domenica 14 aprile 2019

Donne di (alto) gradimento - 14 aprile 2019


Ann Patchett “Corri” TEA euro 8,60 (in realtà, scontato a 7,31 euro)
[A: 04/05/2016 – I: 16/08/2018 – T: 18/08/2018] - &&& +
[tit. or.: Run; ling. or.: inglese; pagine: 284; anno 2007]
Pensavo che le cure delle mie dottoresse malate di libri si riferissero a quella brutta malattia chiamata razzismo. Invece no, anche se qualcosa c’entra, il maggior interesse cui viene sottoposto il libro riguarda il tema delle adozioni. Anche se poi, su questo tema, l’autrice imbastisce tutto un suo mondo dedicato ai rapporti. Rapporti tra adulti, rapporti tra giovani, rapporti tra giovani e adulti. Ma prima di entrare nel merito, due parole sullo stile. Si sente, dallo scorrere del testo, dalla presa delle parole, che la Patchett ha lavorato a lungo nel mondo della carta stampata, pubblicando articoli per una decina d’anni su settimanali e mensili. Una scrittura fluente, anche se, passando dal giornalismo al romanzo, ogni tanto si nota qualche intoppo: un passaggio a volte brusco di scena (da un ospedale ad una casa di riposo, dalla stanza di Tip al suo laboratorio). Il romanzo in sé è articolato in un mini-prologo ed un mini-epilogo, intervallati dal corpus di più di 200 pagine che descrive 24 ore nella vita della famiglia Doyle, e di alcuni personaggi al contorno. La famiglia è composta da Bernard, il padre, sessantenne ex-sindaco di Boston (ed a Boston si svolge tutta la trama), cui una quindicina (o poco più) di anni prima è morta la moglie Bernadette, entrambi eponimi di famiglie irlandesi, cattolici e devoti. I due hanno un figlio, Sullivan, che all’epoca della storia ha una trentina d’anni. Colpito dalla morte della madre, non riesce mai ad avere un buon rapporto con il padre, che in lui sperava per “onori e glorie”, così come spesso fanno i padri con i figli. I due rompono definitivamente quando, guidando ubriaco, Sullivan ha un incidente di macchina dove muore la sua fidanzata Nathalie. Per coprirlo, Bernard inventa una complicata menzogna, che però mette fine alla sua carriera politica. Sullivan allora si allontana sempre più. E qui lo ritroviamo tornante da un lungo soggiorno in Africa, dove si è dedicato ad affari poco chiari. La coppia Doyle, quattro o cinque anni prima della morte di Bernadette, adotta un bambino negro, Teddy. Ma per farlo, la madre naturale chiede loro di prendersi cura anche del fratello di lui, Thomas detto Tip, di soli quattordici mesi. Così i due si trovano ad avere una coppia di ragazzi coloured da crescere. Che poi crescerà Bernard da solo, riversando su di loro le aspettative che Sullivan ha deluso. Ma anche i due decidono di avere delle strade proprie. Tip si appassiona all’ittiologia, e, benché studente in medicina, passa tutto il suo tempo a studiare e catalogare i pesci. Teddy, più solare, e sempre con la testa tra le nuvole, trova i suoi momenti migliori andando a trovare il vecchio zio, il padre Sullivan, malato ed avviato ad una serena vecchiaia, pur contrappuntata da momenti di intensa religiosità. Bernard, pur non più sindaco, si appassiona sempre alla politica ed ai diritti civili, costringendo Tip e Teddy ad accompagnarlo in tutte le riunioni ed i dibattiti pubblici. Questo sarà l’elemento scatenante del libro: all’uscita da una conferenza di Jesse Jackson, Tip sta per andare sotto un SUV ma viene salvato da una donna, Tennessee, che viene investita al suo posto. Tip ha solo una slogatura, mentre Tennessee viene ricoverata in gravi condizioni all’ospedale. L’intrigo è che Tennessee ha con sé una ragazza undicenne di nome Kenya, e dalle parole di Kenya veniamo a sapere che Tennessee potrebbe essere la madre naturale di Tip e Teddy. E quindi Kenya ne è la sorellastra. Tutto il romanzo si costruisce intorno a questo intreccio. Ai sentimenti tra i ragazzi, ai dubbi di Bernard, ai rapporti con Dio e con gli uomini di padre Sullivan. Alle maturità della stessa Kenya, ed alla sua bravura nella corsa (da cui il titolo). Rimarranno dei dubbi se sia Tennessee la madre dei tre ragazzi negri, o se qualcuno di loro sia invece figlio della sua amica Beverly. Ma non è questo che importa. Noi seguiamo la crescita esponenziale della maturità di ognuno in queste 24 ore cruciali. E ne seguiremo l’epilogo nel breve capitolo di 4 anni successivo, dopo che Tennessee muore in ospedale ed anche Kenya entra a far parte della famiglia Doyle. Le cose migliori sono però proprio i rapporti che si instaurano tra Tip, Teddy e Kenya. E nei pensieri del fratello maggiore, unico bianco in questa famiglia allargata. Un’America come ci piacerebbe fosse, e come mi piacerebbe potesse essere ovunque. Senza barriere di colori, ma solo con le persone e con le loro personalità. Purtroppo, credo che sia una visione un filo utopistica e buonista, che abbia poco riscontro nel reale. Ma la speranza, anche in noi anziani come Bernard, non viene mai meno. Ci sarà, io spero ancora, un mondo migliore per tutti. Intanto, rallegriamoci che, almeno sulla carta, qualcosa c’è. Anche se poi, nel finale, non tutto va o andrà verso lieti fini che sfortunatamente non sono (ancora) di questo mondo.
Katherine Pancol “Gli occhi gialli dei coccodrilli” Bompiani euro 12 (in realtà, scontato a 7,50 euro)
[A: 24/08/2016 – I: 19/11/2018 – T: 25/11/2018] - & e ½
[tit. or.: Les yeux jaunes des crocodiles; ling. or.: francese; pagine: 614; anno 2006]
Avendo approfittato dell’offerta prendi 2 e paghi 1 presso il mio Mondadori a Cola di Rienzo, e dovendo decidere il secondo libro, ho pensato di rivolgermi ad uno ritenuto di successo, per capire anche com’è questo successo, quali meccanismi innesca, se mi trovo o meno d’accordo. Intanto, cominciando dalla fine, il libro della francese Pancol non mi è piaciuto, né mi ha coinvolto in maniera particolare. Certo, ha un intreccio a scatole cinesi, dove ogni tanto succede qualcosa che manda tutto all’aria (o quasi). Ma molte vicende sono al limite della proponibilità. Le uniche cose sensate che vengono in mente è che, se ci fosse un bravo regista, ne potrebbe tirar fuori una serie tv, visto proprio che l’impianto è di quelli “guarda che succederà dopo la pubblicità”. La seconda è che, non so se per merito dell’autrice o dei suoi editor, questo ed i suoi seguiti hanno titoli accattivanti. Infatti, il presente testo è il primo di una trilogia, che prosegue con “Il valzer lento delle tartarughe” e “Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì”. Ma passando dal titolo al testo, il romanzone è una lunga cavalcata in un universo femminile, con diversi personaggi ben delineati, e qualche maschio che farebbe bene (come fa) a togliersi di torno. Al centro c’è Josephine, studiosa del Medioevo, brava nel suo lavoro bibliotecario, assolutamente incapace di gestire i rapporti con gli altri. Con la madre Henriette, che la odia imputandole il mancato successo nella vita. Con la sorella Iris, quella amata, fortunata, un po’ vanesia, sposata con Philippe (ma non so se ben maritata). Con le figlie Hortense, 14 anni, piccola e meravigliosa serpe, assolutamente centrata su sé stessa, e Zoé, 10 anni, adorabile, che mitizza la sorella ed è l’unica a stare sempre dalla parte della madre. Infine, c’è la vicina di casa, Shirley con il figlio Gary, una spalla su cui appoggiarsi per Josephine, ma che nasconde una tonnellata di segreti (che scopriremo nel corso del romanzo, ma di cui non dico più nulla qui). Josephine è sposata con Antoine, da mesi disoccupato, di quelli che rifiutano il lavoro perché non all’altezza del proprio talento. Antoine ha anche un’amante, la morbida Mylène disposta a tutto perché abbagliata dalle sue parole. Il libro inizia con la prima ribellione di Josephine che, stufa dell’ignavia di Antoine, lo caccia finalmente di casa. Da qui parte tutto il filone di Antoine, che seguiamo a spezzoni vari, che va a vivere con Mylène, che per riscattarsi accetta il posto di gestore di una riserva di coccodrilli in Africa (quelli del titolo), dove va a vivere con la sua amante. Riserva gestita da cinesi cattivi che non lo pagano. Africa dove Mylène troverà una sua dimensione autonoma. E dove… beh questa parte leggetela. Intano Josephine è coinvolta in una specie di truffa dalla sorella. Iris ad una cena, per farsi bella agli occhi di un convitato, la spara grossa: sta scrivendo un libro. È un falso, e quando il tizio le dà corda, Iris non trova di meglio che coinvolgere la sorella in una truffa: Josephine scriverà il libro e prenderà tutti i soldi che ne verranno fuori, Iris (che tanto i soldi ne ha) lo firmerà così da non perdere la faccia. Come qualcuno ha scritto, alla fine sembra un romanzo ricorsivo: un libro, che parla di un libro che diventa un best seller, diventa un best seller. Ovvio che Josephine, a parte i soldi che riceve, viene rosa dalla delusione di non veder mai riconosciuto il suo talento. Quando era sposata, il marito prendeva le lodi e lei faticava. Ora scrive un libro, ed ugualmente rimarrà nell’ombra. La sua imbranataggine fa una grande rabbia, tanto che a volte verrebbe da dire che se la merita. Sarebbe carino tirar fuori anche le altre storie del libro, quella di Luca, ad esempio, di Marcel, di Josiane, insomma di tutta la miriade di persone che occupano le più di 600 pagine. Ma farei un cattivo servizio a chi ne volesse davvero leggere. Io per me, la finisco qui. L’ho letto, ed una settimana è stata sufficiente a riempire alcuni spazi vuoti, a farmi contento dei momenti in cui i buoni hanno la loro rivincita (in fondo a me gli “happy end” piacciono). In particolare, mi ha coinvolto molto il rapporto amore/odio tra Josephine e Hortense, che mi ha rimandato a tanti rapporti conflittuali madre-figlia. Sperando che siano tutti buonisti come la nostra Katherine, lascio la lettura a chi ne voglia. Alla fine, benché scorra facile, rimarrà credo isolato, e non credo che passerò né alle tartarughe né agli scoiattoli.
“Quando non sai dove vai, fermati e guarda da dove vieni.” (83)
“C’è gente che non si fa mai domande, che vive con gli occhi chiusi e non trova mai niente.” (113)
“Non è che dobbiamo raccontarci sempre tutto quanto! L’amicizia è fatta anche di silenzi.” (270)
“La felicità si riconosce dal rumore che fa quando se ne va via.” (572)
Donatella Di Pietrantonio “Bella mia” Einaudi euro 12 (in realtà, scontato a 7,80 euro)
[A: 12/03/2018 – I: 01/01/2019 – T: 04/01/2019] - &&& +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 182; anno 2018]
Una lettura atipica e fuori sequenza, originata dal tentativo, per ora inorganico e poco riuscito, di dare spazio anche a letture di attualità. Visto che con le letture organizzate siamo ancor ad alcuni libri acquistati nel … 2016. Dicevo tentativo poco riuscito perché non riesco a trovare spunti di lettura che mi convincano. Ho così acquistato alcuni libri, di cui questo è l’ultimo della serie, sulla base delle migliori vendite dell’anno passato (questo in particolare è stato tra i più venduti tra i tascabili nei mesi di febbraio e marzo 2018). Per venire al libro, ed alla autrice, Di Pietrantonio è una scrittrice di cui avevo letto il primo libro (“Mia madre è un fiume”) ben sei anni fa, trovandolo, seppur incompiuto in alcuni punti, uno dei migliori esempi di trattazione dell’Alzheimer e di come la malattia influenzi la vita del malato e delle persone a lui vicine. Essendo lo scrivere non la sua attività principale (ricordo che lei è dentista pediatrico a Penne in Abruzzo), bisogna sempre aspettare qualche elemento scatenante la necessità di scrivere. Come in questo libro, grido di dolore e di ringraziamento. Dolore per la ferita provocata dal terremoto aquilano del 6 aprile 2009. Ringraziamento per essere sopravvissuta al disastro, per chi sta lottando e ricostruendo la città. Ringraziamento mio per avermi fatto riprendere le fila mentali con la mia cugina “aquilana” Simonetta e la sua famiglia (in particolare ripensando al marito Ferdinando e le nostre scorribande giovanili in quel di Tortoreto). Nonché il ricordo di un altro terremoto, quello di Amatrice del 2016, dove perse la vita la madre della mia amica Simona. Come spesso nelle narrazioni dell’autrice, la trama è esile, riassumibile in poche azioni elementari. Quello che c’è in più è sempre il bagaglio delle emozioni, delle sensazioni, delle difficoltà ad uscire dal “dramma”. Qui, infatti, abbiamo una famiglia colpita dal sisma, in cui perde la vita Olivia, la gemella di punta, nel ricordo e nelle azioni, della narratrice Caterina. Che si salva dall’evento insieme al figlio di Olivia, Marco. E con Marco si ritrova a vivere, stretta in una casa della frazione Coppito, dove si andava ricostruendo alcune abitazioni secondo il progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili), insieme alla madre. Dalle parole di Caterina seguiamo le loro vite, e la ricostruzione del loro passato, in attesa, forse troppo buonista, della costruzione di un nuovo futuro: con nuove vite e nuove case. Immaginiamo la madre in nero, e la vediamo cucinare e pulire in casa, per poi recarsi, spesso e con dolenza, al cimitero. Per Olivia, più che per il marito morto ormai da tempo. Veniamo a sapere del divorzio di Olivia da Roberto, cui anche Caterina aveva fatto un pensiero da giovane, ed osserviamo l’attuale non-presenza dello stesso (con alcune scusanti che però non convincono). Vediamo crescere Marco, che con difficoltà attraversa i suoi sedici anni, che non elabora ancora bene sia il divorzio che la morte della madre. Vediamo Caterina alle prese con le sue ceramiche, con gli uccelli dipinti (di cui fa tanti nomi da ricordarmi la mia amica “ranger” Paola) e con tutti i sensi di colpa di essere sopravvissuta mentre Olivia moriva. Brandelli di memoria servono a ricostruire le loro vite, a farli crescere. Marco attraverso le cure di Bric, il cane vagabondo, le poche ma profonde parole con la zia, la nascita di una complicità sotterranea, fino ad un possibile (qui la svolta buonista) recupero anche del rapporto con il padre. Caterina attraverso il ripasso di tutti i suoi momenti con Olivia, positivi e negativi, fino alle possibili aperture verso nuovi scenari, di cui vi lascio leggere. Il tutto, comunque, pervaso dalla dolenza verso la città distrutta, la lentezza e la poca cura della ricostruzione, l’attraversamento della Zona Rossa, per recuperare piccoli frammenti del passato. Credo non sia un libro facile per chi non ha avuto nessuna esperienza di terra che trema. Certo, io qualcosa ho sentito nella mia vita, anche se il ricordo più vivo è quello del sisma del settembre 1979, di cui mi accorsi ma solo in margine ad altre e più interessanti attività, di cui forse parlerò in altra sede, ma che si legarono in modo indissolubili a quei momenti. Dicevo, l’unico neo è quel senso di positività che attenua tutte le possibili critiche e le possibili negatività della vita post-terremoto. Tuttavia, si legge bene, dona spunti di riflessioni, ed aggiunge un pezzo di piacere in più alla lettura per tutti i rimandi personali, che fanno poi sì che ci si appassioni ad un libro, anche spesso al di là del testo.
Elizabeth Gilbert “Eat, Pray, Love – One Woman’s Search for Everything across Italy, India and Indonesia” Penguin euro 10
[A: 29/10/2017 – I: 24/01/2019 – T: 03/02/2019] - &&&---  
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 444; anno 2006]
Non so a che titolo l’ottima Giulia Fiore lo consiglia, ma sicuro che può essere un libro che rende non dico più felici, ma forse più sereni, soprattutto se preso per il suo giusto verso. Io ne avevo già visto la versione cinematografica, uscita una decina di anni fa, perché interpretata dall’ottima Julia Roberts. Un film non eccelso, ma lo ricordavo godibile. Per questo, al termine di un viaggio asiatico, in cui sono riuscito molto a rilassarmi, aspettando una coincidenza a Seoul, e non avendo trovato niente che mi convincesse su Giappone o Corea, ho pensato che come “libro da viaggio” questo potesse essere un buon surrogato. Si svolge per 2/3 in Asia, e ricordavo che, almeno nel film, c’erano alcuni momenti di riflessione personale della protagonista che potevano valer la pena. La lettura si è poi persa in alcuni meandri di aspettative di altro. Ora ne riprendiamo le fila, prima di tutto scordandoci completamente il film, e dedicando i nostri piccoli neuroni al testo. Anche all’autrice, direi, che quest’anno ne fa cinquanta, e quindi all’epoca della scrittura era una 37enne già dedita a belle scritture. Questo libro tripartito narra poi, in maniera poco velata, ma con qualche nascondino qua e là, le vicissitudini dell’autrice stesse. Giornalista, sposata, nel 2002 attraversa un difficile divorzio, ha una relazione con un suo coetaneo americano, con cui si prende e si lascia continuamente. Fino a che, sull’onda di un consiglio ricevuto da un uomo di medicina indonesiano, e seguendo i dettami del suo Guru spirituale indiano, decide di dedicare un anno della sua vita alla ricerca di qualcosa. Di sé stessa, forse, di tutto, anche, o come dice lei stessa, di Dio, anche se usa questo termine in termine più generali. Oserei trasformarlo in una deità di riferimento. Quando deve organizzare questo viaggio, decide di dividerlo in tre parti, ognuna di 4 mesi. La prima alla ricerca del piacere. La seconda alla ricerca della devozione. La terza alla ricerca di un bilanciamento tra le prime due. Le sue riflessioni (e le indicazioni sopraesposte) la portano ad individuare tre paesi per queste tre esperienze. Tutti e tre, stranamente (vorrà dire qualcosa a qualcuno), iniziando con la lettera “I”: Italia, India e Indonesia. La scrittura scorre veloce, le sensazioni si accumulano, anche se il coinvolgimento emotivo non è grandissimo. Alla fine, per me lettore un po’ sempre disincantato, anche un andamento sbilanciato. Molto poco coinvolgente il piacere italiano. Alcune punte di interesse nella devozione indiana. Meglio il finale bilanciato, più prospettico, più sereno forse. Qualcuno, che vuole molto bene all’autrice, dirà che il finale bilanciato è merito dello sbilanciamento delle prime parti. Può essere. Tuttavia, il piacere, in Italia, per la scrittrice, oltre al fatto che fin da quando era in America aveva interesse alla cultura ed alla lingua italiana, dicevo questo piacere si riversa tutto sul cibo. Devo senz’altro convenire che il cibo italiano è di gran lunga più piacevole di molte cose che avvengono in giro per il mondo. Ma lo stare a Roma, il girare alcune città (piacevole la puntata napoletana su cui torno), poteva essere condito da ben altro sugo. Certo, Elizabeth dice che, proprio perché uscente da un matrimonio e da una relazione faticose non cerca uno sfogo sessuale, anche se si sente una tensione verso. Le cose migliori sono per me l’attacco, che commento sotto. E la visita alla pizzeria di Michele a Napoli, quella che fa solo Pizza Margherita, e che, nonostante o proprio per questo, è uno dei locali più affollati di tutta Napoli. Un piccolo accenno di ricordi personali: Elizabeth incontra il suo mentore di italiano in un Internet Point vicino al cinema Barberini. Confermo, in quegli anni, lì ce n’era uno, con le pareti arancioni, dove sono andato anch’io a volte. I quattro mesi indiani servono a farci entrare nel mondo dello Yoga duro e puro. Quattro mesi di ashram, di meditazioni, di sanscrito. Quattro mesi di polvere, di parole, di silenzi. Questa doveva forse essere la parte che andava in profondità verso la ricerca di “altro”, della deità di qui sopra, forse. Riesce a farci capire che pensando e ripensando, riesce a staccarsi dalle pene americane. Ma non riesce a comunicarcelo. Come al solito, non bastano le parole soltanto per dire e per dare. In Italia la descrizione del cibo non dava il piacere di mangiarlo. In India la descrizione della devozione non ci dà gli strumenti per capire il percorso della scrittrice. Come dicevo, si va meglio in Indonesia. Anzi, per la precisione a Bali. Dove incontra finalmente solo persone solari: Ketut, il suo uomo di medicina, Wayan, la sua sorella spirituale, e Felipe, che riuscirà a bucare la corazza di Elizabeth, riportandola sulla terra. Sempre con la capacità (si intuisce nelle pieghe dei discorsi) di continuare a meditare, a pensare, a riflettere, su sé stessa, sugli altri, e sul rapporto tra queste due entità e tra questi e il mondo. Mentre le prime due parti passano con qualche accenno, qui, anche se più condensati, ci sono molti avvenimenti. Che non descrivo, in cui non entro, che vi lascio leggere (o vedere nel film, se preferite). Comunque, la parte indiana avrebbe dovuto dare una svolta al testo, invece a me è più piaciuta la parte balinese, soprattutto per quei pochi, ma non banali, ragionamenti sull’amore. A cui bisogna aprire il cuore ma soprattutto la mente. In fondo, alla fine, è più quello che mi dà l’idea del libro che il libro stesso. Per finire alcune altre chicche, oltre quella sopra riportata su via Barberini. Spesso Elizabeth ed i suoi amici italiani si salutano con questo giochetto molto english: “See you later, alligator!” cui si risponde “In a while, crocodile!”. Una piccola imprecisione ci sarebbe a pagina 45: a piazza del Popolo si correva a cavallo nel Medioevo; quello che cita l’autrice sono le corse dei carri, che invece si svolgevano a Piazza Navona. Altro punto, forse un po’ di parte: a pagina 47 viene citato come il miglior gelato quello di “San Crispino”. Forse la nostra autrice dovrebbe anche provare cioccolato e pistacchio di via dei Gracchi! Ovvio che la parte “romana” mi ha divertito, pur se nel complesso, come detto, ha una sufficienza molto, molto risicata.
“I thought of how many people have had siblings or friends or children or lovers disappear from their lives before precious words of clemency or absolution could be passed along.” [Ho pensato a quante persone hanno avuto fratelli o amici o figli o amanti che sparivano dalle loro vite prima che preziose parole di clemenza o di assoluzione potessero essere scambiate] (247)
“I like that he’s traveled through over fifty countries in his life, and that he sees the world as a small and managed place.” [Sono contenta che abbia viaggiato in oltre cinquanta paesi nella sua vita e che consideri il mondo un posto piccolo e gestibile] [mia nota: io ho viaggiato in più di ottanta paesi…] (367)

Ecco allora, già in vista della Pasqua, che cominciamo a srotolare i libri letti in gennaio. Una bella dozzina, illuminata da regali: i Conrad di Giovanni (non io, l’altro) ed i Simenon di mamma. Nonché un saggio di Rodotà da leggere e rileggere. Ultimo, e da dimenticare, un libro pur osannato di De Silva, che ho letto in prove migliori.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Donatella Di Pietrantonio
Bella mia
Einaudi
12
3
2
Paco Ignacio Taibo II
Ritornano le tigri della Malesia
Tropea
s.p.
3
3
Georges Simenon
I Maigret – 14
Adelphi
s.p.
4
4
Joseph Conrad
Cuore di tenebra
Feltrinelli
s.p.
4
5
Stefano Zuffi
Apocalisse con figure - Un viaggio di Durer
Corriere della Sera Arte
7,90
3
6
Joseph Conrad
La linea d’ombra
Feltrinelli
s.p.
4
7
John Grisham
The Whistler
Hodder
9
2
8
Edgarda Ferri
Il sogno del Principe
Corriere della Sera Arte
7,90
2
9
Stefano Rodotà
Solidarietà
Laterza
7,90
4
10
Diego De Silva
Mia suocera beve
Repubblica Italia Noir
7,90
1
11
Horace McCoy
Non si uccidono così anche i cavalli
Corriere della sera Gialli
6,90
3
12
Ross MacDonald
Bersaglio mobile
Corriere della sera Gialli
6,90
2
13
Fabiano Massimi
Il club Montecristo
Mondadori
6,50
3

Si avvicina la Pasqua che vedrà un giusto riposo del sottoscritto, volante per altri lidi. Ma bella è stata la settimana andalusa, costruttivo il week-end sorianese, e pensierosa la costruzione dei prossimi giorni. Certo, la partenza priverà qualche settimana di letture, ma si tornerà sempre più spavaldi e leggenti.