore nella seconda pagina, è un espediente meta-letterario poco efficace. Anzi, mi ha lasciato decisamente freddo. Come il tempo di Kiruna (ho controllato, solo tre mesi all’anno il termometro sale sopra 0°!). Tornerei volentieri verso il Polo Nord, ma solo per diporto, che ormai il tanto sbandierato “giallo svedese” lascia il tempo che trova. Operazione di marketing, ha cercato di sfruttare alcuni filoni di buona levatura (con il compianto Stig Larsson in testa). Ma come ovunque, a fronte di un paio di autori degni, vengono scaraventati milioni di scribacchini a volte inutili. La nostra Åsa certo sa scrivere e non è una scribacchina, ma ho letto di meglio (anche se insiste troppo sul lato “religioso” delle sue avventure del profondo nord). [PS: certo che le mie alternanze di libri a volte fanno strani giri, che questi è un regalo del “pacco” di Rosa&Emilio, ma del 2012!!]
“La vita è troppo breve per tenersi il broncio.” (174)
Ed essendo la prima trama del mese, dedichiamo un piccolo spazio ai 17 libri di giugno, dove noterete molti “senza prezzo”, data la vicinanza con la mia festa e con i libri che (fortunatamente) ancora mi vengono regalati, sfidando (e con successo) la sorte. Un mese aperto e chiuso in bellezza con un bel giallo dell’ottimo Nesbø ed un saggio sul viaggio (come non parlarne bene) del francese Onfray. In mezzo uno standard interessante, con qualche caduta sia di uno dei miei autori preferiti (il fino ad ora di buon livello de Giovanni) sia dell’un po’ intorto Zolla.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Jo Nesbø
La stella del diavolo
Piemme
s.p.
4
2
Elémire Zolla
Verità segrete esposte in evidenza
Marsilio
s.p.
1
3
Jo Nesbo
La ragazza senza volto
Piemme
12
3
4
Cees Nooteboom
Il suono del suo nome
Ponte alle Grazie
s.p.
3
5
Elizabeth George
Questo corpo mortale
TEA
10
3
6
Louise Soraya Black
Il cielo color melograno
66th A 2nd
s.p.
3
7
Michael Connelly
Il poeta è tornato
Piemme
11,50
3
8
Maurizio de Giovanni
L’omicidio Carosino
CentoAutori
9
2
9
Enzo Bianchi
Fede e fiducia
Einaudi
s.p.
3
10
Patricia Cornwell
Autopsia virtuale
Mondadori
13
2
11
Simone Lenzi
Sul Lungomai di Livorno
Laterza
s.p.
3
12
Andre Agassi
Open. La mia storia
Einaudi
s.p.
3
13
Alicia Gimenez-Bartlett
Gli onori di casa
Sellerio
s.p.
3
14
Elizabeth Peters
Il papiro insanguinato
TEA
9
3
15
Banana Yoshimoto
High&Dry Primo Amore
Feltrinelli
6,50
3
16
Francesco Recami
L’errore di Platini
Sellerio
12
3
17
Michel Onfray
Filosofia del viaggio
Ponte alle Grazie
12,50
4


E dopo la fredda Islanda (che consiglio vivamente) ed il caloroso (come gruppo) Portogallo, abbiamo passato un bel caldo agosto tra le strade marocchine. Forse un po’ troppo il caldo, ma Marrakech ed Essaouira meritano lo sforzo. Stiamo preparando altro, per ora in modo silenzioso, e quindi ne riparleremo.