domenica 28 agosto 2022

L'altro Simenon - 28 agosto 2022

Torniamo a parlare di Georges Simenon e dei suoi scritti “non Maigret”, o meglio, come li definì lui, i suoi “romans durs”. Rimarcando che ne parlo in ordine di pubblicazione, qui entriamo nella seconda metà degli anni ’30, cioè dal ’35 al ’37. In questi libri, mediamente, il nostro belga si mantiene su dei livelli elevati, anche se in questa cinquina abbiamo due scivolate sotto la media, con “I clienti di Avrenos” e “L’assassino”. Fortuna che abbiamo uno dei suoi testi migliori, “Il testamento Donadieu”

Georges Simenon “I Pitard” Repubblica Simenon 11 euro 9,90

[A: 02/12/2019 – I: 02/04/2022 – T: 03/04/2022] - &&& +

[tit. or.: Les Pitard; ling. or.: francese; pagine: 140; anno 1935]

Questa pur interessante collana sui “romanzi duri” di Simenon non prevede tutti e 118 romanzi di questa tipologia. Così dobbiamo anche fare qualche raccordo. Il precedente romanzo era stato scritto nella magione di La Rochelle, dove videro la luce anche il romanzo “Maigret”, ultimo pubblicato con Fayard, ed il romanzo “Les suicidés” (in italiano “La fuga”). Dopo di che Simenon è preso da alcune inchieste giornalistiche di scarso successo (all’epoca), così che nella primavera del ’34 si trasferisce al sud, a Porquerolles, nell’isola scoperta da lui e dalla moglie ai tempi dello scoppio del grande amore.

Qui, nella villa “Les Roberts” si rimette a scrivere di buona lena, completando alcuni romanzi. Questo sarà il terzo dei 44 che usciranno per Gallimard nei 13 anni del loro rapporto. Sarà anche il primo ad essere pubblicato con il classico look dell’editore: copertina bianca, titolo in colore, i nomi dell'autore e dell'editore in nero.

Anche se non è ancora entrato nella cerchia dei “grandi scrittori Gallimard”, i suoi testi circolano fra le migliori penne francese, tant’è che questo romanzo verrà indicato come il romanzo preferito da Louis-Ferdinand Celine.

In un certo senso, è anche un romanzo atipico, quasi un racconto d’avventura, che molto attinge ai ricordi dell’autore delle sue scorribande marine con la sua prima barca, l’Ostrogoth. Tant’è che nella primissima parte c’è una discesa dalla Senna verso il mare a Le Havre (percorso che Simenon fece spesso). Poi un paio di settimane per raggiungere, costa, Amburgo. Quindi la grande traversata dalla Germania all’Islanda, affrontando i pericoli invernali del Mare del Nord.

Se guardate un planisfero, avrete anche la sensazione del grande giro che fanno il capitano Emile Lannec e la sua barca “Fulmine di Dio” (in originale, “Tonnere-de-Dieu”, che più si avvicina alle esclamazioni che un marinaio con anni di navigazione possa esclamare in mare).

Un elemento poi molto particolare è il titolo. In effetti, tutto il romanzo si basa sulle avventure in mare del comandante, e solo di riflesso, e non di colpo, ma a poco a poco, esce dall’ombra la famiglia Pitard. Che alla fine, con la sua presenza lontana, con quanto è, o potrebbe essere, avvenuto prima della grande navigazione, dà un senso al titolo. Come quando si uniscono i puntini in un disegno della Settimana Enigmistica, solo alla fine si capisce cosa si stia guardando.

La grande epopea del comandante Lannec comincia in pompa magna: dopo anni di capitanato presso varie compagnie, ha finalmente una nave di sua proprietà, e si appresta a fare il primo viaggio. Avendo dovuto fare un mutuo, è dovuto ricorrere alla firma di garanzia della suocera, la madre di sua moglie Mathilde. Madame Pitard convince allora la figlia a seguire il marito in questo primo imbarco, per controllare la bontà dell’investimento.

Ma tutti sanno che una donna a bordo di una nave commerciale porta solo guai. Ed è così sin dall’inizio. Mathilde si lamenta della sporcizia, poi della compagnia rozza dei marinai, ed altre piccole cose, che guastano il clima cameratesco dei marinai in mare. Emile è anche innervosito da piccoli problemi, una lettera oscura di minacce, il comportamento poco lineare del nostromo. Ed è così che si trova presto ai ferri corti con Mathilde, lanciandosi a vicenda strali durissimi.

Saltando verso punti salienti, la nave si trova in rotta verso l’Islanda, quando riceve una richiesta di soccorso di un mercantile in avaria. Emile decide di andare al salvataggio, nonostante il mare impossibile. Si avranno scene truculente di morti in mare, di onde giganti, tanto che Mathilde esce completamente fuori di testa. Lannec riesce a salvare una dozzina dei trenta marinai, ma avrà ancora problemi a Reykjavík, per i ritardi ed altre rogne commerciali.

Il dramma marino si trasforma, nelle mani di Simenon, in un dramma psicologico, con Emile e Mathilde sempre più invischiati nelle loro paure, così diverse, ma così drammaticamente simili. Tanta è l’azione che Simenon riesce a stipare in così poche pagine: un fantasma che si aggira per la nave rubando prosciutti, traversine ferroviere che sciabordano nella stiva, una quasi collisione, una barca da pesca in balia di onde alte più di otto metri, boe volanti per il salvataggio di marinai che cadono o saltano in mare. Insomma, un repertorio di tutto quanto può andare di traverso. Ma quello che Simenon ci vuol far vedere è il controluce.

Senza altri particolari, è l’ombra cattiva di mamma Pitard che avvelena tutto il viaggio, dove alla fine, pur ribellatosi alle brutture, Lannec si dimostra fragile, e molto più innamorato di quanto lui stesso pensasse.

È un bell’esercizio di stile, questo. Che prende anche per la sua semplicità, ma che colpisce per l’efficacia di Simenon. È sempre lui, perché anche in Maigret c’è molta narrazione che si basa sulla psicologia dei personaggi. Qui non c’è il giallo, ma c’è un bel romanzo breve.

Una piccola nota filologica, dalla lettura di estratti originali e note maigrettiane. Nel gergo marinaro francese, il nostromo è chiamato “bosco”. Simenon, invece, nel manoscritto sbaglia ortografia e scrive “boscot”, che invece, colloquialmente, indica una persona con una piccola gobba. In italiano, non c’è stato problema, che sempre nostromo è stato utilizzato.

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

A bordo del “Fulmine di Dio”. Senna, Amburgo, Mare del Nord sino a Reykjavík

Emile Lannec, comandante della nave, sposato, senza figli

Mathilde Pitard, sposa di Emile, appartenente ad una ricca famiglia di Caen

Un paio di mesi

Anni Trenta

Georges Simenon “I clienti di Avrenos” Repubblica Simenon 25 euro 9,90

[A: 13/03/2020 – I: 05/04/2022 – T: 06/04/2022] - && +

[tit. or.: Les clients d’Avrenos; ling. or.: francese; pagine: 155; anno 1935]

Siamo ancora a metà del 1934, a Porquerolles, l’isola tanto cara a Simenon, dove lo scrittore belga continua a comporre tasselli della sua storia letteraria. Ovvio che, conoscendo il personaggio, si appoggi alle cose che ha visto e vissuto, soprattutto avendo da poco fatto quel gran giro in Europa, con una lunga puntata in Turchia. Inoltre, ha passato mesi a scrivere articoli per i giornali, pur senza particolare successo, quindi, gli rimane in punta di penna sia l’esotico sia la descrizione di personaggi vicini ai suoi incontri in giro per l’Europa.

Nasce così questo romanzo, un fine esercizio di psicologia, vista con gli occhi del protagonista, Bernard de Jonsac, ma dove l’occhio di Simenon si appunta a lungo sull’interprete femminile, la giovane e per alcuni versi misteriosi Nouchi.

Anche se l’azione inizia ad Ankara, il terzo protagonista ombra è poi la città di Istanbul, dove si svolge la maggior parte della trama, e dove ne vediamo aspetti diversi, anche inconsueti per il modo di scrivere del tempo. Certo, Simenon sa, anche solo per averne parlato, di Pierre Loti e dei suoi scritti stanbulioti, ma ci dà la sua visione della città. Mentre seguiamo le storie di Bernard e dei suoi sodali, vediamo la città, giriamo per i vicoli di Galata, entriamo nelle ville di Tarabya affacciate sul Bosforo, passeggiamo al chiaro di luna nel cimitero di Eyup, entriamo e usciamo dai grandi alberghi, ed in particolare dal Pera Palas, dove ricordo aveva una stanza fissa la grande Agatha Christie.

Questa è anche la mia Istanbul, con i traghetti verso la zona orientale, l’ayran per togliere il piccante dalle polpette, gli affreschi di San Salvatore in Chora, il perdersi in Aghia Sofia. Tuttavia, poiché non scriviamo di me, torniamo a Simenon.

Allora, siamo in Turchia, dove l’azione si svolge sicuramente dopo il 1923, quando avviene la presa del potere di Mustafa Kemal, e prima del ’35, quando Kemal divenne Ataturk, cioè il padre di tutti i turchi. Un periodo in cui, invece, Kemal era solo soprannominato “Gazi” cioè “il Vittorioso”. Un nome che poi scompare nelle pieghe del successo di Kemal, ma che all’epoca era ben presente, tanto che Simenon lo usa spesso.

Vediamo i nostri protagonisti incontrarsi nel cabaret “Le Chat Noir” di Ankara, dove Nouchi danza e usa le sue doti per far bere i clienti. Poco gli riesce con quel tipo distinto, francese con il monocolo, che si presenta col suo nome, Bernard de Jonsac. Nouchi pensa subito che un nome nobiliare, unito alle entrature di Bernard nelle ambasciate, possa fare la sua fortuna, e convince il nostro a portarla con sé ad Istanbul.

Qui, con gli occhi di Bernard, seguiamo le vicende degli sbandati, squattrinati, finti bohemien, della città. Ci sono nobili decaduti, artisti, ex-banchieri, giornalisti, tutti dediti all'alcool e a fumare hascisc. Nouchi si muove leggiadra in questo ambiente, flirtando con tutti, senza concedersi a nessuno. Mentre Bernard, attratto da lei, non si dà pace, finendo le serate sempre con troppo raki.

La nostra banda fa tappa fissa al ristorante di Avrenos, da cui il titolo. Bernard ogni tanto deve lavorare per l’ambasciata, nel suo ruolo di dragomanno. Ora con questo nome venivano indicati personaggi, ruotanti intorno ai potenti, in particolare con incarichi di interprete, come Bernard che ben conosce il turco, tanto da meravigliare i suoi sodali declamando poeti locali.

Grazie ad un diplomatico svedese, Bernard e Nouchi trovano una casa. Non solo ma di nascosto si sposano, onde evitare a Nouchi l’espulsione dal paese. Ma senza mai consumare il pegno d’amore. Un bastone tra le ruote di questo “bel mondo”, viene quando nel loro giro si inserisce una giovane turca di origini italiane, Leila Pastore. Che ne viene travolta, non ha le caratteristiche dei flâneur locali, o come dice Simenon, i drogati di “kief”. Che detto così sembra un richiamo a qualche derivato della cannabis. In realtà, il sostantivo esatto sarebbe “keyif”, che in generale indica gioia, e che in Turchia assume il significato di “piacevole condizione di relax”.

Noi stiamo sempre dietro a Bernard, il cui unico scopo sembra portarsi a letto o Leila o Nouchi, o entrambe. Ne seguiamo i patimenti maschilisti senza però farcene partecipi. In fondo, il personaggio meglio riuscito è proprio Nouchi, non ancora maggiorenne, ma con una idea ben precisa in mente: fuggire per sempre dalla povertà. Farà di tutto, bordeggiando fra i vari corteggiatori, magari cedendo qualcosa, ma riuscendo sempre ad uscirne a testa alta. E Simenon riesce a rendercela viva e palpitante, meglio delle altre figure di contorno.

Tra tanto esotismo, tra alcune macchie di colore di questa fauna che, un tempo agiata, ora cerca solo la sopravvivenza, in una Turchia in rapido cambiamento, Simenon sembra suggerirci una chiave di lettura: è il destino che aleggia dentro ed intorno a noi. Solo guardandoci dentro e sapendo chi siamo e cosa vogliamo, il destino non ci travolgerà. Non lo sanno fare né Leila né Bernard. Lo fa, e bene, Nouchi.

Per inciso, negli anni ’90 in Francia ne venne tratto un film televisivo, alla cui sceneggiatura lavorò Emmanuel Carrère. Inoltre, a pagina 30, Simenon parla di “mezè” come di “antipasti turchi”. In realtà, il termine indica più genericamente una serie di piccoli piattini di consistenza varia, che possono servire da antipasto, ma anche, se variati ed aumentati, da pasto vero e proprio. Essendo poi una caratteristica di tutta la cucina mediorientale (ed anche greca). Io una volta, a Beirut, feci una cena con 35 antipasti!!

Un ultimo accenno ad un episodio marginale nell’economia del romanzo, che si svolge all’inizio in quel di Ankara. Nouchi ed altre signorine dello “Chat Noir” vengono invitate da Kemal Gazi e dai suoi sodali ad una notte in una villa altolocata. Simenon, per bocca di Nouchi, ce ne fa partecipe e passa oltre. Berlusconi, sessanta anni dopo, ci ha costruito sopra molte delle sue fortune (o almeno così si dice).

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Ankara, Istanbul, quartiere Tarabya

Bernard de Jonsac, francese, dragomanno, 40 anni

Nouchi, danzatrice ungherese, 17 anni

Lelia Pastore, giovane figlia appartenente ad una ricca famiglia turca con parenti italiani, 23 anni

Alcuni mesi

Sotto il regime di Kemal Ataturk (quindi dopo il 1923)

Georges Simenon “Le signorine di Concarneau” Repubblica Simenon 16 euro 9,90

[A: 22/01/2020 – I: 10/04/2022 – T: 11/04/2022] - &&& --

[tit. or.: Les demoiselles de Concarneau; ling. or.: francese; pagine: 137; anno 1936]

Facciamo una precisazione doverosa: l’anno che indico è sempre quello della pubblicazione in volume del romanzo, non quello della scrittura, né quello dell’uscita a puntate in rivista.

Intanto, il 12 dicembre del ’34 decide di realizzare un suo sogno, il giro del mondo, che compirà in 155 giorni (sino al 15 maggio 1935) e che gli frutterà numerosi spunti sia per diversi reportage per “Paris Soir” sia per romanzi (sei) e racconti (otto). Inizia con la traversata da Le Havre a New York a bordo della “La Fayette”, poi verso sud, attraversando il Canale di Panama, e fermandosi prima a Buenaventura (Colombia) poi a Guayaquil (Ecuador) dove si ferma per indagare un misterioso dramma avvenuto alle Galapagos. Quindi a Papeete (Tahiti) su di un mercantile, ed a Tahiti si fermerà due mesi. Quindi traversata da Papeete a Sydney, con soste alle Isole Cook ed in Nuova Zelanda a bordo della nave americana “Makura”. Da lì, il lungo ritorno in Europa sul transatlantico britannico “Mooltan”, attraverso il Mar di Timor, l'Oceano Indiano (scali a Ceylon e Bombay), il Mar Rosso e il Canale di Suez (ultima tappa ad Alessandria e Malta). Ritornato in Francia, cambia residenza, e si installa nel castello “La Cour-Dieu” nella cittadina di Ingrannes, a poca distanza da Orléans. Ed è qui, che, prendendo in mano gli appunti di viaggio, completa anche questo romanzo.

Uno strano romanzo, che sa molto di mare, non tanto come per “I Pitard” che in mare si svolgeva, ma perché tutti i personaggi hanno un rapporto con il mare, e vicino al mare vivono. Come dice il titolo, infatti, siamo a Concarneau, in Bretagna, luogo che Simenon conosce sia per averci vissuto alcuni mesi nel ’30, sia per averlo usato come sfondo per “Il cane giallo”, uno dei più riusciti Maigret della serie “Fayard”. Tra l’altro, visto che spesso Simenon ricicla le sue note, nel Maigret uno dei personaggi si chiama Léon Le Guérec, e qui, tutta la storia gira intorno a Jules Guérec e le sue sorelle.

È anche uno dei primi tentativi, riuscito discretamente, di entrare direttamente nella psicologia dei personaggi. C’è un po’ di azione, ma è marginale. In pratica, solo nel primo capitolo, quando vediamo il capitano Jules Guérec tornare a casa alticcio da Quimper, dove ha anche frequentato qualche donnina allegra. Jules guida una macchina, ma nella notte non si accorge di un bambino che attraversa la strada. Lo investe e Joseph Papin muore.

Dalla crisi che Jules ha da questo momento in poi, entriamo nelle vicende e nei rapporti della famiglia Guérec. Le sorelle, commercianti di buona resa, che tirano redini strette a Jules, che, in realtà, ben presto orfano, non è mai cresciuto. Con tre sorelle in casa, ha sempre un rapporto difficile con le donne. Tanto che in gioventù, sbadatamente, mette in cinta una ragazza di non propria specchiata moralità. Saranno i soldi di Céline a tacitare la cosa, ma come conseguenza, Jules viene sempre tenuto sotto controllo.

Jules è anche tormentato dal rimorso dell’investimento, così che si avvicina senza confessare il misfatto, alla madre Marie Papin. A casa Papin trova certo un diverso clima, con Marie che lo ignora, ma che per lui diventa fonte di relax. Così che decide di assumere il figlio ritardato di Marti perché lo aiuti sulla sua barca da pesca. Così che, tormento dopo tormento, decide che l’unico modo di espiare le sue colpe è sposare Marie.

Ma Céline vigila, ha capito tutto, e blocca le mire di Jules. Paga anche Marie, per tacitarne ritorsioni. Tuttavia, saputolo, Jules entra in un conflitto duro con le sorelle, perdendo la ragione davanti ad altri, mettendo le mani su Céline. Insomma, un parapiglia. Non solo, Concarneau è una piccola città, tutto si viene a sapere, ed il commercio dei Guérec comincia ad andar male. Così vendono tutto, girano un po’ per la provincia francese, finendo a Versailles, a far piccoli lavori. Françoise muore e Jules viene a sapere che Marie, con i loro soldi, ha trovato un bravo giovane che l’ha sposata ed ha messo su famiglia.

Come si diceva, la psicologia. Partendo dall’omicidio involontario (e dai sensi di colpa) Simenon si concentra sui complicati complessi di colpa intrecciati tra Jules e le sue sorelle, portandolo alle estreme conseguenze, allo scoppio del dramma, ed allo scivolare infine verso una vita che più triste non si può. Eccoci, quindi, nel tipico mondo dei “romanzi duri” di Simenon. Vite tristi senza speranza, ambienti familiari più opprimenti che consolatori. Ed i riti quotidiani: le pantofole di legno con della cenere per scaldarsi, la cena tutti insieme, e quando non c’è, se ne sente la mancanza. Nessun conforto, solo una descrizione delle debolezze umane: così le vediamo e magari cerchiamo di capire come porvi rimedio.

Un’ultima considerazione, un po’ come in uno dei precedenti romanzi, il titolo serve quasi a fuorviare il lettore. Anche qui, si cerca di mettere sotto i riflettori le signorine (o forse sarebbe meglio dire le zitelle) di Concarneau, e poi al centro del romanzo c’è lui, Jules, il fratello.

 

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Concarneau, Rennes, Quimper, Versailles

Jules Guérec, capitano di pescherecci, celibe, 40 anni

Françoise Guérec, sui cinquant’anni, sorella di Jules, commerciante

Céline Guérec, 42 anni, sorella di Jules, commerciante

Marthe et Emile Gloaguen, sorella e cognato di Jules

Marie Papin, 22 anni, nubile, madre di Edgard e Joseph

Philippe, fratello di Marie, tuttofare un po’ ritardato

Alcuni mesi, con coda

Epoca contemporanea

Georges Simenon “Il testamento Donadieu” Repubblica Simenon 1 euro 9,90

[A: 28/09/2019 – I: 15/04/2022 – T: 18/04/2022] - &&&&

[tit. or.: Le testament Donadieu; ling. or.: francese; pagine: 428; anno 1937]

Dopo la breve sosta vicino ad Orléans (che tuttavia rimase nei suoi appunti per alcuni schizzi campestri dei successivi romanzi), Simenon si sposta nei pressi di Saint-Raphaël, nella villa “Le Lézardière (la lucertola)” ad Anthéor, dove scrive alcuni romanzi ad inizio del 1936.

Ma con l’avvicinarsi dell’estate ritorna potente la passione per l’isola di Porquerolles, dove affitta la Villa “Les Tamaris (le tamerici)”. È sempre prodigo di inviti, sempre alla ricerca di consensi nel mondo dell’editore Gallimard, così che nella villa si succedono grandi incontri, e giornate di meditazione e scrittura. Certo, Gide, la punta di diamante di Gallimard, apprezza alcune sue scritture, ma Simenon non è soddisfatto, vuole finalmente comporre un romanzo che colga nel segno. Non solo, ma la sua speranza è che queste scritture di “romanzi duri” gli possano addirittura portare il Nobel.

Nasce così, commissionato dal quotidiano “Le Petit parisien”, questo lungo romanzo, forse il più lungo tra gli scritti di Simenon. Un drammone a tinte fosche, che rimanda a Balzac per la complessità della materia dove si narra della disgregazione di una famiglia, attraverso lo studio psicologico dei vari membri del clan. Ma anche per quel dualismo città-campagna, o meglio tra arrivismo provinciale e successo parigino.

Poiché Simenon parte sempre da un’idea e da uno schema, ecco che abbiamo, nella prima parte un morto, e nella suddivisione generale, la tripartizione in tre diverse tipologie di domenica: quella dura e lavorativa di La Rochelle, quella marina e quasi vacanziera di Saint-Raphaël, quella mondana ma sempre sul filo della tragedia di Parigi.

Seguiamo così il declino inarrestabile della famiglia Donadieu. Si comincia con la morte, che non sapremo mai se per accidente, per suicidio o per suicidio, del capofamiglia Oscar Donadieu. Uno che era diventato una potenza a La Rochelle (siamo nella prima parte), con la sua flotta, sia marinara che di trasporti. Oscar comanda tutti a bacchetta, sa che il primo figlio è senza midollo, che la moglie preferirebbe organizzare feste e mondanità, che i più piccoli sono facilmente suggestionabili. Così che nel suo testamento lascia tutto a Michel e Marthe, relegando la moglie al ruolo di garante dei più piccoli.

Tutto ciò non fa che innestare una girandola di avvenimenti. Martine si invaghisce di Philippe, che però, attraverso di lei, cerca solo di impadronirsi delle fortune dei Donadieu, da lui ritenuti responsabili della rovina del padre Frédéric. Che tra l’altro era ed è rimasto in buoni rapporti sia con la regina madre, sia con Eva, la moglie di Michel. Comunque, Philippe rapisce Martine, la mette incinta, e la famiglia è costretta a prendere una decisione.

Contemporaneamente, si scopre che Michel ha messo incinta la sua segretaria Odette, l’ha costretta ad abortire, mettendo in subbuglio anche il padre di lei. Per placare le acque, Michel viene mandato a Saint-Raphaël, la moglie Eva ripara in Svizzera con i figli. Sulla Costa, Michel viene poi raggiunto da Martine, incinta e sempre più prossima al parto, e da Kiki, che trova sostegno nel suo precettore, e che con lui, gay senza dirlo esplicitamente, fuggirà in America.

La seconda parte delle domeniche è quella che vede l’ascesa di Philippe nell’azienda di famiglia, dove prende il posto di Michel, che sulla Costa non trova di meglio che insidiare signorina a go-go, facendo sempre figure meschine. Il problema di Philippe è che, per accrescere il patrimonio in tempi brevi, non lesina di imbarcarsi in imprese rischiose, dove l’unica possibilità di salvezza è continuare ad allargare le attività, chiedendo sempre più prestiti alle banche. Le domeniche sulla Costa si chiudono con la nascita del piccolo Claude, e con il definitivo abbandono di Eva.

La terza parte si svolge cinque anni dopo, con la maggior parte delle attività “Donadieu” ormai trasferite a Parigi, dove Philippe fa la bella vita, mettendosi accanto l’imbelle Albert. Solo perché è prossimo ad ereditare milioni di franchi che serviranno a rimettere in sesta l’azienda, che si avvicina pericolosamente alla bancarotta. Per cercare di legare Albert a sé, Philippe non trova di meglio che circuire anche la di lui moglie Paulette, una donna semplice, ma che pensa di aver trovato il grande amore. Martine capisce quindi che Philippe ha finto l’amore solo per i suoi scopi, mentre lei (e Simenon riesce a tratteggiarne mirabilmente i momenti) ne è innamorata persa.

Intanto, vediamo la china degli altri. Michel non chiede altro che soldi per pagare le sue scappatelle, Marthe ed il marito sono rimasti a La Rochelle e poco contano e conteranno, Frédéric, per i casi contorti della vita, ha conosciuto Odette ed ha deciso di vivere con lei.

In questo lento e lugubre romanzo ci stiamo avvicinando alla fine, che si risolve nelle ultime cinquanta pagine, forse un po’ frettolosamente rispetto alla lentezza del resto del testo. Sarà un finale a sorpresa, nello stile del miglior Simenon. Taluni ne hanno parlato male, io ritengo che abbia fondato le basi del miglior Simenon, anche di quello “Maigret”, anche se i personaggi, a parte Frédéric, sono tutti piuttosto negativi.

Inoltre, l’atipicità della scrittura di questo libro (e di altri) scritti a cavallo della metà degli anni Trenta, è che c’è una sorta di continuità, nascosta o palese tra diversi romanzi. Infatti, nel libro precedente al testamento, intitolato “45° all’ombra” (a volte citato anche come “A bordo dell’Aquitania”), ed ambientato su di una nave, il protagonista è un medico, il dottor Donadieu. Non solo, ma, caso unico nella scrittura dello scrittore belga, l’anno successivo pubblica il libro “Turista da banane” che racconta la storia di Kiki Donadieu, dopo la fine di questo libro. Tra l’altro il cognome del titolo gli era rimasto quando, lavorando ventenne per il marchese di Tracy leggeva sul giornale la pubblicità di un commerciante di vino e birra di nome … Donadieu.

In modo iperbolico, poi, ad un certo punto ci narra che le figlie di Paulette stanno dal suocero, in boulevard Richard-Lenoir (che tutti sanno essere da sempre e per sempre la strada dove abita Jules Maigret).

Inoltre, come non pensare che, in modo velato e trasposto, l’antagonismo tra Albert e Philippe, che, ovvio, è solo nella testa di Philippe, non adombri quel rapporto d’amore e odio che si stava instaurando tra Gide e lo stesso Simenon. Con quei tratti cinicamente puntuali: il fascino verso le donne di Philippe-Georges e la triste serietà di Albert-André. Ma forse stiamo andando troppo in là con la fantasia, bastando qui rimanere con i piedi per terra, in un romanzo non sempre ben accolto, ma che, per me, mostra alcune delle caratteristiche proprie e fondamentali della scrittura di Simenon: la capacità di descrizione dei personaggi, l’entrata a piè giunti nella loro psicologia, la presenza di qualche elemento scatenante esterno, spesso non voluto, e non spiegato.

Il balzacchiano testamento rimane di certo un esempio classico di Simenon e della sua bravura.

“Philippe poteva coricarsi tardi, rientrare all’alba, ma si alzava invariabilmente alle sette e non appena apriva gli occhi ritrovava una completa lucidità.” (322)

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

La Rochelle, Saint-Raphaël, Paris.

 

Philippe Dargens, figlio di Frédéric; celibe, poi sposa Martine Donadieu. Ad inizio romanzo ha 25 anni

Mme Donadieu, vedova di Oscar Donadieu, chiamata la “regina madre”

Michel Donadieu, primogenito, 37 anni, con la sposa Eva Grazielli

Marthe Donadieu, sorella di Michel, 32 anni, e suo marito Jean Olsen, norvegese

Martine Donadieu, 17 anni, sorella di Marthe e di Michel

Oscar Donadieu, detto Kiki, 15 anni, il figlio minore

Odette Baillet, segretaria di Michel, 22 anni, e suo padre François Baillet

Frédéric Dargens, cinquantenne, banchiere in rovina, padre di Philippe

Albert Grindorge e sua moglie Paulette, amici di Philippe

Cinque anni tra l’inizio e la fine

Epoca contemporanea

Georges Simenon “L’assassino” Repubblica Simenon 30 euro 9,90

[A: 06/05/2020 – I: 20/04/2022 – T: 22/04/2022] - && e ½ 

[tit. or.: L’assassin; ling. or.: francese; pagine: 156; anno 1937]

Ancora per mettere ordine, questo libro risulta scritto prima del precedente (cioè nel 1935), ma viene pubblicato solo dopo da Gallimard (come indicato nel 1937).

Simenon è ancora sotto l’influsso del lungo giro del mondo, ed è, al solito, inquieto nelle sue scelte alloggiative. Sta cercando casa a Parigi, non è soddisfatto di Orléans. Allora, nel dicembre del ’35 si risolve a passare l’inverno in montagna, in Alta Savoia. Qui, insieme alla famiglia, alloggia nell’Hotel P.L.M. di Comboux. Questo era un albergo savoiardo storico, costruito nei primi del Novecento con il nome di Hotel Mont Blanc. Poi acquistato nel ’23 dalla società PLM (Paris- Lyon - Méditerranée). Oltre al corpo centrale, l’albergo immerso in un parco, dove, in una delle cinque villette indipendenti, alloggiano i Simenon.

Come spesso accade ai testi di Simenon, la prima apparizione sarà a puntate su “Le Figaro”. Quando poi Gallimard ne decide l’uscita in volume, l’editore chiede allo stesso Simenon di redigere la quarta di copertina. Dove l’autore così descrive il romanzo: "L'azione si svolge in una piccola città olandese colpita da pioggia e neve dove la gente, per guardarsi riflessa nei vetri deve spazzare via la nebbia. C'era, mi ricordo, una ragazzina che suonava il pianoforte. Poi qualcun altro che giocava al biliardo. Quanto alle vittime, che sono due, siccome le si conoscevano poco, non hanno granché importanza".

Simenon parla di azione, laddove tuttavia non ce n’è molta. Visto che il romanzo si svolge quasi tutto a Sneek, nella Frisia olandese, dove vive il protagonista, Hans Kupérus, medico di 45 anni, grigio, con una vita ordinata, scandita, oltre che dalle visite dei malati, dalla quotidianità con la moglie Alice, dalle partite a biliardo e da una gita periodica, il primo martedì del mese, ad Amsterdam. Quando una lettera anonima gli svela il tradimento della moglie, proprio nei martedì, con una decisione improvvisa, compra una pistola, rientra nottetempo a Sneek, sorprende i due amanti, e li uccide.

Pensava poi di suicidarsi, invece, riprende la sua routine abituale. Si reca al biliardo, gioca, visita. L’unico cambiamento, oltre i morti, è la decisione di prendersi Neel, la cameriera, come amante. I morti verranno scoperti solo dopo del tempo, e le prove contro Hans saranno ormai scomparse. Ma il nostro assassino ha varcato una linea, e questo passaggio porta Simenon ad indagare sulla psicologia e sui comportamenti del dottore.

Che cerca di riprendere la sua vita, ma la sua ansia ed il clima che si instaura in città non lo aiutano. Gli amici lo scansano. Lui si sente sempre più solo. Nessuno lo accusa apertamente, ma, con il passare dei mesi, la gente comincia a sospettarne il coinvolgimento. Un amico di famiglia, il giudice Groven, che indaga sul caso, gli suggerisce di allontanarsi da Sneek. Anche un altro medico, cui chiede un consulto, gli dice che non ha bisogno di medicine ma di una vacanza. Il suo storico amico, l’avvocato Van Malderen, rifiuta di patrocinarlo in una causa. Insomma, si fa il vuoto intorno a lui.

Gli resta solo Neel, la cameriera, ora amante, cui lui vorrebbe far prendere il posto della moglie. Dormono, pranzano, vivono insieme, fanno l'amore, anche se Neel ha un suo amante tedesco. Con agghiacciante crudeltà veniamo poi a sapere la nascita di tutta la storia. Alice aveva rifiutato di risarcire Neel di un mezzo fiorino di una spesa, e Neel, per ripicca, scrivere la lettera che scatena l’assassinio degli amanti. Motivi futili che fanno scattare conseguenze imprevedibili.

Ma Hans non vuole fuggire, come invece fanno altri personaggi di Simenon in difficoltà (penso all’uomo che guardava i treni). Vuole ricreare intorno a sé una normalità che non potrà più esistere. Solo Neel, forse per pietà, gli rimane vicino, anche se, quando lui sembra voglia abbandonare tutto, gli risponde che non lascerà mai Sneek, che anche lei lo abbandonerebbe.

La bellezza del romanzo, che tuttavia non ritengo tra i più riusciti, è proprio in tutta l’introspezione psicologica che Simenon mette nel tratteggiarci la “discesa all’inferno” del medico. In quel suo guardarsi allo specchio per vedere se sia cambiato dopo l’assassinio. Nel suo tentativo di continuare a giocare a biliardo, quando nessuno vuole più giocare con lui. Nonché nel rapporto quasi di amore e repulsione con Neel. E la bravura dell’autore è nel riportare momenti di vita della piccola città, facendone risaltare la quotidiana semplicità, in quel grigiore stringente che le illusioni di Hans avrebbero voluto ribaltare.

Al fine di rendere più accentuato il carattere di Hans, Simenon utilizza molto dei monologhi dell’assassino. Inoltre, usa una tecnica particolare, concentrando in tre giorni, all’inizio, l’assassinio e le indagini. Dilatando poi i tempi del romanzo nei sei mesi successivi per dar modo all’aspetto psicologico di prendere il sopravvento.

Qualcuno, infine, adombra che Neel possa essere uno specchio deformato di Boule, la cameriera-amante di Simenon. Ma Neel è chiusa, reticente, impaurita, mentre Boule è solare, trasparente, farebbe di tutto per Georges, e soprattutto, non prenderebbe mai il posto di nessuna delle mogli di Simenon. È e sarà solo e sempre un’amante fedele e fidata.

Dove

Protagonista

Altri interpreti

Durata

Tempo

Sneek (Frisia olandese), Amsterdam.

Hans Kupérus, 45 anni, medico, sposato con Alice.

Neel, cameriera di casa Kuperus

Karl Vorberg, amante di Neel

Alice, 35 anni, moglie di Hans

Cornélius de Schutter, 45 anni, amante di Alice

Da gennaio a luglio

Epoca contemporanea

Direi che per questo mese di riposo e di campagna può essere sufficiente. Alcuni saluti finali, il primo sempre con “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury: “Guy voi avete davanti un vigliacco. Io vedevo la piega che stavano sempre più prendendo le cose, ma molto tempo fa; ma non ho detto nulla; sono uno degli innocenti che avrebbero potuto parlare chiaro e tondo quando nessuno era disposto a dar retta al ‘colpevole’ ma non ho aperto bocca, diventando così colpevole a mia volta.” (96)

Penso sia una frase che faccia riflettere tutti noi. In modo che si possa ripartire da domani, con vivacità e vigore. Dovremmo affrontare lunghi mesi che non sembrano, ad ora, tra i più sereni. Ed anche se serve a poco, diamoci conforto con tanti abbracci.