domenica 26 ottobre 2008

E per regalo banane africane

Certo un gioco di parole un po’ sciocco, ma oggi torniamo a libri lunghi, trattiamo di libri regalati (per la maggior parte) ed ancora della Yoshimoto, di cui ultimamente ho ripreso a leggere con piacere. Quindi una settimana delicata, in attesa dei sapori forti di Guinness che si affacciano la prossima.

E cominciamo propria da Banana, di cui tra luglio e settembre (cioè prima e dopo il Perù) ho letto due librini esili di formato, ma intensi di emozioni (e citazioni).

Banana Yoshimoto “Il coperchio del mare” Feltrinelli 10 (in realtà 8 euro scontato)

Un racconto-haiku dove non succede niente. Cioè, forse non succede niente ma è un niente pieno di pagine. Pieno dei piccoli personaggi di Banana che con alcuni punti di candore, riescono a stirare la nostra anima stropicciata. Mari si è appena laureata, e decide di lasciare la confusione di Tokyo, e di tornare a vivere nel suo paese natale, dove ha deciso di aprire un piccolo negozio di granite. Quell'estate la madre ha deciso di ospitare la figlia di una sua cara amica che sta attraversando un periodo molto difficile a causa dell'improvvisa morte della nonna. Nonostante Mari non sia entusiasta all'idea, finirà per stringere un forte rapporto d'amicizia con la ragazza. Due cuori si apriranno in una splendida amicizia, cui fa di contorno il mare, con i suoi rumori, i suoi silenzi, la sua presenza. Libro dopo libro, pur confessando che la mentalità giapponese rimane altro da me, devo dire che comincio a rivalutare i suoi scritti. Forse una parte di sua produzione l’ho letta troppo presto, quando i furori non lasciavano spazio ad altro. Ora che, come diceva Ulisse, carico d’anni e di sventura, bacio le mie Itache petrose, ritrovo in questi momenti, echi dei miei istanti di pace.

“quando si insegue un sogno tutto sembra bello e carico di energia, proprio come quando si è innamorati”

“ogni volta che faccio un bagno in mare mi sembra di stare meglio, di venire purificata”

“se non siamo in grado di conservare le cose belle del nostro paese, come facciamo a percepire la continuità?”

“le persone non vogliono soffrire né tantomeno vivere nel terrore, desiderano solo essere felici. Siamo tutti fatti così, per cui se ti rendi conto che un tuo comportamento potrebbe ferire qualcuno devi modificarlo”

“a volte il semplice fatto di stare con una persona ti aiuta a crescere”

“le cose avvengono proprio nel momento in cui stai per convincerti che non ci sia più niente da fare”

Banana Yoshimoto “Chie-chan e io” Feltrinelli s.p. (regalo)

Qui anche c’è la solita scrittura leggera della Yoshimoto. A volte troppo, tanto che mi viene il dubbio: intelligente o intellettuale? Forte il messaggio in queste brevi pagine: in ogni caso, bisogna vivere nel presente. Kaori, una donna non più giovanissima che vive con una cugina che è anche una cara amica. Kaori sta cenando in un ristorante italiano, ma nel corso della cena arriva un sms sul suo cellulare in cui l'amica l'avvisa che è stata ricoverata in ospedale, nulla di grave ma è evidente che ha bisogno di lei. Kaori esita e pensa se godersi la serata, il cibo, la spensieratezza del momento e poi rispondere, o perdere tutto questo e scegliere di andare dall'amica Chie-chan. Un'esitazione, un pensiero che potrebbe appartenere alla vita di tutti, ma che difficilmente troveremo descritto in un romanzo. Con ritratti di normalità come questo si sviluppa la storia delle due donne, del loro rapporto, con pensieri (anche se le citazioni che mi sono rimaste sono molte di più) come "nel monotono scorrere dei giorni, Chie-chan era diventata una presenza quotidiana, un'immagine così abituale che finivo a volte col dimenticarne il valore"; o "non ho la minima idea se Chie-chan andrà a comprare i semi e le piantine di ipomea, se andrà in giro a cercare un computer di seconda mano, o se resterà tutto il giorno a casa a fare le pulizie. Ma a guardarla, mi sento felice"; "Chie-chan era Chie-chan, un'esistenza neutrale"... Anche in questo caso storia di amicizia, come in altro della giapponese. Qui complicata da due fattori: uno classico (lo sbilanciamento tra un carattere stabile ed uno debole), uno trasversale (l’arrivo dell’altro sesso). Messaggio finale, comunque, che si può rimanere in uno stato di benessere. L’importante è capire che il benessere è ora, è per me qualcosa di diverso dal tuo, e viceversa. Ma se lo si accetta si può essere sereni. In sotto trama un bell’inno d’amore all’Italia.

 “nei momenti più impensati si trovano le risposte più impensate”

“qualunque tipo di desiderio … se viene controllato al suo primo manifestarsi può essere tenuto a bada facilmente”

“anche nei giorni in cui arriva una cattiva notizia può accadere qualcosa di buono”

“le era estranea l’abitudine di parlare con disinvoltura a persone che non conosceva”

“certe cose si percepiscono anche senza parlare”

“avevo paura di aver bisogno di qualcuno al punto di non poter vivere se quella persona fosse venuta a mancare”

“decidere è una cosa che fanno gli adulti … e per questo non volevo mai prendere nessuna decisione”

“si può aiutare qualcuno nelle cose quotidiane, si può pregare, si può vigilare. Ma non si può cambiare il corso della sua vita. In verità, non si può fare niente neanche con la propria”

“il silenzio a volte ci svela qualcosa che esiste fra due persone”

“le persone, quando tengono qualcuno per la mano, finiscono sempre per stringerla troppo forte”

“Guarda che se starai a lungo con me ti divertirai!”

“per me il mondo non è qualcosa che a un certo punto debba cambiare per diventare come dovrebbe. Il mondo è quello che è adesso, e quello che c’è adesso è il mondo”

Di lei si parlò da poco, nel marzo di quest’anno, per cui non ci si torna su.

Veniamo invece all’Africa, quella mia, del Sahara, e della Spagna e del sole.

Luis Leante “Guarda come ti amo” Feltrinelli s.p. (regalo)

Questo è il libro cui ho fatto fare tutto il giro del Sud America, prima di immergermi nella sua lettura, sul volo da Atlanta a Roma. Una bella opera (e non mi dilungo sulla bellezza del regalo e di chi lo ha fatto sfidando il tabù di regalarmi libri) ma con dei limiti. L’idea dell’amore che si perde per delle incomprensioni può essere datato, ma bella è la sfida di chi, carico più di sventura che di anni, decide (in base a qualche irragionevole impulso) che forse è bene ripercorrere quelle vie che portarono all’abbandono. Per capire poi che storia sarebbe stata. Intanto questa è la storia di una donna sui cinquant’anni, in crisi dopo un divorzio e la morte della figlia. Incidentalmente scopre la fotografia di un vecchio amore dell’adolescenza fino ad allora ritenuto morto. Nella sua fuga in avanti, decide di scoprire cosa ne è stato di quel fidanzato. E questo la porta fino al Sahara, fino ai campi per rifugiati saharawi. Forse, comunque, sarebbe stata un’altra vita, ma accettare questa è una grande fatica. Interessante, da approfondire la storia dei popoli saharawi e del loro vivere schiacciati tra ispani e mauri. Non sono stato contento della parte finale. Una fine che lascia cose in sospeso si sarebbe potuta evitare, ma tanta carne era stata messa al fuoco e forse Leante aveva voglia di mettere un punto fermo. D’altra parte, una fine troppo consolatoria non si addice allo svolgersi della storia. Troppo bello che tutto finisca bene. Utile che tutto finisca in modo che ci si possa dire: “sono contento di aver vissuto tutto ciò. E da qui (ri-)comincio”.

Pochissime le notizie su Luis Leante: nasce a Caravaca de la Cruz (Murcia) nel 1963, ed è professore di Latino ad Alicante. Autore di racconti, teatro, romanzi, poesia e sceneggiature, con “Guarda come ti amo” ha vinto il premio Alfaguara 2007 presieduto da Mario Vargas Llosa.

Spero che possiate gustare con me le citazioni, perché le ho appena rilette e mi sono piaciute di nuovo. Sarà una settimana complicata, lavori, partenze, altro, ma so che sarà una buona settimana per tutti.

Giovanni

PS: la prossima trama, per ragioni di orari, vedrà la luce no prima del 3 novembre.

domenica 19 ottobre 2008

Per leggere “meno spesso”

Con questo slogan efficace, il Corriere della Sera ha lanciato anche quest’anno in giugno una campagna pubblicitaria per una serie di volumetti usciti in allegato al giornale. Se non vado errato, ne sono usciti 23. Sono racconti in 16mo tra le 60 e le 100 pagine, ed ho trovato la trovata interessante. Poiché sono racconti, quando ne parlo come in questo caso, ne cito quattro invece dei soliti tre cui siete abituati. E poiché il mio modo di lettura è “personale” cito oggi i primi quattro che ho letto.

Ma prima di cominciare, il sondaggio della scorsa settimana ha dato il 100% delle risposte a favore di aNobii, che quindi manterrò come sito per copertine e altre informazioni. L’unico rimpianto è che solo il 20% degli intervistati ha risposto. D’altra parte, come in ogni democrazia, chi tace acconsente.

Ma torniamo ai Corti. Il primo che ho letto, casualmente, è anche il primo uscito.

Sandro Veronesi “Il ventre della macchina” Corriere della sera 3,50

Cominciamo con il dire che, come molti sanno, in genere il racconto non è la mia dimensione, ma mi sono voluto cimentare con questa manciata di corti, proprio per recuperarne forse un senso, un piacere. Qui si narra dell’impossibilità di non attribuire valore spropositato agli oggetti che ci circondano, in particolare all’accendino del protagonista. In una fuga verso il basso, il giovane anticonformista, che cerca di mantenere un distacco dagli effimeri simboli della cosiddetta vita moderna, viene travolto dagli oggetti, si vedrà passare dall’altra parte (da un’altra parte?) della barricata e finirà per perdere parte di sé, metaforicamente, in un altro mostro dell’era moderna: l’automobile. Alcuni spunti carini, la disperazione verso l’accendino che non si accende, che adombra tute le cose che non siamo capaci di fare, e l’affidarsi a chi le sa fare. Reduce da poco tempo, dalla lettura di Caos Calmo, alla fine questo mi è sembrato moscetto. Nondimeno un paio di frasi-ricordo:

“c’è un momento che arriva dopo le lotte, le speranze, le disperazioni, dopo le vittorie e dopo le sconfitte, in cui un uomo si accorge che ciò che gli resta è soltanto la propria forza”

“perché ora so di essere un uomo buono e l’uomo buono, ho scoperto, non paga i propri conti con la moneta della fedeltà”

Non torno sulla bio, pubblicata il 14/09/2008.

Il secondo, invece, è di un’autrice novella.

Milena Agus “Il vicino” Corti di Carta 3,50

Sapevo che la Agus ha recentemente vinto premi ma nulla di lei avevo letto. Questo Corto numero 4, mi fa fare un primo assaggio della sua scrittura. Lieve, ma con degli affondi. Tocca corde vibranti e non è poco. Ci sembra di immergerci in questo primo dolore verso qualcosa (una vita sballata? Un figlio strano?) ma poi quei tocchi, quelle piccole pennellate di azzurro, fanno uscire fuori alcuni squarci di sole. Forse non sarà sempre sereno ed assolato il futuro, ma potrebbe essere meglio di quello che è, se accettiamo quello che realmente, ora, qui. La donna protagonista, voce narrante, riflette ansie e paure di donne, questa volta si autentiche (e vedremo in altri corti che non sarà così). Come autentica è la voglia di finire questa vita con un suicidio tanto perfetto da sembrare una casualità. Poi… l’incontro con il figlio del vicino, così pieno di vita, e con il vicino stesso, silenziosa presenza, prima, e prezioso contraltare delle sue parole, anche se lui di parole ne dice poche, fanno scattare delle molle. Per arrivare, come ho detto prima, semplicemente qui. E non è un piccolo viaggio. Mi è piaciuto e spero presto di leggere qualcosa di suo più organico.

Scarne le notizie su Milena Agus (nata a Genova nel 1959 da una famiglia sarda. Insegna italiano e storia, in un istituto tecnico, a Cagliari dove vive. Il suo primo romanzo, “Mentre dorme il pescecane” (Nottetempo, 2005) ha avuto due ristampe in pochi mesi ma è stato “Mal di pietre” il libro che l'ha rivelata nel mondo intero (tradotto in cinque lingue, in testa delle classifiche in Francia). Questo romanzo è stato finalista al premio Strega al premio Campiello e al Premio Stresa di Narrativa. Da poco è uscito “Ali di babbo”, sempre per Nottetempo.

Il terzo, invece, è di un autore ormai “classico”.

Andrea Camilleri “La tripla vita di Michele Sparacino” Corti di Carta 3,50

Nono volumetto dei Corti riporta un gradevole racconto del Camilleri non Montalbaniano. Gradevole la storia di tutti gli “errori” che perseguitano la vita dello Sparacino che viene scambiato sin dalla culla per un pericoloso bandito, viene perseguitato senza sapere che è tutta una montatura (una falsa reputazione messa in giro da un giornalista senza scrupoli, con un accenno polemico ben evidente). Fino a partecipare, suo malgrado alla prima guerra mondiale, anche lì additato dalle gerarchie per i suoi (falsi) passati briganteschi. E bella (o almeno a me è piaciuta) è la rivincita della sua terza vita (e non ve la rivelo). Un racconto degli equivoci, amaro e divertente, rubato ad una ideale raccolta di storie accadute a Vigàta tra la fine dell'Ottocento e il Novecento. Un po’ riecheggiando un vecchio titolo di Amado, di cui ho parlato (“La doppia vita dell’acquaiolo…”) qui mi sembra che Camilleri ritorni alla scioltezza narrativo-descrittiva dei primi gialli di Vigàta. L’ho divorato (60 pagine in corpo 8 in una mezzora).

Anche qui, per la bio rimando alla sua pubblicazione del 12/02/2007.

E per finire, un autore poco frequentato, ma di cui mi rimase un bel ricordo anni fa, alla sua prima lettura.

Lorenzo Licalzi “Apposta per te” Corti di Carta euro 3,50

Apparso in edicola nel mese di agosto il racconto scritto da Lorenzo Licalzi, illustra come la televisione e i suoi personaggi siano diventati così invadenti da irrompere nella tranquilla vita di uno scrittore intento, dopo una giornata di lavoro, a prepararsi un gustoso piatto di pasta al pesto e scaraventarlo in un mondo che non gli appartiene. Una parodia dell’invadenza di “C’è posta per te!”, preso a paradigma del distorcere la vita, intrufolarsi in quella di un altro e cercare di modificarla. Il nostro cerca comunque in tutti i modi di resistere (ci riuscirà?). Certo è un personaggio scomodo come si capisce dalla citazione di Pascal affissa sulla porta di casa: “Tutta l’infelicità del mondo dipende dal fatto che nessuno vuole resta a casa sua”. E si domanda perché qualcuno abbia voglia di incontrarlo in televisione invece di fargli una telefonata. Scoppiettante e asciutta, ritrovo la prosa del primo Licalzi, quello di cui mi innamorai leggendo “Io no”. E dietro ogni buona satira c’è sempre materiale per riflettere. Continua il mio plauso per l’iniziativa del Corriere con questi corti che sui 22 libricini programmati (anche se ne uscirà uno in più) mantiene un’alta media sopra la sufficienza.

Parliamo invece di Lorenzo Licalzi (Genova, 1956) scrittore e psicologo, che ora risiede a Pieve Ligure. Dopo aver fondato e diretto una casa di riposo, ha deciso di dedicarsi solo alle sue più grandi passioni: la psicologia e la scrittura. I suoi primi tre romanzi, tutti pubblicati dalla casa editrice Fazi (“Io no”, 2001, finalista del Premio del Giovedì "Marisa Rusconi" e segnalato al "Festival del Primo Romanzo" della città di Cuneo; “Non so”, 2003; “Il privilegio di essere un guru”, 2004), gli hanno permesso di conquistare un cospicuo numero di affezionati lettori. Nel 2005, Licalzi è stato finalista del Premio Bancarella, vinto poi da Gianrico Carofiglio.

Insomma una metà di ottobre agile come i racconti che vi ho passato. Leggera di libri gradevoli come una piccola pioggia rinfrescante. In attesa “that winter will come”.

Buona settimana

Giovanni

domenica 12 ottobre 2008

Saggi e librerie

Alterniamo, come capita da un po’ di tempo, leggerezza e ponderatezza. Quindi torniamo ai saggi, ed a momenti di riflessione. Ma prima di tutto, introduciamo un nuovo elemento nella teoria di trame, riassunti ed altro. La spinta di chi, leggendo trame voleva qualcosa in più, mi ha per ora portato ad inserire i libri narrati in questi più di due anni in due libreria on-line che fanno vedere le copertine, consentono commenti ed altro. Le potete consultare: http://ilmiolibro.kataweb.it/autore.asp?id=16342 e http://www.anobii.com/gio53/books ; così da potermi dire quale, secondo voi, risulta più  efficace.

Ed ora torniamo ai saggi, italianissimi questa volta. Un po’ di politica, un po’ di introspezione e molta logica. Cominciamo quindi con

Marco Belpoliti “La foto di Moro” Nottetempo 3 (in realtà, gratis con Feltrinelli +)

Un articolo lungo? Un saggio breve? Buona al solito la casa editrice, di cui ho già parlato, che riesce a trovare cose pubblicabili, non banali ed a prezzi contenuti. Il giornalista, partendo dall’analisi delle due foto di Aldo Moro diffuse dalle Brigate Rosse per testimoniare della sua prigionia e del suo stato in vita, la prima del 19 marzo 1978, tre giorni dopo il sequestro, e l'altra di venerdì 21 aprile imbastisce un ricordo-approfondimento sia sulle vicende di 30 anni fa, sia sul sempre attuale dibattito intorno al potere ed alla sua rappresentazione. Seguendo le indicazioni di Roland Barthes, Belpoliti va alla ricerca del messaggio palese dei fotografi carcerieri e di quello sotterraneo che Moro ci indirizza attraverso lo sguardo rivolto all'obiettivo. A trent'anni dall'assassinio Moro, Marco Belpoliti interpreta queste immagini come una comunicazione pubblicitaria e insieme come le foto più "vere" di Aldo Moro, finendo comunque con la foto epigona di via Caetani, Due o tre spunti di riflessione interessanti: una foto (se non fatta ad arte) rivela molto più su chi la fa di quanto si pensi, l’atteggiamento al contorno sia del potere che della polizia, rimasto tuttora non chiaro o no chiarito. E Moro che da trent’anni continua a guardarci negli occhi.

La bio di Belpoliti l'ho già pubblicata nelle trame dell’11/03/2007.

Continuiamo con un libro che mi ha tenuto avvinghiato a leggerne brani e rileggerne dopo un po’ per quasi tutta l’estate.

Norberto Bobbio “De senectute" Einaudi euro 10,50 (in realtà, scontato 7,35)

Bello. Una sana immersione nel pensiero del “vecchio”, che tra i 75 e gli 85 anni ripercorre tappe, successi e sconfitte di una vita sempre dedicata al pensiero ed alla correttezza sociale. Un grande vecchio che più che di un filo che leghi i vari passi di questi scritti autobiografici, mi trascina per la forza e l’incrollabile fede verso il dubbio delle sue idee. Ecco, questo è l’ossimoro che gli dedico, lui che di queste contraddizioni insanabili fece il perno della sua vita, terminando come in una citazione che riporto più sotto, con il dare spazio e peso non alle risposte, ma alle domande. Ho impiegato mesi a centellinarlo, ed ora che l’ho terminato vorrei che potesse darmi qualche altro consiglio… Per descriverlo, non posso quindi far altro che usare le parole stesse di Bobbio:

"Il vecchio vive di ricordi e per i ricordi, ma la sua memoria si affievolisce di giorno in giorno. Il tempo della memoria procede all'inverso di quello reale: tanto più vivi i ricordi che affiorano nella reminiscenza quanto più lontani nel tempo degli eventi. Ma sai anche che ciò che è rimasto, o sei riuscito a scavare in quel pozzo senza fondo, non è che un'infinitesima parte della storia della tua vita."

“non è che la vecchiaia sia brutta, è che dura poco”

“la vecchiaia… è la continuazione della tua adolescenza, giovinezza, maturità”

“i vecchi mi hanno sempre meravigliato: ma come mai sono riusciti a passare in mezzo a tanti pericoli, arrivando sani e salvi alla più tarda età? (Campanile)”

“solo io non posso raccontare la mia morte”

“la vita del vecchio si svolge al rallentatore”

“governare bene [significa] … amministrare con tatto, con sapienza, con competenza”

“come conciliare l’ottimismo di Croce (la storia è sempre storia della libertà) con l’antropologia pessimistica di Pareto (la storia è un susseguirsi di cicli che si alternano senza un ordine apparente)”

“le virtù del laico … sono … il rigore critico, il dubbio metodico, la moderazione, il non prevaricare, il rispetto delle idee altrui”

“la vecchiaia è una fortuna, non una virtù”

“Anatole France diceva che i vecchi amano troppo le loro idee e per questo sono di ostacolo al progresso”

“l’intellettuale … può permettersi di analizzare pacatamente i pro e i contro di una questione e terminare la sua analisi con un punto interrogativo”

“la saggezza per un vecchio consiste nell’accettare rassegnatamente i propri limiti”

“siccome non mi pare di aver dato tutto quel che avrei dovuto, temo sempre di essere chiamato in giorno a renderne conto”

“dopo aver cercato [per tutta la vita] di dare un senso alla vita, ti accorgi che non ha senso porsi il problema del senso, e che la vita deve essere accettata e vissuta nella sua immediatezza”

“il mondo del vecchio è un mondo in cui contano più gli affetti che i concetti; … e per dirla con Hobbes … quasi trascorsa è ormai / della mia vita la lunga favola”

“la chiarezza non è sempre un pregio e l’oscurità non sempre è un difetto”

“la libertà consiste nell’obbedire alla legge che ognuno dà a se stesso”

Ed io concluderei con questa mia riflessione personale “allora la vita ha un senso perché, a un certo punto, si muore”.

Per iniziare a parlare di Bobbio, e ne parlerò a lungo, perché interessante fu la sua vita, invece, comincerei con il riportare due citazioni tratte dal suo libro “Politica e cultura” del 1955:

« Il compito degli uomini di cultura è più che mai oggi quello di seminare dei dubbi, non già di raccogliere certezze ».

« Quando non si vede bene cosa c'è davanti, viene spontaneo chiedersi cosa c'è dietro. »

Norberto Bobbio nacque a Torino il 18 ottobre 1909 da Luigi (medico) e Rosa Caviglia. Una condizione familiare agiata gli permette una infanzia serena. Il giovane Norberto scrive versi, ama Bach e la Traviata. Studiò prima al Ginnasio e poi al "liceo Massimo D'Azeglio" dove conoscerà Ginzburg, Foa e Cesare Pavese. Dal 1928, come molti giovani dell'epoca, fu infine iscritto al Partito Nazionale Fascista. Allievo di Gioele Solari e Luigi Einaudi, si laurea in giurisprudenza nel 1931 con una tesi su "Filosofia e dogmatica del Diritto". Nel 1932 segue un corso estivo all'Università di Marburg, in Germania, insieme a Renato Treves e Ludovico Geymonat, ove conoscerà le teorie di Jaspers e i valori dell'esistenzialismo. L'anno seguente, il 1933, si laurea anche in filosofia e nel 1934 consegue la libera docenza. Le sue frequentazioni sgradite al regime gli valgono, nel 1935, un primo arresto a Torino, insieme agli amici del gruppo antifascista Giustizia e Libertà. La chiara reputazione fascista di cui godeva la famiglia gli permise però una piena riabilitazione, tanto che, pochi mesi dopo, ottiene la cattedra di filosofia del diritto a Camerino. E' in questi anni che Norberto Bobbio delinea parte degli interessi che saranno alla base della sua ricerca e dei suoi studi futuri: la filosofia del diritto, la filosofia contemporanea e gli studi sociali; uno sviluppo culturale che Bobbio vive contemporaneamente al contesto politico temporale. Il 3 marzo 1939, giura fedeltà al Duce per poter ottenere la cattedra all'Università di Siena. E la giura ancora nel 1940 per insediarsi alla cattedra del professor Adolfo Ravà. Nel 1942 partecipa al movimento liberalsocialista, e nell'ottobre dello stesso anno aderì al Partito d'azione clandestino. Nel 1943 sposò Valeria Cova: dalla loro unione nacquero i figli Luigi, Andrea e Marco. Il 6 dicembre del 1943 fu arrestato a Padova per attività clandestina e rimane in carcere per tre mesi. Dopo la liberazione collaborò regolarmente con Giustizia e Libertà, quotidiano torinese del Partito d'azione, diretto da Franco Venturi. Collaborò all'attività del Centro di studi metodologici con lo scopo di favorire l'incontro tra cultura scientifica e cultura umanistica, e poi con la Società Europea di Cultura. Nel 1948 lascia l'incarico a Padova e viene chiamato alla cattedra di filosofia del diritto dell'Università di Torino, annoverando corsi di notevole importanza come Teoria della scienza giuridica (1950), Teoria della norma giuridica (1958), Teoria dell'ordinamento giuridico (1960) e Il positivismo giuridico (1961). Dal 1962 assunse l'incarico di insegnare scienza politica, che ricoprirà sino al 1971. Nel 1969 fu tra i fondatori dell’odierna facoltà di Scienze politiche all'Università di Torino insieme con Alessandro Passerin d'Entrèves, al quale subentra nella cattedra di filosofia politica nel 1972, e dal 1973 al 1976 diventa preside della facoltà. Nei venticinque anni accademici all'ombra della mole, Bobbio svolse anche diversi tra corsi su Kant, Locke, lavori su Hobbes e Marx, Hans Kelsen, Carlo Cattaneo, Hegel, Pareto, Gaetano Mosca, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, e contribuì con una pluralità di saggi, scritti, articoli ed interventi di grande rilievo che lo portarono, in seguito a diventare socio dell'Accademia dei Lincei e della British Academy. Significativa la collaborazione, sul tema pacifista, col filosofo e amico antifascista Aldo Capitini, le cui riflessioni comuni sfoceranno nell'opera "I problemi della guerra e le vie della pace" (1979). Nel tempo delle contestazioni giovanili, Torino é la prima città a farsi carico della protesta, e Bobbio, fautore del dialogo, non si sottrasse ad un difficile confronto con gli studenti, tra i quali il suo stesso primogenito. Nel contempo, venne anche incaricato dal Ministero per la Pubblica Istruzione quale membro della Commissione tecnica per la creazione della facoltà di sociologia di Trento. Fu tra i firmatari del controverso documento pubblicato sul settimanale L'espresso contro il commissario Luigi Calabresi, e a metà degli anni settanta, nel solco di un sempre più vivace impegno civile, ed alle soglie di uno dei periodi più drammatici in Italia (culminato col rapimento e l'omicidio di Aldo Moro), provoca un vivace dibattito sia negando l'esistenza di una cultura fascista che trattando estensivamente sui rapporti tra democrazia e socialismo. Successivamente la sua attenzione si concentra a favore di una "politica per la pace", con dei motivati distinguo a supporto del diritto internazionale in occasione della guerra del golfo del 1991. Nel 1979 fu nominato professore emerito dell'Università di Torino, nel 1984 fu nominato senatore a vita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Nel 1994, dopo la stagione di mani pulite, e la cosiddetta fine della prima repubblica, venne pubblicato il saggio Destra e sinistra, i cui contenuti provocano un notevole dibattito culturale, agitando non poco l'humus della politica italiana. Nel 1997 pubblica la sua autobiografia. Nel 1999 esce una terza edizione aggiornata del suo best seller, ormai tradotto in una ventina di lingue. Nel 2001 muore la moglie Valeria, e Bobbio inizia un graduale ritiro dalla vita pubblica, pur rimanendo in attività e curando ulteriori pubblicazioni. Norberto Bobbio muore a Torino il 9 gennaio 2004, e la salma venne deposta dopo alcuni giorni in forma strettamente privata, secondo le sue volontà, ed una regolare messa funebre, nel cimitero di Rivalta Bormida, comune piemontese in provincia di Alessandria.

E finiamo con un libro difficile trionfalmente entrato come regalo per il mio compleanno (e tutti sappiamo quanto sia difficile regalarmi libri.)

Francesco Berto “Tutti pazzi per Gödel” Laterza s.p.

Difficile, veramente difficile. Spero che riusciremo a riparlarne, soprattutto se qualcuno accoglie qualche provocazione. Al volo, mi rimane questo: una teoria formale è incompleta. Tutte le estrapolazione “linguistiche” sono (possono essere) false. Il regalo è stato gradito perché cogli in uno dei miei segni, logica e matematica, e problemi aperti. Nello specifico, sentimenti contrastanti: da una parte mi aspettavo qualcosa di più discorsivo su Gödel, che invece non esce. Certo si accenna a lui, alla sua vita e molto al suo pensiero. Ma il doppio gioco del titolo (con Gödel che poi impazzisce o no?) mi faceva pensare ad altro. Dall’altro è una sorpresa per il rigore con cui procede, rigore che tuttavia non lascia mai spazio all’oscuramento. In fondo si riesce abbastanza bene a seguire il percorso logico che porta dalle premesse di Hilbert del 1900 alle teorie di Gödel, fino da quelle del 1930 (e Gödel aveva 23 anni!). Il gioco in un certo senso è facile: per dimostrare il suo teorema senza cadere nei paradossi alla Russell (ricordo il primo di Eulibolo: Io sto mentendo) bisogna trovare il modo di “fare un passo di lato”. E Gödel trova il modo di farlo senza uscire dal seminato. Tornando all’assunto che ho ascritto all’inizio: si parla di teorie formali, non di moti dell’anima. Questo per togliere il campo (ed a questo è dedicata tutta la seconda parte del libro) dal definire “incomplete” tutte le teorie, anche quelle sociali, politiche e religiose. Un bello sforzo, anche se, in alcuni punti, mi aspettavo di più. Vedremo altre prove divulgative di Berto se mantengono le promesse.

“Hilbert ci chiede: dove potremo trovare certezza e verità, se anche il pensiero matematico fallisce?”

Il pur giovane Francesco Berto (almeno dalla foto del sito universitario) è Chaire d'Excellence fellow CNRS 2007-2011 a Parigi e membro dell’Istituto di Filosofia della Scienza e della Tecnica della Sorbona, insegna Ontologia all'Ecole Normale Supérieure di Parigi e Logica alle Università Ca' Foscari di Venezia e San Raffaele di Milano. Ha un dottorato in filosofia presso l’Università di Venezia, un post-dottorato in filosofia teoretica presso l’Università di Padova, una scolarship presso l’University of Nôtre Dame nell’Indiana (USA). Studioso di filosofia teoretica, filosofia del linguaggio e di filosofia della logica, ha svolto attività di ricerca su Hegel, Wittgenstein, Gödel. Nel 2007 ha vinto il Premio Filosofico Castiglioncello, nella sezione giovani, con il libro “Teorie dell'assurdo. I rivali del Principio di Non-Contraddizione”. Il suo filosofo preferito è Wittgenstein, sul quale però non ha scritto quasi nulla. È affascinato dai paradossi logici, perché puntano a verità ineffabili ed è attirato dai filosofi che non si prendono troppo sul serio.

Beh, questa settimana ci sono spunti. Aspetto ritorni, soprattutto sulle librerie, in modo da decidere quale mantenere.

Buon compleanno a tutte le bilance (con un pensiero a quello di mia madre)

Giovanni

 

domenica 5 ottobre 2008

Gialli alla riscossa

A suggello di un difficile mese di settembre, prendiamo qualcosa di (fintamente) più leggero. Un giro di gialli neri e thriller dall’Italia alla Svezia (o viceversa), passando per l’Olanda. Ai due estremi due modi, attraverso il giallo, di parlare della realtà che mi piacciono e mi avvincono. Da consigliere, al solito, se non li si conosce. Pur con tutti i limiti, a volte soprattutto per la distanza temporale. Un po’ meno l’olandese, forse anche lui troppo datato. Ma andiamo con ordine.

Maj Sjowall e Per Wahloo “L’autopompa fantasma” Sellerio euro 12

Sempre di buon livello (anzi migliore delle ultime prove lette della coppia svedese). Credo sia il quinto della serie in ordine cronologico (e deve uscire ancora il secondo in Italia!!). Fra i cinque romanzi pubblicati in Italia, “L’autopompa fantasma” è forse il migliore. La storia comincia quando una casa, sorvegliata dalla polizia per la presenza di un piccolo criminale, esplode. Il criminale muore, e con lui altre tre persone. La prima ipotesi è quella di una fuga di gas. Si scopre presto però che le cose non quadrano: sembra un suicidio, ma forse c’era anche una bomba. E’ un giallo, e dunque con la trama mi fermo qui. Aggiungo solo che dopo la recente lettura di alcuni gialli deludenti, questo delizioso romanzo mi ha riconciliato con il genere. In pieno poliziesco sociologico, dove si vive quasi un anno a contatto con la banda (nel senso i poliziotti) di Beck alla ricerca della soluzione di un crimine. Ed alla fine ci si arriva, con i soliti passi logici che avrebbero aiutato ben presto a capire, ma che sono talmente ben messi, che in fondo ci arriviamo con sorpresa insieme ai poliziotti. Non sapendo, come loro, come comportarci. Intanto si sviluppano i caratteri di contorno. La figlia di Beck, Ingrid, decide di andare a vivere da sola. Si approfondiscono i caratteri degli altri detective di contorno. Inoltre, in un momento di relax, Beck si mette a leggere “La donna del lago” di Raymond Chandler. Leggetene.

La bio degli svedesi l'ho già scritta e riscritta. Passiamo quindi all’olandese.

Janwillem Van de Wetering “Sviluppi nel caso del giapponese scomparso” TEA euro 9

Giallo olandese che apre quindi una nuova frontiera del giallo (con iperbole calcistica, mi verrebbe da dire un giallo arancione, visto che Janwillem ne sa di religioni orientali). Purtroppo è ben datato, dovrebbe risalire alla metà o fine degli anni ’70. La quieta routine del sergente maggiore Grijpstra e del sergente de Gier viene interrotta dal caso della scomparsa di Kikuji Nagai; una scomparsa che si trasforma ben presto in omicidio premeditato. Affermato e scrupoloso mercante d'arte, il signor Nagai aveva scelto Amsterdam come base per la sua attività per sfuggire ai pericolosi legami con la criminalità che aveva stretto in gioventù in Giappone. Si era rivolto, molti anni prima, alla yakuza, rimanendone sempre più coinvolto. E quando aveva deciso di liberarsi da quel vincolo, la risposta dal Giappone era stata chiara. Per venire a capo dell'intricata indagine, mentre Grijpstra ne segue gli sviluppi in patria, de Gier e l'ineffabile sovrintendente volano a Tokyo spacciandosi per uomini d'affari. Tra misteriosi contatti diplomatici, ripetute degustazioni di sushi e sakè, rotoli dipinti buddisti, vecchi samurai della yakuza e situazioni paradossali, i due poliziotti, più inclini alla discussione filosofica che all'azione, avanzano in un terreno sconosciuto, aspettando l'intuizione decisiva. Quindi poco spazio al poliziesco, un salto qua e la tra modi diversi di vivere (tipico il mercante di droga cinese). Peccato che venga pubblicato in Italia con tanto ritardo. Ora è un po’ una minestra riscaldata, piuttosto che un coniglio cotto nella birra.

Interessante invece la vita dell’autore. Janwillem Lincoln Van de Wetering nasce a Rotterdam, il 12 febbraio 1931. Suo padre, un mercante con molti affari negli USA, duramente colpito dalla Depressione, voleva affibbiargli, come secondo nome, quello di «Crisis», ma poi optò per «Lincoln», visto che il piccolo era nato lo stesso giorno del famoso presidente. Nonostante le inclinazioni paterne, Van de Wetering si è tenuto lontano dagli USA fino al 1975, quando, mantenendo la nazionalità olandese, si è stabilito sulla costa del Maine, dove risiede tuttora. Dopo gli studi, durante i quali scopre la letteratura olandese, la moralità tedesca, i poeti francesi e il tabacco forte, all’età di 19 anni, suo padre gli trova un lavoro nella sede africana di una ditta di Rotterdam: il giovane inizia a viaggiare. Il primo lavoro lo lascia presto per passare sei anni a Città del Capo tra vari lavoretti, letture, vagabondaggi. Nel 1956 diventa un beatnik e va in Inghilterra, a Londra, dove riprende a studiare, soprattutto filosofia. Ma alcune immagini della divinità indù Kali, e delle sue «derivazioni» buddiste, lo spingono irresistibilmente verso il Giappone. Qui, a Kyoto, passa il primo dei suoi numerosi «intermezzi» monastici: due anni presso il monastero zen Daitoku-ji, dove approfondisce il pensiero buddista. Quando poi i soldi finiscono, Jan torna al lavoro di mercante, dapprima in Sudamerica (cinque anni tra Colombia e Perù), per approdare infine, nel 1963, a Brisbane, in Australia, con la seconda moglie e la figlia. Tornato in Olanda nel 1965, per dieci anni Van de Wetering lavora con successo nell’azienda tessile famigliare, continuando nel frattempo a coltivare i suoi interessi letterari, filosofici e artistici, i suoi viaggi e i suoi ritiri e cominciando a scrivere libri sulle sue esperienze orientali, romanzi gialli basati su una coppia di poliziotti di Amsterdam (Grijpstra e De Gier), altri romanzi basati su altri poliziotti. Per un certo periodo si unisce all’Amsterdam Reserve Constabulary, una polizia militare volontaria, che lo porta a due anni di pattuglia (la sera e i fine settimana) ad Amsterdam e poi agli esami per diventare sergente: l’idea di essere un anarchico in divisa da poliziotto lo attrae moltissimo. All’età di 44 anni, stanco di tessuti e ormai internazionalmente famoso per i suoi libri, si trasferisce negli USA. Per ricominciare a viaggiare, con la moglie: in barca lungo la costa del Maine, in Europa, nella Nuova Guinea, sempre più lontano. Rientrato nel Maine, comincia a realizzare sculture-collage surrealiste e, nel 1990, riprende a scrivere: altri episodi di Grijpstra & De Gier, altri romanzi, libri per bambini, radiodrammi.

E terminiamo con il maestro del giallo italiano.

Giorgio Scerbanenco “I ragazzi del massacro” Repubblica Noir Italia euro 7,90

Al solito il grande padre del Noir italiano non delude mai. Certo a volte si contorce, ma il giallo di Scerby è così. Poi anche qui, gira tutto intorno a Duca Lamberti, che fa la sua parte, nel bene e nel male. Tutto parte da un'aula scolastica, una lavagna piena di parolacce e disegni osceni e il cadavere di una giovane donna completamente nuda, orrendamente massacrata di botte. La vittima è Matilde Crescenzaghi, fragile e delicata signorina della piccola borghesia dell'Alta Italia, insegnante di varie materie e anche buona educazione nella scuola serale “Andrea e Maria Fustagni”. Un ambiente non molto raccomandabile, visto che spesso gli studenti sono già passati per il riformatorio o vengono da famiglie difficili. E i colpevoli li conosciamo fin da subito: sono gli undici allievi della maestrina. Le indagini toccano a Duca Lamberti, personaggio culto di Scerbanenco, ex medico radiato dall’albo a causa di un’eutanasia e poliziotto-filosofo alla ricerca delle ragioni di una morte. Ad affiancarlo, come negli altri romanzi neri di Scerbanenco, il fido Mascaranti, l’immancabile Livia, compagna e amica, e Càrrua, il suo superiore. Ma è tutto qui? Una storia cupissima, da “ragazzi di vita” pasoliniani. Con il pessimismo cronico dell’autore, con poche speranze di riscatto. Uno dei romanzi più feroci di Scerbanenco, una perla rara nell’ambito della narrativa poliziesca italiana. Da leggere e da non dimenticare. Un giorno mi piacerebbe riesumare il complesso della narrativa con Duca Lamberti, e vederne meglio lo svolgersi. Credo ne uscirebbe una bella foto della Milano degli anni sessanta.

“ non esiste assolutamente il caso in cui il padre o la madre o tutti e due insieme non abbiano nessuna colpa di come cresce il figlio”

Anche qui saltiamo le note bio già altre volte apparse.

Visto poi che è la prima domenica del mese, riprendiamo anche la pubblicazione dei libri letti a luglio (ovviamente pochi data la partenza anticipata per le vacanze.)

 

























































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Autore


Titolo


Editore


Euro


1


Sandro Veronesi


Caos calmo


Bompiani


6


2


Marco Belpoliti


La foto di Moro


Nottetempo


3


3


Sandro Veronesi


Il ventre della macchina


Corriere della Sera Corti di Carta


3,50


4


Banana Yoshimoto


Il coperchio del mare


Feltrinelli


10


5


Linda Di Martino


L’incidente di Via Metastasio


Mondadori


3


6


Nello Rossati


La valle delle Baccanti


Mondadori


3



 

Allora buona settimana a tutti.

Giovanni