domenica 29 giugno 2008

Anti-americana e pre-estiva

Dopo una settimana dedicata ai classici ed ai russi, per dare un po’ di botte al cerchio, oggi mi occupo di autori americani (o comunque di lingua inglese). Ma prima di entrare nel vivo, visto che (nel bene o nel male) siamo all’estate, volevo scrivere dell’idea che mi era venuta: quasi un gioco estivo, senza premi (per fortuna). Chi vuole, mi mandi i titoli degli ultimi tre libri che ha letto. Li avrò letti anch’io? Mi piacciono o no? Alla fine dell’estate troverete le mie riflessioni su di loro. In fondo, il gioco è mio, più che vostro. Ma chissà che non vengano altre idee nel mentre.

Torniamo agli americani, che, lapidariamente, non mi sono piaciuti. Anzi, in primo luogo torno sulla casa editrice che (seppur in forme diverse, direttamente o tramite sottomarche) pubblica queste cose. Già più volte mi sono domandato: ma quanti agganci ha, la Newton Compton per continuare a pubblicare cose bruttine e mal tradotte, e continuare ad esistere e prosperare? Oppure, tramite qualche collana di lungo respiro è riuscita ad avere una solida base economica che le consente molte nefandezze?

Veniamo allora agli autori. Cominciando da quello che meno mi è piaciuto:

Jonny Glynn “Gli ultimi sette giorni di Peter Crumb” Vertigo euro 9,90 (in realtà, scontato 6,60)

Direi che fondamentalmente non mi è piaciuto. Non che non abbia qualche spunto. La crisi di un uomo presunto normale che di fronte ad un dolore reagisce con la depressione più nera, precipitando in abissi di droga, alcool, sesso ed altro. Peter Crumb è, infatti, un uomo timido, insicuro, la cui storia è segnata da un unico e devastante episodio di violenza che ha sconvolto per sempre la sua vita e la sua mente. Fra una settimana Peter si ucciderà, ed è con questa consapevolezza che si appresta a liberare, finalmente, la sua metà oscura: in questi sette giorni Crumb è deciso a lasciare il proprio marchio sul genere umano, un marchio di sangue, di dolore e di morte, senza criterio, senza giustizia... Ma tutto è narrato sul filo del “guarda come sono bravo a raccontare”. Ma cosa racconti? Senza sugo, senza mordente, con dei paragoni da quarta di copertina (un Dostoevskij in minore?) da far rabbrividire. Ritengo che molto sia dovuto alla spinta che qualcuno vuole dare alla Newton Compton. Che non lo merita. Ricordiamo tutti le cattive traduzioni, gli smozzicati presi qua e la tra i fuori copyright. E via narrando. Spiace per il Glynn che forse sarà anche un bravo attore. Ma lasci scrivere a qualcun altro.

Poche le notizie su di lui: Jonny Glynn è inglese, scrittore ed attore, ma anche sceneggiatore per il teatro ed il cinema. A lavorato a lungo nella Royal Shakespeare Company. Questo è (per fortuna) il suo unico libro.

Passiamo poi al secondo:

Sam Mills “La confraternita del Dio criminale” Vertigo euro 9,90 (in realtà, scontato 6,60)

Seconda “bufala” consecutiva di Vertigo. Ma anche con lo sconto, non lo comperate. E se lo avete comprato, non leggetelo. Forse il primo libro del poco più che trentenne Mills aveva qualche sugo (da molti citato come buono). Questo è da evitare. La storia si dipana sulla nascita e le imprese di una banda di sedicenni esaltati, vista con gli occhi del meno “fuori di testa”. Jon si fa irretire da una fantomatica “Confraternita di Hebeteus” che sostiene di voler portare la pace nel mondo. Bianchi e misogini, sono convinti che una ragazza asiatica voglia far saltare in aria la scuola (ma non è mussulmana, bensì hindu). La rapiscono e mandano video alla polizia per introdurre leggi più restrittive sul terrorismo… La chiave di lettura sarebbe che i proclami dei confratelli sono pieni di frasi prese dai discorsi di Bush e di Blair, ma ci vuole una fatica enciclopedica per arrivare a questa chiave di lettura. E non lo merita. Il cestino è il suo posto più appropriato.

Per quanto riguarda l’autore, Sam Mills nasce nel 1975 e studia Lingua e Letteratura Inglese ad Oxford. Lavora come giornalista specializzato in scacchi e pubblicista, prima di raggiungere la fama con il suo primo romanzo (A Nicer Way to Die) dove un gruppo di ragazzi in gita scolastica va fuori strada e ne muoiono 28 su 30. Il resto del libro pare sia di conseguenza. Con il suo secondo lavoro ancora non sembra ripetere il successo del primo (e non avrei dubbi in merito).

Rispetto a questo panorama desolante, il terzo libro, pur non piacendomi, si solleva a vette elevate:

Daniel Wallace “Mr. Sebastian e l’ombra del diavolo” Newton Compton euro 9,90 (in realtà, scontato 6,90 euro)

L’autore prediletto da Tim Burton. Primo libro di Wallace per me. Luci e ombre. (E NOTARE il titolo inglese era “The Nero Magician” forse più calzante; e la pessima traduzione italiana!!!). Non ho letto altro di Wallace e non so fare riscontri. C'era una volta Henry Walker, il più grande illusionista del mondo. Un uomo capace di far svanire le montagne con un cenno dei suoi occhi e di trasportare le persone nel tempo e nello spazio grazie alla forza magnetica delle sue mani. Retaggio di un passato oscuro, i poteri magici del mago svaniscono come neve al sole quando Walker tradisce i termini di un patto scellerato. Ecco, allora, che Henry è costretto ad abbandonare le grandi platee internazionali per esibirsi nel precario "Jeremiah Mosgrove's Chinese Circus", una fiera di casi umani in pellegrinaggio lungo le strade polverose delle campagne americane, sconvolte dalla depressione e avide di divertimento a buon mercato. Questo il fatto e come ho detto, luci ed ombre. Un bel narrare, con elementi che si sovrappongono, la storia dell’illusionista, bianco, nero, chissà, che gioca tutta la sua vita sul perno dell’amore, per Hannah, per Marlene, per Sebastian. Cinematografico anche lo stile, tra narrazione e flash-back. Ma come nella tradizione del miglior Burton poi poco si “spiega” alla fine, tutto rimane su un filo che sembra l’autore non voglia sciogliere. Ho fatto tanto per portarvi fin qua. Ora pensate voi a come potrebbe finire, a come potrebbe andare avanti. A dove ho detto il vero e dove c’è l’illusione. Uffa.

“L’adattamento è il segreto della sopravvivenza”

“sarebbe bello se dentro di noi ci fosse una lampadina che si accende automaticamente quando qualcuno si innamora di noi. Sarebbe bello se l’amore venisse sempre corrisposto”

Di Daniel Wallace, sappiamo che nasce a Birmingham, Alabama nel 1959, e frequenta la Emory University, poi l’University del North Carolina, studiando facoltà commerciali; ma non si laurea, accetta un lavoro per una ditta di trading a Nagoya, Japan. Al suo ritorno in America, lavora per 13 anni in una libreria prima che sia pubblicato il suo primo libro “Big Fish”. Si sposa con Laura ed insieme al figlio Henry vive in North Carolina, insegnando scrittura nell’Università dove studiava.

Si penso proprio che sia meglio giocare ai libri che leggiamo.

Buona settimana

Giovanni


Ps. I titoli potete inviarmeli in posta o come commento al blog. Come più vi torna comodo.

domenica 22 giugno 2008

Antichi e per giunta molto russi

Questa settimana riprendiamo invece dei soliti romanzi moderni, qualcosa di solido ed antico. Spaziando per tre diversi generi. Il romanzo, la poesia e il teatro. Un ritorno al classico, che come al solito serve per poi ripartire di slancio verso nuove vette. Cominciamo dalla poetessa, che mi ha colpito al solito perché di molto si parla, ma poi è vero che si legge anche?

Marina I. Cvetaeva “Poesie” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6)

Comunque ribadendo che sono un distratto lettore di poesie, che a volte mi incantano ma spesso le guardo un po’ come se fossero esterne, questa Cvetaeva non può passare sotto silenzio. Soprattutto le prime sono poesie che mi hanno dato immagini e sensazioni. Poi si incarta, diventa tanta testa. E me la sono persa. Tanto che più che fare un giro sui temi credo che l’unico modo per rappresentarmela sia di riportare soffi di versi che mi sono rimasti attaccati alla memoria. "Nella vita e nell'arte la Cvetaeva aspirò sempre, impetuosamente, avidamente, quasi rapacemente, alla finezza e alla perfezione: e nell'inseguirle si spinse molto in avanti, sorpassò tutti. Oltre al poco che ci è noto, essa ha scritto una quantità di cose che da noi sono ancora sconosciute: opere immense, tempestose... La loro pubblicazione segnerà un grande trionfo e una rivoluzione per la nostra poesia che, inaspettatamente, si arricchirà di un dono tardivo straordinario." Così scriveva, nel 1956, Boris Pasternak, preconizzando per la sua sfortunata amica grandi, e tardivi, riconoscimenti. Oggi la Cvetaeva è unanimemente considerata una delle più alte voci della poesia del secolo scorso.

“con leggerezza pensami /con leggerezza dimenticami”

“ma la mia mano – con la tua mano /non s’incontreranno, mia allegria, finché / l’aurora non avrà raggiunto – l’aurora”

“io sono una pagina per la tua penna”

“un giorno, meravigliosa creatura, /io per te diventerò un ricordo …/tu dimenticherai il mio profilo …/ tu piccola eri e io – giovane” (forse solo di questa merita una spiegazione: è una madre che parla alla figlia)

“via! Sono forse due che si amano questi? / nella notte? Separati? A dormire con altri?”

“perché i cuori e le anime non si danno al deposito bagagli”

Marina Ivanovna Cvetaeva (o Svetaeva, pronunciato Zvetàieva) (Mosca, 8 ottobre 1892 – Elabuga, 31 agosto 1941) è stata una poetessa e scrittrice russa nata sotto il segno della Bilancia. Nata a Mosca, fu una delle voci più originali della poesia russa del XX secolo e l'esponente più di spicco del locale movimento simbolista; il suo lavoro non fu ben visto dal regime staliniano, anche per via di opere scritte negli anni '20 che glorificavano la lotta anticomunista dell'"armata bianca", in cui il marito Sergej Jakovlevič Efron militava come ufficiale; la riabilitazione della sua opera letteraria avvenne solo a partire dagli anni '60, vent'anni dopo la sua morte per suicidio. La poesia della Cvetaeva unisce l'eccentricità ad un rigoroso uso della lingua, non priva di metafore paradossali. Tra i suoi temi rientrano l'emotività e la sessualità femminili.

Ed allora si rimane in Russia, si fa un salto all’indietro di un centinaio di anni e si coglie un bellissimo fiore (e complesso)

Michail J. Lermontov “Un eroe dei nostri tempi” Feltrinelli euro 8,50 (in realtà, scontato 6,38)

Non è nelle mie capacità fare l’esegesi di un così bel racconto lungo. Un classico, nel vero senso del termine. Costituito da cinque racconti dominati dalla presenza di un unico protagonista, il libro è considerato il romanzo che conclude l'esperienza del romanticismo russo e apre la via alla stagione del realismo. L'eroe del nostro tempo si chiama Pečorin, affascinante e inquieto ufficiale dell'esercito russo di stanza nel Caucaso. È un eroe byroniano, ma essendo russo in fondo non può esserlo fino in fondo. L’inquietudine lo spinge sempre più in giro dove vive avventure, battaglie, amori e duelli dai quali emerge più spossato e deluso di prima. Nel primo racconto è il fascino di una bellissima fanciulla caucasica a spingerlo all'azione inducendolo ad un rapimento. Altro sono di passaggio per definire il suo carattere e quello dei comprimari. In quello centrale c’è tutto il riassunto del suo esistere, lì dove  si lascia andare ad un gioco di seduzione che coinvolge un'antica e mai dimenticata amante, Vera, e una giovane ed ingenua fanciulla, la principessina Mary, ottenebrata dal mito dell'amore romantico. Chiude il libro il racconto ”Il fatalista”, nel quale viene narrata la fiducia nel destino di un tenente dell’esercito che gioca alla roulette russa con lui. Un velato trasporto del suo andar tra duelli. Pieno di rimandi e foriero di spigolature, ne ricordo solo tre: il nome del protagonista deriva dal fiume Pečora in omaggio all’eroe di Puškin, dove il nome di Onegin deriva dal fiume Onega; all’inizio del film di Bergman “Persona” un ragazzo legge il libro di Lermontov in svedese; il film francese “Un cuore in inverno” è stato scritto da Claude Sautet sul suo ricordo del racconto della principessina. Interessanti infine, come fa notare il curatore, alcune scelte stilistiche, come quelle di usare il trucco di far ascoltare di nascosto una conversazione per poter parlare di avvenimenti dove l’io-narrante non è presente in prima persona. Alla fine sono ben 14 le volte che usa questa tattica, ma solo la prima un po’ ci sorprende. Poi si fa l’abitudine ai “trucchi della sua scrittura” (citazione del commento al libro di Nabokov, un maestro di trucchi).

“le donne amano solo quelli che non conoscono”

“’dovrei odiarti, da quando ti conosco mi hai dato solo sofferenze.’ P. “forse per questo mi vuoi bene: la felicità si dimentica, le pene mai…”

“è passato quel momento in cui si cerca la felicità; adesso voglio solo essere amato, e da pochissimi”

“Quando conosco una donna, indovino sempre se mi amerà o no”

“nella giovinezza si passa da una donna all’altra, fino a cadere su quella che non ci può sopportare … e dà inizio ad una passione costante ed infinita, … il [cui] segreto è solo nell’impossibilità di raggiungere la meta”

“noi non siamo più capaci di grandi sacrifici per il bene della razza umana, né per la nostra felicità personale”

Da leggenda anche la vita di quest’altra bilancia. Michail Jur'evič Lermontov nato a Mosca il 3 ottobre 1814 da una famiglia della piccola nobiltà di origine scozzese (il cognome originale era Learmonth). Rimane orfano della madre (Marija Michajlovna nata Arsen'eva) a 3 anni, nel 1817 e viene allevato dalla nonna materna Elizaveta Alekseevna Arsen'eva, nella provincia di Tarchany, vicino a Penza; l'allora villaggio di Tarchany si chiama, oggi, Lermontov. Nel 1818 viaggiò nel Caucaso, a Pjatigorsk, dove tornò ripetutamente, negli anni 1820 e 1825. Adolescente si appassiona di letteratura leggendo avidamente Byron e cominciando a scrivere appena quindicenne. Nel 1828 entra nella scuola privata 'Pensione Nobile'; scrive I Circassi, Il Prigioniero del Caucaso, Il Corsaro. Nel 1830 si iscrive all'Università di Mosca, che lascia nel 1832 per la morte del padre e per i sospetti delle autorità accademiche. Passa quindi alla Scuola di Cavalleria della Guardia di Pietroburgo dove può arricchire la sua vena letteraria, prima limitata a pagine introspettive; si dedica anche a temi folcloristici ed erotici. Scrive un romanzo dedicato a un personaggio del seguito di Pugačëv, Vadim ed una poesia simbolica: La Vela. Nel 1834 ottiene il grado di ufficiale degli Ussari della Guardia, a Carskoe Selo. Pubblica altresì numerose poesie ed il poema Hadži Abrek. Nel 1835, oltre a frequentare i salotti di Pietroburgo, conclude il dramma - rifiutato dalla censura - Il ballo in maschera. L'anno seguente scrive: Il boiaro Orša, Il gladiatore morente e Melodia ebraica. Una sua poesia scritta per la morte in duello di Aleksandr Puškin, nel 1837, La morte del poeta, viene giudicata sovversiva dallo zar Nicola I, diventando così motivo della sua espulsione dalla Guardia e del suo invio in un reggimento in linea sul Caucaso. Dello stesso anno sono: Borodino, Il Prigioniero, Il ramo di Palestina. Grazie alle pressioni della nonna potrà però tornare dopo poco tempo a Pietroburgo, con la fama di poeta e di dissidente perseguitato. Sarà un'occasione per completare alcune sue opere, tra cui Il demone e Il novizio; quest'ultimo è un racconto ambientato in Georgia. Nel 1840 esce Un eroe del nostro tempo, il suo capolavoro in prosa, che desta subito grande interesse. Lermontov però cade ancora in disgrazia presso le autorità a causa di un duello con il figlio dell'ambasciatore francese, Ernest de Barante. Inviato ancora nel Caucaso, si segnala per atti di valore (combattendo contro i ribelli nei pressi del fiume Valerik) ma non riesce a farsi richiamare a Pietroburgo. Qui a Pjatigorsk nel 1841 ritrova un vecchio compagno d'armi, Nikolaj Martynov. Sarà proprio quest'ultimo il 27 luglio dello stesso anno, per un'offesa ricevuta, a sfidarlo a duello e ucciderlo, negli stessi luoghi dove era ambientato il duello descritto nell'Eroe del nostro tempo. Aveva solo 27 anni!

Adesso basta con questi russi, e saltiamo ancora all’indietro, per quel classico del teatro inglese, si il grande Guglielmo

William Shakespeare “La tempesta” Feltrinelli euro 9 (in realtà 6,75 scontato)

Teatro letto. Forse non è il massimo, almeno per Shakespeare. Soprattutto in una traduzione che risente (e lo dice) della messa in scena di Strehler, a metà tra prosa e poesia. La storia è nota (certo non crea sorprese). Il racconto della commedia inizia quando gran parte degli eventi sono già accaduti. Il mago Prospero, legittimo Duca di Milano, e sua figlia Miranda, sono stati esiliati per circa dodici anni in un'isola (forse dell'Adriatico, o in Francia), dopo che il geloso fratello di Prospero, Antonio — aiutato dal re di Napoli — lo aveva deposto e fatto allontanare con la figlia di tre anni. In possesso di arti magiche dovute alla sua grande conoscenza e alla sua prodigiosa biblioteca, Prospero è servito controvoglia da uno spirito, Ariel, che egli ha liberato dall'albero dentro il quale era intrappolato. Ariel vi era stato imprigionato dalla strega africana Sycorax, esiliata nell'isola anni prima e morta prima dell'arrivo di Prospero. Il figlio della strega, Calibano, un mostro deforme, è l’unico abitante mortale dell'isola all'arrivo di Prospero. Provocato dalla avvenenza di Miranda, le propone di unirsi con lui per creare una nuova razza che popoli l'isola. A questo punto inizia la commedia. Prospero, avendo previsto che il fratello Antonio sarebbe passato nei pressi dell'isola con una nave (di ritorno dalle nozze della figlia di Alonso, Clarabella, con un re cartaginese), scatena una tempesta che causa il naufragio della nave. Sulla nave c'è anche il re Alonso, amico di Antonio e compagno nella cospirazione, e il figlio di Alonso, Ferdinando. Prospero, con i suoi incantesimi, riesce a separare tutti i superstiti del naufragio cosicché Alonso e Ferdinando credono ognuno che l’altro sia morto. La narrazione è tutta incentrata sulla figura di Prospero, il quale, con la sua arte, tesse delle trame in cui costringe gli altri personaggi a muoversi. La commedia ha quindi una struttura divergente e, poi, convergente, in quanto i percorsi dei vari naufraghi si ricongiungono alla grotta di Prospero. Calibano incappa in Stefano e Trinculo, due ubriaconi della ciurma, che crede esseri divini discesi dalla luna, e cercano di mettere insieme una ribellione contro Prospero, che però fallisce. Nel frattempo, nasce una relazione romantica tra Ferdinando e Miranda. I due si innamorano immediatamente ad insaputa di Prospero. Infatti, il loro matrimonio sarà la causa della riconciliazione di Prospero con suo fratello Antonio. Infine Prospero rinuncia alla magia con un famoso monologo dove è consuetudine fare un riferimento allo stesso Shakespeare che con quest'opera abbandona il teatro. Il modo di scrittura è il suo (utile il testo a fronte). Ma non mi è piaciuto, l’ho letto così, aspettando che mi desse emozioni. Ma non me ne ha date. Forse dove aspettare di leggere il saggio di Bloom su WS e sulla lettura sapienziale per rivalutarlo, ma non è Amleto e non è Falstaff. E nemmeno Re Lear.

Le notizie sulla vita di William Shakespeare (che come si vedrà comunque è un toro!) sono poche e frammentarie; ciò ha provocato una notevole discussione sulla sua persona ed alcuni hanno messo addirittura in dubbio la sua stessa esistenza. Un William Shakespeare è citato tra gli attori della The Lord Chamberlain's Men; la gran parte degli storici concorda che l'attore e lo scrittore siano la stessa persona. Documentata al giorno 26 aprile 1564 è la data di battesimo di William Shakespeare a Stratford-upon-Avon, in Inghilterra, figlio di John Shakespeare, fabbricante di guanti, e di Mary Arden, entrambi provenienti da famiglie di piccoli proprietari terrieri; non è documentata la data di nascita che si suppone, comunque, sia avvenuta tre giorni prima. Il 23 aprile è tradizionalmente considerato il giorno del suo compleanno (forse perché è anche la data della sua morte). Suo padre, persona di discreta importanza nel suo paese, fu sottoposto ad indagine per aver partecipato al mercato nero della lana, ed in seguito perse la sua posizione come consigliere comunale. Esistono alcuni indizi che entrambi i rami della famiglia avessero simpatie per la Chiesa Cattolica Romana. Probabilmente frequentò la scuola locale. Non ricevette un'educazione molto estesa ma conosceva la logica, la grammatica, la retorica e soprattutto il latino. Non si può inoltre affermare con certezza che frequentò l'università. Quando nel 1576 la famiglia ebbe dei problemi economici, William non solo aiutò il padre nei suoi affari ma si fece assumere anche come "assistant master" nella scuola locale. Dopo il suo matrimonio con Anne Hathaway, il 27 novembre 1582, a Stratford-upon-Avon che, considerata la data di nascita della prima figlia è probabile sia stato affrettato dalla gravidanza della sposa, poco si sa sulle attività di William Shakespeare, fino alla sua comparsa sulla scena letteraria inglese. Il 26 maggio 1583 la prima figlia di Shakespeare, Susannah, venne battezzata a Stratford. Due anni dopo, il 2 febbraio 1585, vennero battezzati due gemelli: un maschio, Hamnet, e una femmina, Judith. Nel 1592, la fama di Shakespeare era in ascesa vertiginosa, tanto da attirarsi le gelosie dei colleghi più anziani. Robert Greene lo definisce come “Un corvo parvenu, abbellito dalle nostre piume, che con la sua arte di tigre nascosta da un corpo d'attore ritiene d'essere capace quanto il migliore di voi di tuonare in pentametri giambici; ed essendo un faccendiere molto affaccendato, è secondo il suo giudizio l'unico 'scuoti-scene' del paese") (La frase in corsivo è una parodia della frase di Shakespeare "Oh, cuore di tigre nascosto da un corpo di donna!" (Enrico VI, parte III). Nel 1596 muore il figlio maschio (Hamnet) che fu sepolto l'11 agosto 1596. A causa della somiglianza fra i nomi, alcuni sospettano che la sua morte abbia ispirato l'Amleto, benché in verità questa tragedia sia stata scritta probabilmente quattro anni dopo e, d'altra parte, il nome Hamnet o Hamlet fosse a quei tempi piuttosto comune. Shakespeare lo aveva infatti imposto al figlio come segno di rispetto per il padrino di battesimo, che appunto si chiamava Hamnet, come risulta dai registri parrocchiali. Nel 1597 William comprò una casa con "due granai, due giardini, due frutteti, con annessi, in Stradford-upon-Avon" da William Underhill per sessanta sterline. La casa, la più grande di Stratford a quei tempi, era stata infatti costruita da un eminente cittadino della generazione precedente, Sir Hugh Clopton. Quest'acquisto testimonia il notevole guadagno che Shakespeare aveva ottenuto con la sua attività teatrale. Per il 1598 Shakespeare si era trasferito nella diocesi di St. Helen's Bishopgate, ed appariva in cima ad una lista di attori prodotta da Ben Jonson. Shakespeare divenne azionista (circa del 10%) della compagnia teatrale di cui faceva parte, conosciuta come The Lord Chamberlain's Men - la compagnia prendeva il nome, come altre di quel periodo, dal suo sponsor aristocratico. Essa, soprattutto grazie all'opera di Shakespeare, era talmente popolare da far si che, dopo la morte di Elisabetta I e l'incoronazione di Giacomo I (1603), il nuovo monarca adottasse la compagnia che si fregiò così del titolo di The King's Men (Uomini del re). Vari documenti che registrano affari legali e transazioni economiche mostrano che la ricchezza di Shakespeare si accrebbe di molto nei suoi anni londinesi. Le cose andarono abbastanza bene da permettergli di comprare una proprietà a Blackfriars, Londra, così come un palazzo più grande a Stratford. Intorno al 1611 si ritirò nella sua città natale, Stratford, dove acquistò una casa e alcuni terreni. Morì il 23 aprile del 1616.

Anche per questa settimana, direi che va bene così, in attesa di confermare la partenza e l’estate (di cui vi dirò meglio in seguito).

Gio.

domenica 15 giugno 2008

Neri per scelta

Questa settimana si torna alle cose note ed agli affetti consolidati. Tutti sanno la mia latente passione per il poliziesco (o giallo per gli italiani come da Mondadori fin dagli anni ’30 o noir come dai francesi), inteso come una delle possibili rappresentazioni del presente, dove usando una sovrastruttura (l’impianto poliziesco) si cerca di presentare momenti (o difetti) del presente. Questa è anche la scelta dei due autori di oggi, uno caparbiamente attaccato a questo schema, il romano Quattrucci, a volte anche troppo. Come dirò, le sue digressioni talvolta si impantanano e si rigirano su sé stesse. L’altro, Colaprico, invece legato agli ambienti milanesi, dove pare (anche se io non li ho ancora letti) ambientasse le sue migliori storie scritte a quattro mani con Pietro Valpreda.

Il primo libro risale ad una lettura della fine dello scorso anno, ma non avevo ancora avuto modo di inquadrarlo in una trama coerente. È sempre della serie imperniata sul commissario Marè.

Mario Quattrucci “E' Novembre, commissario Marè” Robin euro 9

Quattrucci infarcisce di commenti una vicenda che di per sé sarebbe banale. Non dimentica mai il suo passato polemista, e, pur riconoscendo che le cose che dice su intrecci tra stato e mafia hanno fondamenti, alla fine queste digressioni sono un po' pallose. Anche la vicenda (come detto) si palesa subito e si comprende perché il morto si suicida mentre viene assassinato. Gradevoli rimangono le passeggiate per Roma e per le strade tra Aventino e San Saba. Non molto di più. A Roma, nel novembre del 1992, un delitto e un suicidio. Alla ricerca della verità sul delitto, di cui è vittima l'economista Nicola Cusano, scoprendo e via via dipanando il groviglio di un sudicio intrigo, il commissario Marè compie un viaggio nella realtà di un tempo drammatico della storia recente, trovandosi a fare i conti con alcuni terribili misteri italiani, ma anche con se stesso.

Prima di un commento generale, cito invece il libro letto da poco

Mario Quattrucci “Troppi morti, commissario Marè” Robin euro 9 (in realtà, scontato a 7 euro)

Anche qui il solito Quattrucci: carina la trama, stupendo l’ambiente romano (sempre l’Aventino ma ora anche la borgata “fittizia”, ma che risalta alla luce dei fatti del Pigneto), un po’ troppo infarcito dei suoi commenti disperati sulla cattiveria del mondo attuale. Dal 1992 del precedente ora siamo arrivati al 1999. Una serie di omicidi. Un parroco, un ispettore di polizia, un magistrato e un preside vengono uccisi spietatamente. Nessun legame tra di loro. La firma sembra però la stessa: un maniaco religioso, investitosi di un'aberrante missione punitrice. Accanto alle vittime vengono, infatti, trovate pagine strappate della Bibbia che stigmatizzano i peccati che hanno meritato una punizione. Questa volta Marè ha bisogno, per la sua indagine, dell'aiuto di uno strano monaco laico, che lo accompagni nella discesa all'inferno di una Roma in apparenza perbene, dove più nascoste e indecifrabili si rivelano le dicotomie tra il bene e il male, tra criminali e brave persone, tra mansuetudine e ferocia. Nel complesso, godibile come una tazza al caffè sotto casa, con due chiacchiere da bar prima di cominciare la giornata.

L’altra volta che citai Quattrucci non avevo ancora trovato sue notizie. Ora, ho qualche informazione in più. Mario Quattrucci è stato impegnato per 45 anni nell'attività politica e sociale nelle fila del PCI. Ha collaborato a giornali e periodici quali Paese Sera, Ricerche, L'Unità, Rinascita, Studi Storici. Si è occupato di pittura e teatro e ha pubblicato cinque raccolte di versi. Ha esordito nella narrativa con il romanzo “A Roma, Novembre”, cui hanno fatto seguito il "melo-racconto in quattro tempi" Il Governatore e il pastiche hard boiled “La formula”. Dalla sua penna nasce Marè, un attempato disilluso ma non arreso questurino romano protagonista dei romanzi tutti pubblicati da Robin Edizioni (e continuo a citare le lodi a questi piccoli editori, sperando che resistano alla crisi imperante).

Passiamo così al secondo

Piero Colaprico “L’uomo cannone” VerdeNero euro 10 (in realtà, scontato 6,65)

Anche per Colaprico (come di molti autori), mi ero sempre ripromesso di leggere le sue storie gialle, soprattutto quelle scritte con Valpreda. Ma ancora non l’ho fatto. Forse questo ennesimo romanzo della ormai da me pluricitata collana ecologista mi da un po’ di spinta. Il racconto ha un buon impianto, cioè si fa leggere. Si parla di inquinamento da rifiuti radioattivi, in una storia che parte dalla Somalia (usata come discarica dai governi di mezza Europa), per arrivare alla città di M. Dove l'ispettore Bagni dovrà affrontare un caso di omicidio che coinvolge il fratello di un pezzo grosso dell'imprenditoria italiana (quella del tipo “lei non sa chi sono io” ... “sono molto amico del questore” ...). Si parte dal ritrovamento di uno sconosciuto, con la camicia sporca di sangue e un fucile nel bagagliaio: viene portato in Questura e riconosciuto come Giangiacomo Giarletti, della Klauspryde. Il sangue è di una ragazza somala. Chi l'ha uccisa? Partendo da questo omicidio si arriverà alla scoperta di un traffico di rifiuti nucleari, in mano a terroristi internazionali. Col coinvolgimento dei servizi, della Cia e della Delta Force. Il finale, una volta tanto rispetto agli altri della serie, non è proprio scontatissimo. Niente allori, ma (ed è importante) niente polvere. Soprattutto una buona penna, capace di accompagnarti tra le pagine, senza lasciare punti sospesi lungo la strada. Diciamo, un buon cornetto alla crema, dopo il caffè romano.

Di più si sa di Piero Colaprico, che nasce a Putignano nel 1957, ma subito dopo la Laurea in Giurisprudenza si trasferisce a Milano e comincia a fare il giornalista. Risulta l’inventore del termine Tangentopoli, riferendolo a un sistema di bustarelle e corruzione nel comune di Milano, alcuni mesi prima che lo scandalo del Pio Albergo Trivulzio desse origine al fenomeno noto come Mani pulite. Come scrittore ha pubblicato alcuni saggi con taglio giornalistico (“Duomo Connection, Manager Calibro 9” dedicato alla malavita milanese o “Capire tangentopoli” pubblicato nel 1996) e romanzi e racconti gialli. Ha scritto con Pietro Valpreda i primi tre libri della serie con il maresciallo Binda quale protagonista: “Quattro gocce di acqua piovana”, “La nevicata dell'85” e “La primavera dei maimorti”. La saga proseguirà con “L'estate del Mundial” e “La quinta stagione”, scritti da solo dopo la morte di Valpreda. Nel 2004 esce La “Trilogia della città di M”, un romanzo di tre lunghi racconti ambientati a Milano con protagonista l'ispettore Bagni. Il libro si aggiudica il Premio Scerbanenco, ex aequo con “Sorelle” di Barbara Garlaschelli. È inviato per La Repubblica.

Per questa settimana, direi che va bene così.

Gio.

domenica 8 giugno 2008

I bresciani questi sconosciuti

Con buona pace della mia amica bresciana per caso, questa settimana ci dedichiamo a due libri di autori lombardi ma non lumbard. Anche una settimana di relax, perché non parliamo di opere che hanno stravolto il panorama mondiale. Solo autori, anzi scrittori di fattura intermedia. Nel senso che c’è del buono ma anche del superfluo.

Cominciamo dal più giovane, dal bresciano puro

Marco Archetti “Lola Motel” Feltrinelli euro 8,50 (in realtà, scontato 6,37)

Inizio con un grande perplesso commento: sarà vero, come dice la 4° che prima di andare a Cuba bisogna leggere questo libro? Certo ha una sua micro-dignità, una storia che si intravede tra i guasti di una economia che sta crollando su se stessa ed un potere che cerca di auto-alimentarsi. Nell’atmosfera opprimente di una Cuba calda e assolata, il giovane Felipe insegue su e giù per il Malecón il miraggio di una bella prostituta, mentre il padre sconta in un crescente senso di straniamento il suo passato politico. Amori e dissidenza, guasconate quotidiane e notti di regime, e una parata di personaggi le cui vicende si incrociano per le stanze del Lola Motel, un sordido albergo dell’Avana dove tutte le vite sembrano convocate da un misterioso destino che ripete sempre lo stesso accordo. Uno spaccato vivace e disincantato della realtà cubana, una scrittura inedita e travolgente che decostruisce l’utopia dell’isola felice. Il tutto però con un tentativo di narrazione “lirica” che non mi ha coinvolto. Molto auto-compiacimento sulle scene di sesso, come a dire “ve lo do io Bukowski”. Ma il Grande Ubriacone è tutta altra cosa. Tra il detto e l’intravisto si dipana la storia di Felipe, della sua famiglia e della sua voglia di crescere in un mondo che non invoglia molto a farlo. L’unico vero pregio è che dura poco più di 100 pagine.

“come puoi parlare d’amore e crederci? L’amore non si accontenta di un albergo saltuario e fuorimano. L’amore non è questo”

“C’è qualcosa di peggio che avere mio padre come padre? Me lo sono chiesto per giorni, per mesi, per anni. Ho sempre finito per rispondermi: sì, avere mia madre come madre.”

Saltabeccando tra siti pubblici e privati, si arriva a sapere che Marco Archetti è nato a Brescia nel 1976. Ha scritto duecento canzoni, superato una preselezione per il Festival di Sanremo alla quale non si è mai presentato, tenuto lezioni di scrittura all’Avana, visto tutti i film di Truffaut. Il suo primo romanzo, “Lola Motel”, è uscito nel 2004. Nel 2005 è uscito “Vent’anni che non dormo”. Ama Dickens e invidia Nabokov. Scrive sulla rivista letteraria Nuovi Argomenti. È ipocondriaco il giusto. Archetti è stato l'autore di Scritture Giovani 2005.

Il secondo invece è bresciano di adozione (al contrario di chi è bresciano per caso). E non è particolarmente uno scrittore. Come dirò, avevo letto un suo libro per curiosità, pensando che rimanesse isolato, ma un regalo di Sara me ne ha fatto leggere una seconda prova, sicuramente più convincente.

Fabio Volo “Esco a fare due passi” Mondadori euro 8,40 (in realtà, scontato 7,56)

Avevo da tempo in mente di cercare di capire come e cosa potesse scrivere un personaggio “pubblico” ma (a mio parere) con un certo grado di intelligenza ed onestà. Lo scritto non è pessimo, anche se molto “giovanile”. Si proprio da DJ. Con alcune scivolate sul goliardico, in tono con il personaggio. “Fuori piove. Ho deciso. Cioè non è che ho deciso che fuori piove, pioveva già. Ho deciso che ti scriverò una lettera”. Nico, ventotto anni, un lavoro da deejay in una radio, un discreto successo con le donne, è il protagonista. Affetto da una inguaribile sindrome di Peter Pan, si cimenta con i grandi temi della vita. Attraverso le sue riflessioni Fabio Volo ci accompagna senza pudori o inibizioni in un divertente viaggio nell'universo giovanile. E parlando di sesso, canne, musica e amicizie, cerca di mettere a nudo le parte di nascoste di noi. Quello che è interessante tuttavia è l'impianto dello scritto, che, purtroppo, è vanificato da una quarta di copertina che svela tutti i meccanismi dell'azione. Una quarta DA NON LEGGERE. Comunque non credo che per ora leggerò altri scritti del nostro.

Fabio Volo “Il giorno in più” Mondadori s.p. (regalo di Sara)

Beh, invece ne ho letto un altro, e questo non mi è dispiaciuto. Anzi l’ultima parte mi ha tenuto sveglio per finirla. Sveglia, caffè, tram, ufficio, palestra, pizza-cine-letto. Giornate sempre uguali, scandite da appuntamenti che, alla fine, si assomigliano tutti, persi nel cielo grigio di una metropoli che non sa più sorridere. È la vita di Giacomo, uno che non si è mai fatto troppe domande, che è andato incontro agli avvenimenti rimanendo sempre in superficie. Un giorno, però, Giacomo incontra sul tram una sconosciuta, e se la ritrova davanti il giorno dopo, e quello dopo ancora. Per mesi. E così, quelle tre fermate lungo il tragitto per andare in ufficio diventano un appuntamento importante della giornata. O meglio, diventano "l'appuntamento". Ma la sconosciuta ha un destino che la porterà lontano, in un'altra città. E Giacomo? Certo la scrittura è ancora quella un po’ dj, un po’ Nick Hornby prima maniera, anche senza la sua verve. Ma la storia della nascita di un amore e del suo proseguire perché “sei l’unica che mi ha convinto a tornare a giocare”, è intrigante. Qualche concessione forse al “glamour” delle grandi città, qualche riflessione su come si cresce e su come ci si conosce. Se fossi più in palla ci sarebbero molti spunti. (sottolineo un mio mito, la prima pizzeria dove va arrivato nella grande mela è quella che ritengo la migliore di New York, John’s Pizzeria in Berckley Street).

“come quando mandi un SMS ad una persona che ti piace e non ti risponde … vai a rileggerlo, conti i secondi, guardi l’ora. Poi guardi gli ultimi che ti ha mandato lei. Perché tutti … li hai in memoria. E sono lì in fila, uno vicino all’altro, perché tutti gli altri, quelli che non sono suoi, li hai cancellati”

“io no so se esiste l’uomo giusto. Anzi penso che la persona giusta esiste solo se tu ci credi. Se ci credi puoi fare di una persona quella giusta”

“io per stare bene con una donna … meno mi sento legato e più sto bene”

“questo è stato sempre il mio pensiero con le donne: ho sempre creduto che se stavo con una avrei perso tutte le altre.”

“quando si viaggia da soli si scopa sempre”

Il Volo nazionale (all'anagrafe Fabio Bonetti) pur se nato nella provincia di Bergamo, a Calcinate il 24 giugno 1972, è bresciano a tutti gli effetti. Dopo le medie, alcuni lavori saltuari tra cui il panettiere nel forno del padre, e una fulminea carriera di cantante (una manciata di singoli dance cantati in lingua italiana, incisi tra il 1994 e il 1995 per l'etichetta bresciana Media Records, uno dei quali intitolato "Volo" e dunque da qui il cognome d'arte), nel 1996 diventa uno dei nuovi personaggi di punta a Radio Capital, creatura di Claudio Cecchetto. Dal novembre 1998 conduce tre edizioni del programma Le Iene su Italia 1, accanto a Simona Ventura e Andrea Pellizzari. Nel 2001 e 2002 conduce "Ca' Volo" e "Il coyote" su MTV, e "Smetto quando voglio" e "Lo spaccanoci" su Italia 1. Nell'aprile del 2006 ritorna su MTV con "Italo-Spagnolo", trasmesso da un attico che si affaccia su una Rambla di Barcellona. Nel 2000 inizia l'avventura con "Il volo del mattino" su Radio Deejay (che dura ancora oggi) e pubblica il suo primo libro, Esco a fare due passi, che vende oltre 300.000 copie. Nel 2002 è la volta del cinema: Fabio debutta in “Casomai” di Alessandro D'Alatri accanto a Stefania Rocca. Del 2003 è il secondo libro È una vita che ti aspetto, uno dei best-seller dell'anno. Nel 2005 esce il film “La febbre”, sempre di D'Alatri. Nel 2006 viene pubblicato il suo terzo libro Un posto nel mondo. Nel 2007 è al cinema con “Manuale d'amore 2 - Capitoli successivi” di Giovanni Veronesi e “Uno su due” di Eugenio Cappuccio, con cui collabora alla sceneggiatura e di nuovo su MTV Italia con "Italo-Francese", talk-show serale trasmesso da Parigi. A fine 2007 esce il film di Cristina Comencini dal titolo Bianco e nero, assieme a Ambra Angiolini e Katia Ricciarelli. A dicembre 2007 esce il suo quarto libro dal titolo "Il giorno in più".

Pensando che in fondo non tutti i “nordici” sono da buttare, buona settimana a tutti.

Gio.

lunedì 2 giugno 2008

Omaggi vigorosi

Con un giorno di ritardo, dovuto al lungo ponte di fine maggio, vengo questa settimana a parlare di libri diversi e rilassanti, con un aspetto in comune: non li ho comprati io (e quindi senza indicazioni di prezzo). Ed allora, tra prestiti e regali e altro, fare anche i conti con quello che leggono gli altri. E mi sta germogliando un’idea per l’estate, ma ve ne riparlerò tra un po’.

Per ora dedichiamoci a questi tre. Il primo viene della fredda Svezia

Carl-Johan Vallgren “Storia di un amore straordinario” Longanesi s.p.

Fumettone con alti e bassi, con alcune idee carine e trovate interessanti, annegate in un po’ di ambientazione che a me non ha coinvolto. Königsberg, 1813 (e sempre dalle parti di Kant, dove torneremo tra qualche settimana). Un noto medico viene chiamato d'urgenza dalla tenutaria del bordello più elegante della città perché aiuti due delle sue ragazze a partorire. Una ha un parto del tutto normale, mettendo al mondo una bambina, Henrietta. L'altra muore dando alla luce un bimbo che tutti immaginano morirà entro breve per la gravità delle sue condizioni di salute. Il piccolo invece dimostra da subito di possedere un'energia straordinaria, e sopravvive. I due bambini crescono insieme e tra loro si crea un legame strettissimo che non si spezza neppure quando, a dieci anni, vengono separati. Passeranno altri dieci anni fitti di avventure prima che si ritrovino e scoprano di amarsi di un amore straordinario. L’idea forte dell’amore al di là dell’aspetto e del tempo è comunque intrigante. E certo Hercule fa di tutto per farci dimenticare che è cieco, sordo e senza braccia. Ma tutta la parte “alla Victor Hugo” come dice la quarta di copertina, è molto lunga, senza troppe sorprese (forse un paio, ma marginali). Inoltre, la scelta di volare sugli ultimi più di 70 anni della vita del centenario, dopo aver speso 400 pagine per narrarne i primi 25 mi ha lasciato perplesso. Quando raggiunge la pace con sé stesso, per me diventerebbe interessante il suo modo di essere, stare, vivere. Buono il mestiere dello svedese, anche se più della metà è scritto appunto di mestiere e non di cuore.

“sapeva che l’amore che nasce improvviso è quello più lungo e difficile da guarire, e che esiste un solo rimedio alla sofferenza che procura: amare ancora di più.”

Visto che si conosce poco, parliamo del musico scrittore: Carl-Johan Emanuel Vallgren nasce il 26 luglio 1964 a Linköping, ma risiede a Stoccolma. Ha scritto sette romanzi, ed ha raggiunto il maggior successo con “Storia di un amore straordinario” di cui si è parlato. Il suo libro “A Mr. Bachmann” potrebbe essere descritto come una lettera scritta ad un personaggio (Bachmann), dove si parla della Svezia, della sua storia, della cultura in modo molto discorsivo. Vallgren è anche musicista con una sua produzione di canzone tra il satirico ed il Romantico.

Il secondo libro ritorna su una delle mie comunque passioni, l’alfabeto del crimine dell’americana

Sue Grafton “R come Rancore” Salani s.p.

Non so perché ma da un paio di libri di questo alfabeto del crimine della Grafton, ho come l’impressione di assistere ad un déjà vu. Mi sembra che le trame si ripetano, perdano di sostanza. L’intrigo “giallo” è talmente puerile che neanche lascia il fiato sospeso. Aumentano, è vero, i pezzi di contorno. Ma le storie d’amore di Kinsey e l’avanzare dei suoi amici negli anni (soprattutto la ghenga dei Pitt, età media 89 anni) sono un po’ stantie. E poi siamo ancora nell’87. È possibile che dopo 18 romanzi siano passato solo 5 anni? La storia è di impianto classico. Reba è una ragazza ricca e viziata: suo padre, che la adora, è sempre riuscito a rappezzare i suoi guai, ma stavolta non ha potuto impedire che l'adorata figlia finisse in prigione. Ora che Reba è in libertà vigilata, il padre vuole essere certo che stia lontana dalla droga, dall'alcol e dal gioco d'azzardo. E assume Kinsey Milhone, l'affascinante investigatrice californiana protagonista della serie creata da Sue Grafton. Sembrerebbe un lavoro tranquillo. Sembrerebbe... Certo il mio affetto per Sue travalica questi limiti, e continuerò a seguirla fino all’atteso “Z come Zero”, che sarà il suo ultimo libro. Ma mi aspetto un po’ di più.

 “lo sai qual è il peggio? È che continuo a sperare che ci possano capitare delle cose carine. Magari non sempre, ma giusto ogni tanto.”

Non mi pare di aver già scritto della scrittrice-toro, se l’ho già fatto scusate le ripetizioni. Sue Taylor Grafton (nata il 24 Aprile 1940 a Louisville, Kentucky, USA) è figlia dello scrittore C. W. Grafton e di Vivian Harnsberger, entrambi figli di pastori presbiteriani. Sue cresce con la sorella Ann a Louisville. Entrambe frequentano l’University di Louisville per laurearsi in Letteratura Inglese nel 1961. Dopo la laurea, la Grafton lavora come impiegata in un ospedale, cassiera, segretaria medica a Santa Monica e Santa barbara in California. Cominciò a scrivere a 18 anni, e finì il suo primo racconto 4 anni dopo. Continuò a scrivere altri sei racconti, prima che due di loro fossero pubblicati. Non sfondando da questa porta, passa alla sceneggiatura, dove trascorre 15 anni a sceneggiare film televisivi. Insieme al marito, Steven Humphrey, cura l’adattamento televisivo di alcune novelle di Agatha Christie. Questa lunga esperienza nei dialoghi e nell’azione, venne da lei utilizzate ritornando ai libri. Durante 6 lunghi anni di battaglie per il divorzio, si immagina mille modi di uccidere il suo ex-marito, decidendo di cominciarne a scrivere. Essendo colpita dall’uso dei colori nei titoli di John D. MacDonald, o dei giorni in Harry Kemelman, decide di utilizzare l’alfabeto. Comincia così il suo “alfabeto del Crimine", ambientato in un’immaginaria Santa Teresa, che ricalca la sua Santa Barbara. L’alfabeto ha per protagonista l’investigatrice Kinsey Milhone e comincia nel 1982 con "A Is for Alibi”. E per ora siamo arrivati (in America) alla “T”.

Per finire, un libro che ha sollecitato non solo il cervello ma anche l’olfatto

Giles Milton “Delitti e formaggi” Ponte alle Grazie s.p.

Molto mi incuriosiva questo regalo, che, almeno nel titolo, univa due mie passioni selvagge: il giallo ed il formaggio. Alla fine ne esco metà convinto, metà deluso. Non è un giallo, anche se vi sono delitti ed alcune tinte fosche. Il titolo originale (“Il naso di Edward Trencom”) era sicuramente più calzante. Perché tutto intorno al naso, ruota. Edward ha un naso speciale per forma, dimensioni e, soprattutto, poteri. La sua perfetta macchina olfattiva lo porta a primeggiare, a Londra, tra i mercanti di formaggi. Un giorno, però, Edward fa una scoperta sconvolgente: da nove generazioni, i suoi progenitori maschili fanno regolarmente una brutta fine proprio a causa dei loro nasi. E adesso sembra proprio che sia venuto il suo turno. Mentre è sulle tracce di un formaggio buono "da morire", il naso di Edward è obbligato a fare una scelta: possibilmente non quella, tragicamente sbagliata, di tutti coloro che l'hanno preceduto. La storia di una capacità olfattiva fuori dal comune, tramandata di generazioni, e dedicata alla ricerca, alla vendita ed alla esaltazione di formaggi. Qui andiamo decisamente meglio, tanti ne scorrono nelle più di 300 pagine. Punto dolente: vengono tutti citati in inglese e forse una qualche nota per i normali che non conoscono la differenza tra un epoisses ed un tulumotyri sarebbe stata utile. (Inciso: l’epoisses è un formaggio francese, ritenuto tra i più “odorosi”, tanto che la legislazione francese ne bandisce il trasporto in mezzi pubblici; il tulumotyri è un formaggio greco, di derivazione della feta, che come dice il nome stesso è un cilindro – tyri – cagliato nello stomaco della capra – tulum – stomaco che, una volta ripulito viene utilizzato come base per le cornamuse). Mi piacerebbe avere tempo e spazio per tirar fuori altre curiosità dal libro. Quello che meno mi ha convinto è il finale un po’ affrettato. L’autore si concede una accelerazione che forse avrei preferito si stemperasse in uno scioglimento più lento. Forse il preludio ad una seconda puntata?

Non conoscevo affatto l’autore, così ci si è documentati. Giles Milton nasce nel Buckinghamshire nel 1966. Affermato giornalista e scrittore, Giles Milton collabora con numerose testate britanniche e straniere, ed è specializzato in storia delle esplorazioni, motivo per cui a lungo ha viaggiato in Europa, nel Medio ed Estremo Oriente ed in America. Già noto al pubblico italiano (ma non a me) per alcuni saggi storici, tra cui il bestseller tradotto in quindici lingue “L’isola della noce moscata: come avventurieri, pirati e mercanti di spezie cambiarono la storia del mondo” (Rizzoli, 1999), “La colonia perduta” (un’epica storia di avventure per mare, conquiste e mistero all'epoca della regina Elisabetta Rizzoli, 2000) e “Il samurai che venne dall’Europa” (l'avventura di un inglese nel Giappone del Seicento Rizzoli, 2003), “Delitti e formaggi” è il suo primo tentativo narrativo.

Infine, essendo la prima domenica del mese, anche se cade di lunedì, vi lascio con la tabella dei libri letti nel mese di Aprile:

 















































































































#


Autore


Titolo


Editore


Euro


1


William Shakespeare


La tempesta


Feltrinelli


9


2


Marina I. Cvetaeva


Poesie


Feltrinelli


8


3


Maria Corti


L’ora di tutti


Bompiani


9


4


Giles Milton


Delitti e formaggi


Ponte alle Grazie


s.p.


5


Paolo Maurensig


La variante di Luneburg


Adelphi


7,50


6


Alessandro Baricco


Questa storia


Feltrinelli


8


7


Marc Augè


Non Luoghi


Elèuthera


10


8


Ryszard Kapuscinski


Autoritratto di un reporter


Feltrinelli


7


9


Charles Bukowski


Storie di ordinaria follia


Feltrinelli


8


10


Gianluca Morozzi


Despero


Guanda


10


11


Sam Mills


La confraternita del Dio criminale


Vertigo


9,90


12


Marco Archetti


Lola Motel


Feltrinelli


8,50


13


Jonny Glynn


Gli ultimi sette giorni di Peter Crumb


Vertigo


9,90


14


Daniel Wallace


Mr. Sebastian e l’ombra del diavolo


Newton Compton


9,90



 

Ed allora, buone letture e buona (corta) settimana

Gio.