domenica 30 marzo 2008

Sentimenti dolenti, speranze deluse

Non sembri un attacco di tristezza: anche se questa settimana si va parlando di momenti che non sempre sono felici, facciamolo perché questi sono parte della nostra vita. Affrontiamo tre libri di diverso stile e di diverso impatto, che mi hanno suscitato sentimenti diversi, anche se sono stato contento di averli letti. Piacere di belle scritture, di tocchi leggeri (orientali?) che toccano nel profondo. Piacere di constatare che molte volte guardando il nostro ombelico non ci accorgiamo di essere uno dei tanti esempi della vita che scorre. E non sempre il più negativo.

Cominciamo allora con un libro regalato

Joshua Ferris “E poi siamo arrivati alla fine” Neri Pozza s.p.

Senza prezzo perché è stato un regalo di Annabella, Cecilia, Loredana e Monica: e accidenti a loro che me lo hanno regalato. E a chi dice che è divertente. Mi sarei messo a piangere se non fossi stato tramortito dalla stanchezza. In effetti, l’ho letto durante i due giorni passati a letto con la febbre: un bel modo di passare il tempo! La scrittura è interessante, un uso del noi per tutto il libro che ti fa partecipe di questo mondo del lavoro in rotta, con la paura (e poi l’avvenimento) del licenziamento. Con una galleria di tic da ufficio da far rivoltare Basaglia nella tomba. Se vivete (o avete vissuto) momenti simili, vi verrà tutto l’amaro in bocca. Forse riuscirà leggero a chi lavora in altro modo. Auguri a lui. Qui si parla non di una società di software al tracollo ma di una grande agenzia di pubblicità sulle rive dell'immenso lago di fronte a Chicago, nel cuore dei grattacieli più antichi d'America. Tra open space e cubicoli, tra computer e stampanti, si svolge la commedia umana di un gruppo di giovani spregiudicati e sognatori, cinici e brillanti, che ogni mattina, fatalmente, si incontra nello stesso luogo: in ufficio. Carl, Karen, Benny, Amber, Jim sanno tutto di tutti. Sanno che Tom è pazzo, e che Lynn, il boss, ha un tumore al seno. Sanno che il vecchio Brizz se la passa male ed è finito nella classifica di “Quale vip muore prima”, anche se non e una celebrità. Sanno chi ha nascosto il sushi dietro la libreria di Joe. Sanno con chi se la prende Marcia quando ha inviato una mail a Genevieve in cui c'è scritto: "È davvero irritante lavorare con persone irritanti". Conoscono ogni pettegolezzo, ogni storia d'amore, ogni invidia e segreta generosità. Sanno chi è nelle grazie del capo e chi verrà fatto fuori. Sanno tutto di tutti perché l'ufficio è la loro vita. Perché nessuno ci conosce davvero quanto le donne e gli uomini che ogni giorno ci siedono accanto. E noi che ci crogioliamo nell’attesa che i nostri (ex-) colleghi si facciano vivi (ma molte volte prima muoiono, non solo metaforicamente).

Dell’autore, sappiamo poco, ma nel libro ci sono senz’altro i suoi anni chicagoani. Joshua Ferris nasce, infatti, nel 1974 a Danville, Illinois. A 20 anni con la famiglia si trasferisce in Florida e comincia a fare mille lavori saltuari. Ma poi ritorna a studiare a Chicago dove si laurea nel 1996. Comincia a lavorare in agenzie di pubblicità, ma dopo due anni comincia anche a scrivere, e dopo il successo dei primi racconti lascia Chicago per la California per seguire corsi alla locale Università. Questo è il suo primo romanzo.

 

Passiamo quindi, all’oriente, che sempre per me rimane un momento di attrazione ma di difficile penetrazione culturale. Ho finalmente infatti letto

Banana Yoshimoto L’abito di piume Feltrinelli euro 6,50 (scontato 4,88 euro)

Lessi Kitchen 15 anni fa e non mi piacque e per tutti questi anni ho accantonato Banana. Ora era tempo di darle una seconda chance, e… bene con lode. Hotaru torna nel suo paese natale, piccolo borgo tranquillo, per dimenticare le sue pene d'amore. Per ben otto anni ha abitato a Tokyo, dove ha vissuto una relazione con un uomo sposato che alla fine l'abbandona per tornare dalla moglie. Il ritorno nel suo paese è un ritorno all'infanzia, un ritrovare pace e serenità nell'affetto di amici e della nonna. La madre è morta e suo padre, noto psicologo, è in viaggio in California. Hotaru trascorre le sue giornate aiutando la nonna nel suo caffè, intimo e familiare. Rivede luoghi e persone del passato e, soprattutto, si riavvicina alla sua amica Rumi. Un giorno, dopo una lunga passeggiata tra i ricordi, incontra Mitsuru e il ragazzo le lascia un’insolita sensazione di dèjà vu. Aiutata dalla nonna, e dalla malata madre di Mitsuru, scoprirà cosa si cela dietro quella strana sensazione. Hotaru segue un percorso per ritrovare la perduta serenità e, guarita dal dolore, potrà finalmente riappropriarsi della sua gioventù. Questo dolente libro mi è piaciuto e, come richiesto dall’autrice, mi ha scaldato l’animo, in attesa di quel gesto non richiesto che qualcuno farà e che renderà sempre tutto questo vivibile.

“sapevo bene che quando si sentono più o meno le stesse cose, si comunica meglio col silenzio”

“le storie troppo belle finiscono sempre con un colpo di scena tragico”

“pensai che la gentilezza disinteressata delle persone fosse come un abito di piume (il leggero kimono che le donne-angelo indossano per volare tra la terra e l’aldilà)”

Banana Yoshimoto, pseudonimo di Mahoko Yoshimoto, figlia di Takaaki Yoshimoto (noto anche come Ryūmei Yoshimoto), uno dei più importanti e famosi filosofi e critici giapponesi degli anni '60, è nata a Tokyo il 24 luglio 1964. La sorella di Banana, Haruno Yoiko, è una conosciuta disegnatrice di fumetti giapponesi. Si laurea al college delle arti della Nihon University con una specializzazione in letteratura. Durante quel periodo prese ad usare il suo pseudonimo, Banana trovandolo "carino". Nel 1987, lavorando come cameriera in un golf-club, Banana comincia la sua carriera di scrittrice. Uno degli autori che la influenza maggiormente è Stephen King, specialmente per quanto riguarda le sue storie horror. Il suo primo libro, Kitchen, ebbe un successo immediato con oltre 60 ristampe nel solo Giappone. Un altro dei suoi libri, Tsugumi, venne tramutato a sua volta in un film diretto da Ichikawa Jun nel 1990. Il libro tuttavia riscosse pareri contrastanti. Diversi critici pensano che gran parte del suo lavoro sia superficiale e commerciale; i suoi fan al contrario pensano che nei suoi libri descriva perfettamente cosa vuol dire essere giovani e frustrati nel Giappone moderno. La Yoshimoto stessa identifica i suoi due temi principali nello "sfinimento della gioventù nel Giappone contemporaneo" e "il modo in cui le esperienze terribili influiscano nella vita di una persona". I suoi libri possono essere divertenti e di svago, ma hanno sempre riferimenti all'ideologia tradizionale giapponese. La sua scrittura è penetrante, ammaliante ed intensa con alcuni sprazzi di humor. Sebbene i critici non la considerino ancora una "grande" della letteratura, la Yoshimoto ha dichiarato di voler vincere il Premio Nobel per la Letteratura. I suoi lavori hanno venduto più di sei milioni di copie in tutto il mondo. Fra i suoi temi preferiti ci sono l'amore e l'amicizia, la potenza della casa e della famiglia e gli effetti della perdita sull'animo umano.

 

E finiamo con una maestra di scrittura

Maeve Brennan “Il principio dell’amore” BUR euro 9,80 (in realtà, scontato a 6,86 euro)

Sono rimasto affascinato sia dalla scrittrice che dalla scrittura. La Brennan mi era completamente oscura, irlandese trapiantata a New York con una serie di vicissitudini come dalla sottostante bio, da sempre e per sempre legata al giornalismo con “New Yorker”, e proprio per questo, credo, con un taglio della frase che immediatamente tocca. E quindi veniamo alla scrittura, in questo libro di racconti potenti (per me che non amo i racconti), perché semplici, senza una reale storia, una foto di vita raccontata con tanti particolari da farla tornare viva. Si impone, tra l’altro, un modo di raccontare che si fonda su di un nucleo familiare, ed i suoi racconti ne narrano brani, momenti, proprio come foto prese da un album. Ma invece di costruirci un romanzo, si ferma su quella foto, quella del giardino con i fiori, con i bimbi che giocano, e ci parla di lui, di lei, delle loro storie di piccola, infinitesima solitudine. Ne viene fuori un dolore infinito, di quello che poteva essere se avessimo parlato, se avessimo fatto, se fossi riuscito a dire, se fossi riuscito a fare. Mariti e mogli prigionieri in matrimoni dove l’amore è assottigliato e sciupato, abitati da ricordi gioiosi e da strane solitudini, vittime di ossessioni sottili, in fuga – solo immaginaria – dalle regole di una riservatezza che scivola in sofferenza. Così sono i personaggi che tornano nei sei racconti, prima Rose e Hubert e poi i coniugi Bagot: rassegnati ad un futuro che non può dimenticare il passato, stanno sul palcoscenico del mondo come sapendo perfettamente che sono sul punto di partire, che il loro decorso è mortale, che la loro vita è un fallimento. Ma nulla di eclatante o di tragico. Come se la coppia fosse una figura geometrica impossibile da praticare, non equilibrata. Un non luogo a procedere. Storie di sconfitte, consumate fino in fondo, fino alla morte, che magari ci restituisce tutte quelle cose che vivendo pensavamo fossero brutte e tristi, ma che li, assumono luci diverse. Non dico migliori, solo diverse. E pur vivendo a New York, le sue meglio riuscite, sono sempre ambientate nella natia terra irlandese.

 

Strana fu anche la sua vita. Maeve Brennan è nata nel 1917 a Dublino. Suo padre, ambasciatore irlandese negli Stati Uniti, la portò con sè in America a 17 anni. Entrò nella redazione del New Yorker nel 1949, dove era curatrice della rubrica "The talk of the Town." E la sua scrittura fu letta ed apprezzata per decenni. Si sposò con lo scrittore St. Clair McKelway. Il matrimonio ebbe vita breve per i problemi di alcolismo del marito. Agli inizi degli anni Settanta diventa anche lei alcolizzata e paranoica. Molte volte ricoverata in ospedale, poi aggirantesi come barbona per New York. Il New Yorker le offrì ospitalità, e lei trascorse gli ultimi anni della sua vita vivendo nel bagno delle donne della redazione del giornale. Muore in completa solitudine nel 1993.

sabato 22 marzo 2008

Di arabi e non

In questa pasqua cristiana, torno invece tra arabi e Medio oriente, per mettere in fila tre autori con vicinanze di coppia. Hamid e Nassib sono arabi, ma narrano in modo diverso il vivere la vita oggi (o al più ieri) in paesi di religione islamica. Nassib e Oz sono nati a poca distanza geografica, ma ci riportano modi di vivere della medio-orientalità diversi e contrastanti. Oz e Hamid, lontani in spazio e tempo, ci parlano (ed ognuno lo interpreterà a suo modo) di fondamentalismi (e non di integralismi che significa altro e se vogliamo apriamo un dibattito). Seguiamo allora il mio ordine di lettura, cominciando da

 

Mohsin Hamid “Il fondamentalista riluttante” Einaudi euro 14 (in realtà prestito di Rosa)

                

Uffa, quando un autore arabo ma che vive in occidente prova a mettere su carta le sue riflessioni o idee sulle basi di alcuni punti dolenti del rapporto con l'islam (come in questo caso, con il fondamentalismo) succede spesso e volentieri che il tutto si annacqua, come nel pur gradevole “Aquiloni”. Qui molto meno gradevole. Un po' perché il fluire di un monologo di 135 pagine lascia del fiato in apnea, un po' perché la storia d'amore, come si dice, un' c'azzecca pe' nulla. Un po' perché il non detto (ed il non finito) sono veramente una palla. Changez è un giovane pakistano, ammesso a Princeton grazie ai suoi eccezionali risultati scolastici. Dopo la laurea 'summa cum laude' viene assunto da una prestigiosa società di consulenza newyorkese. Diventa cosí un brillante analista finanziario, sempre in viaggio ai quattro angoli del mondo per valutare i potenziali di sviluppo delle imprese in crisi. Impegnato a volare in business class tra Manila e il New Jersey, Lahore e Valparaiso, e a frequentare l'alta società di Manhattan al braccio della bella e misteriosa Erica, Changez non si rende conto di far parte delle truppe d'assalto di una vera e propria guerra economica globale, combattuta al servizio di un paese che non è il suo. Finché arriva l'Undici settembre a scuotere le sue certezze. Il businessman in carriera, rasato a puntino e impeccabilmente fasciato nell'uniforme scura del manager, comincia a perdere colpi. La produttività cala e la barba cresce, quella barba che agli occhi dei suoi concittadini fa di ogni "arabo" un potenziale terrorista. E mentre gli Stati Uniti invadono l'Afghanistan, il Pakistan e l'India sembrano sull'orlo di una guerra atomica, e New York si lascia andare ad un'agghiacciante volontà di potenza tinta di nostalgia, anche la personalità dell'amata Erica rivela lati sempre piú patologici. Giunge cosí per Changez il momento di compiere un passo irreversibile. L'ho divorato in una notte turca, ho pianto sul passo d'amore che riporto, ma non mi è piaciuto.

 

“stava lottando contro una corrente che la trascinava dentro di sé, e dal suo sorriso traspariva la paura di essere risucchiata nei propri abissi, dove sarebbe rimasta intrappolata. In quei momenti avrei voluto servirle da ancora, avendo l'accortezza di non farglielo capire. Scoprii che il modo migliore era di arrivare quasi a toccarla, ... e poi aspettare che lei si accorgesse della mia presenza fisica, scuotesse la testa e mi sorridesse”.

 

Poche le notizie, di un autore ai primi passi (almeno in Italia). Mohsin Hamid è nato e cresciuto a Lahore, in Pakistan, per poi frequentare la Princeton University e la Harvard Law School. Dopo di che lavora per alcuni anni presso la McKinsey & Co. Poi, comincia anche a scrivere. Ora vive a Londra.

 

Passiamo poi al libanese:

Sélim Nassib “Una sera qualsiasi a Beirut” E/O euro 11 (in realtà, scontato 8,80)

 

Questo lo trovo un arabo più autentico, anche se Nassib vive in Francia. Riesce a presentare il mondo arabo senza folklore, ma con umori e sapori. Certo i racconti non sono il mio forte ed a volte non riesco ad entrare in fretta nel meccanismo. Qui, l’uso della prima persona è agevole e, soprattutto, rende facile un paragone vincente con Hamid. Si perde un po’ quando, negli ultimi, cerca di entrare in “politica”, perché questa politica, in poche righe, è veramente poco comprensibile. Si apre, infatti, uno squarcio sulla realtà quotidiana in Cisgiordania, a Gerusalemme, a Beirut, e l’autore da voce ad una carrellata di persone comuni alle prese con un momento di rottura nella loro esistenza. La bambina a cui viene imposto per la prima volta il velo, il vecchio alla vigilia della guerra del Golfo, l'emigrante di ritorno dopo anni di vita in occidente, la vecchia che scopre che nella casa espropriatale nel 1948 sono andati a vivere altri palestinesi come lei... La scrittura riproduce i dubbi, lo sgomento, i timori di quanti vivono situazioni personalissime, e che tuttavia il lettore percepisce come emblematiche. Dolente da inizio anno.

 

L’autore, questa volta, l’avevo già letto anni fa nella sua prima prova. Sélim Nassib (Beirut, 1946) vive a Parigi dal 1969. Ha lavorato come corrispondente dal Medio Oriente per il quotidiano francese "Libération". Tre suoi libri sono tradotti in italiano: “Ti ho amata per la tua voce”, romanzo ispirato alla storia della cantante araba Umm Kalthum. “L’amante palestinese” è un romanzo che racconta di un amore impossibile ambientato nel 1948 durante la guerra arabo israeliana, e la raccolta di racconti brevi “Una sera qualsiasi a Beirut”. La narrativa di Nassib nasce dal “bisogno di raccontare un’esperienza del mondo arabo” quale "dimensione di vita puramente sensuale”, che non può essere compresa analiticamente. Per l’autore si tratta di dire ciò che "vive" e "sente senza tentare di liberare da contraddizioni e desideri l’io narrante. I suoi racconti hanno tutti un'ambientazione storico-politica recente, ma tendono a ricreare atmosfere "fuori dal tempo". Il connubio tra collocazione storica e universalità a-temporale tipica dell’esotismo e della favola mediorientale caratterizza la sua letteratura rispetto alla sensibilità occidentale.

 

E terminiamo con l’israeliano:

Amos Oz “La scatola nera” Feltrinelli euro 7,50 (in realtà, scontato 5,60)

 

Ancora alle prese con un israeliano, impegnato, presente, intessuto dell’Israele profondo, in un romanzo di 20 anni fa, ambientato a sua volta dieci anni prima. “Disposta a tutto purché tu salvi tuo figlio”. Così scrive Ilana dopo sette anni di divorzio e di silenzio, in cui Alec si è trasferito negli Stati Uniti ed è diventato famoso per i suoi studi sul fanatismo religioso e lei, rimasta in Israele, si è risposata con un ebreo ortodosso. E’ la prima lettera di un fitto carteggio: Alec risponde ad Ilana; Michel, il nuovo marito di Ilana, scrive ad Alec; Boaz, il figlio, scrive a Michel; l’avvocato Zakheim scrive ad Alec; e poi ci sono gli scambi di telegrammi, botta e risposta che comunicano un’idea di urgenza e di furia, fra Alec che impartisce ordini e il recalcitrante avvocato Zakheim, nonché le lettere di Rachel, la sorella di Ilana. Nove mesi di lettere, nove mesi che cambiano ogni personaggio. Rivelandocene man mano i tratti: Michel meschino e arrivista, Zakheim opportunista e calcolatore, Rachel, la saggia e comprensiva, che un tempo è stata amica di entrambi e Boaz una specie di Gulliver grezzo come un diamante cui l'odio e la solitudine hanno infuso una mirabile forza fisica. È come aprire la scatola nera dopo un incidente aereo e ricostruire quello che è successo. Perché le lettere sono un espediente per lasciar raccontare i protagonisti e, lentamente, senza che ce ne accorgiamo, scivoliamo nel racconto della storia passata. Tutti sono indaffarati dietro una speranza di felicità, malinconica come una canzone che parla di una terra che c'è, ma che non hanno trovato. L'unico estraneo alla facile eccitazione è Boaz: a contatto con la terra, la lavora e la ama senza calcolo, e ripara, costruisce, restaura, aggiusta confidando solo nelle stelle che danno conforto perché non giudicano. Così scrive a sua madre: “Lascia perdere sentimenti lacrime e il resto e comincia a fare qualcosa”. Ottima la traduzione. La Loewenthal riesce a riprodurre stati d’animo e ortografie che credo in originale facciano ancora più risaltare le diverse personalità. Ma come tutto l’Oz che ho letto, alla fine rimane nel cervello. Ma non nel cuore.

 

Già molto invece ho letto di Oz, e ne riporto alcune note (da ottimo toro). Amos Oz (nato Amos Klausner) (Gerusalemme, 4 maggio 1939) nasce da Yehudah Aryeh Klausner, di origine lituana, e da Fania Mussman di origine ucraina. Scrittore di romanzi e saggi, è insegnante di letteratura all'Università Ben Gurion del Negev in Israele. Nel suo romanzo autobiografico, “Una storia di amore e di tenebra”, Oz ha raccontato, attraverso la storia della sua famiglia, le vicende storiche del nascente Stato di Israele dalla fine del protettorato britannico: la guerra di indipendenza, gli attacchi terroristici dei feddayn, la vita nei kibbutz. Nella vita dello scrittore è stato determinante il suicidio della madre, avvenuto quando il piccolo Amos aveva appena dodici anni. L'elaborazione del dolore si sviluppa ben presto in un contrasto con il padre, un intellettuale vicino alla destra ebraica, che termina con la decisione del ragazzo di entrare nel kibbutz Hulda e di cambiare il cognome originario Klausner in Oz che in ebraico significa Forza. Oz studia filosofia e letteratura ebraica all’Università. A parte articoletti nel giornale del kibbutz, non pubblicò nulla sino al 1965. Il suo primo romanzo fu pubblicato nel 1966. E non ha più smesso di scrivere, pubblicando in media un libro l’anno. Amos Oz si è ritirato con la moglie Nily ad Arad, nel nord del deserto del Negev, per combattere l’asma del figlio Daniel. Sua figlia Fania insegna storia all’Università di Haifa. Oz ha ottenuto il prestigioso Premio Israele in letteratura nel 1998.

domenica 16 marzo 2008

In fondo si parla sempre di sbarre

In questa settimana segnata dalle sbarre, si ritorna a parlare di più o meno gialli. Per vedere le sbarre da tutte e due le parti. Da dentro la casa dove aiuto Sara a blindare le finestre. Da dentro e fuori di Rebibbia, dove tengo la mia lezione di musica. Dai tre romanzi di oggi dove qualcuno ci va dietro le sbarre, ma ce ne andrebbero di più.

Cominciamo allora con

Simona Vinci “Rovina” VerdeNero euro 10 (pagato scontato 6,66)

Ulteriore libro della collana ambientale che, ridico e ripeto, ottima nell’impostazione a volte pecca nel dover comunque dimostrare una tesi. Qui in fondo ci si muove meglio di altre situazioni. Si leggono le storie che girano intorno al condominio, e si matura l’idea della speculazione edilizia, senza mai citarla per nome, ma facendola vedere nei fatti. Via Emilia, Tra Reggio e Parma. Subito prima dell’inaugurazione del ponte di Calatrava. Il Villaggio “La Nuova Aurora” non c’era e non ci sarà. Sei palazzine a tre piani con mansarda, giardini e garage privati, parco condominiale con piscina, sei per tre per sei, 108 appartamenti, rifiniture extralusso… possono essere un investimento scommessa per chi aveva il pezzettino di terra, per chi specula sul terreno o sui mutui, per chi costruisce con materiali speciali, per chi ha bisogno di una casa. L’insegnante di educazione tecnica Fabio di 37 anni, l’impiegata comunale Marilena, di 35 e il loro cane Poldo pensavano fosse una buona occasione, ora parlano con l’avvocato, dopo il sequestro giudiziario. L’infermiera Sara, di 33 aveva il 50% del terreno vincolato, ora va dallo psicanalista, dopo il suicidio del padre comproprietario. Il geometra cinquantenne Mario l’aveva circuita per favorire o’Boss, ora cerca di spiegare al magistrato come c’è cascato anche lui. L’operaio Carmine, di 43 racconta il cantiere illegale e la vera capa Candida, morta sparata da killer come testimonia la maestra Annamaria. Tutti ci rimettono, nessuno pagherà. Tortelli e un po’ di Dylan, più il compianto Antonio Cederna. Essendo il primo libro che leggo della Vinci non mi pronuncio sulla differenza di scrittura. Ti fa incazzare e cercare di capire come poter cambiare quest’ennesima Italia che non funziona. E tornano i dubbi sul bene e la bontà.

Mi piace che inoltre, dalla nascita milanese, ora viva vicino a Bologna. Infatti Simona Vinci nasce a Milano il 6 marzo 1970, ma vive a Budrio, in provincia di Bologna. Ha studiato Lettere Moderne all’Università di Bologna e con altri giovani scrittori fa parte della redazione di Incubatoio 16, rivista letteraria in Internet. Il suo esordio letterario risale al 1997 con “Dei bambini non si sa niente” (Einaudi Stile Libero). Il romanzo ha suscitato diverse polemiche, ottenendo un grande successo di pubblico e di critica ed è stato tradotto in dodici paesi, tra i quali gli Stati Uniti. Del 1999 è la raccolta di racconti “In tutti i sensi come l'amore”, sempre per Einaudi. In mezzo due libri per ragazzi: “Corri Matilda” (Edizioni Elle, 1998) e “Matilda city” (Adnkronos Libri, 1998). Concorse al Premio Alassio Centolibri con il libro “Come prima delle madri” (Einaudi, 2003), finalista anche allo Strega e al Campiello.

Per il pezzo forte, invece torniamo al magistrato che a volto ho già letto in altre prove, ma che qui si conferma di grande spessore, con due libri di diverso taglio, ma interessanti.

Giancarlo De Cataldo Romanzo criminale Noir – la biblioteca di Repubblica euro 7,90

Grande affresco, anche nel senso delle quasi 700 pagine. Non ho visto il film di cui bene si è parlato. Ma il libro scorre. Prova d’autore l’affrontare un tema giornalistico, dandone un risalto corale ma “con persone”. E con un pezzo di storia italiana e romana quanto, ancora, non chiarita. Un'Italia segreta, inquietante in un romanzo che ha il ritmo delle saghe noir americane. Un libro dove i protagonisti sono una banda di giovani delinquenti che decide di conquistare Roma, e diventa un esercito quasi invincibile. Politica, servizi segreti, giudici onesti, poliziotti e il più grande bordello della Capitale in un romanzo basato su una minuziosa documentazione. Un'organizzazione nascente, spietata e sanguinaria, dalle periferie cerca la conquista del cielo. Tre giovani eroi maledetti, che hanno un sogno ingenuo e terribile. Un poliziotto molto deciso, un coro di malavitosi, giocatori d'azzardo, criminologi, giornalisti, giudici, cantanti, mafiosi, insieme a pezzi deviati del potere e terroristi neri. Un romanzo epico di straordinaria potenza. La prima parte scorre con un gran piglio. Nella seconda, dove si arriva ai “nodi” a volte si impantana. Ma restano nello scorrere delle pagine il Freddo, il Libanese, il Dandi, il Nero. Unica pecca forse i troppi nomi, quasi che servisse un indice per ricordarli tutti.

Pochi i nomi invece nel romanzo scritto per l’ambiente

Giancarlo De Cataldo Fuoco! VerdeNero euro 10

Certo che dopo aver letto “Romanzo criminale” ci vuole del tempo per il cambio di registro. Ma la scrittura è quella, soprattutto nel tratteggio dei camorristi. Non dispiace la ritrovata coralità, la presenza di buoni che sono soltanto buoni, coma la buona Cecilia o il discreto Daniele. Tratteggiato e ben riuscito anche il Luca ex-machina. Nessuno ha la grazia, la bellezza, la sensibilità di Cecilia: sembra venuta da un altro mondo. Lu invece è apatico e incasinato, non ha più voglia di niente e di nessuno. Adolescenti in fasi diverse dell'esistenza, uno di Roma, l'altra di Napoli. Improvvisamente entrambi vengono costretti dai rispettivi padri ad una gita forzata. I due uomini devono partire, spinti da opposte ragioni. In comune hanno un'unica cosa: la necessità di proteggere i figli. È una calda estate, quella del viaggio in Puglia. Un'estate di fuoco. Si sente anche qui la necessità di scrivere per un fine, di dover arrivare ad un certo punto, ma meglio che in altri romanzi della serie. Che comunque mi fa piacere sostenere con questi miei piccoli contributi.

E sosteniamo anche lo scrittore-magistrato:

Giancarlo De Cataldo (Taranto, 1956) è Giudice di Corte d’Assise a Roma, città nella quale vive dal 1973. Scrittore, traduttore, autore di testi teatrali e sceneggiature televisive, ha pubblicato come autore diversi libri, per lo più di genere giallo. Collabora con «La Gazzetta del Mezzogiorno», «Il Messaggero», «Il Nuovo», «Paese Sera» e «Hot!». Il suo libro più significativo è “Romanzo criminale” (2002), dal quale è stato tratto un film, diretto da Michele Placido. Nel giugno del 2007 è uscito nelle librerie “Nelle mani giuste”, ideale seguito di Romanzo criminale, ambientato negli anni '90, dal periodo delle stragi del 93, a Mani Pulite e alla fine della cosidetta Prima Repubblica.

Buona settimana di Pasqua a tutti

Giovanni

domenica 9 marzo 2008

Relax e dubbi

Dopo un’infornata di italici talenti, usciamo dai nostri confini per trovare qualche autore straniero. Un polpettone da rilassamento, un giallo di passaggio ed un impegno che alquanti dubbi mi lasciò. In fondo c’è bisogno di un po’ di tutto in queste scorribande tra lettura e… (non è che non saprei riempire i puntini, ma credo che ognuno li possa riempire con i propri pensieri).

Cominciamo allora con

Clive & Dirk Cussler “Vento Nero” Tea euro 8,60 (scontato 6 euro)

Solito polpettone (di quasi 600 pagine) per un totale rilasso. Continuano le avventure degli eroi ecologici del mare, con i figli di Dirk Pitt, che cominciano a prendere il posto del padre. L’avventura inizia nel 1944 con l'affondamento del sommergibile I-403 della flotta imperiale Giapponese, che trasportava delle bombe batteriologiche che uccidono qualsiasi forma di vita senza causare disastri ad abitazioni. Passano gli anni e nel 2007, Sandecker presidente della NUMA (National Underwater and Marine Agency), decide di dare le dimissioni e andare in pensione. Così Dirk Pitt accetta di sostituirlo. Nelle isole Aleutine nelle Filippine tre scienziati stanno studiando le abitudini dei leoni marini, e cominciano a trovare dei cadaveri di animali. Dirk Pitt Junior (figlio di Dirk Pitt), su una nave nei paraggi per delle immersioni, riceve delle segnalazioni di soccorso dalla stazione meteo, e sul posto trova anche lui dei cadaveri. Nel ritorno nota il campo base degli scienziati, decide di intervenire e trova gli scienziati Sarah, Irv e Sandy, quasi svenuti che accusano di essere stati avvolti da uno strano vento. Da qui comincia ad indagare su questo strano fenomeno, viene coinvolto in un intrigo mondiale e ... Niente di travolgente, trama da filmone estivo tipo arena con bevanda ghiacciata. Accuratezza nelle citazioni e nell’ambientazione. Il tutto per una confezione dignitosamente leggibile. 

Interessante è anche la bio dell’autore che da un certo punto in poi decide che il mare è il suo mondo. Clive Eric Cussler nasce il 15 luglio 1931 ad Aurora in Illinois, ma cresce in California. A 14 anni diviene un Aquila tra gli scout. Poi si iscrive per due anni al Pasadena City College, per poi arruolarsi nell’Air Force americana durante la Guerra di Corea. Viene ben presto promosso Sergente, lavorando prima come meccanico poi come ingegnere di volo nel Military Air Transport Service (MATS). Nel 1955 si sposa con Barbara Knight rimanendole accanto sino alla sua morte nel 2003. Hanno avuto tre figli Teri, Dirk and Dana. Alla fine della carriera militare lavora in un’industria pubblicitaria, prima come copywriter e poi come direttore creativo. Quindi comincia dal 1970 a creare i suoi romanzi d’avventura. Il suo più famoso personaggio è l'ingegnere navale Dirk Pitt e l'inseparabile compagno d'avventura Albert Giordino. Lo stesso Dirk Pitt è stato pensato come alter ego dell'autore, soprattutto nella sua passione per il mare, la storia e le automobili antiche di cui è un collezionista. Nel 1978 fondò la National Underwater & Marine Agency, associazione non-profit specializzata nella localizzazione, identificazione e recupero di relitti marini di rilevanza storica. Da alcuni anni si fa aiutare da altri nella stesura di romanzi. In questo caso c’è suo figlio Dirk (nato nel 1961), che dopo aver lavorato in ambito finanziario per anni, dopo il 2000 si è messo ad aiutare il padre, anche nella fondazione.

Passiamo ad un giallo da intermezzo, leggero anche se non banale.

Roberto Ampuero “Chi ha ucciso Cristian Kustermann?” Garzanti euro 8,5

Ad anni di distanza dalla lettura del secondo libro di Ampuero sulle gesta del detective Cayetano Brulé, sono arrivato al primo, ora in economica. Descrizione scorrevole di un sud-america reale (scorrono sotto gli occhi sia le strade di Valparaiso che de L'Avana). La storia si dipana borderline tra impegno e disimpegno, con qualche punta critica di chi ormai vive negli Stati Uniti. E questo si sente. Ampuero cerca di usare il genere giallo per raccontare un periodo della storia cilena, e di quella generazione che è passata attraverso la dittatura di Pinochet, si è rifugiata in Europa o a Cuba per prepararsi militarmente alla resistenza. Il detective Cayetano Brulé è assoldato da Carlos Kusterman per scoprire l’assassino del figlio Cristian ucciso nel suo locale di Renana, località balneare non lontana da Valparaíso, Brulé non si accontenta della semplicistica versione data dalla polizia che liquida il caso come un regolamento di conti legato all’ambiente della droga e inizia ad indagare sul passato di Cristian. Vengono così ripercorsi gli spostamenti del ragazzo negli anni delle dittature in America Latina e della guerriglia, il detective va ad indagare in Germania dove, a Bonn, il giovane era riuscito a perdere una borsa di studio, ottenuta grazie all’influenza del padre, perché entrato in contatto con gruppi dell’estremismo di sinistra. Carlos aveva passato anche un lungo periodo a Cuba, dove Cayetano si reca per trovare i bandoli dell’intrigo fino a tornare a Santiago del Cile dove riesce a venirne a capo, in modo molto rocambolesco. Sarebbe interessante farne un parallelo con il giallo post-colonnelli di Markaris “Si è suicidato il Che”.  Un giallone da periodo natalizio, e non molto di più.

Per ultimo quello che più mi ha deluso, perché, in effetti, non ne riesco a trovare il bandolo.

J.M. Coetzee “Aspettando i barbari” Einaudi euro 9

Lessi anni fa Vergogna, e non mi piacque molto. Mi aspettavo tanto da questo che viene considerato una dei pilastri del Nobel. Ma non mi sono ritrovato. Un magistrato bianco, che per decenni si è occupato degli eventi del piccolo insediamento di frontiera in cui vive, ignorando la guerra tra i barbari e l'Impero che pure incombe sulla cittadina, si trova all'improvviso a confrontarsi con la realtà: dapprima comincia a simpatizzare con i prigionieri angariati durante gli interrogatori, poi si innamora di una di loro, una barbara. Tanto l'amore quanto la dura condizione carceraria lo spingono a compiere, finalmente, un atto di ribellione. Quanto risente del classico Deserto dei Tartari, forse aggiornato, forse trasportato dove aspre sono le lotte tra bianchi e neri (e tra bianchi e bianchi). Ma la discesa all’inferno del magistrato di frontiera mi si è trascinata davanti per sere, senza che ne nascesse un sentimento di empatia. Da erudizione.

Eppure lo scrittore sudafricano prese il Nobel nel 2003. John Maxwell Coetzee nasce a Città del Capo il 9 febbraio 1940, estremamente eterogeneo, celebre per i suoi testi di fiction, critica e per le numerose attivitá accademiche che lo hanno visto impegnato come professore, linguista e traduttore. Uno dei maggiori esponenti del Postmodernismo e Postcolonialismo del XX secolo. Passa l'infanzia e l'adolescenza tra Città del Capo e Worcester. Si laurea in matematica e inglese all'Università di Città del Capo. Nei primi anni '60 si trasferisce a Londra, dove lavora per un certo periodo come programmatore informatico alla IBM. In seguito consegue un dottorato in letteratura presso l'Università del Texas dopo aver presentato una tesi su linguaggio inglese nella fiction di Samuel Beckett e tiene corsi di lingua e letteratura inglese presso l'Università di Buffalo. Inizia per lui la carriera accademica durante la quale Coetzee non fa certo mistero della profonda contrarietá riguardo l'intervento militare americano in Vietnam, motivo per il quale gli viene negata piú volte la cittadinanza americana nonostante le numerose richieste. Nel 1984 torna in Sudafrica, dove diventa titolare della cattedra di letteratura inglese presso l'Università di Città del Capo, cattedra che ha mantenuto fino al 2002. Attualmente lavora presso il Dipartimento di inglese dell'Università di Adelaide, dove il 9 Marzo 2006 ha definitivamente preso la cittadinanza australiana.

E comunque buona settimana a tutti.

Giovanni

sabato 1 marzo 2008

ItalNoir bis e bonus…

E poiché l’appetito vien mangiando, non esistono le mezze stagioni, una mano lava l’altra, e via seguitando, torniamo sul giallo italico, ma non Italicus.

Non solo però vi beccate un doppio Scerbanenco ed un (ri-)scoperta post-cinematografica, ma anche un triste bonus ed i libri di gennaio. Spero non sia troppa ingordigia, pensando che mentre vi beate sulle mie righe, starò faticando per cercare di raddrizzare qualcosa nelle brume del Nord. Speriamo almeno di addolcire questo periodo con qualche buona cioccolata.

Si vada ad iniziare

Giorgio Scerbanenco “Venere privata” Garzanti s.p.

Grazie al regalo arabino di Paola, ho finalmente letto il primo romanzo della serie del Duca, quello che presenta i personaggi, le storie, che negli altri saranno date. Già ero in linea con la scrittura asciutta di Scerbanenco (mi piace, non fronzola). E qui ne viene esaltata al meglio. Un capostipite ed un riferimento per il giallo italiano, che non sarà mai solo d’intreccio, ma sempre ed anche d’ambiente. Pipa e cognac.

“i difetti si ereditano, i pregi invece sono recessivi”.

“avrei dovuto imparare qualcosa da quello che mi era successo. Ma solo più tardi imparai che non s’impara quasi mai niente. Noi rimaniamo sempre gli stessi”

Con la stessa umanità profonda e silenziosa Lamberti affronta anche i suoi casi, che non hanno mai la freddezza lucida e meccanica di un enigma da risolvere e poi dimenticare, ma conservano intatto tutto il peso e il dolore delle storie che portano con sé. Come in questo romanzo, dove la vita di un giovane di buona famiglia, ricco ma solo e debole, con un padre troppo lontano, troppo impegnato e soprattutto troppo sicuro delle proprie certezze, si intreccia per caso con il dramma di una ragazza giunta a Milano dalla provincia con una valigia piena di progetta e speranze, che viene travolta da un gioco crudele e più grande di lei. Due mondi lontanissimi, li si direbbe completamente estranei l’uno all’altro: solo la sensibilità acutissima di Duca Lamberti riuscirà a individuare quelle sottilissime relazioni che li hanno portati a incontrarsi per un breve ma preziosissimo momento. E, dietro quel momento, sta la soluzione del caso. Mi piace il Duca: un investigatore strano, approdato per caso alla lotta contro il crimine, dopo essere stato radiato dall’albo dei medici per avere praticato l’eutanasia su una paziente in agonia. E quello fu il primo, grande errore di Lamberti, il primo gesto di sfida all’indifferenza, che gli sarebbe costato, oltre alla carriera, anche alcuni anni di carcere.

Si può allora passare ad un altro caso, passati sono gli anni, ma il Duca è sempre lì:

Giorgio Scerbanenco “I milanesi uccidono al sabato” Noir – la biblioteca di Repubblica euro 7,9

E il padre del giallo italiano non si smentisce. Racconto di atmosfere datate, ma grandi pennellate sulla Milano anni '60. Il congegno funziona, anche se, isolato dalla serie sul commissario Duca Lamberti, a volte perde citazioni. Donatella è scomparsa. È bellissima, sembra una svedese, con quei lunghi capelli biondi e quel profilo antico. Ma è debole di mente: per la strada guarda gli uomini, sorride a tutti e, qualunque cosa le dicano, risponde di sì. Perciò suo padre, il vecchio Amanzio Berzaghi, un ex camionista, la tiene nascosta in casa, tra bambole e dischi di canzonette. Ma una mattina l'ex camionista non la trova più... Il caso viene affidato a Duca Lamberti: alla disperata ricerca della ragazza, Lamberti si spinge nei bassifondi di Milano, tra feroci magnaccia e case d'appuntamento. Buono.

Ma chi era il russo milanese? Giorgio Scerbanenco (nato Vladimir Giorgio Šerbanenko; Kiev, Ucraina, 1911 - Milano, 27 ottobre 1969) Nato a Kiev nell'allora Russia imperiale da padre ucraino e madre italiana, in tenera età si trasferì in Italia, dapprima a Roma, poi a 16 anni a Milano, al seguito della madre. Costretto per motivi economici ad abbandonare gli studi, pratica molti mestieri prima di arrivare al mondo dell'editoria, collaborando a numerose riviste, tra cui noti settimanali femminili, come correttore di bozze, redattore, persino come titolare di una rubrica di "posta del cuore". Sempre ritenendosi di lingua madre italiana e soffrendo l'essere considerato "straniero". Scrittore di incredibile prolificità e versatilità, spazia in ogni campo della narrativa di genere: western, fantascienza, letteratura rosa, ma è con il giallo che raggiunge una discreta fama, fino ad essere da taluni indicato come uno degli scrittori più importanti di questo genere. Non vi è dubbio infatti che sia da considerare tuttora il maestro ideale dei giallisti italiani, almeno a partire dagli anni settanta. I suoi romanzi, oltre ad essere dei piccoli gioielli del noir, riletti oggi appaiono anche come uno spaccato umano e amaro dei nostri anni '60, che rivelano una Italia difficile, persino cattiva, ansiosa di emergere ma disincantata, certo lontana dalla immagine edulcorata e brillante che spesso viene data degli anni del boom economico. Il suo primo romanzo giallo fu Sei giorni di preavviso, del 1940, in cui ideò la figura di Arthur Jenning; il successo arrivò però con la serie dedicata a Duca Lamberti, un giovane medico radiato dall'Ordine e condannato al carcere per aver praticato l'eutanasia su una donna in agonia. Lamberti in seguito diventa una sorta di investigatore privato che collabora con la questura di via Fatebenefratelli a Milano, in particolare con il commissario di origini sarde Carrùa. La serie di Duca Lamberti, iniziata con Venere privata nel 1966, porta all'autore successo, grazie alle molte versioni cinematografiche della stessa e ai riconoscimenti internazionali assegnati a Scerbanenco, tra cui il prestigiosissimo Grand Prix de Litérature Policière francese, nel 1968. L'anno successivo, nel momento culminante della sua carriera, muore improvvisamente a Milano. Alla sua memoria è dedicato il più importante premio per la narrativa gialla italiana, il Premio Scerbanenco.

Invece da molto tempo volevo leggere

Grazia Verasani “Quo vadis, baby?” Noir – la biblioteca di Repubblica euro 7,9

Non avevo visto il film, e volevo capirne qualcosa. Il libro ha una sua andatura gradevole, e tutto sommato non meraviglia che si voglia farne un serial TV. Detto questo direi qualche brutta parola all'editor che ha scelto il titolo. Se fosse un vero Noir, e se si conosce Bertolucci, si capisce metà dell'intrigo ben prima di metà libro. Fortunatamente l'autrice riesce ad infilzare un paio di sottofinali non propriamente banali. Un po' triste (d'altra parte letto su un Eurostar tra Roma e Firenze sotto la pioggia che volete di più!). Giorgia Cantini passa le sue notti nei locali dove si suona jazz e si beve sino al mattino. È single, quarantenne, tormentata dal dubbio di aver sprecato la propria vita. È un'investigatrice privata, costretta a frugare le ombre di una città come Bologna che sa nascondere bene i propri segreti, piccoli e grandi. Sarà una scatola da scarpe piena di lettere a cambiare la sua vita, lettere di Ada, la sorella "bella", partita per la Capitale in cerca di fortuna come attrice e finita suicida sedici anni prima. Giorgia, che ancora è tormentata dal rimorso per non averla potuta aiutare, decide di riaprire il caso alla ricerca dell'amante della sorella che lei non ha mai conosciuto e che forse era presente nei suoi ultimi istanti di vita.

E da Milano scendiamo la penisola per fermarci a Bologna dove l’8 di luglio del 1964 nasce Grazia Verasani. Si diploma attrice all’Accademia d’arte drammatica a vent’anni. Dopo esperienze teatrali con il Teatro Stabile dell’Aquila e il Teatro Stabile di Torino, a Roma conosce Tonino Guerra che la incita a scrivere. Nell’87 torna a Bologna e pubblica i suoi primi racconti grazie al poeta Roberto Roversi, e ne pubblica altri sul Manifesto, nella rubrica “Narratori delle riserve” a cura di Gianni Celati. Parteciperà anche, in qualità di attrice, al film Strada provinciale delle anime che Gianni Celati realizza per Rai 3. In quegli anni, lavora parallelamente come speaker per la Rai, come doppiatrice e come corista in vari dischi (Gang, Papa Ricky e altri); per Elio e le storie tese presta la sua esperienza di doppiatrice di film hard-core nel brano Essere donna oggi. Compie studi di pianoforte al conservatorio, canta e compone canzoni. Nel ’95 vince il Premio città di Recanati per la canzone d’autore e nel ’96 esce il cd Nata mai (BMG) con dodici canzoni di sua composizione. Seguiranno varie compilation e collaborazioni (con l’etichetta Irma Record e con vari dj). Si esibisce con la band in locali, club e varie rassegne musicali, oltre a partecipazioni televisive su Italia 1 e Rai 2. Nel ’97 fa da gruppo supporter ai Jethro Tull per le loro date in Italia. Lavora come paroliere per artisti emergenti. In alcune rassegne estive, si esibisce con un trio di piano, sassofono e contrabbasso. Nell’estate 2000 è di nuovo ospite del festival di Recanati e canta in duo con Nada. Di recente ha collaborato al cd Sei felice? del gruppo Aeroplanitaliani (Sugar ‘2005) e con i Clandestino, band di Ligabue. Nel novembre ’99, l'editore Fernandel pubblica il suo primo romanzo dal titolo “L’amore è un bar sempre aperto”. Nel 2001, sempre per Fernandel, esce il suo secondo romanzo dal titolo “Fuck me mon amour”, e nel 2002 la raccolta di racconti “Tracce del tuo passaggio”. Nel 2002 al Teatro Colosseo di Roma viene rappresentata la sua piece teatrale From Medea, prodotta dalla GIGA di Giorgio Albertazzi, per la regia di Pietro Bontempo. From Medea è stato pubblicato da Sironi Editore nel settembre 2004. Nel giugno 2004 esce per Coloradonoir/Mondadori il romanzo “Quo vadis, baby?”, da cui il regista Gabriele Salvatores ha tratto un film, uscito nelle sale nel 2005 e acquistato da vari paesi, oltre che vincitore di alcuni premi importanti. Firma la sceneggiatura del film Gli ultimi di Riccardo Marchesini (premio Zavattini 2004) e del film Il silenzio intorno di Dodo Fiori, realizzato da Istituto Luce. Pubblica racconti su varie riviste e antologie. Collabora con giornali e riviste, e ha una rubrica fissa sulla pagine culturale di Repubblica Bologna. Il 6 giugno 2006 è uscito per Coloradonoir/Mondadori il romanzo noir “Velocemente da nessuna parte”. Attualmente sta portando in scena il reading letterario musicale La meteorologia del cuore con le musiciste Maria Galantino e Camilla Missio. Col regista Bruno Bigoni sta lavorando alla sceneggiatura di From Medea che verrà rappresentata all’Arena del Sole di Bologna nella stagione 2007/8.

E come bonus vi porto

Massimo Lugli ”La legge di Lupo Solitario” Newton Compton euro 9,9

Beh, il degrado della città c'è tutto, e Lugli che ben conosce Roma, ce lo presenta senza mezzi termini. La storia in sé invece non ha tutta la forza che potrebbe avere. Per questo mi ha un po’ tristizzato. Dopo un buon inizio dove andiamo in giro con Lupo, si perde e si avvia verso un finale non complicato, ma in dissonanza con tutto il resto. Comunque Lugli ha un bel mestiere e, bene o male, ti avvolge di parole. Solitario, asociale, sempre a caccia di cibo, sesso e denaro, Lupo è infatti il protagonista di un viaggio nei bassifondi metropolitani: quel mondo oscuro che spesso sfioriamo senza neanche rendercene conto. Un personaggio controverso, capace di esplosioni di violenza ma anche di sprazzi di ironia, con uno sguardo da monello stagionato che ce lo rende simpatico fin dalle prime battute. L’odissea di Lupo comincia con un coltello a serramanico trovato in un prato vicino a una mensa di carità, ruota attorno a un pacco pieno di banconote che passa da una mano all’altra e si conclude in modo imprevedibile. Gira intorno tutta una fetta di umanità dolente: piccola malavita, laidi primari ospedalieri, professionisti dalla doppia o tripla vita. Una storia che parla di fame, freddo, inganni, perversioni di ogni genere ma che offre anche inaspettati spunti poetici. Da leggere al solito senza dar retta all'editore (e magari senza guardare la copertina).

E scendiamo allora fino a Roma, ad incontrare Massimo Lugli. 52 anni, nel 1975, entra come cronista di nera a «Paese sera». Dieci anni dopo passa a «la Repubblica», dove attualmente lavora come inviato speciale. Nel 1998 ha pubblicato il primo libro Roma maledetta. È cintura nera di karatè e, fin dall'infanzia, appassionato praticante di arti marziali cinesi.

 

Infine, essendo la prima domenica del mese, ecco l’elenco dei libri letti nel mese di Gennaio







































































































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Autore


Titolo


Editore


1


Mohsin Hamid


Il fondamentalista riluttante


Einaudi


2


Hanning Mankell


Piramide


SuperPocket


3


Soren Kierkegaard


Sulla mia attività di scrittore


Edizioni ETS


4


Sélim Nassib


Una sera qualsiasi a Beirut


E/O


5


Immanuel Kant


La fine di tutte le cose


Bollati Boringhieri


6


Giorgio Scerbanenco


Venere privata


Garzanti


7


Ryszard Kapuscinski


L’altro


Feltrinelli


8


Giancarlo De Cataldo


Romanzo criminale


Noir – la biblioteca di Repubblica


9


Sandrone Dazieri


Bestie


VerdeNero


10


Banana Yoshimoto


L’abito di piume


Feltrinelli


11


Giancarlo De Cataldo


Fuoco!


VerdeNero


12


Aleksander S. Puskin


Umili prose


Feltrinelli


13


Sandra Scopettone


Cattivo sangue


E/O


14


Doris Lessing


Le prigioni che abbiamo dentro


Minimum Fax


15


Michel Houellebecq


Les particules élémentaires


J’ai lu


 

Buon inizio del mese guerriero

Giovanni