martedì 26 giugno 2007

Polpettone

In questo giorno onomastico, tra una andata ed una venuta di filippini che hanno devastato la mia settimana, tiro fuori dalle trame un libro interessante ma non pienamente “amato” da me.

Antonia S. Byatt “Possessione” Mondadori euro 9,80

Mega polpettone asfissiante, con alcune idee brillanti, coinvolgenti. È la storia di due giovani studiosi di letteratura dell'Inghilterra contemporanea che, ripercorrendo i passi di un uomo e una donna vissuti un secolo prima, ricostruiscono una vicenda d'amore che ben presto diventa la loro. Il principale protagonista della vicenda è Roland Michell, un giovane studioso londinese mite e riservato, il quale trova accidentalmente in un libro appartenuto a un poeta vittoriano due minute di una lettera indirizzata a una donna. Roland si improvvisa detective e scopre così l'identità della destinataria di quella missiva. Coinvolge nelle ricerche la collega Maud Bailey e, insieme, ripercorrendo i passi della donna e dell'uomo vissuti un secolo prima, visitando i luoghi dei loro incontri e studiando le opere, ricostruiscono la perduta storia d'amore. Questa la sintesi buona. Quella cattiva per il mio gusto è l’infarcimento di “poesia vittoriana” certamente ben ricostruita dall’autrice, ma, come dice ad un certo punto un bibliotecario londinese, “Che palle queste poesie”. Giudizio altalenante (ma non tutti i polpettoni sono immangiabili), dove trovo positiva la riuscita di alcune frasi:

“Spesso è così nella vita: diventiamo coerenti e metodici troppo tardi, su basi insufficienti e forse nella direzione sbagliata”

“Quando guardo davvero in me stesso, alla mia vita, per quel che è, ciò che voglio davvero è non avere nulla. Un letto vuoto e pulito”

“Ma lui aveva capito immediatamente che lei era per lui, che lei aveva qualcosa in comune con lui, lei com’era veramente o sapeva essere o avrebbe potuto essere”

“Quando ti vedo, mi sembra che solo tu sia viva e tutto il resto scompare”.

Alcune righe per la storia della Byatt (ma come si pronuncia esattamente?)

Antonia Drabble, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Antonia Susan Byatt, è nata il 24 agosto 1936 a Sheffield, è considerata una delle maggiori scrittrici della contemporaneità, autrice di primo piano in Inghilterra e in America, saggista riconosciuta e notevolmente apprezzata per i suoi interventi critici nonché insegnante e studiosa di letteratura inglese. Figlia maggiore di John Drabble, avvocato, e di Marie Bloor, insegnante, e sorella di Margaret Drabble, scrittrice anch'essa di buon successo, ha studiato al Newnham College di Cambridge, poi in Pennsylvania e infine a Oxford. Dopo la nascita dei primi due figli, Antonia e Charles (poi morto in un drammatico incidente stradale), ha iniziato la sua lunga carriera accademica, ma a partire dal 1983 ha fatto una scelta radicale: dopo una vita passata ad insegnare e a produrre programmi radiotelevisivi di divulgazione culturale si è ritirata dalla vita accademica per seguire la sua vocazione letteraria. Sono nati così libri come "Angeli e insetti", "La torre di Babele" e "Zucchero, ghiaccio, vetro filato", ma soprattutto "Possessione", il suo successo più noto al grande pubblico, il primo libro della Byatt, pubblicato nel 1990, a scalare i vertici delle classifiche in tutto il mondo. Il romanzo ha anche vinto il prestigioso Booker Prize for Fiction. Antonia Byatt, studiosa e teorica della letteratura, ha iscritto il proprio nome a forza e con merito nella tradizione della letteratura scritta da donne, che come ricorda lei stessa in un'intervista a Salon, "è particolarmente ostica per le autrici di lingua inglese, una volta che si è cristallizzata la linea che va da Jane Austen a George Eliot alle sorelle Brönte".

domenica 17 giugno 2007

Pensavo fosse cinema invece

Il caldo avanza. I filippini incombono. Anche la lettura rallenta.

Torniamo allora sugli italiani, anzi sull’italiana.

Questa settimana mi dedico a

Cristina Comencini “Passione di famiglia” Feltrinelli euro 7,50

Comprato per un’idea errata, ma alla fine mi è piaciuto. Lo presi al volo, dicendomi una regista figlia di regista che scrive un titolo così, parlerà della sua famiglia. Invece è un romanzo di ambiente napoletano, dove la passione non è il cinema ma sono le carte. Certo il comencinismo si sente perché ben risaltano tutte le figure femminili (nel bene e nel male) nelle storie intrecciate di sorelle nobili decadute, che fanno figli, che vivono vite irregolari, che passano per la guerra. E questo senso di vita trascorsa e non vissuta. Con alcuni momenti (la passione per l’enciclopedia ad esempio) giganteschi. Brava Cristina.                                      

“qualcun altro aveva deciso al suo posto. Era stata un’invitata anche alla sua vita” “per amore si deve mentire agli altri. L’unica cosa che conta è non mentire a sé stessi”.

Per la cronaca, anzi, per la biografia Cristina Comencini nasce a Roma nel 1956. Figlia del regista Luigi, è a sua volta sceneggiatrice, regista di film di successo e autrice di numerosi libri. Dopo la laurea in Economia e commercio, esordisce alla regia nel 1988 con Zoo, cui seguono I divertimenti della vita privata, La fine è nota (dal romanzo di G. Holliday Hall). Ha diretto fra gli altri Va' dove ti porta il cuore, Il più bel giorno della mia vita e La bestia nel cuore. Quest'ultimo film è stato designato a rappresentare l'Italia alla cerimonia dei Premi Oscar 2006 nella categoria miglior film straniero, dopo che il film Private di Saverio Costanzo, inizialmente nominato per l'Italia, era stato scartato dall'Academy poiché girato in una lingua diversa dall'italiano. La Comencini è anche un'apprezzata scrittrice di romanzi: oltre a Matrioska, sono da ricordare Pagine strappate, Passione di famiglia, Il cappotto del turco, Due partite.

lunedì 11 giugno 2007

Trittico

In questo giugno gemellare (in effetti è un po’ di tempo che mi sento “doppio”, nel senso ambivalente e non nel senso che mi darebbe una bilancia mattutina), indeciso tra il dire e il fare, l’andare e il venire, per rompere il cerchio ed anche esorcizzare le paure, mi dedico a un trittico.

Tre libri che da ben lungi ho letto, ma che non mi sentivo pronto per condividerli.

Tre aspetti diversi ma collegati dell’amore e della visione di vita.

Unificati, comunque dal fatto di essere stati scritti dallo stesso autore, Maxence Fermine.

Forse hanno un senso anche nell’ordine della scrittura. Per me hanno significato nell’ordine della lettura.

Primo venne

“L’apicoltore” Bompiani euro 9

Ambientato nella Francia del Sud, alla fine dell'800. Il giovane Aurèlien si dedica alla raccolta del miele insieme ai due amici Lèopold e Pauline, una ragazza segretamente innamorata di lui. Sconvolto dal fugace incontro con una donna di colore, Aurèlien decide di partire per l'Africa, alla ricerca dell'oro. Sarà un viaggio pieno di avventure e rischi, al termine del quale, ritornato in Francia, il giovane scoprirà il vero oro.

Lieve come un sorriso. Scorrevole come una favola. Dove riusciremo a trovare concreti i nostri sogni? Alla fine, più che un disegno unico mi sono sembrati tanti piccoli quadri che scivolano verso la costruzione della propria vita.

“ebbe l’intuizione che si ha in punto di morte: la vita è appesa a un filo. Un filo d’oro tessuto dai giorni, in cui si capisce che il bisogno di placare la propria sete sarà sempre più forte del piacere di bere.”

Con il secondo passiamo in quel di Giappone con

“Neve” Bompiani euro 9

Fine Ottocento. Yuko, diciassettenne ribelle, lascia la famiglia per diventare poeta. Ma la sua poesia, dedicata interamente alla neve, è troppo bianca, e per imparare a darle colore Yuko deve seguire gli insegnamenti del vecchio poeta Saseki, ormai divenuto cieco. Saseki, attraverso il racconto della sua passione per Neve, una ragazza bellissima venuta dall'Europa e scomparsa mentre cercava di attraversare un precipizio sospesa su una fune, insegna a Yuko la forza e la potenza dell'amore. E con questo insegnamento Yuko diverrà non solo un grande poeta ma - cosa più importante - un essere umano capace di amore.

La poesia come pittura delle parole. Come insegnano gli haiku, eliminare tutto per arrivare all’essenza. Con un finale di speranza, mista ad un velo di tristezza.

Il mio trittico si è chiuso con

“Il violino nero” Bompiani euro 9

Ecco la musica irrompere a Venezia. Johannes, genio musicale precoce, rimane ferito nel corso della campagna napoleonica in Italia. Accolto e curato dal liutaio Erasmus, il giovane apprende nuove notizie su Carla Farenzi, una misteriosa dama fugacemente incontrata tempo prima. Il liutaio gli rivela poi il segreto di un violino nero, da lui stesso costruito, che canta con la voce suadente e incantatrice della donna. Dopo averlo sentito suonare la vita di Johannes, come uomo e come artista, resterà incatenata a quella di Carla Farenzi.

Questa volta c’è solo disperazione, anche se con tanto amore: coltivare il proprio, sempre e comunque, a dispetto delle avversità. E se si rimane solo con il proprio amore, se è amore, è comunque più di molto altro.

“era un grande muscista: sapeva ascoltare e sapeva sentire”

Forse un trittico che finisce in tristezza (ed è per questo che ho impegato quasi un anno a digerirlo). Ma di quella tristezza di cui sono fatti i sogni al mattino, poco prima dell’alba. Tristezza più per il doversi svegliare che per il sogno in sé.

Per la bio, Maxence Fermine nasce nel 1968 ad Albertville, vive prima a Grenoble dove trascorre l'infanzia e poi a Parigi dove frequenta la facoltà di Lettere. Lavora per qualche anno in Africa per un ufficio studi, vivendo per un po’ in Tunisia. Ora trascorre la vita in Alta Savoia con la moglie e un bambino. Si è affermato con il breve romanzo Neve (Neige, 1999; edito da Arléa, pubblicato in Italia da Bompiani nel 1999). Ha scritto inoltre: Il violino nero (Le violon noir, 1999; pubblicato in Francia da Points Seuil, in Italia da Bompiani nel 2001), L'apicoltore (L'apiculteur; pubblicato in Italia da Bompiani nel 2002), Opium (pubblicato in Italia da Bompiani nel 2003), Biliardo blues (Billard blues, edito da Albin Michel nel 2003).

giovedì 7 giugno 2007

Adelphi e contorni

Con qualche ritardo (fatica, giri, lavoro ed altri piccoli e grandi intoppi), affronto due autori di lingua inglese (anche se uno proviene dal Canada). Ed entrambi di Adelphi. Piccola digressione: Adelphi sembra restare quasi l’unica casa editrice che continua a produrre libri di qualità al di sotto dei 10 euro. Ora, facciamo tutte le analisi che vogliamo (aumento del costo della carta, delle traduzioni, dei diritti) ma personalmente rimango dell’idea che 10 euro siano un giusto spartiacque tra libri “economici” e non. Ormai Sellerio, Einaudi ed in parte Feltrinelli sembrano ritenere che la soglia dell’economicità si sia spostata sui 12-13 euro. Ma lo stipendio che viviamo sulla nostra pelle sempre quello rimane (anzi…).

Tornando ai nostri, il primo (recentemente portato anche sullo schermo con Annette Being) è

W. Somerset Maugham “La diva Julia” Adelphi euro 8

Scritto sesssantanni fa, ma scorre benissimo. E ci fa vivere uno spaccato sul teatro (anzi Teathre è anche il titolo originale) che mi sembra tuttora valido. Certo adesso i meccanismi economici sono diversi, ma il rapporto tra attori e attori, tra attori e pubblico, tra attori e non attori mi suona sempre similare. E la diva Julia, pur passando sul filo del rasoio, riesce sempre ad andare avanti, in fondo senza mai cadere, anche dopo i fiaschi al botteghino. Godibile.

“tutti siamo inclini a pensare che gli altri possono avere le nostre virtù solo se hanno anche i nostri vizi”

“tutti siamo esibizionisti e gli attori lo sono più del normale … e le loro virtù sono più solide di quello che mostrano”

“Capì che si era innamorato di lei prima che lo capisse egli stesso”

“Cos’è l’amore in confronto a una bistecca con le cipolle?”

“tutto il mondo è teatro … ma la realtà siamo noi, gli attori”


Mordecai Richler “La versione di Barney” Adelphi euro 10

Mi è sembrato una specie di Lamento di Portnoy degli anni ’90. Non posso dire che non mi sia piaciuta, l’autobiografia romanza di Mordecai (anche se lui negava). In effetti il libro era stato fatto diventare l’icona del politicamente scorretto, di tutto quello che si pensa e non si dice. Ma se si riesce a tornare alla pagina, dopo aver personalmente mitigato la delusione di pensare di trovarmi davanti ad un “vecchio Holden”, esce fuori la descrizione di una persona che non riesce ad essere sincero con la vita, e tanto meno con sé stesso. E che vorrebbe, vorrebbe, ma alla fine ricade sempre sui propri errori, senza sembrare di comprenderne i meccanismi. In fondo, tuttavia, sono contento di averlo letto adesso e non dieci anni fa.

“Non credo di averglielo mai detto, ma avrei potuto passare la vita a guardarla”

Uno po’ di spazio per le bio

William Somerset Maugham (Parigi, 25 gennaio 1874 - Nizza, 16 dicembre 1965) è stato un romanziere e commediografo britannico, scrittore famoso per il pessimismo acre e freddo, l'ironia crudele e cinica, con cui flagellava inesorabilmente i vizi e la follia degli uomini, e soprattutto delle donne, in una visione del mondo piuttosto cupa, ma dotata anche di senso d'umanità. Inglese, ma nato a Parigi, studiò a Heidelberg e si laureò in medicina a Londra nel 1897. Il successo del suo primo romanzo, Liza di Lambeth, lo convinse ad abbandonare la carriera di medico e dedicarsi alla letteratura. Ma la fama ed il successo cessarono presto di arridergli. Cosicché, nei primi anni del 1900, visse in grande miseria a Parigi, frequentando l'ambiente letterario bohème che descrisse più tardi nel famoso Schiavo d'amore (1915). Ritornò alla ribalta nel 1908, quando la Stage Society di Londra rappresentò la sua commedia Un uomo d'onore. Da allora divenne uno dei più noti autori inglesi. Durante la prima guerra mondiale fece parte del Servizio Segreto, di cui parla nel romanzo Ashenden (1928). Divenuto ricchissimo, viaggiò a lungo in Oriente da dove trasse ispirazione per vari romanzi. Molti considerano il Circolo il suo capolavoro, ma notissimi sono anche Pioggia, Il velo dipinto (1925) e La luna e sei soldi (1919), in cui Maugham narra la fine di Paul Gauguin a Tahiti.

Mordecai Richler nacque il 27 gennaio 1931 nel ghetto ebraico di Montréal, nella famosa rue St. Urbain. Sino ai tredici anni la sua fu una infanzia semplice e comune a tutti i bambini ebrei di Montréal. Suo padre era un rigattiere di poche risorse, e Mordecai fu costretto a trovarsi dei lavoretti part-time per aiutare la famiglia. A tredici anni i suoi genitori si separarono, e gli eventi sembrarono cambiare di direzione. Mordecai, che fino ad allora era stato di fede ortodossa, frequentando la Jewish parochial school e studiando il Talmud, prese le distanze dall'ortodossia e dalla fede in generale. Si iscrisse poi alla Baron Byng High School (la Fletcher's Field in The Apprenticeship of Duddy Kravitz) ma i suoi voti troppo bassi non gli permisero di accedere alla McGill University; così fu costretto ad iscriversi al Sir George Williams College, da lui allora considerata una alternativa per perdenti. Così dopo poco, abbandonò il college per seguire quello che aveva capito essere il suo sogno: diventare uno scrittore. Scrivere era il suo principale obbiettivo ed il percorso accademico avrebbe potuto limitarlo e bloccare la sua istintività e purezza. Nel 1951, grazie ad alcuni fondi di una polizza assicurativa che aveva stipulato, Richler ebbe la possibilità di allontanarsi dal college e dal ghetto ebraico di Montreal. L’idea esotica dell’Europa ispirata dagli scrittori americani come Hemingway e Miller lo spinsero a cercar fortuna oltreoceano. Partì per l’Europa, destinazione Parigi. L’ Europa al contrario del Canada offriva uno scenario culturale molto più aperto e fertile nel quale avrebbe potuto cominciare la sua carriera. I primi tempi a Parigi furono difficili ma dopo sole tre settimane gli furono pubblicate tre brevi storie sulla piccola rivista Points. A Parigi fece parte di un ristretto gruppo di aspiranti scrittori nordamericani tra i quali Allen Ginsberg e Terry Southern. Continuò a scrivere numerose storie, ma nessuna di queste venne mai pubblicata, così dopo due anni decise di partire per la Spagna, dove visse tra Ibiza e Valencia ed in sei settimane scrisse il suo primo romanzo, The Acrobats. Tornato a Parigi, per ritornare in Canada, sottopose il libro all’attenzione di Andre Deutsch, un editore canadese il quale accettò di pubblicarlo. Di nuovo a Montreal fu costretto a guadagnarsi da vivere lavorando per una radio, la CBC. Il romanzo pubblicato non ebbe un grande successo, poche copie furono vendute in Canada e negli Stati Uniti. Poco tempo dopo la pubblicazione decise di ripartire per l’Europa, ma questa volta diretto a Londra, dove visse diversi anni e mise su famiglia. Si sposò con Florence Wood, una modella canadese con la quale ebbe tre figli. La sua permanenza in Europa contribuì a rafforzare il suo senso di appartenenza come cultura e tradizione al Canada inglese. I romanzi di Richler sono infatti per la maggior parte ambientati nella città di Montreal, nello specifico nel quartiere ebraico intorno a rue Saint-Urbain, "St.Urbain Street" nelle sue novelle. Era proprio il ghetto e la comunità ebraica è l’ambientazione del secondo romanzo di Richler Son of a Smaller Hero, scritto nel 1955. Le molte somiglianze nella vita del protagonista del libro con quella dell’autore, lo costrinsero ad inserire una nota di prefazione nella quale si negava qualunque intento autobiografico. Il rapporto complesso di Richler e dei suoi protagonisti con la comunità (il ghetto, la famiglia, la strada…) è un tema ricorrente nei suoi romanzi. Venne pubblicato anche il secondo libro il quale ebbe poco più successo del primo, ricevendo critiche positive, le quali spinsero Richler a scrivere ancora. Nel 1957 fu pubblicato A Choice of Enemies, il quale come temi e ambientazione fu considerato una sorta di seguito del romanzo precedente. In questo romanzo Richler dimostrava di raggiungere una certa maturità nello stile e nell’organizzazione della trama tali da mantenere viva l’attenzione del lettore. Anche questo romanzo vendette poche copie. Il successo di vendite arrivò nel 1959 con The Apprenticeship of Duddy Kravitz, considerato il suo primo capolavoro. Ambientato anch’esso nel ghetto di Montreal, narra la corsa sfrenata e senza scrupoli di un giovane ebreo verso il successo economico. Le critiche al libro furono per la maggior parte positive, ma insieme al successo arrivarono anche le prime accuse da parte delle comunità ebraiche che lo incriminavano di anti-semitismo e di aver creato uno stereotipo negativo di ebreo. The Apprenticeship of Duddy Kravitz ebbe successo anche oltreoceano tanto che il libro fu trasformato in film, candidato all’oscar, per il cinema con sceneggiatura di Richler e regia di Ted Kotcheff. In questi anni comincia una intensa collaborazione da parte di Richler con il cinema e la televisione, per le quali scriverà numerose sceneggiature. Nel 1961 riceve il premio Guggenheim Foundation Fellowship in Creative Writing. Appassionato sin da giovane di giornalismo, Richler scrisse regolarmente, fino agli ultimi giorni della sua vita, per importanti riviste e giornali in Canada, negli Stati Uniti ed in Inghilterra. Lo stesso Richler ha selezionato in seguito alcuni articoli raccogliendoli in sei diverse collezioni: Hunting Tigers Under Glass (1968), The Street (1969), Shovelling Trouble (1972), Notes on an Endangered Species and Others (1974), The Great Comic Book (1978) and Belling the Cat (1998). A Duddy Kravitz seguirono due romanzi di stile differente dal sobrio realismo dei precedenti: The Incoparable Atuk e Cocksure. Caratterizzati da un umorismo “nero” e da personaggi caricaturali, i due romanzi, scritti in arco di tempo di quasi vent’anni, sono considerati le due “black commedies” di Richler. Nel 1971 fu pubblicato St. Urbain’s Horseman, che come i primi romanzi può essere considerato un “bildungsroman” in stile canadese. Il romanzo è caratterizzato da quello che diverrà lo stile inimitabile di Richler: l’abbandono dell’organizzazione cronologica della trama che consente all’autore di spaziare temporalmente in tutta libertà offrendo la possibilità di inserire più personaggi e micro-storie parallele. Il romanzo fu premiato con il Governor Geeneral’s Literary prize del 1971. Nel 1972 Richler prese la decisione di tornare a vivere in Canada con la sua famiglia. Partecipa alla polemica contro la legge di difesa del francese votata dal governo del Quebec nel 1977. Richler non aveva mai imparato la lingua del Quebec. Nei nove anni che separarono la pubblicazione dell’ultimo romanzo dal successivo, Joshua Then and Now, Richler scrisse il suo primo romanzo per bambini della trilogia di Jacob Two-Two. Nel 1989, venne pubblicato Solomon Gursky Was Here, un epopea familiare dilatata nell’arco di due secoli. Apprezzato dalla critica come i precedenti per lo stile, il romanzo continua a dipingere scenari di famiglie ebree nel contesto canadese. Nel 1992 Richler viaggia a lungo in Israele e ne trascrive le sensazioni in un inusuale diario di viaggio This Year in Jerusalem del 1994. Nel 1997 Richler regala al mondo il più memorabile dei suoi personaggi Barney Panofsky, con Barney’s Version (La versione di Barney). Il libro ha un grande successo ed in Italia in particolar modo diviene un vero e proprio caso letterario. L’ultima pubblicazione di Richler è del 2007 con Un mondo di cospiratori, una raccolta di articoli di giornale scritti dell'autore nel corso della sua carriera. Mordecai Richler muore il 3 luglio 2001 a Washington