domenica 25 maggio 2008

Ritorno all’Italia

Mentre scrivo sentendo i fanti che mormorano (o era il fiume?), penso sia il momento giusto per tornare all’Italia. O almeno ai suoi autori. Una terna eterogenea: un triestino, una siciliana ed un fisico prestato alla letteratura. Tuttavia, dove le fatiche delle scorse settimane tra classici e saggi, un po’ di acqua fresca, non inquinata. Sarà che sono tutti over 50, ma la scrittura scorre, più o meno bene, più o meno gradevole. Senza tutti quei sentimenti di incompiutezza, anche se venati di possibilità, che i giovani-giovani mi hanno lasciato nelle loro letture.

Cominciamo con l’autore più sperimentato

Pino Roveredo “Capriole in salita” Bompiani euro 7 (in realtà, scontato a 4,90 euro)

Le, a me, ormai note atmosfere triestine di Roveredo. Con il freddo dentro. Qui la storia si articola, si fa corposa, anche se dopo la bella prima metà si intorcina su di sé e sul suo alcoolismo. Mi commuove l’inizio con i genitori sordomuti. Il rapporto con il fratello gemello. Ma poi tutto si fa liquido (indovinate perché). Certo, ne esce la rabbia di una vita dove non si trova non dico un centro, ma neanche un piccolo lato di una figura geometricamente stabile. E tanto dolore. Nato da una coppia di genitori sordomuti che vivono di stenti nella Trieste del secondo dopoguerra, Pino passa gli anni di scuola in collegio. Incapace di sottomettersi a un regime di continui soprusi e maltrattamenti, un giorno riesce a fuggire. Ad attenderlo, tuttavia, non c'è la libertà tanto desiderata ma le difficoltà della vita, e la tentazione dell'alcolismo, che presto si fa dipendenza e che lo porterà prima in prigione e poi in manicomio. Tra un ricovero e l'altro, Pino sperimenta tutte le forme di trasgressione, fino a trovare una luce, prima attraverso il calore di una prostituta, poi con l'amore per la donna che diventerà sua moglie, che gli darà un figlio e, soprattutto, la forza di sfuggire a un destino che pareva inevitabile. Forse al solito uno dei momenti migliori di questi libri è capirne il titolo. E certo si fa tanta fatica a fare capriole nella vita per cercare di “salvarsi”, soprattutto se si fanno in salita.

“La malinconia ha la capacità di toglierti il sorriso di bocca e lasciarti in cicatrice il malumore, ti fa vedere tutte le cose sempre dal lato peggiore e riesce a farti credere che anche il niente ce l’ha su con te”.

Anche se il libro è autobiografico, riporto alcune note del resto della sua biografia: Pino Roveredo (16 ottobre 1954 – un bilancia!) nasce a Trieste da una famiglia di artigiani, dopo varie esperienze di vita disordinata (è stato in carcere e addirittura in manicomio), ha lavorato per anni come operaio in fabbrica. Fa parte di varie organizzazioni umanitarie che operano in favore delle categorie disagiate. Ha esordito nel 1996 con "Capriole in salita", edito dalla casa editrice triestina LINT. Nel 2005 ha vinto la 43^ edizione del Premio Campiello per il miglior romanzo dell'anno ("Mandami a dire", edito da Bompiani). Nel 2006 la Bompiani ha ristampato "Capriole in salita", che ha riscosso un notevole successo fra il pubblico letterario, e nel 2007 ha pubblicato "Caracreatura", l'ultima sua opera, che sta ora per uscire anche in Francia.

Passiamo ora all’altro capo d’Italia, con l’ammiccante scrittura siciliana di

Valentina Gebbia “Estate di San Martino” E/O euro 8,50 (in realtà, scontato 6,80)

È il secondo episodio della saga dei fratelli Mangiaracina (ed ora dovrò cercare il primo, uscito pare non in edizioni note, con il titolo “A qualcuno piace il Caldo”). Si sente la mano (anzi la penna) di una che sa scrivere, ed in effetti il taglio giornalistico ci sta. E mi piace il carattere non convenzionale dei nostri eroi, che non sono belli e vincenti, ma normali (e Fana anche un po’ rotondetta e dedita ai sani gusti siciliani di cannoli e arancini). Epifania detta Fana e Letterio detto Terio Mangiaracina (che è un siciliano che odia il caldo e vorrebbe trasferirsi al Nord) vivono con la madre a Borgo Vecchio, quartiere palermitano immerso nella confusione del mercato e nella costante animazione di traffici e chiassosi e melodrammatici scambi di pettegolezzi. In una concitata notte di novembre, mentre la città stenta a dormire sotto la cappa di afa di un’estate di San Martino, incandescente piomba in casa Mangiaracina una strepitante vicina, la signora Provvidenza: c'è stata una disgrazia. Il fidanzato della sua Liboria, il bel Tindaro, marinaio in servizio sul traghetto per Ustica, risulta essere il principale indiziato dell'omicidio di un uomo trovato morto sul ponte della nave nell'imminenza di un attracco di fortuna ad Ustica. Ed allora i nostri improvvisati detective partono alla ricerca di una soluzione. Gusto un po’ del sapore di Sicilia, amata e odiata, girando soprattutto per il bellissimo e decadente Borgo Vecchio. La storia in sé scorre discretamente, ammantandosi di luci diagonali in finali anch’essi non sempre di convenienza. Non sarà il libro del secolo, ma ci può stare.

Dicevo dell’autrice e del suo taglio giornalistico: Valentina Gebbia è nata a Palermo il primo di agosto del 1958 e, a differenza del protagonista del libro, ama l’estate ed il clima della sua città. Anzi, di Palermo si dichiara pazzamente innamorata e quindi abituata ad accettarne pregi e difetti, pur senza perdere la voglia di cambiare cose e persone. Laureata in Giurisprudenza, è stata bancaria, imprenditore ed insegnante. Giornalista Pubblicista, scrive favole, testi musicali e cura una pagina settimanale dedicata ai bambini sul quotidiano "Il Mediterraneo".

Finiamo con il decano, il fisico prestato alla scrittura (anche se non è il suo primo e unico tentativo extra-scientifico).

Andrea Frova “Bravo Sebastian” Bompiani euro 8,80 (in realtà 6,16 scontato)

L’idea mi è piaciuta molto. Raccontare la biografia di Bach non ripercorrendo in maniera usuale tutta la sua vita, ma soffermandosi su alcuni episodi (dieci per l’esattezza) che ne hanno caratterizzato degli aspetti: la fatica giovanile, le difficoltà economiche e di rapporti con la chiesa e il potere, il grande amore per la prima moglie, il plotone di figli generato (se non ricordo male una ventina tra vivi e morti sul nascere). Il tutto a partire da presunte ricerche in biblioteca dove l’autore, nelle carte polverose degli archivi scopre, dietro il grande musicista, un grande uomo fatto di carne e di sangue, di passioni e umori. Ricostruisce la sua vita privata e racconta il suo amore per Barbara, le parentesi erotiche con le dame di corte, la regolatezza del genio, il rapporto suggestivo con gli allievi. Ma sono autentiche le lettere di Sebastian a Frau Bach? E davvero ci fu un carteggio tra Bach e Newton sui principi fisico-matematici dell'armonia? Anche la scrittura rende bene ed in tondo alcune caratteristiche dell’epoca (i primi 50 anni del 1700). Mi lascia perplesso solo tutta la parte legata ai suoi rapporti con Newton, che trovo forzata ed inutilmente dotta. Credo che un buon editor l’avrebbe tagliata alla grande. Rimane il racconto e, nell’orecchio, il buon Sebastian che meraviglie trae dall’organo.

Il dotto Andrea Frova nasce a Venezia l’11 dicembre 1936, si laurea in Fisica all'Università di Pavia nel 1959, ed è professore ordinario di Fisica Generale e docente di Acustica Musicale presso l'Università di Roma "La Sapienza". In passato, è stato ricercatore dei Laboratori AT&T Bell di Murray Hill e professore visitatore nelle università dell'Illinois, di Stoccarda, della California, oltre che presso il Politecnico Federale di Losanna. Ha pubblicato circa 150 articoli scientifici su riviste internazionali nel settore della Fisica della Materia, in particolare proprietà ottiche dei Semiconduttori, e oltre 100 articoli di cultura e divulgazione scientifica su quotidiani e mensili. È autore dei seguenti libri: "Semiconduttori: Proprietà e applicazioni elettroniche" (Veschi-Masson 1977), "La rivoluzione elettronica" (Editori Riuniti 1981), "Bravo Sebastian" (Sansoni 1989), "Perché accade ciò che accade" (RCS-BUR 1995), "Parola di Galileo" (RCS-BUR 1998), "Fisica nella Musica" (Zanichelli 1999), "Luce colore visione" (RCS-BUR 2000), "La fisica sotto il naso" (RCS-BUR 2001).

In questo primo giorno di caldo, allora un via definitivo a maglioni & co. per alleggerire il guardaroba e la mente.

Buona settimana

Gio.

domenica 18 maggio 2008

Classici e duri

Questa è una settimana di passaggio, si lasciano alle spalle i molli sonni invernali e ci si avvia ad affrontare un’estate incognita. Per fortificare il nostro animo anche durante la scrittura allora, niente di meglio che tornare a dei classici, anche se della letteratura moderna. E quando non sono classici, almeno siano duri e rigorosi. A metà tra letteratura e cinema, un passaggio tra due scrittori americani ed una scrittrice francese. Cominciamo con l’unico vivente e quindi (per forza di cose) il meno classico.

Cormac McCarthy “Il buio fuori” Einaudi euro 9,50 (in realtà, scontato 6,65)

Dopo aver visto il film dei fratelli Cohen ho deciso di affrontare anche la lettura dei testi dello scrittore americano. Cominciando dal suo primo tradotto in Italia (anche se secondo in scrittura), ben datato (siamo nel 1968). Non so delle altre prove, e non so se il film ha ben tradotto il romanzo. Certo qui ci si ritrova tutto. Lo stile, asciutto, senza alcuna concessione. Passaggi a volte bruschi. Dialoghi quasi sempre riportati. Passando per il contrasto, forte, tra il paesaggio (brullo, si, ma carico di fascino) con il suo verde, i suoi fiumi (con o senza acqua), le rocce, gli alberi, e gli umani che lo popolano. Ce ne fosse uno, non dico buono, ma almeno poco poco positivo. Tutto si muove sul lato oscuro, perché il buio rappresenta la tenebra chiusa nel cuore umano e l'ignoranza, la disperazione del mondo. E domina il Sud degli Stati Uniti, l'aspra regione di boschi, stagni e serpenti in cui si muovono i protagonisti del suo primo romanzo: Rinthy e Culla, una sorella e un fratello che vivono in una squallida capanna. Una sorella e un fratello che sono amanti, e che insieme hanno avuto un bambino. Lui rifiuta la paternità e abbandona il neonato in riva al fiume, lei non si rassegna alla perdita e parte alla ricerca del figlio. Con una crudezza – crudeltà che in controluce fa vedere tutta quanto è realmente l’America, fuori e lontano dai posti facili (e ci si ripete, l’America non è solo New York, San Francsico e altro, ma anche e soprattutto le quattro case con emporio e chiesa). Ed ad un certo punto finisce, lasciando i protagonisti lì a soffrire ancora un po’ su questa terra. Alla fine, ne sento l’ambiguità verso di me: la testa lo segue, il cuore vorrebbe che non esistesse la materia su cui è scritto.

Merita molto anche la sua biografia. Cormac (vero nome Charles, cambiato poi nel gaelico Cormac che significa “figlio di Charles”) McCarthy (Providence, 20 luglio 1933) è figlio di un avvocato di successo (Charles McCarthy) e terzo di sei figli, di cui tre sorelle e due fratelli, è cresciuto in Tennessee, dove la famiglia si trasferì nel 1937. A Knoxville ha frequentato una scuola cattolica. Entra nell'università del Tennesse nel 1951 e nel 1953 si arruola nell'esercito, dove rimane per quattro anni, due dei quali passati in Alaska, dove tiene anche un programma radio. Nel 1957, ritornato nel Tennesse, riprende l'università, durante la quale scrive due racconti pubblicati in un giornale di studenti, che gli valgono il premio Ingram-Merril per due volte, nel 1959 e nel 1960. Nel 1961 sposa Lee Holleman, da cui ha un figlio, Cullen. Lascia gli studi senza laurea e si trasferisce con la famiglia a Chicago, ma quando torna nel Tennesse, a Sevier Country, il matrimonio finisce. Il primo romanzo di McCarthy, Il guardiano del frutteto (The Orchard Keeper) perviene all'editore, Random House, perché era l'unico di cui avesse mai sentito parlare, come ammette McCarthy stesso. Albert Erskine, già editore di William Faulkner, avrebbe continuato a pubblicarlo per vent'anni. Nel 1965, grazie ad una borsa di studio emessa dalla American Academy of Arts and Letters, si imbarca sul Sylvania, con l'intento di visitare l'Irlanda. Qui si innamora di Anne De Lisle, la cantante della nave: i due si sposano l'anno seguente, in Inghilterra. Vince in seguito una nuova borsa di studio, questa volta offertagli dalla Fondazione Rockfeller, che viene di nuovo investita in viaggi, questa volta verso l'Europa del sud. Si ferma a Ibiza, dove conclude il suo secondo romanzo, Il buio fuori (Outer Dark) prima di tornare negli USA, nel 1968, dove il manoscritto aveva già riscontrato i consensi di buona parte della critica. Nel 1969 torna nel Tennessee, a Louisville, dove compra un fienile e scrive Figlio di Dio, pubblicato poi nel 1973. Nel 1976 si separa anche da Anne De Lisle e si trasferisce a El Paso, in Texas. McCarthy vive attualmente nel New Mexico, a Tesuque, con la moglie Jennifer Winkley e il figlio John. È molto attivo nella comunità locale di Santa Fe e soprattutto nel Santa Fe Institute, fondato da un suo amico, il fisico Murray Gell-Mann.

Per riposare la testa pensavo di passare al classico francese, anche se, come dirò, la Duras non mi ha mai convinto fino in fondo. Questa volta parliamo di

Marguerite Duras “Occhi blu, capelli neri” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà con promozione Feltrinelli, pagato 4,55 euro)

Ogni tanto mi torna sotto le mani un libro della Duras. Ed ancora mi domando perché ne leggo. Forse cerco quell’atmosfera che a volte aleggiava nelle sue righe indocinesi. Ma sempre, sempre mi torno a dire: che vuole? Che mi sta raccontando? Qui ad esempio, la storia è di trama leggera e sparisce dopo poche righe. Due persone sfortunate si incontrano in una villa vicino al mare. Poi si ritrovano a casa di lui, per piangere piuttosto che per amarsi. L’uomo le propone di pagarla affinché lei ritorni ogni notte da lui. La donna accetta e dopo un po’ lei gli racconta le sue giornate durante le quali vede un altro uomo. L’uomo ne è turbato: amore o tradimento? Rimane il rapporto tra i due. Il sesso (vero? Sognato? Inventato?). Ma se devo dire che ne sono coinvolto direi una bugia. E non ne sono il tipo. Rimane una frase, ma solo perché ricorda altri echi ed altre parole: “Lei gli dice di avvertirla se per caso un giorno lui si metterà ad amarla”

Qualche riga sulla sua vita. Marguerite Duras (pseudonimo di Marguerite Donnadieu) nasce a Gia Dinh, presso Saigon, nell'Indocina francese (oggi Vietnam) il 4 aprile 1914, e si spostò in Francia (paese natale dei genitori) per studiare legge, ma facendosi immediatamente attirare dalla passione per la scrittura. Cambiò il proprio cognome nel 1943 in Duras, il nome di un villaggio nel dipartimento di Lot-et-Garonne, paese dove si trovava la casa del padre. Duras è autrice di numerosi racconti brevi, film e, soprattutto, romanzi, incluso il suo best-seller, nonché opera autobiografica, L'Amant pubblicato nel 1984, tradotto in italiano come L'Amante che le valse il prestigioso premio letterario Goncourt quello stesso anno. Dopo le riprese del film omonimo, la Duras pubblicò un altro romanzo intitolato L'Amant de la Chine du Nord (nel quale, a distanza di dieci anni, riscrive l'intera vicenda). Altre opere importanti sono: Moderato Cantabile, divenuto poi un film con lo stesso nome; Le Ravissement de Lol V. Stein; India Song divenuto anch'esso un lungometraggio nel 1975. Fu anche l'autrice del film del 1959 Hiroshima mon amour, diretto da Alain Resnais. Le prime opere della Duras erano scritte in maniera molto convenzionale (il loro 'romanticismo' fu molto criticato dallo scrittore Raymond Queneau); con Moderato Cantabile la Duras inaugura un lungo periodo di sperimentazione, legato al Nouveau roman, un movimento letterario francese tra i cui esponenti troviamo anche Alain Robbe-Grillet. Morì a Parigi il 3 marzo del 1996 a causa di un tumore alla gola. Venne sepolta nel cimitero di Montparnasse. (per gli amanti dei numeri notare che nasce il 04/04 e muore il 03/03!).

Ed infine il classico, sapiente, irregolare, zampa d’elfante

Charles Bukowski “Storie di ordinaria follia” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6 euro)

L’ho preso in mano sulla spinta di una chiacchierata con Ferdinando e Paola, che ne parlavano da esilarante. Che dire? Eccessi tanti, ma ben scritti. Mi hanno preso? Coinvolto? Forse, devo proprio dire, no. Lo prendo un po’ come il Mordecai Richter di qualche tempo fa. Ho fatto bene a far passare il tempo, a leggerlo ora, che non mi “abbindola” con gli specchietti lucenti, ma da cui rimangono elementi di riflessione sul mondo americano fuor di ogni tempo: un mondo che poteva essere ma che realmente non è. Già tenta di colpire il suo pubblico dal titolo, che in inglese suona “Erections, Ejaculations, Exhibitions and General Tales of Ordinary Madness”. Viene pubblicato per la prima volta interamente nel 1972. I vari racconti erano stati pubblicati su diverse pubblicazioni, tra le quali una rivista underground di Los Angeles, Open City. La raccolta è composta da 42 racconti, che descrivono vari aspetti della vita dell'autore, alle prese con le scommesse sulle corse dei cavalli, con il sesso, con le donne, con l'alcol e con altri aspetti della sua disordinata vita di cinquantenne senza un lavoro fisso.

Mi piace riportare quello che scrisse Beniamino Placido su “La Repubblica”: "Rispetto alla tradizione letteraria americana si sente che Bukowski realizza uno scarto, ed è uno scarto significativo. In questa scrittura molto 'letteraria', ripetitiva, sostanzialmente prevedibile, Bukowski fa irruzione con una cosa nuova. La cosa nuova è lui stesso, Charles Bukowski. Lui che ha cinquant'anni (al tempo in cui scrive questi racconti, attorno al '70), le tasche vuote, lo stomaco devastato, il sesso perennemente in furore; lui che soffre di emorragie e di insonnia; lui che ama il vecchio Hemingway; lui che passa le giornate cercando di racimolare qualche vincita alle corse dei cavalli; lui che ci sta per salutare adesso perché ha visto una gonna sollevarsi sulle gambe di una donna, lì su quella panchina del parco... Lui, Charles Bukowski, 'forse un genio, forse un barbone'. Anzi, 'io Charles Bukowski, detto gambe d'elefante, il fallito', perché questi racconti sono sempre, rigorosamente in prima persona. E in presa diretta."

“signori, arriva il momento nella vita di ogni uomo, in cui questi deve scegliere fra resistere o scappare. Io scelgo di resistere.”

“spesso lo stato della cucina rifletto lo stato della mente (di un uomo)“

“bisogna riconoscere che tutti noi siamo stati (molesti) per qualche d’uno”

E parliamo invece a lungo della sua incasinata vita. Henry Charles Bukowski Jr. (detto Hank) (Andernach, 16 agosto 1920 – San Pedro, 9 marzo 1994) nacque in Germania (nella regione della Renania-Palatinato), dove sua madre, tedesca, incontrò suo padre, un soldato polacco-americano, durante l'occupazione tedesca alla fine della prima guerra mondiale. All'età di due anni la sua famiglia si trasferì a Baltimora, nel Maryland, per poi spostarsi a Los Angeles, in California. Durante la grande depressione, il padre di Bukowski fu spesso disoccupato, e a detta del figlio, manesco e ingiurioso. Dopo essersi diplomato alla Los Angeles High School, Bukowski frequentò il Los Angeles City College per un anno seguendo corsi di arte, giornalismo e letteratura. All'età di 24 anni, Bukowski riuscì a far pubblicare un suo breve racconto, Aftermath of a Lenghty Rejection Slip. Due anni dopo pubblicò un altro breve racconto, 20 Tanks From Kasseldown, ma la sua disillusione verso il settore editoriale crebbe a tal punto che smise di scrivere per quasi un decennio. Passò questo periodo in parte a Los Angeles, e in parte vagabondando per gli Stati Uniti, vivendo di lavori saltuari e in economiche stanze in affitto. Nei primi anni cinquanta Bukowski ottenne lavoro come postino a Los Angeles, ma si licenziò dopo neppure due anni. Nel 1955 fu ricoverato per un'ulcera perforante che gli fu quasi fatale. Lasciato l'ospedale iniziò a scrivere poesie. Sposò Barbara Frye nel 1957 ma divorziò nel 1959. La Frye, scrittrice e poetessa (dirigeva la rivista Harlequin, sulla quale erano state pubblicate delle poesie di Bukowski), insisteva nel dire che le loro differenze erano personali, non letterarie, anche se era risaputo che fosse molto critica verso l'opera poetica del marito. Bukowski continuò a scrivere poesie e riprese a bere. Ritornò agli uffici postali di Los Angeles, dove lavorò come impiegato per più di dieci anni. Nel 1965 da Bukowski e Frances Smith nacque una bambina, Marina Louise Bukowski. Smith e Bukowski vissero insieme per un periodo, ma non si sposarono mai. Nel 1969 Bukowski si licenziò nuovamente per fare della scrittura la sua principale carriera, dopo aver ottenuto uno stipendio di 100$ al mese "a vita" da John Martin, editore del Black Sparrow Press. Aveva 49 anni. Come spiega in una lettera dell'epoca, "Dovevo fare una scelta: rimanere all'ufficio postale ed impazzire, oppure andarmene da lì, giocare allo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame". Meno di un mese dopo aver lasciato le poste, terminò il suo primo romanzo, Post Office, che lo rese celebre. Nel 1976 Bukowski incontrò Linda Lee Beighle, la proprietaria di un negozio di alimentari. Due anni dopo la coppia si trasferì nell'East Hollywood, dove Bukowski aveva vissuto la maggior parte della sua vita, nella punta più sud di Los Angeles. La coppia si sposò nel 1985. Bukowski morì di leucemia fulminante il 9 marzo 1994 nell'ospedale di San Pedro in California all'età di 73 anni, poco dopo aver completato il suo ultimo romanzo, Pulp. Il rito funebre fu celebrato da un monaco buddista.

domenica 11 maggio 2008

Italiani (e solidali?)

Dopo il passaggio estero, un po’ per scelta ed un po’ per delusione, torno alle scritture di casa nostra, e ad un trittico che, tirate le somme, sta un po’ sopra media. Ho scoperto un autore (Francesco Piccolo) che trovo gradevole, scorrevole e che mi fa un po’ invidia (penso si capisca dal primo libro). Ne ho letto un altro che non è uno scrittore, ma che qui non mi è dispiaciuto. L’aggettivo del titolo lo riporto al fatto che, bene o male, traspira un’aria di empatia con qualcosa. Ed è forse quest’aria che mi è mancata nell’ultimo periodo.

Ma andiamo ad incominciare con i due Piccolo-libri:

Francesco Piccolo “Allegro occidentale” Feltrinelli euro 7,50 (scontato 5,60)

Un bellissimo corso sul “viaggio di lusso/nel lusso” e sul rapporto dell’uomo occidentale con la meta del suo viaggio. Da leggere per chi, dopo tanti viaggi Alpitour, decide di partire con Avventure nel Mondo. È la storia di Mister Piccolo, uno scrittore giornalista al quale hanno proposto di vedere il mondo (o quanto meno una buona parte di questo) insieme ad altri otto colleghi. E Mister Piccolo comincia questo lungo viaggio ad occhi sbarrati scoprendo subito, da quando mette piede per la prima volta nella business class dell'aereo diretto in Sri Lanka, che il privilegio sarà, per tutto il tempo della sua Odissea, l'unico vero luogo che fa la differenza, quello che uniforma tutti i luoghi, che azzera le distanze geografiche e amplifica quelle sociali, che crea paradisi e li distrugge. Parla delle differenze culturali e di come in quelle circostanze ci si ritrovi un poco più bastardi. Alcuni momenti epici: i cinesi sono tutti uguali per noi e anche per loro noi siamo tutti uguali, la scoperta del taxi, lo straniamento tra essere nel lusso e vedere i poveri (Sri Lanka) e non vederli (esclusive resort sulla barriera corallina in Australia). Nonché i normo-tipi del residente dell’organizzazione viaggi e del turista “voglio-tutto-perché-non-si-paga” (cioè si è già pagato prima di partire!). Compreso un capitolo che se organizziamo una serata di lettura ve lo proporrò, sul “dobbiamo assolutamente vederci!”. E poi una scrittura scorrevole e gradevolmente comica. Non mi meraviglia che abbia sceneggiato “Caos Calmo” con Moretti.

Francesco Piccolo “Storie di primogeniti e figli unici” Feltrinelli s.p.(in quanto regalo)

Anche se non sono tipo da racconti, ho letto con piacere questo fiorente regalo. Il primo racconto poi è folgorante: mi ha fatto ridere e pensare dalla prima all’ultima riga. La storia del primogenito che deve comunque salvaguardare i più piccoli, così come lui è salvato dai genitori, dai nonni, e così via, mi ha scaldato per il resto del libro. Che non è alla stessa altezza. Che ritrova la vena forse in alcuni punti (ancora il dito e la luna, e l’importanza, a volte, di guardarlo quel dito, di vedere com’è ben fatto e di esserne orgogliosi). Poi sprazzi, isolati momenti di dolcezza ma anche di solitudine, di solitudine per noi che a volte siamo contemporaneamente, primogeniti e figli unici. Ripeto quanto detto per il primo libro di Piccolo che ho letto. Alcuni passi vanno letti ad alta voce e condivisi. Questa comunque era una prova di esordio, ma già la penna scorre con bella facilità. Anzi, a volte, risulta meno ingarbugliata che in altre prove.

Qualche riga in più sulla bio. Francesco Piccolo è nato a Caserta nel 1964. Si è laureato in Lettere con una tesi su “Le teorie comiche nel teatro del Settecento”. Vive e lavora a Roma, dove collabora all’inserto letterario de Il Manifesto e alle pagine culturali de Il Mattino e de Il diario della settimana. Per molti anni ha collaborato con riviste sportive e tuttora tiene una rubrica umoristica per un settimanale di basket. Nel 1993 è stato finalista del Premio Calvino con il romanzo inedito “Diario di uno scrittore senza talento”. Collabora con lavori di redazione ed editing alla casa editrice Minimum Fax, con cui ha pubblicato nel 1994 “Scrivere è un tic. I metodi degli scrittori”, tratto da alcune lezioni di “creative writing” sui metodi di scrittura. Nel 1996 pubblica la raccolta di racconti “Storie di primogeniti e figli unici” per Feltrinelli con il quale ha vinto il Premio Giuseppe Berto e il Premio Chiara. Ha scritto inoltre altri romanzi e raccolte di racconti: “Allegro occidentale”, “E se c’ero dormivo”, “Il tempo imperfetto” (tutti pubblicati da Feltrinelli) e “l'Italia spensierata” (Laterza). Ha lavorato anche per il cinema scrivendo sceneggiature, tra cui ricordiamo “My name is Tanino”, “Paz!” (tratto dai fumetti di Andrea Pazienza), “Ovunque sei”, “Il caimano”, “Nemmeno in un sogno”, “Caos calmo”.

Passiamo ora al politico, evitando commenti sulla sua attività primaria. Mi riferisco a

Walter Veltroni “Senza Patricio” BUR 5 (in realtà, scontato 3,50)

È la prima prova letteraria che affronto del buon “Ualter”. Non mi è dispiaciuto. Si fa leggere (d’altronde è proprio un librino di 100 pagine). Le storie si srotolano, così come una narrazione intorno ad un tavolo, tra amici, ed uno si mette a parlare, a ricordare qualcosa ed a condividerlo. Questo tono “amichevole” mi è piaciuto. Un giorno, camminando per Buenos Aires, Walter Veltroni ha visto una scritta su un muro. Quattro semplici parole tracciate con la vernice: Patricio te amo. Papá. È insolito vedere un graffito dedicato da un padre ad un figlio e Veltroni ha immaginato una serie di storie che possono aver prodotto quel gesto. Sono storie che parlano di un passato insanguinato, di oppressione e di torture, ma anche di miti popolari come il calcio e il tango. Ho trovato gradevoli le prime storie. Poi, le altre si intorcinano un po’, a volte cercando di essere troppo didascaliche. Questo è un elemento che ritrovo spesso ultimamente e mi urta un po’: la forzatura che serve a (di-)mostrare qualcosa, una tesi, un’idea. Il bello del saper realmente di scrittura è quando questo percorso è talmente naturale che ti accompagna e basta. Ma ora, il racconto è terminato, il vino pure. Beh, si va in strada a fumare una sigaretta ed a ricordare altre storie.

Di VV, in questi ultimi tempi si è detto e letto di tutto. Riporto solo, per dovere di cronaca, che è nato a Roma il 3 luglio 1955, che il suo vero nome è Valter con la V e non con la W. Sposato con due figlie e tifoso della Juventus. Tutto il resto è noto.

Buona settimana a tutti

Gio.

domenica 4 maggio 2008

Vive la France?

Si è sperato, più con la forza dell’ottimismo che con il cervello, che qualcosa andasse bene. Ma non sembra che il sociale sia sintonizzato con me (o viceversa?). Allora tuffiamoci altrove, verso il paese amato-odiato, da dove provengono alcune letture dell’ultimo periodo. Cominciando questa volta con le note liete, con qualcosa che mi è piaciuto e che spero sia già o sia presto in circolazione in Italia.

Vorrei, infatti, tornare su

Amin Maalouf « Origines » Le Livre de Poche euro 9

Agli albori di queste trame incontrai un libro di Maalouf, libretto d’opera, che una cara amica mi portò da un viaggio a Parigi. Ora dopo due anni ritrovo il mio amato libanese in un libro sulle sue origini. Grande sarà il dibattito tra radici ed origini. Mi affascina la pensata delle tante strade che si intrecciano. Non sappiamo da dove vengono, le incontriamo per un po’, poi ci si lascia e si andrà ognuno per la sua. Anche l’immagine dell’autore come origine del suo mondo da cui si dipartono i due genitori, i 4 nonni, gli 8 bisavoli e … Anche la storia è in sé intrigante, perché si concentra su una trentina d’anni dal 1890 al 1920. Già i sette precedenti romanzi sono costellati da suoi aneddoti personali. Ma questa è in realtà la prima volta che ha deciso di dedicare il suo lavoro a se stesso, per spiegare le origini della sua famiglia tenacemente nomade, tra il Libano, la Francia e Cuba. Ne esce fuori tutto il mondo della Montagna libanese: se si guarda con gli occhi di adesso, una famiglia maronita, in un alveo cristiano. Ed in tutte e 500 le pagine, poco si parla di mussulmani, anche se si parla di arabo. E delle diaspore dei libanesi nel mondo. L’intransigenza di nonno Botros e la sua dirittura morale, in cui l’intelligenza è sempre messa al servizio di qualcosa. Insomma, bella la storia, bello il modo di raccontare. E si pensa ad altro, leggendo le lettere di quasi cento anni fa. Si pensa all’oggi, alle guerre, al Libano squartato. Divorato!

« Notre unique consolation, avant d’aller nous endormir sous terre, c’est d’avoir aimé, d’avoir été aimés… »

Poiché allora saltavo le bio, eccola ora, Amin Maalouf nasce il 25 febbraio del 1949 vicino Beirut. Secondo di quattro figli, proviene da una famiglia maronita della montagna libanese. I genitori si erano sposati nel 1945 al Cairo, dove Odette (la madre) era nata da un padre cristiano maronita emigrato in Egitto e da una madre turca, mentre il padre apparteneva alla comunità greco cattolica melkita. Da giovane, Amin studia sociologia all’Università Francese di Beirut, ma comincia ben presto a scrivere sui giornali, specialmente l’arabo An Nahar. Vedendo le atrocità della guerra, nel 1976 si autoesilia a Parigi, dove diviene redattore di Jeune Afrique. Ed a Parigi si consacra completamente alla scrittura, dove, spesso e volentieri, si parla di personaggi erranti per il mondo.

Al secondo posto mettiamo invece un ritorno, anzi un primo libro. Ed al secondo posto perché essendo il suo romanzo d’esordio ha ancora delle rozzezze, ma nel complesso è gradevole e promettente. Torno, infatti, su

Fred Vargas « Les jeux de l’amour et de la mort »  Èditions du Masque euro 5,85

Girando per librerie a Brussels, ho trovato questa chicca, il primo romanzo della Vargas, prima delle storie con i “tre evangelisti del giallo” e con il commissario Adamsberg, che adoro. Una storia di venti anni fa (e se ne sente nell’atmosfera parigina d’antan). Il congegno è carino, e già si vedono gli odi e gli amori della scrittrice, che quando ci porta un personaggio, ce lo porta a tutto tondo, comunicandoci anche il suo sentimento, al quale ci si adagia con piacere. Thomas Soler è un giovane pittore parigino che vede i suoi lavori sistematicamente rifiutati da tutte le gallerie d’arte. Cerca allora di entrare in contatto con il suo idolo, il pittore americano RS Gaylor. Ma dall’incontro nasceranno più guai che soluzioni. Qualcuno muore. Chi è morto ? Chi uccide ? Quante piste partono senza arrivare. Contrariamente ai romanzi successivi, qui l’intrigo prende il sopravvento sui personaggi, che talvolta mancano un po’ di peso. Una lettura comunque piacevole, dove già si vedono i futuri passaggi umoristici o sarcastici che impareremo a conoscere nei romanzi della maturità. A tratti sembra smarrire qualcosa, poi il colpo d’ala. Ed una serie di contro-finali che letti ora, già mi rimandano a quei suoi scritti dove la soluzione dell’enigma è già a metà del libro, e tutto il resto è una matrioska di soluzioni. Da sbocciare, ma già si vede che verrà un bel fiore.

Finisco con quello che meno mi è piaciuto. E vi finisco perché qui il cerchio si chiude: in fondo non mi è piaciuto per lo stesso motivo che comincio ad avere dubbi su ciò che mi circonda. Ripeto, non mi è piaciuto non per la scrittura in sé, che devo riconoscere di livello alto (almeno nelle prime due parti), ma per le tesi che intende portare avanti con la sua complicata trama. Mi riferisco, infatti, a

Michel Houellebecq « Les particules élémentaires » J’ai lu euro 6,50

Dopo tanto rimandare (a quasi dieci anni dalla pubblicazione) leggo al fine il romanzo dell’autore dal cognome impronunciabile. Da una parte, è una sorta di “Lamento di Portnoy” alla francese, pieno di esplicitazioni sessuali che seppur forti, non lasciano segni particolari, quanto ne lasciano le sue idee sull’andamento del mondo. Sulla rovina che certe idee di libertà e di eguaglianza post-sessantottina mal interpretata trascinano con sé. La trama in sé è essenziale: Michel Djerzinski e Bruno Clément sono fratellastri e sembrano essere accomunati unicamente dall'abbandono della madre. Michel è uno scienziato dedito alla biologia molecolare e vicino al Nobel. Un uomo che ha dedicato la sua esistenza agli studi scientifici che lo hanno portato all'isolamento e all'impermeabilità a qualunque emozione. Il suo sogno è riuscire a clonare gli esseri umani così da poter garantire loro una vita perfetta. Bruno è un insegnante, attirato dal sesso in modo morboso, costretto dalla malattia ad entrare e uscire dalle cliniche psichiatriche. Sia la morbosità patologica di Bruno sia l'asettica razionalità di Michel sono il risultato dell'ambiente che li circonda. Due vite parallele destinate ad incontrarsi. Questo assolutismo è quello che più mi ha disturbato. Io che metto tutto al vaglio di possibili critiche, non mi ritrovo in queste descrizioni tutte al negativo. Anche sul piano del romanzo in sé, trovo leggibili solo le prime due parti, mentre la terza (infarcita di pseudo-scienza) mi ha lasciato al quanto freddo. Certo, non è un libro che lascia neutri. Non se ne esce intonsi. Bisogna prendere posizione: e la mia è “contro”. Io fermamente credo nella possibilità che al fine non dico il bene, ma la serenità trionfi sulla grettezza e sul meschino. Speranza!

“notre malheur n’atteint son plus haut point que lorsque a été envisagée, suffisamment proche, la possibilité pratique du bonheur.”

« il atteignait la soixantaine ; sur le plan intellectuel, il se sentait complètement grillé… il n’arrivait plus à se souvenir de sa dernière érection »

Michel Houellebecq (pseudonimo di Michel Thomas; Réunion, 26 febbraio 1958) è uno scrittore, regista e sceneggiatore francese. Spesso assimilato al movimento anglosassone detto di Anticipazione sociale, è considerato uno dei più promettenti scrittori della letteratura francese contemporanea. Suo padre, guida d’alta montagna, e sua madre, medico anestesista, si disinteressano molto presto a lui, dopo la nascita della sorellastra. Inizialmente sono i nonni materni, in Algeria, ad averne cura. In seguito, all’età di sei anni, è affidato alla nonna paterna Henriette, comunista, della quale adotterà il nome sotto forma di pseudonimo. Scopre Howard Phillips Lovecraft a 16 anni. Dopo aver frequentato a Parigi il liceo Chaptal, nelle classi di preparazione per la Grand Ecole, si iscrive alla facoltà di agraria nel 1975, dove fonda la poco fortunata rivista letteraria Karamazov, per la quale scrive qualche poesia e lavora alle riprese di un film dal titolo Cristal de souffrance. Consegue la laurea in agraria nel 1978 con una specializzazione in «Ecologia e miglioramento dell’ambiente naturale». Subito dopo si iscrive all'École nationale supérieure Louis Lumière, sezione cinema – indirizzo riprese cinematografiche, presso la quale si diploma nel 1981. Lo stesso anno nasce suo figlio Étienne. Affronta in seguito un periodo di disoccupazione, ed un divorzio che gli provoca una forte depressione. Inizia a lavorare come informatico nel 1983 presso la Unilog, dove resterà tre anni, periodo che diventerà poi fonte di ispirazione per “Estensione del dominio della lotta”. In seguito passa a lavorare all’Assemblea nazionale. Verso la metà degli anni ottanta inizia a frequentare ambienti letterari parigini, pubblica le prime poesie e collabora con varie riviste. Le sue due prime raccolte di poesie, edite nel 1991, passano inosservate. In esse sono già percepibili tutti i temi che verranno trattati in seguito: la solitudine esistenziale e la denuncia del liberalismo, all’opera fin nell’intimità degli individui. Il suo primo romanzo Extension du domaine de la lutte viene pubblicato da Maurice Nadeau nel 1994 dopo essere stato rifiutato da parecchi editori. Esso ha collocato Houellebecq a capo di quella generazione di scrittori concentrati sulla miseria affettiva dell’uomo contemporaneo. Senza promozione né pubblicità, il romanzo sì è diffuso tramite il passaparola. Les Particules élémentaires (1999), il romanzo successivo, provoca uno schiamazzo mediatico legato all’esclusione del suo autore dalla rivista letteraria Perpendiculaire, della quale faceva parte, a causa di idee ambigue. La notorietà dell’autore, che replica senza peli sulla lingua su Le Monde, trae ovviamente vantaggio da tutta questa pubblicità. Les Particules élémentaires attacca (simbolicamente, ma al contempo nominandolo) lo scrittore Philippe Sollers. Il libro otterrà il Premio Novembre, assegnato da una giuria della quale fa parte lo stesso Philippe Sollers, il quale testimonierà a favore di Houellebecq nel processo generato dalle dichiarazioni di Houellebecq sull'islam. Michel Houellebecq, che si è risposato, dopo aver vissuto in Irlanda per parecchi anni, vive attualmente in Spagna, all’interno del parco naturale di Cabo de Gata.

 

Essendo infine la prima domenica del mese, ecco la tabella dei libri letti nel mese di marzo.

 
































































































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Autore


Titolo


Editore


1


Andrea Frova


Bravo Sebastian


Bompiani


2


Corinne Hofmann


La Masai bianca


BUR


3


Bernard Lewis


L’Europa e l’Islam


Laterza


4


Carl-Johan Vallgren


Storia di un amore straordinario


Longanesi


5


Walter Veltroni


Senza Patricio


BUR


6


Valentina Gebbia


Estate di San Martino


E/O


7


Fred Vargas


Les jeux de l’amour et de la mort


Èditions du Masque


8


Cormac McCarthy


Il buio fuori


Einaudi


9


Arthur Schnitzler


Novelle


Feltrinelli


10


Sue Grafton


R come Rancore


Salani


11


Fedor Dostoevskij


La mite


Mondadori


12


Francesco Piccolo


Storie di primogeniti e figli unici


Feltrinelli


13


Adriano Sofri


Chi è il mio prossimo


Sellerio


14


Amin Maalouf


Origines


Le Livre de Poche



 

Buona settimana a tutti.

Gio.