domenica 30 novembre 2008

Tra corti e lunghi


Continuiamo a girovagare tra i Corti del Corriere, anche se ci aggiungo una trametta di un libro, né accio né baccio, ma che, in un momento di amnesia, mi ero scordato di tramare quando lo lessi in maggio.

Ma cominciamo con i Corti, di quelli buoni, solidi e robusti. Prima un autore nuovo, che in genere scrive di saggi.

Gian Antonio Stella “Carmine Pascià (che nacque buttero e morì beduino)” Corti di Carta euro 3,50

Prima lettura di scritti di Stella, di cui sapevo scrittore”politico”. Questo è un racconto, un racconto interessante, anche se non privo di spunti di attualità, benché si parli della guerra libica or son 100 anni. Prima constatazione è che il livello dei corti torna dignitoso. Dal che si deduce che queste collane cominciano bene e finiscono in calando (come le short di Repubblica). Passando al contesto, Stella riesce a tratteggiare la vita di un campagnolo nato più o meno con i miei nonni. Raccontando la vita di Carmine Iorio (questo nome lo conosco) con accenni e rimandi (questi tratti dalla sua esperienza di saggista) delinea anche un’immagine dell’Italia di inizio secolo. L’emigrazione verso l’America, la naia forzata per i poveri, la vita insensata del militare in guerra in una terra per lui aliena (anche se poi Carmine è molto più vicino ai beduini che ai sergenti ed ai capitani). E di come si ritrova quasi senza volerlo ad essere disertore e ad apprezzare l’umanità del popolo del deserto, le sue bellezze (anche muliebri). Probabilmente, la vicenda di Carmine è forse anche più complessa di quanto esca fuori dalle pagine. Il fatto di finire luogotenente di Omar el-Mutktah non deve essere soltanto casualità come sembra. Ma a me è piaciuto il descrivere i luoghi (in fondo tutta la vicenda si svolge in Libia, tra Bengasi, l’oasi di Cufra e gli altri luoghi del nostro deserto peregrinare), ed il ribadire l’atrocità di una guerra forse tra le più inutili che si è combattuto. Quella per avere un “posto al sole”!! Comunque, pur se dolente, sorseggiare the caldo al tramontare del sole dietro le dune, riscalda il cuore e fa meditare.

Gian Antonio Stella nasce ad Asolo (che mi collega già al deserto, in quanto, per me, vicino a Cino Boccazzi) il 15 marzo del 1953. Quindi, è più vecchio di me, e questo mi da speranza che anch’io riuscirò a scrivere di tante cose. Ed è nato pochi giorni dopo la morte di Stalin. Il resto della bio, si può utilmente leggere in http://it.wikipedia.org/wiki/Gian_Antonio_Stella.

Del secondo già si lesse per un VerdeNero, ora si legge un Corto, prima o poi si leggerà di normale.

Piero Colaprico “Scala C” Corti di Carta euro 3,50

La lettura di questo (che era uno dei primi) riconcilia con i Corti, le cui ultime uscite mi avevano un po’ deluso. Quando c’è la mano si vede. E continua il mio accostamento a Colaprico ed al commissario Binda. Ancora non siamo ai romanzi, ma questo racconto ha tutti gli elementi a posto. Forse un po’ faticoso l’inizio, ma se ne capisce il senso alla fine. Intanto, la parte centrale, pur nella brevità, presenta tutte le caratteristiche del giallo di razza. Un morto, forse due. Ambiente della Milano degradata. Forze dell’ordine buone e cattive così come sono buoni e cattivi tutti gli uomini, forse a prescindere dal proprio lavoro (Pasolini insegna…). Il Commissario ne esce con tutta la sua umanità, e devo dire sagacia (non mi azzardo a parlare di saggezza). Tutti gli elementi sono collocati in modo visibile anche per noi lettori, che insieme a Binda possiamo, volendo, trovare la soluzione. E non è poco di questi tempi in cui l’autore si arroga il diritto di fare e di disfare a suo piacimento le trame e le soluzioni. Con quel tratto di umanità che ci fa sperare che i giovani, nostri figli e/o nipoti, possano avere un mondo migliore. Se non lavoriamo per farlo. Insomma una lettura che mi ha preso, e che mi fa ripetere la voglia di approfondire l’autore ed i suoi personaggi.

La bio l’ho pubblicata il 15/06/2008 e non ci si torna su.

Ed infine il corto-lungo (e non stiamo parlando di bridge). Parliamo di un autore scorrevole che ha dedicato i suoi scritti a ricostruire nella fantasia le vicende pubbliche e private della città di Bellano, sul lago di Como.

Andrea Vitali “La figlia del podestà” SuperPocket euro 5,90 (in realtà, scontato 4,72 €)

Rimanda che ti rimanda, alla fine mi stavo scordando di averlo letto e magari (come mi è successo) lo ri-compravo. Volevo leggere qualcosa di questo scrittore assurto ai clamori della cronaca letteraria per le migliaia di copie di libri venduti aggirantesi intorno alla saga della commedia umana dei paesini comaschi, e di Bellano in particolare. Ed a scorrere, il testo scorre. Scrittura senza sussulti, vicenda ben congeniate dove si intrecciano amori nuovi e rancori vecchi. Speranze nel futuro, in quel 1931 che vedeva iniziare a volare i primi aeroplani di linea (anzi i primi idrovolanti). Insomma, senza neanche una salita che è una. Tutto ha inizio con i mutamenti che coinvolgono Renata, la figlia ventenne del podestà Meccia. La ragazza sta cambiando, questo è evidente, ma in che modo e perché? Ha forse trovato l’amore? E se sì, in chi ha trovato l’amore “questa benedetta ragazza, cocciuta come il nonno”? La storia della bella Renata volge pian piano verso il suo giusto epilogo, coadiuvata dalla bellissima caratterizzazione della zia Rosina (forse la meglio riuscita del lotto). Ma alla fine rimane un po’ poco. Forse qualche ora tranquilla a scacciare i pensieri cattivi.

“è l’amore che fa la differenza”

Meno intenso è il corto, forse non è della dimensione della sua scrittura.

Andrea Vitali “Pianoforte vendesi” Corti di Carta euro 3,50

Questo invece è uno dei corti minori. La penna è sempre di Vitali, quindi non è che si possa andare molto lontano da Bellano. Anzi, sempre qui siamo, a seguire da una parte la storia di un ladruncolo dalle mille risorse venuto in paese per la festa grande, dove si spera fare buoni colpi. Dall’altra propria la storia grande, il giorno in cui Bellano celebra i Re Magi e dove, secondo gli anziani, i morti tornano a fare pace con i vivi e fanno festa anche loro. In base a cabale note solo a Vitali, siamo nel 1966. Intorno a questi due poli, i soliti caratteri della cittadina comasca, i buoni, i cattivi (che, come dice la canzone, poi cattivi non sono mai), e gli altri. Però il tutto un po’ depresso dalla scarsa lunghezza del testo che non permette a Vitali di intrecciare storie di più ampio respiro. Un bel compito in classe. Ma nella parte bassa del gradimento dei Corti.

Dopo che si è detto che Vitali nasce il 5 febbraio del 1956 (stesso segno di Emilio e Rosa) si rimanda alla bio su http://it.wikipedia.org/wiki/Andrea_Vitali.

Direi che questa è una settimana veramente cruciale. La Mauritania attende al varco di essere visitata. E la Slovenia ci preoccupa. Aspettiamo gli eventi. Buona settimana a tutti

Giovanni

domenica 23 novembre 2008

Di nuovo sui corti

In una settimana di giri, partenza, arrivederci e viaggi, torno a parlare dei Corti del Corriere, riprendendo quelli tra i primi usciti, che mi sembrano più carini, ed alcuni di autori a me nuovi. Cercando di essere anch’io corto, vado a trattarli in ordine di gradimento. Inoltre, ho notato che le bio che tiravo fuori anche con fatica, ormai si trovano (in buona parte) su Wikipedia. Motivo per cui, invece di inutili ripetizioni, se sono presenti, rimando direttamente lì.

Cominciamo quindi con l’autore di cui (insieme alla Grafton ed al suo alfabeto) più è presente nella mia biblioteca.

Carlo Lucarelli “Ferengi” Corti di Carta euro 3,50

Questo secondo corto di carta del Corriere, sembra una premessa o una conseguenza del suo libro sull’Eritrea (“L’ottava vibrazione”), o comunque a lui molto legato. Non so il rapporto temporale, ma sembra una “prova di scrittura”. A me, comunque, non è risultata sgradita. Certo, utilizza alcuni suoi meccanismi (entrare ed uscire dal racconto, dare soluzioni per poi spiegare che la verità è altra, fino alla casualità che incastra i veri colpevoli), ma a me Lucarelli piaceva sin dall’inizio, con i primi titoli pubblicati negli anni novanta sulle collane Hobby&Work. Anche qui, poi c’è un punto di “piacere” in più: l’ambientazione Etiopico - eritrea (ed il cammeo di Rimbaud). Ferengi, è un termine di derivazione araba, nient’altro che il nome, attribuito da Aster - la protagonista femminile – al protagonista maschile. “Il Ferengi” è un vecchio barone, grande d’età e incapace di svolgere da solo le normali attività quotidiane; Aster è una persona del luogo in cui si svolgono i fatti (Massaua - Eritrea - colonia italiana nel ‘900) che si prende cura di lui (una badante ante litteram). Subisce violenze, umiliazioni, fino a quando una notte… avviene qualcosa… La storia però non è così lineare, ma è ben costruita da Lucarelli utilizzando la finzione di sfogliare vecchie foto. Infine, banalità ma importante per me, Lucarelli è uno dei due soli autori gialli di cui ho un libro autografato (chi indovina l’altro?)

Questo è il primo Lucarelli che recensisco, dato che quasi tutta la sua produzione l’ho letta prima del 2006. Ricordo solo che è nato a Parma, il 26 ottobre del 1960 (uno scorpione che non ha visto Berruti), e rimando per la bio a http://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Lucarelli.

Come secondo, un napoletano (sembra quasi che voglia andare a spasso per la penisola.)

Diego De Silva “Le donne più belle si vedono negli aeroporti” Corti di Carta euro 3,50

Non conoscevo De Silva, ma sembra piacevole la scrittura. Mi fa arrabbiare invece lo scippo delle idee sulle canzoni anni ’70. Da approfondire il discorso sullo psicologo. Un racconto che esce facile dalla penna, passando dal lettino dello psicanalista (dell’io-narrante un po’ depresso) all’abbordaggio della bella dama ed al lasciarsi (e qui si sa bene il perché). Credo sia il caso di approfondire questo autore, che fonti mi dicono scorrevole. Ed il meccanismo narrativo, pur nella brevità funziona. Vari piani di scrittura, per narrare il momento di un incontro e di un abbandono. Piacevole. Ripeto, comunque, che tutta la parte sui testi delle canzoni anni settanta mi è stata scippata alla grande. Ma ci rifaremo prima o poi.

De Silva nasce appunto a Napoli nel 1964, e per la bio rimando a http://it.wikipedia.org/wiki/Diego_De_Silva.

Torniamo ora al Nord, con una prova riuscita a metà.

Stefano Zecchi “Maria. Una storia italiana d’altri tempi” Corti di Carta euro 3,50

Un racconto decente che meritava una migliore “forma”. La storia intriga. Ha un bell’inizio “C’era una volta, non molti anni fa, una ragazza che credeva nell’amor di patria. Un amore vago che giocava con i sogni, rischioso quando si avventurava tra le pieghe della Storia, tragico se la piccola vita di ognuno di noi appare poca cosa di fronte al destino di un popolo.” Ed una densa prosecuzione: Maria è una favola triste e crudele, una storia di altri tempi vera e dura come la guerra che descrive. Con questo racconto si attraversa la Storia per ricostruire le vicende di Maria Pasquinelli, che inizia sul finire del 1941 e termina nel 1947 a Pola, una città di confine divisa tra due nazioni nell’indifferenza della comunità internazionale appena uscita da una lunga e dolorosa guerra mondiale. La storia di una donna diviene così emblematica delle realtà di quelli anni; ma, allo stesso tempo, è intensa e commovente come gli ideali della sua protagonista. Purtroppo il modo di narrare di Zecchi, non intriga altrettanto. È didascalico, con il tono del professore che recita la sua lezione. Maria meritava un’altra partecipazione. Anche se di merito il tirar fuori storie dure, dimenticate, ignorate. Un Corto minore per stile, ma sempre di buon livello.

Stefano Zecchi (Venezia, 18 febbraio 1945) è un acquario, e su Wiki c’è molto scarno. Diciamo in più che, laureatosi con Enzo Paci discutendo una tesi sul pensiero di Husserl, dopo un periodo di specializzazione presso l'Archivio Husserl di Lovanio e in alcune università tedesche, ha insegnato presso le università di Verona e Padova, ed ora è professore ordinario di Estetica presso l’Università degli Studi di Milano. È stato assessore alla cultura di Milano dal 2005 al 2006. Ha acquistato notorietà televisiva, purtroppo, grazie alle sue numerose apparizioni al Maurizio Costanzo Show.

E finiamo di nuovo a Napoli, con quello che meno mi è piaciuto.

Luciano De Crescenzo “Monnezza e libertà” Corti di Carta euro 3,50

A me ormai ha un po’ stancato il suo stile finto svagato, finto sapiente, da settimana enigmistica. Ed anche il tema viene trattato con un’ironia che direi quasi berlusconiana. Fa piacere ritrovare i due eponimi di De Crescenzo, il professor Bellavista con la sua napoletanità ed il dottor Cazzaniga con la sua milanesità (in fondo due anime dello stesso autore). Ma poi è un esercizio di stile, scritto un po’ con la mano sbagliata. Si qualche accenno ecologico - ambientale al riciclaggio, ma più che altro sviolinature sulla “monnezza”. E quando si tratta di affondare (monnezza = camorra) si sorvola con ironia. Distanti anni luce dalla Gomorra di Saviano anche solo come intenzione. E distanti dalle opere sul riciclaggio propugnate dalla collana VerdeNero. Restano due o tre battute ed un po’ del sole di Napoli. Che speriamo torni a brillare di ben altra luce. Una sola frase

“guaglio’, colle femmene ce vole ‘o tiempo”

L’ottantenne De Crescenzo, nato nell’agosto del 1928 a Napoli è veramente ben noto, motivo per cui pienamente rimando a http://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_De_Crescenzo.

Una settimana “corta”, quindi, veloce perché veloce si avvicina il Natale.

Buona settimana a tutti

Giovanni

domenica 16 novembre 2008

Ritornano i gialli italiani

Visto che ho appena passato qualche giorno in compagnia, non proprio esaltante, di rumeni in quel di Bucarest, cerchiamo di ritrovare il filo del buon umore attraverso qualche buon giallo italiano. Come ho detto a voce, non è la Romania in sé che mi ha stranito, ma il contatto con questo popolo martoriato che sembra voler uscire dalle peste attraverso le peggiori soluzioni (e chi ha visto il fil Pa-Ra-Da me lo conferma). Ma basta pensare agli azzurro-giallo-rossi, e torniamo ai gialli. E italiani. E forse, in alcuni casi neanche tanto gialli.

Cominciamo da quello che mi è piaciuto di meno, forse perché dall’autore, di opere divulgative note, mi aspettavo di meglio.

Corrado Augias “Quel treno da Vienna” Repubblica Noir Italia euro 7,90

Tre punti di critica, mi solleva la fine di questa lettura. La collana, dove in genere Repubblica edita in edicola delle serie dignitose, questa volta è infarcita di romanzi noti o minori. Quindi mi sembra che ho fatto bene dall’astenermi dal comprarla in blocco. L’autore, poi, benché noto e di scrittura diversificata (dove presenti sono romanzi, saggi ed altro), mi sembra a questa prima prova di mia lettura, di una scrittura che non mi coinvolge. Descrive, accenna, tenta rimandi (in questo caso storici, visto che la vicenda si colloca a Roma, nel 1911, nel mezzo delle celebrazioni del Cinquantenario del Regno e contornata dall’ennesima crisi politica dei governi Giolitti, che si prepara anche all’ingloriosa impresa libica) ma rimane sterile. Anche il tentativo di usare come investigatore capo del bando poliziesco un Giovanni Sperelli, supposto fratellastro del ben noto Andrea, rimane sterile di conseguenze positive. La vicenda, poi, parte piana e lineare (un omicidio, in un bel palazzo, tra gente del bel mondo politico e dell’avventura d’alto bordo) man mano si complica (inzeppando considerazioni politiche sui rapporti tra l’Italia e la triplice alleanza, nonché ridicoli tentativi di spionaggio di mal delineati turchi da operetta), fino ad arrivare ad una sua soluzione (anche se pure qui non lineare, non con il bel piglio alla Agatha Cristhie che alla fine, in qualche modo, spiega gli accaduti senza lasciare ombre). Rimane, e questo lo ascriviamo a merito, la parte storica, dove forse ben meglio si adatta il modo di scrivere e di vedere di Augias. La Roma di quasi un secolo fa, capitale di nome ma ancora da divenire nei fatti. Passeggiate tra i Prati di Castello verso Tor di Quinto, e discese per la via Nazionale verso Piazza Venezia (ed un punto di merito a chi sa a memoria perché la piazza della stazione si chiama Piazza dei Cinquecento). Fatte le somme, un libro negativo, dove con spavento leggo essere il primo di una trilogia!!

“[aveva]… la consapevolezza che, volendo passare attraverso una porta, bisogna considerare che gli stipiti sono duri”

“perché ti penti così spesso di ciò che fai?”

“non sono… in grado di mettere a frutto i miei difetti, e le mie virtù … mi servono soltanto per continuare a vivere”

Del pur ben noto autore diciamo che è nato a Roma il 26 gennaio 1935. Troppo noto per il giornalismo, parliamo solo dello scrivere. Giallista, è autore di una trilogia (Quel treno da Vienna, Il fazzoletto azzurro, L'ultima primavera) ambientata nei primi decenni del Novecento e avente come protagonista Giovanni Sperelli (fratellastro del dannunziano Andrea), nonché dei romanzi Sette delitti quasi perfetti, Una ragazza per la notte, Quella mattina di luglio e Tre colonne in cronaca (quest'ultimo scritto insieme alla moglie Daniela Pasti). Ha inoltre scritto il libro "Giornali e spie" nel quale ricostruisce una vicenda di spionaggio realmente avvenuta nel 1917. È stato autore teatrale, appartenente all'avanguardia teatrale romana del Teatro del 101. Ha realizzato "Direzione Memorie", "Riflessi di conoscenza" e "L'onesto Jago". Ha scritto alcuni saggi (I segreti di Parigi, I segreti di Londra, I segreti di New York e I segreti di Roma) nei quali affronta temi culturali ed artistici approfondendo particolari poco noti relativi alla storia, al costume, ed al fascino di alcune fra le principali metropoli. È autore di un saggio-racconto, intitolato Il viaggiatore alato, incentrato sulla vita del pittore livornese Amedeo Modigliani. Nel 2006, in collaborazione con il docente bolognese Mauro Pesce, ha pubblicato il libro Inchiesta su Gesù nel quale si affrontano, nella forma di un dialogo fra i due coautori, i molti aspetti più o meno noti della persona e del personaggio Gesù. Nel 2007 ha pubblicato per Mondadori Leggere. Perché i libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi, un'appassionata ed argomentata difesa della lettura. Nel 2008 ha pubblicato il libro Inchiesta sul Cristianesimo. Come si costruisce una religione, nel quale dialoga con il docente di Letteratura cristiana antica Remo Cacitti (Università di Milano) sullo sviluppo del Cristianesimo nella storia.

Passiamo al secondo, fatica di un duo emiliano ben collaudato nella scrittura.

Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli “Tango e gli altri” Mondadori euro 9 (in realtà scontato 6,30)

Bello anche se non intenso. Una raffica di mitra del plotone di esecuzione mette fine alla giovane vita del partigiano Bob, ma questa volta non sono nazifascisti quelli che sparano. Accusato di un atto di efferatezza, aver sterminato l'intera famiglia del patriarca, Bob è stato giudicato in fretta e furia dal tribunale partigiano composto dai suoi commilitoni della brigata Garibaldi e da un commissario politico venuto da oltre la linea del fronte. Tuttavia, poiché molti sono i particolari che non tornanoa proposito del massacro delle Piane, un'altra brigata ha affidato una parallela indagine a Benedetto Santovito, reduce dalla Russia e diventato anche lui partigiano di Giustizia e Libertà con nome di battaglia "Salerno" su quelle stesse montagne fra le quali aveva fatto il maresciallo: con la certezza che un carabiniere, come un prete, resta carabiniere nell'anima, qualunque abito indossi. L'escalation drammatica degli eventi bellici impedisce a Santovito di portare atermine un'indagine appena iniziata. Molti anni dopo, nel 1960, il passato bussa di nuovo alla porta e una lettera appassionata e struggente obbliga il maresciallo a ritornare sul caso. Solo che gli anni hanno cambiato, se non i luoghi, tutte le persone.Mi piace l’atmosfera emiliana d’Appennino, le descrizioni delle città arroccate tra i monti. Degli odi e degli amori. Delle castagne e della stufa accesa. E mi piace ritrovare il carabiniere Santovito, che già in altre loro storie era presente. Al solito buono il connubio tra i due, anche se dai toni del racconto io vedo la parte di Loriano quando i carabinieri vengono alla ribalta e quella di Francesco quando invece agiscono i partigiani. Una collaborazione che imbastisce in fondo anche una storia gialla, con delle domande, dei finali e dei contro finali. Con delle risposte, cosa che in molti gialli attuali ormai non si trova più.

La biografia di Macchiavelli è pubblicata il 10/05/07. Parliamo ora dell’altro, che nella musica rimane per me un punto fermo. Francesco Guccini nasce a Modena il 14 giugno 1940. Il suo debutto ufficiale come cantante risale al 1967 con l'LP Folk beat n. 1 (ma già nel 1960 aveva scritto L'antisociale); in una carriera ultraquarantennale ha pubblicato oltre venti album di canzoni. È anche scrittore e sporadicamente attore, autore di colonne sonore e di fumetti. Si occupa inoltre di lessicologia, lessicografia, glottologia, etimologia, dialettologia, traduzione, teatro ed è autore di canzoni per altri interpreti. Guccini viene ritenuto, insieme a Fabrizio De André, uno degli esponenti di spicco della scuola dei cantautori italiani in quanto racchiude in se stesso le principali peculiarità presenti in questo movimento. I testi dei suoi brani vengono spesso assimilati a componimenti poetici, denotando una familiarità con l'uso del verso tale da costituire materia di insegnamento nelle scuole come esempio di poeta contemporaneo. Oltre all'apprezzamento della critica, Guccini riscontra un vasto seguito popolare, venendo considerato da alcuni il cantautore "simbolo", a cavallo di tre generazioni. Fino alla metà degli anni ottanta ha insegnato lingua italiana al Dickinson College, scuola off-campus, a Bologna, dell'Università della Pennsylvania. Ha anche lavorato come docente presso la sede bolognese della John Hopkins University (Washington, DC, USA). Guccini suona la chitarra acustica, e la maggior parte delle musiche da lui composte ha come base questo strumento. Nella sua attività quasi ventennale di scrittore ha pubblicato diversi libri; ha collaborato alla stesura, assieme ad altri autori, di scritti di saggistica e narrativa, interessandosi a svariate tematiche, fra cui quelle relative ai diritti civili (occupandosi del caso di Silvia Baraldini) e all'arte del fumetto, firmando la sceneggiatura di Storie Dello Spazio Profondo, disegnate dall'amico Bonvi, pubblicate a partire dal 1969 sulla rivista Psyco e in seguito ristampate dalla Mondadori e da altri editori. Guccini si è prestato con buoni riscontri allo "scibile cartaceo" in tutte le sue forme, con degli interessanti excursus nel genere Noir (con Loriano Macchiavelli ha creato il personaggio del maresciallo Benedetto Santovito), oltre a una trilogia di scritti autobiografici, ove spiccano le sue capacità di etimologo, glottologo e lessicografo. Croniche Epafaniche, pubblicata da Feltrinelli nel 1989, è stata una delle sue opere più importanti. Il romanzo, pur non essendo una biografia dell'autore, diventa autobiografico per la tendenza di Guccini a volersi riappropriare le sue radici. Caratterizzato da un buon successo di critica e di vendite, il romanzo è ambientato in montagna e riprende una cultura di contadini ormai in via di sparizione. Sono stati dei best seller anche i suoi due romanzi successivi, Vacca d'un cane e Cittanova blues, entrambi riguardanti i diversi periodi della sua esistenza. Se, infatti, Croniche Epafaniche racconta l'infanzia di Guccini, il periodo bucolico e lo «stupore degli anni puri», l'utopia della bella Pavàna lontana dalle realtà infernali della seconda guerra mondiale, Vacca d'un cane narra del periodo successivo, quello in cui un Guccini adolescente ormai stabilmente a Modena (città da lui mai veramente amata) scoprì di non essere "uno tra tanti", ma contemporaneamente diventò cosciente di come la provincialità della sua città natale massacrata dalla guerra, sarebbe stata un ostacolo per la sua crescita intellettuale. Infatti, si trasferì presto a Bologna, che rappresentò la scoperta del mondo, l'illusoria utopia, il sogno americano. Ed è quest'ultimo capitolo che è narrato nelle vicende di Cittanòva Blues, che va a chiudere la trilogia autobiografica. Nel 1998 Guccini pubblica il Dizionario del dialetto di Pàvana, la città della sua infanzia, nel quale si può notare tutta la sua capacità di dialettologo e traduttore. Diverse altre opere sono successivamente venute alla luce in collaborazione con Machiavelli. I gialli scritti con lui a quattro mani narrano principalmente delle storie del maresciallo Santovito, diventato un personaggio di punta del giallo italiano, e acquistano dall'affermato giallista i toni classici di questo tipo di opera. L'influenza di Guccini si nota invece per quanto riguarda la forma della narrazione, la capacità di creare una raffinata costruzione nell'ambientazione storica, le peculiarità linguistiche che ne hanno decretato il successo anche nel mondo della narrativa.

Terminiamo con un autore che da sempre seguo e di cui ho letto tutto il pubblicato (anche se ultimamente un po’ più diradato).

Massimo Carlotto “Niente, più niente al mondo” E/O euro 7 (in realtà scontato 5,60)

Breve e tagliente. Un pugno nello stomaco! Da sempre come detto seguo Carlotto, sin dalle sue intricate vicende giudiziarie (vedi bio). Ma soprattutto, ritengo che sia il primo serio scrittore italiano che, coscientemente, abbia utilizzato il giallo come metafora della vita quotidiana. E ritengo il suo Alligatore il primo vero serial investigatore italiano. Qui, in questo veloce scritto, espresso in forma di monologo, se la prende con i guasti della vita moderna, che attraverso l’esibizione di miti e falsità (la televisione, il benessere ostentato, e via discorrendo), portano la protagonista verso una follia, neanche tanto lucida che coinvolge e strazia chi le sta intorno, dal marito cassaintegrato e poi riciclato in un sotto lavoro alla figlia che vorrebbe vivere una vita normale, anche sotto le righe, senza nessun anelito al “successo”. Sullo sfondo la Torino dei quartieri operai che operai non sono più. L'arrivo e la difficoltà di convivenza con gli extracomunitari. La mancanza di lavoro. La totale assenza di prospettive di vita di "qualità": la pensione, la difficoltà di sbarcare il lunario quando non si è più produttivi. L'essere consumatori, comprare per essere vivi. L'assenza di strumenti culturali per opporsi allo squallore dell'esistenza. La tv modello e unico sbocco e sfogo. La frase del titolo, che ritorna come un tormentone a sancire l'immodificabilità di un destino ormai segnato, è un verso di Il cielo in una stanza, la canzone di Gino Paoli che ha fatto da colonna sonora al matrimonio della protagonista, quando il futuro era pieno di promesse e l'amore sembrava ancora possibile. Ma ora per la madre sembra possibile solo un mondo di veline e tronisti. Amaro, cupo e senza consolazione. Poi ci vuole un bel po’ di cioccolato per ristabilire un giusto tasso di dolcezza.

Massimo Carlotto (Padova, 22 luglio 1956) è vive e lavora a Cagliari. Carlotto è stato al centro di uno dei casi giudiziari più controversi della storia italiana. Il 20 gennaio 1976 viene uccisa a Padova, nella sua abitazione, una studentessa venticinquenne, Margherita Magello, con 59 coltellate. Massimo Carlotto, diciannove anni, studente e militante di Lotta Continua, scopre casualmente la vittima, insanguinata e morente e si reca dai Carabinieri per raccontare il fatto; viene fermato, arrestato e imputato di omicidio. Nel primo processo viene assolto per insufficienza di prove dalla Corte d'Assise di Padova, ma viene condannato a 18 anni di reclusione dalla Corte d'Assise d'appello di Venezia, e la pena viene confermata dalla Corte di Cassazione, nel 1982. Fugge, prima in Francia e poi in Messico, ma dopo tre anni di latitanza viene catturato dalla polizia messicana e torna in Italia. Nel 1989 la Cassazione ordina la revisione del processo, e rinvia gli atti alla Corte di Appello di Venezia, che il 22 dicembre 1990 pone una questione di legittimità costituzionale: la sentenza della Corte Costituzionale arriva il 5 luglio 1991, ma nel frattempo il presidente del Collegio rimettente è andato in pensione ed è necessario un secondo giudizio, nel quale Carlotto viene condannato a 16 anni. L'opinione pubblica si attiva a favore di Carlotto, e nel 1993 il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro gli concede la grazia. Ha iniziato la sua esperienza letteraria con “Il fuggiasco” (1995), autobiografia romanzata sul suo periodo di latitanza. Dal libro è stato tratto nel 2003 un film, diretto da Andrea Manni, con Daniele Liotti. Il personaggio più conosciuto della produzione letteraria di Carlotto è sicuramente l'Alligatore, alias Marco Buratti, detective privato sopra le righe che, in modo non sempre legale, vive fino in fondo i casi in cui si ritrova coinvolto. I libri che compongono la saga dell'Alligatore sono: “La verità dell'Alligatore” (1996), “Il mistero di Mangiabarche” (1997), “Nessuna cortesia all'uscita” (1999), “Il corriere colombiano” (2000), “Il maestro di nodi” (2002, con cui si è aggiudicato il Premio Scerbanenco). Nel 1998 ha dato alle stampe “Le irregolari”, romanzo autobiografico in cui viene raccontata sotto forma di romanzo la guerra civile e la repressione argentina degli anni settanta. Nel 2001 esce quello che secondo la critica è forse il miglior romanzo di questo autore, il noir “Arrivederci amore ciao”. Nel 2001 ha scritto anche il racconto per ragazzi “Jimmy della Collina”, sulle carceri minorili. L'anno dopo ne ha scritto un altro, “Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel”, sui figli dei desaparecidos. Nel 2004 ha pubblicato “L'oscura immensità della morte”.

Sperando che questa non sia una settimana gialla, ma di colori più ameni.

Buona settimana a tutti

Giovanni

domenica 9 novembre 2008

Risate (ma non tante)

Questa settimana cerchiamo di essere lievi, passando per alcuni libri che, genericamente, potrebbero essere definiti comici, anche se le risate, a volte, sono un po’ a denti stretti. Forse sarà anche per il momento mio, comunque, non riesco a ridere così come forse qualche passo avrebbe meritato. In fondo, non mi sono piaciuti tanto. Il primo è proprio un divertissement, un po’ troppo Zelig, il secondo mi ha fatto arrabbiare per le scelte editoriali che sottendente, il terzo promette promette ma non mi sembra mantenere tantissimo.

Ma andiamo con ordine. Cominciando da un libro che parte dichiaratamente comico.

Fabio Bonifacci “Amore, bugie & calcetto” Mondadori s.p. (uno dei rari libri in prestito)

La scenografia rivista e rimaneggiata dell’omonimo film di Lucini. Non ho visto il film, questo è un “divertissement”. Scorre leggero e senza peso per tutte le più di 200 pagine. Certo non è proprio tutto sballato. Alcune cose sull’amicizia e sul rapporto con i figli non sono proprio da cestinare tout court. Forse i personaggi escono caratterizzati solo dal fatto che qualcuno, avendo visto il film, li associa agli attori, ai Bisio e compagnia, e questo da loro uno spessore che sulla carta non hanno. Mette alla berlina anche la passione italica del calcio e il suo essere ormai metafora della vita (così come vorrebbe convincerci il nostro abbronzatissimo Silvio). Ma non è così. C’è altro. C’è altro? Questo è anche un dubbio che assale, se ormai il nostro mondo non sia ridotto ad una dimensione in cui le cose più genuine si esprimono in un mini campo dove qualche scalmanato corre a perdifiato. Nello specifico si racconta con realismo la vita di un gruppo di uomini e donne perfettamente contemporanei. Vittorio è un cinquantenne imprenditore che si costruisce una giovinezza a colpi di Viagra e anabolizzanti, sino a rubare la ragazza al figlio, che gioca con lui. L'ex moglie Diana, ne approfitta per regolare vecchi conti. Silvia è una giovane archeologa che ha dovuto abbandonare il suo amato lavoro per seguire i figli. A unire le diverse storie ci pensa la legge del calcio di periferia, "in campo come nella vita", che lega il rendimento della squadra alle disavventure sentimentali dei protagonisti. Infine anche il ruolo della donna a volte ne esce un po’ in calando. Sembra solo riscattarsi nel rapporto tra Lele e Silvia. Ma non è dipinto in modo un po’ sempre dalla parte del maschio? A me pare purtroppo di si.

“perché Piero, come i grandi filosofi e i matti, pensava meglio camminando”

Poche le notizie che ho trovato di Fabio Bonifacci, se non che, principalmente, è uno sceneggiatore cinematografico: ha firmato “E allora Mambo”, “Tandem”, “Ravanello pallido”, “E’ già ieri”, “Notturno Bus”, “Lezioni di cioccolato” e “Amore, Bugie & Calcetto”. Sono in preparazione “Si può fare” e “Diverso da Chi?”. È anche autori di libri, avendo pubblicato insieme a Enrico Bertolino “Ho Visto Cose..." (2003) e "Quarantenne Sarà Lei (2005).

Il secondo, pur dell’in generale buon Bennett, mi ha un po’ deluso.

Alan Bennett “Una visita guidata” Adelphi 5,50 (in realtà scontato con Feltrinelli +, euro 5)

Questa volta devo criticare l’operazione Adelphi. La collana della “Biblioteca minima” ha prodotto libretti interessanti (e ne ho parlato). Storie minime, scordate e ritrovate. Qui, invece, parliamo di un discorso pronunciato da Bennett quando prende l’incarico di sovraintendente alla National Gallery di Londra. Certo, alcuni spunti sono i suoi, ironici, spiazzanti, comunque gradevoli. Cito a memoria la zia del romanziere Samuel Butler che, avendo scambiato il quadro degli sposi Arnolfini di van Eyck per un'Annunciazione, si stupì della bizzarra idea di mettere il cappello allo Spirito Santo. La scoperta che nell'austero e ieratico Battesimo di Cristo di Piero della Francesca una figura sullo sfondo si toglie con inattesa naturalezza la camicia, trovando rasserenante il fatto che anche cinquecento anni fa ci si togliesse la camicia proprio come facciamo noi oggi. Ma tutto cade se si pensa che questo “pesce pilota” serve a tirare la volata al libro più corposo, sempre di Bennett presso Adelphi, in cui parla di una visita in Galleria della regina. Insomma, 5 euro che potevano essere spesi in altro. Quando mi scontro con l’industria editoriale rivaluto ogni volta scrittori indipendenti, tipo il collettivo Wu Ming, che poi pubblica i suoi libri ANCHE gratis su Internet. Riparliamone.

“Non deve per forza piacerti tutto”

“a volte, leggendo … ci imbattiamo in un pensiero o in un sentimento che abbiamo provato anche noi: però non ne avevamo mai parlato con nessuno, credendo che si trattasse di un fatto personale. Poi lo troviamo lì nero su bianco, ed è come se l’autore ci avesse teso la mano”.

Dei libri di Bennett ho parlato nel dicembre 2006, ma saltai la bio. Alan Bennett nasce vicino a Leeds il 9 maggio 1934 (un toro!). Lì frequenta le scuole medie, studia russo e vince una borsa di studio per Cambridge. Ma per seguire i capricci del cuore decide invece per Oxford, dove si laurea in storia. Durante l’università inizia a scrivere commedie, che vengono rappresentate alla Oxford Revue. Resta ad Oxford per diversi anni, insegnando Storia Medioevale, finché non decide che non è quella la sua strada. Ed improvvisamente, a 26 anni, ha un colpo di notorietà quando appare con Dudley Moore nella commedia satirica Beyond the Fringe. Comincia allora a fare l’attore, anche in televisione. Si dedica a pieno alla carriera di scrittura con il suo primo lavoro solitario Forty Years On del 1968. Non solo, nei primi ’90 passa anche dietro la macchina da presa, adattando per il cinema il suo lavoro “La pazzia di Re Giorgio”. Da allora continua alternando cinema, teatro e racconti. Nel 2005, in “Untold stories”, dichiara apertamente sia la sua omosessualità sia di essere sopravvissuto ad un trattamento chemioterapico dieci anni prima. Da più di 30 anni viva a Camden Town a Londra.

Il terzo, adombra cose e situazioni che sono (sono diventate) drammatiche nel nostro ed in altri paesi. Una discreta lettura, ma sull’argomento ho letto e visto cose più reali e graffianti.

Daniele Scaglione “Centro permanenza temporanea vista stadio” E/O euro 12,50 (in realtà, scontato 10 €)

L’ho messo tra i “comici” perché ha qualche spunto di sorriso e, d’altro canto, non mi sembrava inseribile nelle grandi tematiche islamiche. Il messaggio è pur ben chiaro, da uno che i CPT e l’altro, lo vedono e non con pietismo. Alcuni bozzetti sono efficaci (gli iraniani che guardano il calcio, gli africani che lo giocano scalzi, l’aria opprimente del CPT, l’aria di Torino). Altri sono volutamente inseriti a forza. L’avvocatessa d’origine argentina, la dottoressa buona, il guardiano tifoso del Torino. Insomma, una sufficienza piena, ma senza punte di eccellenza. Anche perché la storia è fragile. Due iraniane dirette a Lione, la giovane Sharmin e sua madre che cercando di raggiungere il padre/marito in Francia transitano senza documenti in Italia e finiscono in un Centro di permanenza temporanea (Cpt) nei pressi di Torino. Questa situazione improbabile permette a Sharmin, fanatica di calcio, di conoscere il paese di Totti. La vicenda (troppo buonista?) ha sì, qualche accenno di violenza, ma rimane ai margini di un mondo che forse non è perfetto, ma è meglio di quello reale.

Daniele Scaglione (Torino, 1967), vive a Roma. Laureato in fisica, è poi passato a impegnarsi in tutt’altri campi. Ha lavorato in Fiat, successivamente nel mondo della cooperazione - in particolare quella sociale - dove è tuttora impegnato. Si occupa di comunicazione e formazione professionale sui temi della leadership, dell’organizzazione del lavoro e del conflitto interpersonale. Dal 1988 è socio di Amnesty International, della cui Sezione Italiana è stato presidente dal 1997 al 2001. È socio inoltre dell’associazione culturale Castalia di Bologna, attiva nel campo della sperimentazione in ambito formativo. Collabora con il settimanale Vita. Suoi articoli sono stati pubblicati sull’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore, e inoltre sul Corriere della Sera, L’Unità, il Manifesto, Avvenimenti, Avvenire, Il Mattino, Il Diario della settimana, Linus.

In fine, avendo saltato l’elenco dei libri del mese, rimedio proponendovi quello di agosto, ritornato dal Perù.









































































































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Autore


Titolo


Editore


Euro


1


Luis Leante


Guarda come ti amo


Feltrinelli


s.p.


2


Fabio Bonifacci


Amore, bugie & calcetto


Mondadori


s.p.


3


Alan Bennett


Una visita guidata


Adelphi


5,50


4


Milena Agus


Il vicino


Corti di Carta


3,50


5


Andrea Camilleri


La tripla vita di Michele Sparacino


Corti di Carta


3,50


6


Gianni Mura


Giallo su giallo


Feltrinelli


7,50


7


Massimo Carlotto


Niente, più niente al mondo


E/O


7


8


Carlo Lucarelli


Ferengi


Corti di Carta


3,50


9


Roberto Vecchioni


Il libraio di Selinunte


Einaudi


7


10


Norberto Bobbio


De senectute


Einaudi


10,50


11


Rosa Matteucci


Lourdes


Adelphi


9


12


Milena Magnani


Il circo capovolto


Feltrinelli


12,50


13


Giorgio Scerbanenco


I ragazzi del massacro


Repubblica Noir Italia


7,90


 

Ora tutto pare tornare nel suo solco abituale.

Buona settimana

Giovanni

lunedì 3 novembre 2008

Un ritorno ai gialli italiani

Come avevo preannunciato, un giorno di ritardo perché mi sono concesso un lungo fine settimana nell’Europa del Nord. Avremo tempo di parlare di questa nuova città, che mi ha colpito per tanti motivi: i luoghi, la compagnia, l’aria giovane che si respira, l’aria letteraria che pervade il fiume e i parchi, il salmone sul piatto e la Guinness che scorre a fiumi (avete indovinato dove sono stato?). Per ora torniamo alle nostre trame e dal verde viriamo sul giallo. Un giallo italiano, che, in definitiva, non mi ha soddisfatto moltissimo.

Cominciamo con l’autrice quella che in fondo un po’ mi è piaciuta.

Linda Di Martino “L’incidente di Via Metastasio” Mondadori euro 3

Premio Tedeschi per il libro giallo nel 1996. Si tratta di un libro ben datato, ma di un poliziesco decente, e soprattutto ambientato a Firenze. Non è indimenticabile, a parte la simpatia verso l’improvvisato investigatore. Certo colpito dal fascino della bella Elettra che vuole indagare sulla morte del marito. Tanti potrebbero beneficiare di questa morte. Ma come si può pensare ad un omicidio quando si va a sbattere con la macchina su di un palo a via Metastasio? La scrittura scorre veloce, i personaggi più o meno, ci sono. Si vede che era una bella mano. Peccato (come si leggerà sotto) che l’autrice sia morta da un paio di anni. Comunque un bell’accompagnamento per un pomeriggio sotto l’ombrellone. Ed una frase per i miei amici toscani

“La libreria Seeber è come l’antro dei tesori (…). Da Seeber, comodamente disposto, mi sono letto ogni libro che mi interessava almeno fino alla metà: è mia usanza non tirarmi mai in casa un perfetto sconosciuto, che potrebbe deludermi o tradirmi; un libro, una volta entrato, non lo puoi mettere all’uscio come un umano qualsiasi”

Linda di Martino è morta a Firenze il 7 dicembre 2006, dopo una lunga malattia. Era nata ad Aversa il 7 dicembre 1937. Dopo alcune peregrinazioni della famiglia (Grado, Foligno e Città di Castello), la Di Martino arriva a Firenze nel 1958. Frequenta l’Università e si laurea discutendo una tesi di archeologia. Insegna alle medie e alle superiori. Va in pensione dopo trent’anni di lavoro. Sale alla ribalta nel 1987 vincendo il Premio Tedeschi, che le vale la pubblicazione del romanzo “Troppo bella per vivere” nel Giallo Mondatori, meta ambita, a quel tempo, per tutti gli autori di genere. Un’indagine difficile, ambientata a Firenze, che vede impegnato un tenente dei carabinieri. Nel 1996, vince nuovamente il Premio Tedeschi, unico autore ad ottenere tanto, con il romanzo “L’incidente di via Metastasio”, che ottiene ancora la pubblicazione nel Giallo Mondatori. Il terzo romanzo “Isola Sempre” appare invece con un piccolo editore: Carlo Zella di Firenze. Palcoscenico della storia l’isola di Capri e, scelta insolita, l’investigatore è un quindicenne, un liceale incuriosito dalla scomparsa in mare della madre di una sua compagna di scuola. Per l’editore Pagnini scrive un giallo a quattro mani, con Alberto Eva, dal titolo “Citofonare Daniela o Cecilia”. Nel 2003 Linda Di Martino approda a Pitigliano dove opera con successo in un’altra piccola casa editrice. E’ la Laurum di Davide Bisconti. Il romanzo s’intitola “La donna d’oro” ed è ambientato nel ghetto di Firenze. Partecipa con racconti all’”Almanacco del giallo toscano” e alle antologie “Toscana delitti e misteri” e “Delitti per ridere”, editi da Carlo Zella, “Cronache di delitti lontani” (Hobby e Work) e “Giallo di Maremma” (Editrice Laurum). Sempre nel 2003, le viene assegnato il Fiorino d’Oro nell’ambito del Premio Firenze. Da Laurum, viene nel 2005 pubblicato “Malakos – la vetta dei misteri”, un mistero classico in cui Linda Di Martino mostra tutte le sue capacità.

Anche del secondo una breve trama per un libro che mi è piaciuto meno.

Nello Rossati “La valle delle Baccanti” Mondadori euro 3

Premio Tedeschi 1997. Anche qui un giallo italiano un po’ datato, ma di fattura gradevole. Un giro tra i telefoni erotici, immigranti dell’est e quelli che cercano di uscire di “giri cattivi”. Aggirandosi per la vecchia valle una volta dedicata ai culti antichi, ora nota per lo più per la pista automobilistica di Vallelunga (dalle Baccanti al Baccano…). Non è il massimo, e si sente la mano dello sceneggiatore piuttosto che dello scrittore. La scrittura scorre, sotto la canicola, e ti porta alla fine con un bel the freddo in mano. Niente di più (ma a volta basta).

Non molte le notizie letterarie sul regista Nello Rossati, anche se dai suoi film si capisce che conosce bene il mondo descritto nel libro. Nasce ad Adria, il 15 luglio del 1942, sposato e separato con due figlie. Dopo aver cominciato come attore e regista teatrale, il suo primo film, “Bella di giorno, moglie di notte” (1971), pruriginosa storia di una moglie che per arrotondare si prostituisce, ottiene un buon successo di pubblico, tanto che ne ripropone subito formula e protagonista (Eva Czemerys) nel successivo “La gatta in calore” (1972), concedendo qualcosa in più al voyeurismo, anche grazie alla fotografia di A. Massaccesi, futuro campione del soft e hardcore italiano. Gira poi diversi film che già dai titoli cercano di solleticare la morbosità del pubblico: da “Buona parte di Paolina” (1973) a “L’infermiera” (1976), che fa centro grazie al sex appeal di Ursula Andress. Va ricordato, se non altro per il titolo, “Io zombo, tu zombi, lei zomba” (1979), con R. Montagnani e N. Cassini trasportati dalle commedie erotiche in una sgangherata farsa horror, oltre a “I figli non si toccano” (1978), “Le Mani di una donna sola” (1979), “Una donna di notte” (1979) fino all’ultimo “Django 2 - Il grande ritorno” (1987), con F. Nero, il quale dopo più di vent’anni e quattro sequel con altri protagonisti, si riprende il personaggio che lo aveva lanciato. Poi sembra scomparire dal cinema e dedicarsi alla scrittura.

Finiamo così con quello che non solo non mi è piaciuto, ma in fondo, mi ha un po’ deluso.

Gianni Mura “Giallo su giallo” Feltrinelli euro 7,50 (in realtà scontato 5,63)

L’idea sembrava promettente: un poliziesco ambientato al Tour de France. Scritto poi da uno che di Tour e di ciclismo sicuramente ne capisce. Ma poi che succede? Cominci a leggere e scopri che più di metà del libro è riempito dalle cronache, reali, del Tour di France del 2005. Certo i nomi sono cambiati (ma anche un bambino sgama subito che Sheldon e Armstrong sono la stessa persona), ma il resto è proprio la serie di articoli pubblicati su Repubblica. Certo ci sono dei morti. E c’è anche un commissario ridancianamente battezzato Jules René Magrite (a metà strada tra Jules Maigret e René Magritte). Allora, ti aspetti almeno che il poliziesco avvinca, copra il tutto di mistero. Purtroppo non succede. Resta una descrizione da back stage delle corse, con i suiveur, i supporter, i giornalisti e le miss. Basta per farne un libro che poi prende anche dei premi? Comincia a dubitare sempre più delle cose che mi circondano, e soprattutto, di questo mondo editoriale che solleva interrogativi sempre più alti. Esiste qualcuno corretto? Rimane solo una frase, per chi ha studiato in Francia.

“ci ho dormito un mese a Tours, una mansarda al quarto piano senza ascensore … Ho lavato i piatti … sono entrato vestito in una fontana … mi avevano detto che il miglior francese si parla in Touraine e mi ero iscritto ad un corso estivo… a quei tempi scrivevo cazzate per dimostrare la padronanza della lingua … ‘un tour autour des tours des Tours’, cui rispondeva inquietante il professor Certin ‘Constant ta tante t’attend dans ta tente’"

Gianni Mura nasce a Milano nel 1945. Dopo gli studi classici, si iscrive alla facoltà di Lettere Moderne e nel 1964 inizia a lavorare alla Gazzetta dello sport. Giornalista professionista dal 1967, ha scritto anche per il Corriere dell'informazione, Epoca e L'Occhio. Dal 1976 collabora con il quotidiano La Repubblica, su cui tiene ogni domenica, e per tutta la durata del campionato di calcio di serie A, la rubrica intitolata "Sette giorni di cattivi pensieri". Da quasi quarant’anni, poi, durante il mese di Luglio, segue il Tour de France. Sull'allegato Il Venerdì si occupa invece di recensioni enogastronomiche insieme alla moglie Paola. Purtroppo simpatizza per l'Inter.

Rimesse in riga le trame, ora andiamo ad affrontare una settimana impegnativa

Giovanni