martedì 6 gennaio 2015

Tutti salvi fuorché Salvo - 06 gennaio 2015

Saltata la domenica torinese, eccoci qui, in una Befana che corre via per parlare (finalmente) di qualche buon libro del nostro amato siciliano. L’avrete certo capito dal facile gioco del titolo che parliamo di scritti di Andrea Camilleri. Uno solo tratta del benemerito commissario, in un racconto di medio coinvolgimento. Abbiamo poi alcuni altri scritti, recenti o antichi, che si aggirano per la Sicilia, e spesso per Vigata. Recuperando letture fatte più di un anno fa, ma che aspettavano di essere completate. Una su tutte, se non l’avete letta: quella della storia della bella Eleonora.
Andrea Camilleri “La rivoluzione della luna” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 07/03/2013– I: 13/11/2013 – T: 14/11/2013]
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 276; anno 2013] - &&&& 
Non è un nuovo Montalbano. Non è una delle storie di Vigata. Ciò nonostante è un Camilleri di buon livello. Quello che si occupa di ricerche storiche ed in particolare della storia siciliana. La scrittura è quella ormai solita di quando Camilleri parla di storie sicule, quel misto di 90 per cento di dialetto e 10 per cento di italiano di raccordo. Qui viene complicata (con aiuto doveroso) da un po’ di spagnolo mescolato al resto. Come ci confessa lo stesso autore, l’idea gli viene dalla lettura di un testo storico sulla storia dei Viceré spagnoli in Sicilia. Accorgendosi, in particolare, di un piccolo buco tra la morte del Viceré don Angel de Guzman e l’insediamento del successore il cardinale Luis Fernando de Portocarrero, vescovo di Toledo. Cosa succede in quei 27 giorni? A valle di piccole ricerche, lo scrittore scopre che quei giorni furono governati dalla moglie di don Angel, la bellissima (secondo le cronache dell’epoca) Eleonora de Mora (che per l’esattezza si chiamava Leonor de Moura y Aragon, marquesa de Castel Rodrigo). Questo piccolo buco da modo al nostro di “Inventare” una bella storia di presa di coscienza e di vendetta, anche se qualche piccola imprecisione storica rimane (ma la bio-fiction consente qualche aggiustamento). Di alcune dà conto nella nota in post-fazione lo stesso Camilleri (e non vi torno). Una rimane inspiegata: la vicenda, secondo Camilleri, si svolge nel settembre del 1677, mentre il cardinale de Portocarrero (secondo gli storici spagnoli) si insedia come Viceré nel maggio dello stesso anno. Come rimane inspiegata la modalità della morte di don Angel (chiamato Aniello dai siciliani): perché e come si ingrassa di cento chili nel giro di un anno? Ed è questo che lo porta alla morte? Tuttavia non essendo la veridicità storica quella che cerca Camilleri, ma lo spunto per portare avanti alcune sue (anche condivisibili) tesi, possiamo concedergli qualche svarione. Camilleri è invece interessato a fustigare i costumi dei corrotti nobili del tempo (e di ogni tempo), ad esaltare le capacità e l’empatia femminile nel condurre politicamente la terra di Sicilia. E nel salvare i buoni dall’oblio. Approfittando, infatti, della malattia di don Aniello, i potenti locali mettono in atto soprusi e soperchierie onde mantenere il potere sull’isola, con il beneplacito della corona e del papato. I nobili rubano ed anghereggiano i popolani, il vescovo è dedito a pratiche pedofile con i ragazzi del coro delle voci bianche, e tutti si approfittano di belle e sfortunate giovani, per mettere in atto una fantomatica ”Opera Pia per le vergini pericolanti” che non è altro una ben gestita e remunerativa casa chiusa. Alla morte di don Angel, la bella Eleonora prende su di sé il carico del governo. Cominciando a tagliare teste, a promulgare leggi, e contornandosi di personaggi “buoni”. La vecchia marchesa e il ben presto innamorato protomedico di corte. Con il loro sostegno, mette a poco a poco nell’angolo la nobiltà arraffona. Prima trovando il modo di farla dimettere dalle cariche. Poi riuscendo a smuovere il popolo vessato, facendo in modo che i detti duchi, marchesi e nobili vari debbano rifondere del mal tolto. Solo il vescovo resiste, protetto dalla lontana curia di Roma, che poco si immischia delle malefatte locali, ragionando solo su astratti principi di rapporto tra Stato e Chiesa. La lotta sembra volgere al brutto per la combattiva sposa, ma il Vescovo commette l’impudenza di far uccidere un suo nemico. Nel breve volgere di pochi giorni, anche il perverso prelato viene messo alle corde, ed infine condannato al “càrzaro” a vita per le sue malefatte. Tutto in bene, allora? Ovviamente no, che una donna non può reggere a lungo il potere in una società maschile come quella di fine Seicento. Sarà destituita dalla reggenza, e se ne tornerà in patria, anche se acclamata dai siciliani “buoni” ed accompagnata nell’ombra dal medico innamorato che la seguirà in Spagna. Il carosello è finito, e tutto torna bene o male sulle rotaie della normalità. Né vinti né vincitori, ci dice Camilleri. Ma l’agile romanzo è servito a rendere omaggio ad una figura di donna, emblema di tutte le eroine combattive (e spesso misconosciute) che hanno reso salda una tradizione di rettitudine che i turpi maschi cercano e cercheranno sempre di infangare e misconoscere. Ripeto anche qui, non certo un’opera sconvolgente, ma un bel lavoro, intrecciato magistralmente, e discretamente condotto, senza troppe concessioni ai lieti finali, verso oneste conclusioni. Un inno all’onestà che manca, e che speriamo torni. Magari per qualche giro di luna in più.
Andrea Camilleri “La banda Sacco” Sellerio euro 13
[A: 19/10/2013– I: 20/12/2013 – T: 22/12/2013] - &&& e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 181; anno 2013]
Ripetendomi: non è un nuovo Montalbano, non è una storia di Vigata. E seppur interessante, ha una resa minore di altre prove dello scrittore agrigentino. Il tentativo di continuare e riprendere storie siciliane e presentarle in prospettive nuove è senz’altro lodevole. Soprattutto in una storia coma quella imbastita da Camilleri, dove, prendendo spunto da vicende locali, si vede come nasce, prolifera e si ramifica la mafia nel tessuto sociale. Lo spunto viene all’autore dalla richiesta di un erede della famiglia Sacco, che gli fornisce documenti e materiali. Partendo da questi, nella solita parlata sicula, percorre con furore sociale (al quale ci uniamo) la storia della famiglia Sacco, e di come si sia arrivati alla condanna all’ergastolo dei tre fratelli. Poiché lo spunto è storico, e vi sono documenti a supporto, c’è anche un’appendice esplicativa “in italiano”. E seppur utile alla collocazione del racconto nella sua prospettiva, avrei preferito un libro che rimanesse tutto all’interno del narrato. Si poteva fare, forse mescolando ancor di più ricostruzioni e ricordi. Questa volta intanto, ci spostiamo dalla provincia di Ragusa verso la più prossima all’autore provincia di Agrigento. E precisamene nella cittadina di Raffadali. Seguiamo il nascere della famiglia Sacco, seguendo prima di tutto il capostipite Luigi. Da bracciante a giornata, grazie alle sue capacità, in particolare per l’innesto dei pistacchi e poi per la cattura della mosca cantaride, Luigi fa fortuna, si affranca dal bracciantato, mette su famiglia, e genera cinque figli, cinque maschi ed una femmina. Anche loro di buona lena, chi lavora nei campi, chi emigra per qualche anno in Argentina, chi, come il più piccolo Alfonso, studia. Li riunisce la prima guerra mondiale, dalla quale escono indenni. Ma dagli anni Venti, dovranno affrontare un altro e micidiale pericolo: la Mafia. I Sacco, tra l’altro, sono socialisti, e questo è già pericoloso in quegli anni. in più, la Mafia comincia a chiedere il pizzo. A loro rifiuto cominciano le angherie. Alle quali, i Sacco rispondono denunciando i fatti ai Carabinieri. Qui c’è la prima resa dello Stato alla Mafia, che questi si rivelano impotenti. La Mafia comincia allora una escalation del terrore. Minacce su minacce, poi furti di bestiame, poi bruciate di campi. Fino ai tentativi di omicidio dei fratelli. I quali, per capacità o fortuna, riescono a scamparle sulle prime. Ma la Mafia insiste. E ad ogni tentativo di rivolgersi all’ordine costituito, false testimonianze e travisamenti vari, non fanno che inguaiare i Sacco. Il salto di qualità si ha con l’uccisione del patriarca Luigi. In poco tempo, i Sacco non possono che darsi alla macchia. E poiché nel frattempo, uno dopo l’altro, alcuni caporioni mafiosi vengono uccisi, la Mafia fa in modo che di questi delitti siano incolpati (colpevoli o no) i fratelli Sacco. La solidarietà paesana fa il resto, per preservare, finché si può, i fratelli dal cadere sotto il piombo dei mafiosi o dei carabinieri. Fino a che Mussolini invia Claudio Mori, il Prefetto di ferro, con l’ordine di debellare la Mafia. E poiché i Sacco sono comunque fuorilegge, il Prefetto si mette di buzzo buono sulle loro tracce, riuscendo al fine ad arrestarli. Siamo nel 1926, nel pieno dell’inizio dell’era fascista, e benché senza prove reali, tre dei fratelli vengono condannati all’ergastolo per delitti non commessi. Solamente quasi 40 anni dopo, a fronte anche di un interessamento del Partito Comunista, vengono graziati e finiscono la loro vita, anche se non serenamente, comunque nella natia Raffadali. Ci sono molti spunti che tralascio nella descrizione, dai quali si evince come, al pari di una partita di scacchi, la Mafia muova tutte le sue pedine sulla scacchiera, riuscendo ad isolare ed a mettere in cattiva luce i Sacco. Con tutte le connivenze e le congiunture che possiamo immaginare. Poteri forti che non vogliono (o non hanno le forze) di mettersi al servizio della Giustizia. Poteri deboli che usano l’inganno, la minaccia e le falsità per costruire castelli poi difficili da smontare. Storie che si ripetono, che vediamo ed abbiamo visto anche ai giorni nostri. Come falsi pentiti di mafia annuncino confessioni clamorose per inguaiare persone poco inerenti ai fatti. O depistare. O come vengano usati i mezzi di comunicazione di massa (giornali e televisioni) per costruire false realtà, utili solo a nascondere la verità. Da questo punto di vista, il castello costruito da Camilleri intorno alla famiglia Sacco è esemplare nella sua perversità. Se seguiamo passo dopo passo tutti gli avvenimenti, ci accorgiamo come ogni volta si faccia un passo avanti verso la costruzione di un labirinto di menzogne dal quale non sarà facile uscire. Anche perché, non avendo appigli, i Sacco fanno anche loro passi falsi. E questi saranno immediatamente usati, enfatizzandoli. Mentre si minimizza il resto. Tipico l’agguato finale, dove il tenente dei Carabinieri sostiene esserci stato un confronto a fuoco di due ore, alla fine del quale i Sacco escono feriti e quasi moribondi, mentre le forze di polizia non hanno neanche un graffio. Illuminante. E pur tuttavia il giudice condanna i Sacco! La fine, con quel ripercorrere attraverso il memoriale di Alfonso Sacco alcuni punti della vicenda, ripeto, è se vogliamo un ricollocarla nel tempo, ma ne smorza i toni forti di denuncia sin lì portati avanti. Rimane l’amarezza di una pervasività della mafia (in tutte le sue ramificazioni), che non può che lasciare al solito sgomenti. Quando si riuscirà ad uscirne? Quando si riuscirà a riportare l’etica e la morale su dei binari costruttivi?
Andrea Camilleri “Un covo di vipere” Sellerio euro 14 (in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 03/06/2013– I: 26/06/2014 – T: 28/06/2014] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 261; anno 2013]
Ed eccoci tornati di nuovo ad un libro del buon Salvo. Marcato 2013, anche se, come confessa l’autore in coda, fu scritto ben cinque anni prima. Ma non uscì nel 2008 per una serie di motivazioni editoriali che non interessano al lettore (o non più di tanto). Quello che si rimarca immediatamente è, infatti, il tono datato dello scrivere. Sì, è vero, Salvo e Livia sono in crisi (come sempre) ma non in quella crisi verticale degli scritti ultimi. E Salvo, pur parlando tra sé e sé, non fa ancora quelle lunghe ed a volte inutili elucubrazioni che hanno appesantito le ultime uscite. Insomma, è ancora un tono fresco e meno “bollito” degli ultimi scritti del nostro commissario. È pur vero, però, che la storia è banalotta anzi che no. Una storia che si capisce subito dove vuole andare a parare, non c’è neanche bisogno di arrivare a metà libro. Infatti, come spesso nelle ultime prove ambientate a Vigata, il giallo in sé diventa quasi un accidente di altro scrivere. Dei comportamenti umani da un lato, e non è male, e delle solite macchiette dall’altro che non riescono più a smuovere al riso. Dicevo la storia. Si trova un ragioniere sessantino riverso in cucina mentre beve un caffè, con la faccia devastata da un colpo di pistola. Prime indagini, scoperta quasi immediata che il ragionier Barletta non è proprio uno stinco di santo. Anzi, è un vero e proprio sciupa femmine. Ed è anche bastevolmente ricco, soprattutto per la sua attività nascosta di usuraio. Ha due figli. Il maschio, Arturo, assolutamente negativo, senza spina dorsale, succube del padre, e dedito a sperperare tutti i soldi che ha per far fare una vita agiata alla insipiente moglie. La femmina, Giovanna, bella e volitiva, ben presto scoprentesi piena di amanti. E con la voglia di circuire anche il nostro Salvo. Il mistero si complica quando si scopre che Barletta è morto avvelenato, e il colpo di pistola è avvenuto quando già era cadavere. Si scoprono inoltre foto su foto osé, scattate da Barletta alle sue amanti. Nascono filoni di ricerca anche in questa direzione, soprattutto per mano dell’inutile pubblico ministero. Ma Salvo e i suoi scoprono invece che c’è qualcosa di strano nel discorso del testamento del morto. Che aveva detto voler lasciare quasi tutto a Giovanna e nulla ad Arturo. Ma non si trova il testamento. Vuoi vedere che qualcuno l’ha fatto sparire? Interrogando poi il notaio si scopre anche che, il giorno della morte, Barletta lo aveva convocato per farne uno nuovo, di testamento. In cui praticamente diseredava i figli in favore della sua ultima amante. Quella di cui, ora in tarda età, si era innamorato. Questo cambia e di molto il corso delle indagini. Portando a sollevare veli su situazioni molto scabrose e complicate, che seppur ben trattate da Camilleri, non riescono a coinvolgere il lettore. Non sono “misteriose” (anzi sono fin troppo palesi), e portano allo scioglimento dei misteri ben prima che ci arrivino Montalbano ed i suoi ispettori. Il tutto percorso da tre giorni di visita della bella Livia al nostro Salvo, con un piccolo cammeo di un barbone che vive in prossimità della villa del nostro, e che parla un italiano ben forbito. Questi darà a Salvo una chiave di lettura del mistero che servirà solo a rafforzarne le conclusioni. Nel contorno, le solite belle mangiate alla trattoria di Enzo, le battute tra Catarella e Salvo, il tentennamento di Salvo verso Giovanna, presto rientrato. Pur tuttavia, una lettura che non potevo non fare (ma non è un caso che abbia rimandato quasi di un anno, come sentissi ci fosse qualcosa di poco entusiasmante nello scritto). Non è più il commissario combattivo dei primi scritti. Né il cinquantino in crisi, ma che ragiona sui mali del mondo, sulla corruzione e su altri temi, cari da sempre al nostro Camilleri. Si è voluto affrontare un tema interessante, su cui ci sarebbe da dibattere, ma con scarso coinvolgimento emotivo. Peccato.
“Squasi tutte le sirate della so vita le passava da sulo … ‘Na vota gli piaceva. La solitudini gli dava un senso di libbirtà. Ma ora, nell’ultimissimi tempi, la solitudini gli accomenzava a pisari.” (145)
Andrea Camilleri “La bolla di componenda” Sellerio euro 7
[A: 02/10/2014– I: 03/01/2015 – T: 05/01/2015] - && 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 108; anno 1993]
Uno dei primi scritti di Camilleri, l’ultimo prima dell’inizio della saga di Montalbano. L’ho trovato acerbo, non molto riuscito, anche se, a sprazzi, propone idee e situazioni interessanti. Non dico coinvolgenti, ma quanto meno inserite in quel filone di “coscienza civile” che il maestro Sciascia aveva insegnato alla “squadra di Sellerio”. E l’idea è quella, appunto, di dare qualche piccolo colpo alla coscienza del lettore, inscenando un piccolo teatro per demolire (ma purtroppo con pochi colpi a disposizione) uno dei cardini dell’incoscienza civile. Ovviamente parliamo di Sicilia ed ovviamente parliamo di mafia. Il tutto inserito in quella pratica, quella si poco civile, che va sotto il nome di “componenda”. Il termine dovrebbe, secondo dizionari ed altre dotte fonti, essere di genere maschile ed indicare transazioni informali finalizzati a risolvere un contenzioso tra le parti (cioè comporre il disaccordo), una sorta di accordo stragiudiziale non legale e non riconosciuto dall'ordinamento giuridico. Camilleri fa uscire questo breve scritto proprio negli anni in cui (pare) ci sia stato un “componenda” tra Stato e Mafia (ed ancora se ne discute). Il nostro prende la palla al balzo, e ci tira su uno dei suoi bei teatrini. Che svolge in tre atti. Nel primo, che stenta a decollare, parla un po’ di sé, del suo lavoro alla RAI, e dell’amicizia con il grande Giorgio Vecchietti, che, proponendogli un lavoro, gli racconta un avvenimento accaduto durante la conduzione dei suoi primi telegiornali di RAI2. Avendo eliminato filmati panegirici, che esaltando operazioni poco fruttuose della Guardia di Finanza, in realtà facevano pubblicità ai tabacchi, viene avvicinato da un faccendiere (così lo chiameremo ora), che gli propone accordi poco legali per aver salvi i suoi interessi. Un “componenda” non pienamente svolto. Ma da questa idea, e da alcune reminiscenze di memorie materne, risale ad accordi ben più ferrati e malavitosi. E soprattutto a quella pratica in uso sin dai primordi nella chiesa cattolica, delle “bolle di componenda”. Una versione peggiorativa delle indulgenze di luterana memoria. Le bolle erano assoluzioni prima che venisse commesso il crimine, che la chiesa vendeva prima direttamente, poi magari attraverso sacristi e prevosti. Ce n’erano di tutte le risme, per i furti, per le donne traviate, per gli adulteri, e via discorrendo (erano sembra 20 casistiche diverse). Mancava solo l’omicidio, ma poi ci arriveremo. In ogni caso, tra bolle e bolle, il nostro tira fuori dal cilindro della storia i verbali di una commissione di indagine sullo stato della Sicilia, insediatasi nella seconda metà dell’Ottocento. E lì, tra deputati, senatori ed funzionari del nascente stato italiano si intuiscono i modi per cui la piaga della “maffia” (con due effe come si diceva allora) poteva allignarsi nelle pieghe della società civile. Non a caso, quell’inchiesta vedrà la luce, emendata e di molto, solo cento anni dopo essersi svolta. Il dato che ne viene fuori, a parte tutte le piccole storie che Camilleri riesce a tirar fuori dalla sua sacca delle meraviglie, è appunto il bene placito che clero ed autorità riservano a chi si colloca fuori della legge. E se la Chiesa assolve il mafioso, prima che questi commetta i suoi crimini, come evitare che la gente “normale” guardi a queste vicende con occhio d’indulgenza e non di riprovazione? Manca solo l’ultimo atto, quello dell’omicidio. Solo qui Camilleri da stura ad un po’ della sua successiva verve, quella delle invenzioni e delle connessioni che ritroveremo in tutta la trafila dei successi di Montalbano. Inventa quindi una storiella, ovviamente basata a Vigata, che comincia ad essere il “locus” delle sue gesta, di un povero cristo cui un cattivo soggetto, per futili motivi, uccide il figlio. Tano, questo il meschineddo, per anni va da padre Pirrotta a chiedere se nelle bolle di quell’anno (che si vendono da Natale all’Epifania) sia finalmente comparsa una che gli consenta la vendetta. Dopo anni di inutile attesa (e d’altra parte, benché dirazzata, la Chiesa con difficoltà poteva assolvere un assassino ancora prima del fatto commesso), Tano ha una brillante idea: chi ha ucciso suo figlio è un porco, e le bolle prevedono il rapimento dei maiali e l’assoluzione per il rapitore. Quindi, usando il gancio da macellaio, uccide il cattivo, sostenendo di aver rubato il porco e di averlo ucciso perché non scappasse. Questo l’ultimo tassello delle bolle di componenda. Si possono fare patti per risolvere, extra-giudizialmente, le controversie. E, se si ha di fronte un nemico, basta pensare o far credere che sia un porco per poterlo uccidere con il beneplacito di tutti. Finisce così il breve scritto, che di certo non affonda i suoi artigli, che non entra nelle piaghe (reali) della società siciliana. Ne sfiora i punti salienti, le punte degli iceberg, ma individua una linea di ragionamento che, consentendo ai mafiosi (qualsiasi accezione possiamo dare a questo termine) di agire indisturbati, da fondamento di realtà ad una realtà che non dovrebbe avere fondamento. Probabilmente, scritto ora, Camilleri avrebbe trovato frecce più feroci al suo arco. Ed anche la lingua ne avrebbe risentito, che qui, per rimanere sul generale, è praticamente al 90% italiano. Insomma un prodotto interessante, ma alla fine deludente se ci aspettiamo il Camilleri maturo. Quello che fa ridere, ma che fa riflettere. Qui si pensa, ma bisogna lavorar molto di testa. Per questo, alla fine, non lo trovo uno scritto esaltante. Decente, ben scritto, ma di tono minore.
Essendo la seconda trama del mese, come i miei ormai affezionati lettori sanno, mettiamo anche un allegato su libropatie e rimedi vari. Avevo in mente anche di pubblicare un allegato da “tredicesima” per i recuperi di libri letti nell’anno, ma non ho fatto ancora in tempo, così lo rimandiamo. Mentre ci godiamo un interessante libro sul “coming out”.
Ed infine, ci sarà un altro mese di mancate letture, per voi affezionati lettori, che il vostro scriba si appresta ad una nuova partenza verso i lidi indiani. Mentre vi do appuntamento a febbraio, vi mando un grande augurio di un anno che superi le vostre aspettative.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

GENNAIO 2015
Iniziamo questo nuovo anno di libropatie non con un libro per curare malattie (che solo qualche omofobo può pensarci), ma con un difficile e sofferto libro per cercare di essere se stessi, quale che sia il se che ognuno ha.

COMING OUT, FARE

Non ci sono solo le arance, Jeanette Winterson
Se siete gay, lesbiche, bisessuali o transgender, fare coming out – prima con voi stessi e poi con gli altri – può richiedere anni, a volte una vita intera. Anzi, potrebbe anche non accadere mai. Per quanto sia complicato, tuttavia, non può essere più difficile che per Jeanette nel romanzo fortemente autobiografico di Jeanette Winterson “Non ci sono solo le arance”. La bambina viene adottata dalla madre, cristiane fondamentalista, per essere allevata come una «serva di Dio» dalla madre, e quando i membri della chiesa alla quale appartengono lei e la madre scoprono che preferisce le ragazze viene costretta a sottoporsi a un esorcismo.
Jeanette non vuole turbare la madre, né allontanarla. Quando cerca di spiegarle cosa prova per Melanie, la sua difficoltà a trovare le parole suonerà familiare per molti lettori – perché è chiaro che la donna, che «annuisce di tanto in tanto, in silenzio», non vuole saperlo. Ha alzato un muro impenetrabile tra se stessa e la figlia, e appena Jeanette smette di parlare la madre le dice di «andare a letto» e prende la Bibbia come se fosse una manifestazione letterale di quel muro. In un certo senso è proprio così, perché quando, alla fine, caccia di casa la figlia lasciandola senza dimora, soldi o amici (se anche questo vi è familiare, cercate la cura per “Abbandono”), userà la chiesa come giustificazione. La reazione della signora Winterson è così chiaramente assurda e priva di qualsiasi empatia che rafforzerà la vostra determinazione a comunicare al mondo intero la vostra identità. Se non riescono a gestire la cosa, è un problema loro e non vostro.

Bugiardino

Come sotto leggerete, il libro della Winterson non è da molto che venne letto e commentato. Un ritardo placato da un sottile piacere di lettura, anche se, e va sottolineato per coerenza, alcune parti le ho trovate difficili da leggere. Ma è certo altrettanto difficile tirare fuori se stessi in mondi che difficilmente ci accettano.
Jeanette Winterson “Non ci sono solo le arance” Mondadori euro 9,50
[trama del 02 novembre 2014]
Potremmo chiamare queste righe viaggio per una trama sbagliata. Oppure non fidarsi delle apparenze ed andare alle sostanze. Come sapete ho il vizio di non leggere (quasi) mai le quarte di copertina per non farmi influenzare nelle scelte. E di leggere le prefazioni dopo aver letto i libri. Di leggiucchiare qua e là su riviste e giornali su titoli e nuove uscite. Insomma, il vizio di sentire poco gli altri, prima. Dopo no, dopo sono forse anche troppo logorroico. Ora, erano anni che i libri della Winterson circolavano sulle librerie italiane, ed a colpa dei titoli mi sentivo un po’ respinto. C’è questo di cui parlo ora e ce n’era un altro dal titolo “Il sesso delle ciliegie”. Ed è stato proprio questo a mandarmi fuori strada, che lo associavo ad un altro titolo che circolava più o meno nello stesso periodo che recitava “Se la vita è un piatto di ciliegie, perché a me solo i noccioli?”. Inoltre, mi fuorviava anche il nome che mi sembrava fasullo. Come se un lettore inglese andasse in giro per autori stranieri e si imbattesse in un libro dal titolo di frutta e scritto, che so da Giovannina Figlinverni. Io non lo comprerei, quasi mi sembrava un’emulazione della Kinsella. Finalmente, tuttavia, nella grande fucina dei suggerimenti di “Curarsi con…” esce questo titolo ed io, nella mia onnivoracità, lo acquisto. E confesso di aver rimpianto il tempo perso. Non che sia un capolavoro, anche se è senza dubbio un buon libro sopra la media. Ed è anche un libro dove si fatica ad entrare, con tutti i capitoli che rimandano a citazioni bibliche. Poi mi ha preso, fino all'ultimo capitolo che, al contrario, mi ha frenato un po’, abbassando leggermente il giudizio finale. Forse solo chi ha una buona conoscenza dei temi religiosi del vecchio testamento potrà godere fino in fondo del libro. La piccola Jeanette viene adottata da una famiglia molto religiosa dove abbiamo la presenza una madre ingombrante, ossessiva che cresce la figlia all'interno di un mondo fatto di canti liturgici, indovinelli sulla Bibbia e “arance”. Jeanette ha una “forzata vocazione” per diventare missionaria di Dio e qualsiasi problema, dubbio o incertezza si risolve mangiando un po’ di arance. Cresce quindi in una comunità bigotta, dove il Diavolo è ovunque e può manifestarsi in chiunque e in qualsiasi forma. Durante il periodo della sua adolescenza sarà proprio Jeanette a “essere posseduta dal demonio”, quando per la prima volta incontra l’amore e per lei è un amore puro e semplice. La madre e l’intera comunità hanno una reazione scomposta perché a Jeanette piacevano le persone sbagliate. Per carità! Persone in realtà degnissime sotto ogni aspetto, salvo che per un piccolo particolare: l’amore per un’altra donna era peccato! E cosa c’è di più efficace di un esorcismo, di rinchiuderla in una stanza buia e senza cibo per indebolire i demoni che hanno preso possesso della povera Jeanette? E poi ovviamente quando ormai è affamata e debilitata arriva la madre con un cesto di arance e tutta torna come prima!!! Di fronte a questo assurdo, psicologicamente violento e incomprensibile fanatismo Jeanette non riconosce più nessuno, non riconosce la madre, non riconosce tutte quelle persone che da sempre hanno fatto parte della sua vita, in tutto ciò non riconosce e non riesce a vedere neanche quel Dio che ama tanto e a cui non vuole rinunciare, ma in fondo non può rinunciare neanche a se stessa. Sarà proprio un’impresa ardua per Jeanette affrontare un percorso interiore per trovare se stessa, per rispettarsi e farsi rispettare per quello che è, per scoprire che ci sono varie forme d’amore e quindi per ritornare al titolo “non ci sono solo le arance”!!! Ripeto la scrittura non è mia facile, iniziando in tono quasi giocoso, per poi farsi matura, anche se intervallata da racconti fantastici che, in tono di favola, ripercorrono i duri momenti della vita di Jeanette. Che non viene mai meno a sé stessa, in ogni momento. Questa è una delle tematiche forti del romanzo, oltre a quella dell’accettazione della propria sessualità e della sua difesa, sempre e comunque. Il messaggio finale, poi, molto semplicisticamente, potremmo riassumerlo nella constatazione che non esiste solo il bene o solo il male, ma che la nostra vita è tutta una sfumatura di grigi. Una macedonia di tanti frutti diversi.

Conclusioni

Il libro è certamente in linea con l’assunto. Se avete difficoltà a fare coming out, la lettura di questa sofferta para-auto-biografia vi sarà di aiuto. Le difficoltà di Jeanette vi faranno da balsamo. Comunque ne consiglio piccole dosi, che la scrittrice, a volte, risulta anche di difficile lettura, e quindi, troppe dosi rischiano di essere controproducenti.

giovedì 1 gennaio 2015

Buon 2015 - 01 gennaio 2015

Come sta diventando tradizione per la prima scrittura dell’anno, oltre l’augurio a tutti di un anno buono e pieno di ogni cosa che ognuno vuole (per sé e per gli altri, con un po’ di sano senso etico che forse è spesso venuto meno), faccio un po’ le somme delle passate letture.
Ma in via preliminare, do il benvenuto ad altri nuovi lettori, ricordando loro che questa mail li tormenterà fino a che lo desidereranno; basta un cenno, e se vi sete stufati, vi tolgo dalle liste. Dei lettori, certo non degli amici e dei viaggiatori.
E sempre per loro ricordo che possono consultare i miei libri e le recensioni sino ad ora accumulate sul sito http://www.anobii.com/gio53/books.
Sono ormai 8 anni, che sotto la spinta di perfidi amici, ho finalizzato la mie letture, tenendo conto di cosa acquisto, di cosa leggo, e delle trame che sopra ogni libro, con modesta pignoleria, vado accumulando.
Proprio per loro, incominciamo con questi “grandi numeri”: in questi 8 anni ho acquistato 1626 libri (circa 200 libri/anno) spendendo circa 10.000 euro (ossia 1.250 €/anno), ho letto 1563 libri (circa 13 libri/mese) e ne ho tramati 1396.
Ma passiamo dai grandi numeri storici, a quelli più precisi e puntuali dello scorso anno, il 2014.
In questo anno ho letto 212 libri (si sa che i pensionati hanno più tempo, ormai) per un totale di 56550 pagine. Con rapidi calcoli, quindi, sono stati letti poco più di 17 libri mese. Ogni libro poteva essere quindi di circa 260 pagine, ed io procedo ad un tasso di lettura di circa 150 pagine al giorno. I mesi con più libri letti sono stati febbraio ed ottobre (21 libri), e sempre ottobre detiene il record di pagine lette (6411).
Tra l’altro, come sapete, non sono numeri “stratosferici” (seppur grandi), dato che ho quattro tornate di letture giornaliere (i tre pasti e la sera), nonché (quest’anno) i lunghi voli aerei.
Veniamo all’immancabile “TOP OF THE YEAR 2014”, cioè i miei 30 migliori libri. Ricordo che lo “smile” è un mio voto che va dal 5 (imperdibile) all’1 (si può evitare di leggerlo). Quest’anno nessun libro ha raggiunto la vetta di gradimento, ma abbiamo una trentina di libri che si attestano sui 4 smile.

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Euro
1
Jacques Le Goff
Cinque personaggi del passato per il nostro presente
Ibis
8,80
2
Francesco Piccolo
Il desiderio di essere come tutti
Einaudi
s.p.
3
Gianni Biondillo
I materiali del killer
TEA
9
4
Catherine Dunne
La metà di niente
Guanda
10
5
Lorenzo Licalzi
Un lungo fortissimo abbraccio
BUR
9,90
6
Siri Hustvedt
L’estate senza uomini
Einaudi
9,50
7
Anna Maria Ortese
Il mare non bagna Napoli
Adelphi
10
8
Bernhard Schlink
A voce alta
Garzanti
9,90
9
Tom Robbins
Natura morta con picchio
Baldini Castaldi Dellai
8,90
10
Amos Oz
Non dire notte
Feltrinelli
8
11
Nicole Kraus
La storia dell’amore
Guanda
12
12
Susan Abulhawa
Ogni mattina a Jenin
Feltrinelli
9,50
13
Armistead Maupin
I racconti di San Francisco
BUR
10
14
Fred Vargas
L’armée furieuse
J’ai lu
8,70
15
Alice Munro
Le lune di Giove
Einaudi
12
16
Alain de Botton
Esercizi d’amore
Guanda
11
17
Luigi Pintor
Servabo
Bollati Boringhieri
s.p.
18
Giorgio Bassani
Dietro la porta
Feltrinelli
7
19
Peter Cameron
Quella sera dorata
Adelphi
11
20
Pino Cacucci
Oltretorrente
Feltrinelli
7,50
21
Alice Walker
Il colore viola
Sperling
9,50
22
Marco Malvaldi
Il telefono senza fili
Sellerio
13
23
Enrico Pandiani
La donna di troppo
Sole 24 ore Noir
6,90
24
Henning Mankell
Comédia Infantil
Marsilio
12,50
25
Luana Vergari
L’estate che uccisi mio nonno
NPE
9,90
26
Arto Paasilinna
L’anno della lepre
Iperborea
13
27
Diego Marani
Nuova grammatica finlandese
Bompiani
s.p.
28
Enzo Bianchi
Dono e perdono
Einaudi
10
29
Fred Uhlman
L’amico ritrovato
Feltrinelli
s.p.
30
Patrick Modiano
Un pedigree
Einaudi
s.p.

Inoltre, essendo oltre che inizio anno, anche inizio mese, ecco le 21 letture del mese di ottobre. Con alcune punte che si staccano dalla massa: l’ultimo di Malvaldi con l’epopea del BarLume, una nuova punta dell’hard boiled di Pandiani, il recupero di un vecchio libro di Mankell che non avevo letto, ed il primo libro “solo scritto” della mia amica Luana. Certo abbiamo anche delle punte in basso vertiginose, di libri che sconsiglio vivamente di leggere: gli inutili noir di Genzini e di Rino Cammilleri, nonché, purtroppo, il primo libro per me troppo sperimentale di Roberto Bolaño (confesso che l’ho anche riletto, e non ne cavo un ragno dal buco). 

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Audrey Niffenegger
La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo
Mondadori
10
2
2
Clive Cussler & Grant Blackwood
L’impero perduto
TEA
9,90
2
3
Clive Cussler & Graham Brown
I cancelli dell’inferno
TEA
9
3
4
Susan Vreeland
La passione di Artemisia
BEAT
9
3
5
Filippo Genzini
L’uomo che si sciolse come neve al sole
Sole 24 ore Noir
6,90
1
6
Marco Malvaldi
Il telefono senza fili
Sellerio
13
4
7
Stephen King
Shining
Bompiani
13
2
8
Melani Le Bris
La cucina della filibusta
Elèuthera
s.p.
3
9
Carmine Abate
Il ballo tondo
Mondadori
9,50
3
10
Dan Brown
Inferno
Mondadori
5
3
11
Enrico Pandiani
La donna di troppo
Sole 24 ore Noir
6,90
4
12
Rino Cammilleri
Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo
Mondadori
4,90
1
13
Henning Mankell
Comédia Infantil
Marsilio
12,50
4
14
Maria Teresa Valle
L’eredità di zia Evelina
Sole 24 ore Noir
6,90
3
15
Piero Colaprico
L’estate del Mundial
Il Saggiatore
11
3
16
Roberto Bolaño
Anversa
Sellerio
9
1
17
Andrea Vitali
Il procuratore
Garzanti
9,90
3
18
Michael Connelly
La svolta
Piemme
13
3
19
Luana Vergari
L’estate che uccisi mio nonno
NPE
9,90
4
20
Vincenzo Consolo
Il sorriso dell’ignoto marinaio
Mondadori
9
2
21
Anne Perry
Congiura a Buckingham Palace
Mondadori
4,90
3

E ricordando che sempre di numeri tratto, questo 2015 è senza dubbio un nuovo anno esimio, visto che la somma dei numeri da 8, il numero fortunato dei cinesi. E si scompone nel prodotto di 5 (in ricordo del mio mese di maggio), di 13 e di 31 (che sono dei bellissimi numeri palindromi). Infine, per gli amanti anche del cinema, ricordo che nel 2015 si svolge il secondo episodio del mitico “Ritorno al futuro”.
Un appuntamento alla prossima trama ed a tutti un grande abbraccio.