domenica 26 marzo 2023

Gialli in calando - 26 marzo 2023

Dispiaciuto di avervi lasciato per ben tre settimane senza mie notizie, ecco che torno a voi, tornato (scusandomi della ripetizione verbale) da un ottimo viaggio nipponico. E riprendo da dove ci eravamo lasciati, con una nuova cinquina di libri italiani, anche se gli autori sono quattro. Dicevo in calando che iniziano le letture da un discreto Carofiglio, passando per un godibile Morchio. Poi si cala verso il mai da me amato Carrisi, finendo con un incomprensibile, a tratti, Nemus.

Gianrico Carofiglio “La disciplina di Penelope” Repubblica Anima Noir 1 euro 8,90

[A: 22/06/2021 – I: 15/08/2022 – T: 16/08/2022] &&& - 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 155; anno: 2021]

Come si sa, Carofiglio è un autore molto presente nella mia libreria (conto a memoria circa 17 libri), che sempre mi ha dato piacere leggerne. Sia nelle saghe dell’avvocato Guerrieri sia negli scritti baresi. Forse un po’ meno in quelli del maresciallo Fenoglio. Qui, comincia una nuova avventura, con un nuovo personaggio, l’ex-procuratore Penelope Spada (a volte chiamata Penny, che lei non gradisce).

Confesso che ci sono parti che mi hanno interessato, che ho seguito cercando di interpretare i passi dell’autore, magari anticipandolo. Ma non trovo sia un prodotto completamente riuscito. Minato, per mio conto, da quella domanda che in questi casi sempre mi faccio: perché un uomo sceglie di mettere al centro della scena una donna, e soprattutto di metterla in soggettiva? Se si usa l’autore onnisciente, ci sono meno perplessità. Ma un uomo che si mette dei panni femminili mi lascia sempre il fondo di domanda su quanto riesca ad interpretarne la sensibilità.

Ad esempio, qui come altrove, nel momento in cui si parla di pulsioni sessuali, mi sembra che ci sia molto da esplorare su come ogni sesso le viva a modo suo. Spesso, qui come altrove, si mette in bocca e nella mente di chi agisce in primo piano, i pensieri dell’autore (o del sesso dell’autore), mistificando un po’ il risultato.

A parte queste mie turbe mentali, il romanzo, il giallo è ben costruito, con anche discreti tempi giusti di avanzamento, sia nello scoprire il personaggio centrale (e magari qualche comprimario) sia nel progredire della trama gialla.

Intanto abbiamo Penelope, che, per ragioni ad ora ignote, una volta era in procura, ora, all’inizio delle storie, è fuori dal proscenio pubblico. Certo, ha conoscenze e ricordi nei tribunali e nelle forze dell’ordine, ma è uscita dal giro (o forse no). Per ora sappiamo solo che deve aver commesso qualcosa di grosso. Ne seguiamo quindi i percorsi giornalieri, trapuntati da alcune costanti: cibo abbastanza spazzatura, fumo ed alcool (soprattutto superalcolici) in quantità, coadiuvanti chimici per dormire e scacciare incubi, percorsi fitness con corse ed altre amenità. Insomma, una personalità contraddittoria, se ci aggiungiamo il sesso occasionale, tanto per far felice il corpo, non certo la mente.

In contorno a Penny, qui compaiono (ma se il mio fiuto non mi inganna, compariranno anche in altre puntate di questa che credo possa diventare un nuovo personaggio seriale) il giornalista Zanardi (con quel nome che mi riporta a Bologna ed ai fumetti) ed il maresciallo Barbagallo detto “Mani di Pietra”. Sono presenti, agiscono in sostegno alla nostra, ma non hanno ancora precise personalità. Vedremo in un possibile futuro.

Peculiare anche la scelta di fondo di Carofiglio, che da buon magistrato e conoscitore della legge, ci presenta Penelope non tanto come un’investigatrice alla Perry Mason & company, quanto come un’attenta lettrice di carte processuali. Infatti, pur se poi qualcosa va da altre parti, quello che dice al signor Mario Rossi (sul cui nome torneremo) relativamente alla morte della moglie avvenuta un anno prima con un omicidio insoluto, è che, visto la Procura ottenne l’archiviazione del caso, vedere se, in qualche rivola della legge, c’è la possibilità della riapertura del caso.

Così, con lentezza come si addice ad una Milano “reale”, Penelope si lascia coinvolgere dal caso, ne pensa, ipotizza sviluppi, legge e rilegge le carte per vederne possibili scappatoie. Incontra Rossi, cerca di capire il mondo della moglie Giuliana (la morta per un colpo di pistola). Non sembra convinta che ci sia molto da fare, e come ultimo tentativo, sguinzaglia il buon Barbagallo su piste inventate, ma che potrebbero rivelare qualcosa.

Da lì, da un tentativo un po’ casuale e disperato, nasce un filo conduttore, un rivelo di una casa svaligiata, di una morta che sparisce, di peli di cane che compaiono, di un quartiere da visitare a tappeto. Sviluppi imprevedibili ed imprevisti, che fanno leggere d’un fiato la seconda parte del romanzo, sino alla sua non scontata conclusione.

Torniamo brevemente sul sig. Rossi. Che, e lo scrissi anche in altre recensioni, è un cognome veramente usuale. Spesso, i genitori ne mitigano l’incidenza scegliendo nomi improbabili, come l’amico di famiglia che si chiamava Anacleto. Altrove, si va sul sicuro, quasi sull’anonimato, ed anche io, in uno dei miei viaggi, ebbi un compagno che così si chiamava.

Per ora, ci fermiamo qui, ed aspettiamo di capire se Carofiglio ci darà altre puntate di Penny.

Bruno Morchio “Un piede in due scarpe” BUR euro 12 (in realtà, scontato 10,80 euro)

[A: 01/11/2018 – I: 09/10/2022 – T: 10/10/2022] &&& -- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 290; anno: 2017]

Come per la lettura da poco fatta di uno scritto fuori testo di Carofiglio, anche Morchio, per me, è legato ad altro, rispetto a scritti pur dignitosi e leggibili. Legato a Genova, che tuttavia compare anche qui. Ma soprattutto legato a Bacci Pagano, l’investigatore dei carrugi, di cui Morchio ha prodotto nel tempo, a partire dal 2004, ben quattordici romanzi.

Qui, purtroppo, rinuncia a Bacci, e questo mi ha storto iniziandone la lettura. Non rinuncia però ai tocchi ed alle puntate verso l’altro suo mondo, quello che per anni (dal 1988 al 2018) gli ha dato da vivere e da pensare. Che per trent’anni ha esercitato come psicologo e psicoterapeuta in un consultorio familiare genovese. Dal ’18, quindi l’anno dopo dell’uscita di questo libro, decide che, a 64 anni può dedicarsi anima e corpo alla sua passione non più tanto segreta, dedicandosi esclusivamente alla scrittura.

Quindi, avendo deciso di non portarci Bacci nella storia, il nostro psico-scrittore ne fa personaggi principali uno psicanalista (ma dai!!) che si trova, suo malgrado, coinvolto in una storia abbastanza noir ed un simpatico commissario trentino d’ascendenze molisane. Il secondo elemento un po’ straniante è la decisione di ambientare la vicenda nel 1992, anno particolare per Genova: da una parte la vicenda dell’Expo, che fu un grande insuccesso al momento, ma che fu anche volano di tante cose buone per la città (come l’Acquario, il completamento della metropolitana, l’ascensore panoramico ed il pieno recupero del porto), dall’altra l’alluvione del 27 settembre di quell’anno, con tanti danni e due morti. Quello che non ho capito è il nesso tra la storia ed il tempo, che la vicenda poteva svolgersi in qualsiasi periodo storico, non sembrandomi nulla nella vicenda particolarmente legato al ’92.

Torniamo per un attimo alle due anime delle investigazioni, perché c’è una nominalistica importante. Lo psicanalista si chiama Paolo Luzi, con il cognome del grande poeta toscano. Il commissario invece si chiama Diego Ingravallo, con il cognome derivato dal Don Ciccio di Gadda. Ma non è il solo riferimento letterario dotto che ci regala l’autore, con il libro pieno di rimandi a Kafka, Borges, Landolfi, Leopardi e Dante (che vi lascio scoprire). Più un rimando da cogliere al volo: per allievare giorni di detenzione regala a Teresa “Peccato mortale” di Lucarelli, un libro che ho letto esattamene una settimana prima di questo.

La storia, gialla più noir, si dipana intorno all’omicidio di Luca Latorre, giovane imprenditore. Sposato con Sonia, che però non ha mai amato, ha da sempre una relazione (clandestina?) con Teresa. Ma Luca non vuole più avere “un piede in due scarpe”, e si appresta a sciogliere il dilemma moglie-amante. Teresa, conoscendolo, si inventa tutta una pantomima coinvolgendo lo psicologo Luzi e Sonia, avvertendoli che potrebbe uccidere Luca. E quando Luca muore, è ovvio sia la prima sospettata.

Qui intervengono prima Luzi poi Ingravallo. Il primo, a seguito del dramma familiare subito, ha una sorta di somatismo che gli fa capire se chi gli parla sta fornendo una bugia consapevole. Il secondo, a seguito di tanti elementi indiziari, nonché riscontri, ha forti dubbi. Entrambi, al fine, sono convinti dell’innocenza di Teresa. Come lo è Sonia, i genitori di Sonia, i genitori di Luca. Ma soprattutto il cerchio degli inseparabili: l’avvocato Marco Treves, l’erede del cioccolato Gioconda Marenco, e “la Marchesa” Federica Brignole Sale.

In un’indagine fatta di continui colloqui ed interrogatori, lavorando in combutta, ma arrivando al sodo quasi in modo autonomo, Luzi e Ingravallo dipanano per quasi trecento pagine una congerie di storie di amore e di amicizia, che fanno il substrato forte del romanzo. Ci si interroga spesso su cosa siano quei due sentimenti, su quanto sia l’uno più forte dell’altro. D’altronde, Morchio, da buon psicologo non esita a buttarsi nella mischia, coinvolgendoci nei ragionamenti.

E sempre Morchio, ci regala di contorno altre storie, di certo derivate, anche in modo indiretto da tutti gli anni passati nella professione. Piacevoli intenti intellettuali.

Che dire, quindi? Una lettura non banale, forse non sempre riuscita, viziata all’inizio dalla mancanza di Bacci, ma riempita pagina dopo pagina da nuovi protagonisti che, come in ogni libro ben riuscito, ci farebbe piacere incontrare ancora. Soprattutto in un profumo di muschio e cannella che vi dico ma non vi svelo.

Finiamo tornando al 1992. Alla fine, riflettendo, forse è un omaggio velato a quello che poteva essere per Genova e non è stato. Come, in parallelo, succede a molti attori della storia. Un ricordo del passato, che solo i migliori riescono ad elaborare entrando nel presente. Lasciando il filo della narrazione, è quel passato (tremendo) che pesa su Luzi, è quel ricordo della gioventù trentina che pesa su Ingravallo, è il ricordo della solidarietà reciproca che pesa nel gruppo degli amici inseparabili, ma ormai separati.

Come tutti i bravi psicologi sanno, Morchio ci dice di superare il passato facendo “un bagno di realtà”. Chi, ed io fra questi, ha fatto riflessioni su ciò, sa di cosa stiamo parlando.

Donato Carrisi “Il cacciatore del buio” Repubblica Emozione Noir 5 euro 7,90

[A: 22/07/2019 – I: 12/11/2022 – T: 14/11/2022] && e ½   

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 477; anno: 2014]

Donato Carrisi, per quanto ne conosco e ne ho letto, è, spesso e volentieri, uno scrittore seriale. Così non ci meraviglia che qui affrontiamo il secondo episodio delle avventure nere di Marcus e Sandra, che avevamo incontrato nel primo episodio “Il tribunale delle anime”.

Il primo episodio aveva dalla sua la novità della scena, l’introduzione dei personaggi, la nascita degli intrecci. Qui, se da una pare l’autore si va ripetendo, abbassando un po’ la media, dall’altra c’è un minimo di evoluzione che alla fine riporta il tutto su questa sufficienza media che per ora caratterizza la serie.

Purtroppo, non c’è più la novità della Penitenzieria Apostolica, anche se la sua struttura misterica fa pensare che anche lì ci sia qualcosa da delucidare. Forse non in questo libro, ma prima o poi. Non c’è neanche la novità di Sandra Vega, che entra a pieno titolo nelle indagini, anche se le sue storie pregresse pesano sui suoi comportamenti. Ci sono poi due nuovi elementi: il misterioso Battista Erriaga e l’irrisolto vicequestore Moro.

E nel sottofondo, c’è sempre una posizione dell’autore che, seppur non sempre palesemente, si pone in maniera critica e negativa verso le strutture ecclesiastiche. Una scelta che mi permetto di non discutere né tanto meno giudicare.

Come nelle migliori tradizioni, ci sono due indagini che coinvolgono Marcus. Una da cui inizia e finisce il libro sull’uccisione di una suora all’interno della Città del Vaticano. Avvenuta un anno prima dello svolgersi delle azioni narrate, e che si concluderà molto velocemente e brevemente nel finale. Laddove Marcus scopre l’esistenza di una specie di Hannibal curiale, che non mangia le sue vittime, ma che decide di debellare il male ovunque sia. E per questo è tenuto in isolamento all’interno del Vaticano, anche se poi riesce sempre a fare qualcosa. Ma non è questa la storia di Cornelius.

L’indagine principale vede l’uccisione in modo ripetitivo di coppie di persone, in genere amanti, con le stesse modalità: il maschio è subito ucciso con un colpo di pistola, la donna viene prima torturata, poi uccisa, quindi truccata e fotografata dall’assassino dopo la morte.

Sandra, dopo la fine del primo libro, dopo aver scoperto che Marcus è un prete, si è trasferita a Roma, ha una storia con tale Max, ed è la prima ad accorgersi che qualcosa non quadra. Poiché sembrano esserci sulla scena del crimine elementi esoterici, poi, i Penitenzieri inviano Marcus a seguire in prima persona le indagini. Così i due si ritrovano (anche se Marcus di notte segue sempre i movimenti di Sandra), sempre con quella scintilla sessuale che potrebbe scattare, o forse no (“Uccelli di rovo”?).

I misteri che avvolgono le morti sono legati a tre elementi ricorrenti: il bambino di sale, l’uomo con la testa di lupo ed il disegno che accomuna le morti. Ricordiamo che Marcus ha alcuni tratti distintivi: non ricorda il proprio passato, come se la sua coscienza fosse nata dove il colpo alla testa ricevuto a Praga (descritto nel primo libro), ha il dono di riconoscere le anomalie che si presentano sulle scene criminali, soffre periodicamente di epistassi.

Carrisi inzeppa la vicenda di tanti punti che potrebbero sviare le indagini: ci sono altri delitti, viene ucciso il vicequestore Moro, scopriamo che Erriaga non solo è un alto prelato, ma è anche il cosiddetto “Avvocato del Diavolo”, quello che sostiene l’accusa durante i processi del “Tribunale delle Anime”. Ed è Erriaga che interviene per guidare Marcus, e perché i segreti delle morti derivano da una lunga storia collegata a Victor Agapov, funzionario sovietico a Roma negli anni Ottanta. Victor era ossessionato dalla morte della moglie, così da far precipitare nella follia i suoi figli: Victor e Hana. O forse il figlio era uno solo che interpretava due ruoli, uno maschile ed uno femminile?

Sarà l’acume fotografico di Sandra unito alle percezioni di Marcus che porteranno alla soluzione del caso, dove però la loro bravura non riuscirà a salvare né Max né tanto meno Clemente.

Come si evince da queste righe, anche qui il tema di fondo per Carrisi è il male, anzi il fascino esercitato dal male, che poi porta Clemente ad affermare che tutto è male, ed il bene è la sua anomalia. Poi, spingendo sempre sulle amnesie di Marcus, c’è il rapporto tra passato e presente, sulla funzione della memoria. Che tutti cercano di superare il pessimo rapporto con il proprio passato: Marcus che non sa chi è, Sandra che cambia per ricominciare, ma anche tutti i “cattivi”, segnati dagli avvenimenti della loro infanzia. Carrisi con i suoi scritti ci ammonisce: non si può scappare dal proprio passato.

Frase che sottoscrivo, ma che suggerisco a Carrisi di controbilanciare con la lettura di un libro di Banana Yoshimoto. Forse così capirà che al mondo ci sono anche persone “normali”.

“Credo che per sposare qualcuno, o anche solo per passare tutta la vita insieme, ci debba essere qualcosa oltre l’amore.” (308)

Donato Carrisi “Il maestro delle ombre” Repubblica Passione Noir 21 euro 7,90

[A: 19/11/2018 – I: 29/11/2022 – T: 30/11/2022] &&    

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 301; anno: 2016]

Siamo (finalmente) arrivati al volume conclusivo (almeno per ora) della trilogia di Marcus e Sandra. E dico finalmente perché l’inventiva e la spigliatezza di Carrisi qui cominciano a scendere ad abissi senza fondo, mettendo insieme trame poco credibili, personaggi che si appiattiscono pagina dopo pagina, e decisioni che forzano la realtà.

Carrisi ci aveva infatti abituato, pur nella divergenza mia con le sue scelte, ad un procedere sul filo della plausibilità, se non della credibilità. Ora qui ci troviamo un nubifragio che flagella Roma per giorni, un fulmine che fa saltare per aria le centrali elettriche, un black-out programmato, in una notte, tra l’altro, in cui si verifica anche un’eclissi lunare. L’implausibilità del tutto è anche data che Carrisi colloca la vicenda un 23 febbraio. Ora l’unica eclissi totale lunare recente nel periodo si è verificata il 21 febbraio 2008.

Ci sono poi anche altri elementi che fanno sollevare sopraccigli: una droga fotosensibile, che si attiva col buio, e che rende i drogati simili ai morti viventi di Romero, un’adunata di drogati nella piazza del Luneur, la somministrazione della droga tramite un’ostia nera, il conseguente scoprimento di una chiesa parallela che usa l’ostia per la droga e si chiama “Chiesa dell’Eclissi”, chiesa che sembra una controfigura mal riuscita dei Beati Paoli siciliani (leggete il libro di Luigi Natoli edito da Sellerio) con soprannomi degni di altre massonerie (il Vescovo, il Giocattolaio, l’Alchimista), un altoparlante a tempo che sembra uscito da “Profondo Rosso” di Dario Argento. E qui mi fermo.

Anche perché l’idea più interessante di tutto il romanzo è l’auto coinvolgimento di Marcus. Ora, noi sappiamo dagli episodi precedenti che Marcus non solo ha perso la memoria del suo passato lontano, ma soffre di periodiche amnesie e di epistassi.

Proprio svegliandosi da una di queste amnesie viene coinvolto in una serie di avventure e soprattutto di morti che non si capisce né perché vengano uccisi né come mai, in loro prossimità, ci siano fogli scritti da Marcus che forniscono indizi per ricostruire tutta la vicenda. Non solo, si trova anche un telefonino con un video splatter ed altri due indizi: una foto di Sandra Vega e delle gocce di sangue. Gocce che i potenti delle analisi poliziesche individuano subito come epistassi. Ed io vorrei capirlo.

Fatto sta che questo non può che far convergere Sandra e Marcus alla ricerca del famoso bandolo. Che sembra iniziare dal rapimento di tal bimbo Tobia, avvenuto 9 anni prima. In parallelo Marcus è inviato a ripulire scene criminali che potrebbero danneggiare il Vaticano, ordini che arrivano dal famoso Battista Erriaga che abbiamo incontrato nel secondo episodio, come Avvocato del Diavolo nel Tribunale dele Anime. Il mistero che sembra legare tutti i morti e tutte le ricerche è un cerchio tatuato sulla pella dei morti e dei maggiori indiziati.

Inseguendo le tracce di Tobia, i nostri paladini incontrano un Vescovo morto per un eccesso di auto eroticità (almeno così sembra, anche se più verosimilmente qualcuno ha manomesso la playstation erotica), un Giocattolaio che costruisce pupazzi di vera pelle per i giochi erotici degli adepti (e che viene ucciso anche lui in modo splatter), l’Alchimista che rifornisce il mercato della famosa droga contenuta nelle ostie (e non vi dico che fine fa).

Marcus e Sandra si danno da fare per ricostruire tutta l’astrusa vicenda, laddove il nostro chiede anche aiuto al serial killer vaticano, quel tale Cornelius che da ormai venti anni sta rinchiuso presso delle suorine (che si riconoscono anche dalle scarpe, essendo di clausura e velate), ma che riesce ogni tanto a fare qualche bell’omicidio.

Alla fine, con tanti arzigogoli, scopriamo che due sono le indagini che stiamo seguendo: il contenimento della Chiesa dell’Eclissi e le vicende simil-Hannibal del serial killer.

Il tratto comune delle due indagini, più che Marcus, è impersonato da Erriaga che da un lato cerca di indirizzare Marcus e Sandra verso la soluzione del primo mistero, e dal secondo è pesantemente coinvolto nelle vicende di Cornelius.

Di lato, già sappiamo che Marcus e Sandra hanno un coinvolgimento personale che va molto al di là dell’amicizia e del rispetto, e non ci peritiamo se i due andassero a letto, e se Sandra non scoprisse il cerchio fatale anche su Marcus, e se la madre di Tobia era una suora, un tempo carceriera di Cornelius. E tante altre coincidenze e rivelazioni, che vanno a ruota libera, in quel finale sempre da “morti viventi”, con l’esercito che viene a liberare Roma dai cattivi. Dimenticavo, anche qui c’è il solito poliziotto corrotto (anche più d’uno, volendo), ed anche qui ci sono preti ed affini che non si capisce perché abbiano abbracciato la carriera ecclesiastica.

Certo, per noi lettori, un piccolo colpo al cuore viene dallo scoprire il percorso di tutte le morti del libro, ma è la solita cattiveria di Carrisi, sulla quale non torno di certo.

Dispiace solo che la buona penna di Carrisi (e di molti buoni scrittori noir italiani) si invischi spesso in trame più splatter che hard boiled. Peccato, che ci sarebbe molto spazio per un avvocato Guerrieri o per un investigatore Bacci Pagano.

Finisco con un elemento personale ed una tirata d’orecchi. Il gaudente cardinal Erriaga spesso si reca a mangiare al Pantheon, presso un raffinato ristorante francese dai soffitti affrescati, gestito da suore che cantano tutte le sere, “L’Eau vive”. Parole che mi riportano ai tempi aurei di mio padre, quando si andava, almeno una volta l’anno, in quel ristorante di via Monterone a Roma (via che poi divenne di ben altra politicità, quando ci si trasferì la sede del Manifesto).

Ma se l’elemento personale è una culla di ricordi, poi viene la tirata d’orecchi: il secondo ristorante del cardinale è “Velando”, che ben conosco in quanto una colonna della ristorazione del rione Borgo, dove ho vissuto per anni. Ma non mi puoi sbagliare, neanche volutamente, l’indirizzo del ristorante, che a pagina 41 indichi con un inesistente Borgo San Vittorio. Togliete quel “San” e andate al ristorante. Che peccato l’incuria editoriale.

Gesuino Nemus “La teologia del cinghiale” Repubblica Emozione Noir 20 euro 7,90

[A: 28/10/2019 – I: 28/12/2022 – T: 30/12/2022] && --- 

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 264; anno: 2015]

Gesuino Némus era un nome così strano che non mi convinceva. Ed in effetti, è lo pseudonimo dello scrittore sardo di Jerzu, Matteo Locci, passato per molti mestieri, sino a decidersi di dedicarsi alla scrittura, riuscendo a produrre questa sua opera prima nel 2015, ormai quasi sessantenne. Con un indubbio successo di critica e di pubblico, vincendo il Premio Campiello Opera Prima ed il Premio John Fante Opera Prima.

Personalmente, non mi ha entusiasmato, anzi, per certi versi, mi è risultata ostica e di difficile collocazione. Si vorrebbe classificarla nel solco dei gialli, essendoci morti ed indagini relative. Ma è anche altro. Un atto d’amore per la Sardegna, pur sottolineandone i punti poco felici (brigantaggio, omertà, chiusura), ed un omaggio ai disadattati di ogni genere e grado.

Quello che ho trovato più ostico sono gli inserti in lingua sarda. Certo, l’autore, di alcuni, ne fa traduzione o reinterpretazione in italiano, ma alcuni rimangono in lingua, una lingua tanto altra che, anche leggendola, non sono riuscito a decifrarla sino in fondo. Scelta stilistica, si dirà. Certo, ma scelta che ne frena una lettura distesa. Meno ostico, ma sempre un po’ frenante, è il cambiare di soggetto narrante. Non cosa di per sé negativa, salvo che spesso il salto è fatto all’insaputa del lettore, che impiega un po’ per raccapezzarsi, tanto che spesso ho dovuto rileggere dei passi per capire chi parlasse di cosa.

In realtà, la storia in sé è abbastanza scarna. Siamo in un immaginario paesino dell’Ogliastra, Telévras, dove vive una piccola comunità. Pochi abitanti (meno di tremila), una tenenza dei carabinieri, tenuta dal piemontese maresciallo De Stefani, aiutato dal carabiniere scelte sardo, Piras, ed una chiesa dove fa il bello ed il cattivo tempo don Egisto Cossu (un nome, una garanzia, come direbbe il mio amico Fako). Folletti ed elementi incontrollabili i due ragazzi, ancora “pueri” direi, Matteo Trudìnu e Gesuino Némus, chierichetti ed anima della storia.

Matteo è intelligente, volitivo, suona l’organo a 8 anni, conosce a memoria il nome e le funzioni di tutti e 333 i diavoli della terra. Figlio di Bachisio, un latitante, forse (o senza forse) implicato in sequestri, di sicuro in ruberie (anche di basso conto), ubriacone e manesco. Gesuino, invece, è considerato un “minus habens”, un ragazzo con poco cervello e molta fantasia, che scrive libri di una pagina, soprattutto impegnandosi nel dar loro titoli significativi, per poi scordarsene il giorno dopo. Migliore (o forse unico) amico di Matteo, è figlio del vero “pazzo” del paese, Antoni Esulogu, quello che vive sui monti e scendi in città il lunedì, intonando poesie e canti, di certo strambi, ma spesso con indicazioni che a ben vedere sono fondamentali per la trama.

Per completezza, va citato il compare di ruberie di Bachisio, Peppino Golòvru.

La storia comincia quando si trova il corpo di Bachisio, sparito da giorni, per coincidenza il giorno dello sbarco sulla luna. E subito dopo, lo stesso giorno, la madre di Matteo si impicca, e Matteo sparisce. Da qui comincia l’odissea di ricerca di don Cossu, che cerca segnali in ogni dove, dai sonetti di Antoni agli scritti di Gesuino. Comincia anche la storia di Gesuino che tutto sa, chi è stato, chi ha fatto cosa, dov’è andato Matteo. Ma lui ha promesso, e non dirà mai nulla, se non quando tutti i personaggi saranno morti, 57 anni dopo i fatti, e lui, tornato in paese dopo aver girato i manicomi (li chiamo così ante-Basaglia per brevità) di mezz’Italia, scriverà 95 lapidarie frasi che tutto spiegano, affiggendole sul portone della chiesa di don Cossu, perché “la verità è più forte dell’amicizia”.

In mezzo c’è tutto il libro. La storia di don Cossu, quasi eretico ma umano, molto umano. Dei carabinieri, del barista, del giornalista. Ma soprattutto di Gesuino, che seguiamo su e giù nel tempo, fino al finale del 2014.

Quel mezzo è “il” romanzo. La Sardegna, i suoi riti ed i suoi miti, gli abitanti, la rovina delle invasioni di benestanti nordici. La povertà, la difficoltà di vivere. E Gesuino, che diventa anche troppo intelligente per essere un matto. Non è un caso che Matteo (l’autore) usi il suo nome per dar vita al personaggio, quasi, in fondo, a voler tracciare un parallelo tra il sé del difficile scrivere ed il ragazzo dal difficile vivere (e dall’impossibilità di essere compreso).

Un libro di parole e di pazzie, trattate tutte con delicatezza, ma, in finale, mancando un vero e certo disegno di scrittura, con una resa inferiore a quanto mi aspettavo. Dovrei farlo leggere ad un sardo, per averne le sue reazioni.

In finale, due appunti. Uno semantico. Anche per un romano come me, suona stonato l’intercalare del maresciallo De Stefani, piemontese puro, che sbotta con dei “Boia faust”, laddove si dovrebbe dire “boia fauss” (cioè falso). Uno che mi pone un interrogativo che non so sciogliere. La dottoressa che per un certo periodo ha in cura il piccolo Gesuino viene presentata come Samantha Bruzzone, che, per quanto mi risulta, è il nome vero della moglie dello scrittore Marco Malvaldi. Coincidenza o abile rimando incomprensibile?

Anche se siamo verso la fine del mese, è pur sempre la prima lettura di marzo, che ci rimanda alla tornata letteraria che ha chiuso lo scorso anno. Diciassette i libri dicembrini, guidati con giusto piglio da un solido Simenon e da un immancabile Calvino. In fondo il mancabile e poco leggibile libro del due Preston & Child.

 

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Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Dario Crapanzano

Arrigoni e l’omicidio nel bosco

Repubblica Emozione Noir

7,90

3

2

Georges Simenon

Il presidente

Repubblica

9,90

3

3

Arnaldur Indridason

La ragazza del ponte

TEA

s.p.

3

4

Georges Simenon

Betty

Repubblica

9,90

3

5

Patrick Robinson

Interceptor

Repubblica Spy

7,90

1

6

Anita Nair

Cuccette per signora

Guanda

12

3,5

7

Douglas Preston & Lincoln Child

La stanza di ossidiana

Corriere Profondo Nero

7,90

0,5

8

Federico Inverni

Il prigioniero della notte

Corriere Thriller

7,90

1

9

Jean Failler

Il respiro della marea

Repubblica Emozione Noir

7,90

3

10

Georges Simenon

Le campane di Bicêtre

Repubblica

9,90

4

11

Massimo Carlotto

La signora del martedì

E/O

16,50

3

12

Frédéric Lenoir

La forza della gioia

Repubblica Filosofia Viva

9,90

2

13

Maurizio de Giovanni

Un volo per Sara

Rizzoli

s.p.

2,5

14

Bernardo Zannoni

I miei stupidi intenti

Sellerio

s.p.

2

15

Annie Ernaux

Il ragazzo

L’Orma editore

s.p.

3

16

Gesuino Nemus

La teologia del cinghiale

Repubblica Emozione Noir

7,90

2

17

Italo Calvino

Le città invisibili

Mondadori

12

4

 

Poiché siamo sempre nell’ambito “giallo italiano”, vi riporto una frase che da un solido giallista italiano viene. Solido nonché considerato il decano dei giallisti, cioè Loriano Macchiavelli ed il suo sempre caro poliziotto Sarti Antonio. Che appunto in “Sarti Antonio. Di nero si muore”, nelle prime pagine ci ammonisce: “Noi siamo condannati ad essere quello che siamo … è così, non possiamo farci nulla. Ma non diteglielo, non lo sopporterebbe” (17).

Come detto si è tornati da un bello, intenso e sempre da ripetere viaggio in Giappone (laddove invece sconsiglierei a chiunque l’orrida giornata sud-coreana). Non sappiamo (che le vie del mondo hanno infinite strade) se e dove ci porterà il futuro, anche se abbiamo alcune speranze ed alcune ipotesi.

Intanto sappiamo solo che sei settimane devono passare, con tanti altri giorni di riposo, di campagna e di mare che ci aspettano. Così, per non tediarvi più del dovuto, vi abbraccio.