lunedì 15 luglio 2013

Gialli di molti colori - 14 luglio 2013

Una settimana, un poco in ritardo grazie ai ritardi (bisticcio) di aerei e di sonno, dove, benché si sia tornati or ora dall’Islanda, non se ne parla neppure un po’. E sì che di gialli ce ne sono numerosi nel paese dei ghiacci. Invece oggi spaziamo in giro per il mondo, incontrando l’ispettore Chen a Shangai, i detective Sean & Michelle in America, le investigazioni svedesi di Erica e Patrick, per terminare con il triestino ispettore Laurenti, pur se scritto in tedesco.
Qiu Xiaolong “Ratti rossi” Marsilio euro 12
[A: 15/07/2012 – I: 07/04/2013 – T: 10/04/2013]
[tit. or.: A Case of two cities; ling. or.: inglese; pagine: 322; anno 2006]
A distanza di cinque mesi torniamo allo scrittore cinese emigrato negli Stati Uniti, ed al quarto caso dell’ispettore Chen Cao. Devo dire che, dopo i primi due libri, dove, pur con alterni risultati la storia nel complesso aveva una sua ragion d’essere, le ultime prove mi sembra stiano in calando. Questa soprattutto mi ha affaticato molto. Da un lato, Qiu sembra voler mirare molto alto, quasi a farne un giallo “alla svedese”, di quelli che servivano cinquanta anni fa per descrivere il degrado quotidiano di un paese. Qiu la fa da Saint Louis la sua critica all’arrivismo ed alla corruzione del suo paese natio. Descrive situazioni che possono essere viste in (quasi) tutti i paesi del mondo. Arrivo del benessere e della liquidità, con conseguente ricerca del posto e del modo migliore per accumulare denaro e potere. Non sempre, anzi quasi mai, in modo legale. Troviamo quindi Chen Cao incaricato delle indagini sul mondo finanziario di tal Xing Xing, partito contadino dalla natia Fujian, arricchitosi con le prime speculazioni edilizie derivate dall’imperativo di Deng (“Arricchitevi!”), approdato a Shangai dove imbastisce una ragnatela di malaffare, che però lo porta un filo oltre il lecito. Tanto che si rifugia negli Stati Uniti. Cominciando ad indagare, Chen si imbatte nella morte di un funzionario di polizia del Fujian, anche lui incaricato di indagini su Xing. Funzionario integerrimo, trovato morto (ucciso) nel letto di una prostituta. Si prosegue con la morte di una star televisiva, che aveva fatto da tramite tra Xing ed il mondo immobiliare di Shangai. Che Chen aveva quasi convinto a parlare, ma che muore prima. Sembra che ci siano interessi molto alti in gioco. I potenti della cricca di Xing rimasti in patria, tra cui il fratellastro, cominciano anche a minacciare Chen stesso e la di lui madre. E trovano il modo di spedirlo con una delegazione di scrittori in un giro culturale negli Stati Uniti, in modo (forse) di eclissarsi prima del suo ritorno. Qui comincia una storia con un passo diverso. In patria, Yu, il collaboratore di Chen, aiutato dalla moglie e dal padre, si adopera per tenere informato l’americano. In America Chen cerca e trova il modo di uscire dalle secche in cui si va trovando. Qiu inoltre ha modo di sottolineare (con risultati migliori rispetto alla prima parte) le differenze tra i due paesi. Il contatto tra i cinesi emigrati e quelli rimasti in patria. La solidarietà delle diverse Chinatown. Ed ha modo di ricollegare Chen alla mai sopita storia d’amore con Charlotte, che si era sviluppata due romanzi fa, senza poi raggiungere punti decisivi. Due mondi sono, e diversi. Difficile l’incontro. In America c’è modo di assistere ad un nuovo omicidio (di un personaggio insignificante, ma forse scambiato per Chen). E Chen ha modo di far arrivare un messaggio forte a Xing: se ti consegni, avrai salva la vita del tuo fratellastro. Il senso della famiglia è forte in tutti i cinesi. E Xing, sotto la spinta della madre, non potrà che capitolare. Lascio dettagli e chiuse finali a chi vorrà leggere il libro. Senza che io ve lo spinga molto. Infatti, è al solito infarcito di citazioni poetiche (Chen è poeta come il Dalglish della P. D. James), che mi risultano incomprensibili. Poiché, inoltre, anche Qiu è un esperto di poesia, spesso si citano autori per mandare messaggi. Ma noi poveri “mortali” abbiamo forse conoscenze delle poetiche Tang? O riusciamo a decrittare piccoli passi che sembrano haiku surrealisti? Io no. Ed è questo che mi porta ad un giudizio in minore del libro. È lento, pieno di rimandi che non capisco. Pieno di cineserie, come quella del titolo (italiano, ovvio, che quello inglese di altro parlava). Che si rifà ad un racconto cinese antico dove un granaio veniva razziato dal di dentro dai ratti. E mentre ne narra, un vecchio poliziotto si riferisce a Xing ed alla sua cricca come epigoni di quei ratti, ma non più neri. Ora sono ratti rossi, con una (iperbolica per me) congiunzione con il comunismo al potere. Ma il racconto generale soffre di questa duplice anima non sopita, rimanendo sul filo della potente verità quando fa lamentare uno degli scrittori in visita alle Università americane che gli unici testi cinesi presenti all’estero sono dei dissidenti. Loro, poeti ufficiali, vengono ignorati. Non so se giustamente, ma così va il mondo. Noto solo di passaggio un rigo che mi riporta alla mia prima visita a Shangai, laddove si parla di un edificio coloniale che ospitava negli anni ’90 il primo “Kentucky Fried Chicken” aperto in Cina. E che ben ricordo!
“Sapendo che era impossibile da farsi, tentò lo stesso di farlo perché era ciò che doveva (Confucio).” (38)
“Il sole cala a occidente / quante volte?, / incapace di impedire il cadere dei fiori. / Le rondini tornano, come fossero di casa.” (brano di poesia cinese tradizionale, che viene citato come per collegare Chen e Catherine, i possibili amanti dei due mondi diversi, ma che a me lascia discretamente freddo) (317)
David Baldacci “Il gioco di Zodiac” Mondadori euro 10
[A: 15/04/2012– I: 14/04/2013 – T: 17/04/2013]
[tit. or.: Hour games; ling. or.: inglese; pagine: 518; anno 2004]
Un’altra discreta prova dello scrittore più bello d’America (almeno secondo Vanity Fair). Siamo al secondo romanzo imperniato sulla coppia di investigatori Sean & Michelle. Direte voi: ma ce ne sono una valanga nella storia della letteratura, dov’è la novità? L’idea di Baldacci è rovesciare, almeno un po’, i soliti cliché e fare della donna l’elemento d’azione e dell’uomo quello di riflessione. I due li avevamo visti ne “Il candidato” dove, dopo aver preso scoppole a destra e a manca (quasi fossero il PD…), decidono di unire i loro sforzi. Fondano quindi e con successo un’agenzia investigativa. Ed ora li troviamo in un bel guazzabuglio di morti. C’è un intrepido assassino che comincia ad uccidere delle persone usando ogni volta una tecnica mutuata da un famoso serial killer americano. Ed inviando ai giornali, dopo ogni delitto, una lettera cifrata (ma Sean farà presto a decodificarla) dicendo di NON essere quel serial killer. I due intanto vengono anche ingaggiati da un avocato per la difesa di un tizio forse ingiustamente accusato di rapina. Peccato che il rapinato sia il più benestante cittadino locale. Con moglie arcigna e decisionista, e due figli, Eddie pittore sconclusionato con moglie sbandatella e Savannah giovane ragazza (avuta quasi una ventina d’anni dopo). C’era un terzo, gemello di Eddie, ma morto in giovane età. E peccato anche che il benestante sia colpito da infarto e giaccia in ospedale. Dove anche lui viene ucciso, con tecniche simili agli altri, ma con delle diversità che non sfuggono a Sean & Michelle. L’unica costante, anche di questo assassinio, è un orologio posto al polso della vittima. Ogni volta con un’ora in più. Che tra l’altro dà il titolo al libro originale: il gioco dell’ora. Con facile gioco di parole su il nostro gioco, dall’inglese our – hour; e che i traduttori stravolgono in gioco di Zodiac dal nome del primo orologio trovato al polso della prima vittima (peccato che sia il solo Zodiac che viene usato, con buona pace di chi non sa fare il proprio mestiere). La vicenda poi si complica con la partecipazione della patologa locale, Sylvia, con una storiella passata con Sean. E con Michelle che non è insensibile al fascino di Eddie, soprattutto quando questi gioca alle ricostruzioni storiche della guerra di secessione (una passione americana su cui bisognerebbe tornarci su). E con la presenza di un tal Kyle assistente di Sylvia ma teso a rubare farmaci dopanti. E di quella di Sally, stalliere alla villa dei Battle (quelli ricchi) che ad un certo punto, ma quando anche lui è morto, fornisce l’alibi a Junior l’accusato della rapina. Di morti ne abbiamo quindi una caterva: una prostituta, due ragazzi che facevano l’amore in macchina, il riccone, Junior, Kyle, Sally, una signora madre di tre figli che faceva la spesa. Insomma una carneficina. Indagando con i suoi agganci per vari posti americani (Sean era in fondo un ex agente ed un avvocato ben piazzato) si riesce a ricostruire la vita sregolata del vecchio Battle. Un uomo pieno di eccessi, gran puttaniere, ammalatosi di sifilide in gioventù (così ci dice la patologa dopo l’autopsia), despota, che lascia morire il figlio gemello, che comanda a bacchetta moglie e restanti figli. Ma pare anche fascinoso, forse perché ricco. O viceversa. Per il momento, Sean scopre anche che uno dei ragazzi uccisi era figlio del vecchio Battle e di una sua relazione adulterina. Con il padre cornuto che cerca di far fuori i due investigatori. Qui esce fuori la nostra Wonder Michelle che salva la situazione sparacchiando spencolandosi fuori da un’auto in corsa. E poi salvando il socio Sean guidando motoscafi spericolati nel lago cittadino. Io avevo puntato molto su di un possibile colpevole, ma alla fine (anzi si capisce molto prima) i colpevoli sono due. E non li avevo individuati. Forse Baldacci mette troppa carne al fuoco. Anche perché deve far crescere un po’ i due personaggi. Così coltiva il lato azione con Michelle che praticamente è una specie di triatleta poliziottesca e con Sean che rivela un lato super-gaudente quando discetta di vini francesi (ottimo il Bouquet del Saint-Emilion). Tuttavia riconosco la bravura nello scrivere, anche se la fine è un po’ affrettata. Prodotto discreto e di buona fattura. Non male in questi momenti difficili.
Camilla Läckberg “Lo scalpellino” Marsilio 14 (in realtà, scontato 10,50 euro)
[A: 29/06/2012– I: 30/04/2013 – T: 02/05/2013]
[tit. or.: Stenhuggaren; ling. or.: svedese; pagine: 570; anno 2005]
Un nuovo episodio della saga di Fjällbacka, dove si risale un po’ la china rispetto al precedente che mi aveva lasciato leggermente insoddisfatto. Dal prorompente esordio è passato del tempo e la scrittrice ha messo in cantiere anche un po’ di mestiere. Anche se poi, leggendo molto e comparando, ci si accorge che, spesso e volentieri, gli autori usano trucchi o modalità simili per andare avanti. Intanto, ormai quasi tutti usano questo alternarsi di presente e passato, dove ad ogni capitolo facciamo salti avanti e indietro nel tempo. Che il passato serve a spiegare se non a giustificare il presente. Tutta l’abilità sta nel non far capire chi sia il personaggio cattivo che si delinea nelle pagine del passato. Ed in questo la Läckberg ha delle frecce al suo arco. Anche se, dal punto di vista del giallo in quanto tale, già nel primo capitolo avevo fatto un’ipotesi di colpevolezza, che si è rivelata corretta alla fine del libro. Quindi brava nell’andare su e già nel tempo, ma il tempo presente è discretamente lineare. Secondo “trucco” è l’uso dei bambini. Pare che non passi giallo nei paesi scandinavi se non ci sia qualche problema con i bambini. Dagli abusi alle uccisioni. Ed anche qui cominciamo con l’omicidio della piccola Sara. Figlia affetta da ADHD (su questo torneremo più avanti) di Charlotte e Niclas, che hanno grossi problemi tra loro, e grossi problemi con Lilian, la madre di Charlotte. Omicidio che tocca da vicino i protagonisti della vicenda, che Charlotte è diventata amica di Erica da quando questa ha partorito la piccola Maya, figlia sua e del poliziotto Patrick. E sarà proprio Patrick ad incaricarsi delle indagini che vedono mettere tante carni al fuoco. Tanto che qualcosa brucerà un po’ troppo. Da una parte, infatti, le vicende umane di vita quotidiana: le difficoltà di Charlotte con la madre, la malattia probabilmente fatale di Stig il compagno di Lilian, i problemi di Niclas con la sua di famiglia, e soprattutto con il padre Arne, sacrestano bigotto. Nonché i problemi tra Lilian ed il vicino Kaj per questioni di territorio delle rispettive case. Kaj che ha anche problemi con la moglie, la sola ad occuparsi seriamente del loro figlio Martin, affetto dalla sindrome di Asperger. Inciso: terzo trucco, infarcire le vicende di nuove e, a volte,  poco note malattie. Da poco si lesse della sindrome di Klinefelter nei libri della Reichs, qui abbiamo Asperger che fortunatamente già avevo incontrato, una specie di autismo ad alto quoziente intellettivo. Ma anche, come detto sopra, l’ADHD e l’analogo DAMP, che purtroppo nel libro sono citati minuscoli e senza spiegazioni. Solo dopo attenta ricerca ho scoperto essere malattie relative all’iperattività ed a deficit nell’attenzione e nella percezione. Anche qui, due righe di spiegazione non avrebbero guastato. Ma torniamo alla vicenda, che oltre ai problemi della comunità, ci sono quelli della locale polizia, con il capo sempre lontano dalle vicende, con Patrick e Martin, i giovani, che cercano di mettere le pezze dove possono. E con l’inutile Ernst che per insipienza combina un guaio dopo l’altro. Non avverte che nella cittadina c’è un possibile pedofilo, provocando prima la morte di un abusato, poi, per tirarsi fuori dai guai, anche di un secondo giovane. Certo che lo scalpellino del titolo non ci aiuta molto: non è parte della vicenda, e muore ben presto, lasciandoci alle prese con una strana tipa, la moglie Agnes, che continua a far guasti tra Svezia ed America (quando non omicidi). Non può essere l’assassino che cerchiamo, in quanto dovrebbe avere un’età vicino ai cento anni. Ma Patrick, con l’aiuto anche di una puntata di Cold Case americano visto in televisione, che gli da una possibile interpretazione, riesce a risolvere l’intricata matassa. Trova la persona che ha già tre omicidi alle spalle, e si avviava forse ad altri due o tre. E con tutta la carne a fuoco, c’è anche tempo per seguire qualche pagina della vicenda della sorella di Erica maltrattata dal marito e della crescita interna al loro rapporto che fanno Erica e Patrick passando dalla depressione post-partum alla possibilità di intravedere futuri radiosi con i bambini. Alla fine, come detto, troppa carne sulla brace e qualche pezzo si brucia troppo. A noi che piace al sangue. Rimarchiamo e sottolineiamo comunque la capacità di bella scrittura ed anche di non dimenticarsi pezzettini di vicenda. Alla fine tutto si spiega. Con qualche apertura ad un probabile quarto episodio. Come dicono i telefilm di una volta: continua…
“Ritrovarsi in casa un neonato era come entrare in un universo estraneo e sconosciuto, con tensioni sempre nuove appostate dietro ogni angolo. Perché non dorme? Perché piange? Ha troppo caldo? Ha troppo freddo? Non le sono venuti strani puntini?” (9)
Veit Heinichen “Nessuno da solo” E/O 11,50 (in realtà, scontato a 5,98 euro con Feltrinelli+)
[A: 01/12/2012 – I: 13/05/2013 – T: 15/05/2013]
[titolo: Keine frage des geschmacks; lingua: tedesco; pagine: 384; anno: 2012]
I conoscitori del tedesco (e quindi non io, come ben si sa) mi dicono che geschmacks ha a che fare con gusti o scelte o similari. Tanto per rimarcare la poca lucidità degli editor (e spero sempre che qualcuno mi dia qualche lezione di traduzione – marketing). Fatta quindi la solita premessa, ormai quasi monotona, su traduttore – traditore, veniamo all’ultimo libro del fino ad ora interessante Heinichen. Ricordo ai meno attenti, che il nostro scrittore è tedesco, scrive in tedesco, ma vive a Trieste dove ambienta le sue storie di poliziesco – civico, nella tradizione nordica ormai consolidata. Protagonista degli scritti è anche qui un commissario, Proteo Laurenti, che mi ha sempre affascinato nel nome. Tuttavia, rispetto ad altre storie, sempre con qualche puntata ben scritta sul sociale, qui, vuoi per la sensibilità dell’autore, vuoi per la situazione italiana non particolarmente rosea, le sparate sono un po’ troppo lunghe, ripetitive, quasi che ci si sentisse in dovere di dire cose, politicamente corrette, ma che non incidono (come la frase che sotto riporto). Continuare a dire del sistema di corruzione instaurato da venti anni di Silvio, seppur corretto, non prende, non porta elementi nuovi, e rischia di diventare fuorviante, almeno in questo contesto. Che non è quello di Saviano, ma quello di uno scorrere di giorni nella Trieste attuale. Con i problemi della malavita locale, di quella che viene dall’est, e con la ragnatela di malaffare esemplificata dal cattivo centrale del romanzo, Lele Raccaro, i cui tentacoli si allungano sino a Roma. Ma che non sa di avere un punto debole in Aurelio, suo figlio naturale. Che pensa e spera di trovare la sua strada nel “cattivo mondo”, ma che può usare solo l’unica arma che conosce: il sesso. Con il quale comincia piccoli ricatti verso tedescone in gita, per poi tentare il colpo grosso con una donna deputato del Parlamento inglese. E qui incappa in una girandola di contrattempi: l’inglesina non ci sta a pagare, chiede aiuto alla sua amica etiope Miriam Natisone, di origini italiane (Natisone è un fiume del Friuli), che contro gioca il cattivello, contro manipolando le foto, e scompigliando la vita triestina venendo a scoperchiare le piccole salme in loco. Nelle more, essendo giornalista, ne approfitta per un reportage sul caffè a Trieste, che, come ognuno che conosce della nera bevanda, è il luogo principe del caffè italiano. Lì si produce la maggiore quantità di caffè (da cui derivano Illy e compagnia), lì si consuma più caffè che a Napoli. E per inciso questa è la parte migliore del libro, dove ripiombiamo ancora una volta verso una degustazione di Kopi Luwak, il famigerato monocultura indonesiano. Miriam comincia a dare troppo fastidio, e viene presa nel mirino da Aurelio. Ed intanto Proteo che fa? Qui vengono le dolenti note, che si perde, il nostro Veit, nelle lunghe problematiche familiari di casa Laurenti. Dopo la storia con la procuratrice slava, ora il commissario è impegnato in un flirt con una dottoressa che ha la metà dei suoi anni. In parallelo, anche sua moglie Laura ha una storia con un critico d’arte che cerca di rifilarle patacche. Poi ci sono i figli: Laura che non trova lavoro stabile, viene ingaggiata in una produzione italo - tedesca, il cui gestore è amico del Lele di cui all’inizio, e che muore nelle prime pagine del romanzo, Patrizia che ha avuto una bambina, che ha il marito lontano e che gli mette le corna con un guardaboschi, e Marco, l’unico che ne esce bene, il cui unico intervento in tutto il libro è preparare una cena a base di meduse fritte. E Laurenti, indagando sulla morte del tedesco, su di un furto di caffè, si imbatte nella Miriam, nei fatti e misfatti di Lele, scoprendone anche un tentativo di evasione fiscale con tanto di soldi verso San Marino, bloccati al porto di Ravenna. Ma tutto è molto stanco, lungo, quasi insopportabilmente lungo, che si aspetta con ansia la fine. Che arriva, annodando i fili, e facendo, come spesso in Italia e sovente in Heinichen, vedere che purtroppo la giustizia non è mai troppo nei primi posti delle italiane cose. Insomma, mi aspettavo di più, più incisivo, più avvincente. Ed invece è meno, molto meno di tutti gli altri libri di Heinichen. Speriamo sia solo un momento.
“Anche questo faceva parte del castello di bugie del governo: aggravare di proposito la situazione del paese, in modo da essere costretti a procedere in maniera ancora più compatta per porvi rimedio e sferrare così un attacco dopo l’altro allo stato di diritto.” (271)
Come ogni prima trama, parliamo ora anche dei libri del mese di aprile, in realtà non proprio esaltanti, con due tonfi iberici della Asensi e di Rebelo, e nessuna “punta di diamante”.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Clive Cussler & Jack Du Brul
Corsair
TEA
9
2
2
Elizabeth Peters
Pericolo nella Valle dei Re
TEA
8,60
3
3
Qiu Xiaolong
Ratti rossi
Marsilio
12
2
4
Andrea Vitali
Almeno il cappello
Garzanti
12
3
5
Anne Holt
La dea cieca
Einaudi
13
3
6
David Baldacci
Il gioco di Zodiac
Mondadori
10
3
7
Matilde Asensi
La vendetta di Siviglia
BUR
8,90
1
8
Ian Rankin
Fine partita
TEA
9
3
9
Fernando Savater
La vita eterna
Laterza
6,90
3
10
Ian Rankin
Casi sepolti
TEA
9
3
11
Marco Vichi
Perché dollari?
TEA
9
2
12
Michael Connelly
Lame di luce
Piemme
10
3
13
Tiago Rebelo
Il tempo degli amori perfetti
Beat
9
1
14
Simonetta Agnello Hornby
Un filo d’olio
Sellerio
14
3
15
Ian Rankin
Una questione di sangue
TEA
8,90
3

Per concludere, un bel paese l’Islanda, con della natura da spettacolo, forse un filo costoso per noi gente del Sud. E senz’altro più di un filino freddo. Per consolarci, continuiamo la discesa verso Sud, e giovedì si parte per il Portogallo.