Anne Holt “La pista” Repubblica Brivido
Noir euro 8,90
[A: 26/08/2020– I: 16/08/2024 – T: 17/08/2024] - &&
[tit. or.: En grav for to; ling. or.: norvegese; pagine: 534; anno 2018]
Dopo
dieci romanzi dedicati a Hanne Wilhelmsen (almeno fino alla scrittura di
questo, che poi ne scriverà altri due) e cinque e conclusivi libri con al
centro Johanne Vik e Yngvar Stubø, nel ’18 Anne Holt introduce un nuovo
personaggio, Selma Falck, che dopo questo apparirà in almeno altri due romanzi.
Prima
di addentrarci nel personaggio, nella scrittura e nella trama, innalzo il
solito grido di dolore sul titolo. Certo, uno degli argomenti centrali del
libro è lo sci, ed in particolare lo sci di fondo. Ma parlare di pista fa
perdere tutto il senso del titolo, che, tradotto letteralmente, significa “Una
tomba per due”, e, secondo uno dei personaggi, viene da una citazione di James
Bond, che in “Solo per i tuoi occhi”, afferma “Prima di cominciare una
vendetta, è meglio che scavi due tombe”. In realtà è una citazione di citazione
che l’originale deriverebbe da alcuni detti di Confucio, che ricordava ai suoi
discepoli come la vendetta possa rivelarsi negativa anche per chi la compie.
Secondo
punto dolente è la copertina. Mentre la prima traduzione di Einaudi portava,
correttamente, una striscia di neve battuta tra gli alberi, l’edizione di
Repubblica è curata da una società di grafica ma disegna una pista di sci
alpino, con le relative porte. Cosa assolutamente sbagliata visto che, se si
parla di sci, nel libro, si parla solo di sci di fondo.
Veniamo
allora a Selma, che, almeno per gran parte di questo primo libro, non è che
risulti gran che simpatica. È stata una campionessa sportiva (medagliata nella
pallamano, credo), poi avvocato di successo con marito e due figli. Sicuramente
empatica verso i più sfortunati, o quelli che secondo lei meritano di essere
avvicinati. Ora la troviamo sull’orlo della fine. Ha sempre amato il rischio e
le scommesse, sia sui titoli azionari che nei giochi (specialmente poker),
riuscendo sempre a pareggiare i bilanci. Peccato invece che nell’ultimo periodo
abbia avuto un crollo, tale che Jan Morell, cui ha sottratto milioni di corone,
la mette all’angolo. Per non denunciarla deve restituire i soldi, lasciare lo
studio di avvocato, e farsi curare la ludopatia. Cosa che in parte Selma fa, ma
per le prime due richieste è costretta anche a lasciare la famiglia e vivere in
un appartamento ai limiti dell’abitabilità.
Caduta
in fondo al pozzo, è lo stesso Morell che le offre un’ancora di salvezza. Se
risolve il suo problema di famiglia, le abbona tutto, meno lo psicologo (che
tra l’altro è l’unica cosa che Selma non farà mai). Entriamo così nel vivo
dell’azione, che, purtroppo, è spezzettata da Anne in mille capitoli dove si
cambia continuamente soggetto narrativo, dove non si riesce a seguire
concretamente la trama, perdendosi anche in una ridda di nomi. Dove, oltre agli
attori della vicenda, per motivi vari, vengono tirati in ballo atleti fondisti
che solo la mia onnivorità sportiva mi ha permesso di collocare al giusto posto
(come anche le Olimpiadi invernali di Pyeongchang del 2018, dove, tra l’altro,
la Norvegia vinse 14 ori, di cui la metà nello sci di fondo).
Tutto
comincia dall’incriminazione per doping di Hege Chin, figlia adottiva di Morell
e campionessa di fondo. Poi prosegue con la morte di Haakon, altro campione di
fondo, travolto da una macchina durante un allenamento, figlio di Vanja, amica
di Selma nonché psicologa. Sembra una storia di doping, ma Selma non si lascia
ingannare dalle apparenze e persegue una sua pista, suggerita dal suo amico
Einar (su cui torneremo): a chi giova? O meglio a chi nuoce?
Con
molta difficoltà, dovuta ad una enorme massa di nomi ed a salti di prospettiva
in ognuno dei brevi capitoli, capiamo che in effetti ci sono varie personalità
cui tutta la vicenda sta nuocendo. Morell, in primis, sempre paladino
dell’antidoping, coinvolto nel doping della figlia. Selhus, il tesoriere della
federazione, colpevole a volta di piccoli ammanchi, ma ora travolto da
spostamenti indebiti di denaro che, pur non essendone il motore, fanno risalire
a lui la causa. Denaro che transita anche tra le mani di Haakon, e che lui
minaccia di rendere pubblico. Poi c’è una vicenda parallela e collegata: Klaus,
amico stretto di Morell, soffre di claustrofobia e lo vediamo capitolo dopo
capitolo rinchiuso in una stanza senza uscita. Tanto che finirà per morirne.
E
Selma scopre anche che, da giovani, Morell, Selhus e Klaus erano molto legati.
Da qui a trovare chi muove i fili della trama nera ci vuole poco, anche perché
ogni macro-capitolo (relativo ad ogni giorno che passa) riporta la
sceneggiatura di una trama che, letta con attenzione, ha delle forti attinenze
con quanto succede. E benché solo noi ne leggiamo, capiamo che tutto si tiene.
Che Hege, Haakon, Morell, Selhus, Klaus e Vanja sono legati da un filo che
Selma riuscirà a dipanare.
Ma
la trama non prende. Troppi personaggi, troppi spezzatino di capitoli, poca
incisività nei personaggi, e, alla faccia di Van Dine, una serie di spunti di
trama che nascono all’improvviso senza essere coordinati con il resto. Resta
Selma che risulta un buon personaggio, anche se ancora pieno di ombre. Capace,
intuitiva, ma non positiva come ci si aspetta. È brava in tutto, ma l’unica
cosa che le farebbe fare uno scatto (curare la ludopatia) non esce fuori.
L’unico
altro personaggio ben trattato è Einar, un ex-poliziotto che quando scopre che
la persona che ha arrestato causò la morte di sua figlia, lo uccide a sangue
freddo. Dopo le dimissioni ed il carcere, fa la volontaria vita da barbone,
rimanendo l’unico vero amico di Selma (e viceversa). L’unico che ragionando con
Selma fa fare reali passi avanti all’indagine. E spero che negli altri due
episodi scritti rimanga ancora.
Insomma,
un inizio non proprio esaltante, illuminato solo dalla citazione che riporto.
Staremo attenti al seguito.
“[Quando
guidava] da sola, preferiva ascoltare un audiolibro. Aveva quasi finito il
quarto volume di Elena Ferrante.” [24]
Anne Holt “La tormenta” Repubblica Anima
Noir 7 euro 8,90
[A: 03/08/2021– I: 14/10/2024 – T:
15/10/2024] - &&
e ½
[tit. or.: Furet/værbitt; ling. or.: norvegese; pagine: 549; anno 2019]
Eccoci
allora al secondo episodio della serie dedicata all’ex-avvocato, investigatore
privato e ludopatica Selma Falck. In un libro denso di cose “altre” rispetto al
giallo classico, nonché un filo troppo lungo, e sicuramente appesantito dal
continuo spostamento temporale, anche se qui non si tratta di anni ma di mesi.
Avevo lasciato il primo episodio sperando in un miglioramento. Qualcosa c’è, ma
è ancora decisamente insufficiente.
Intanto
cominciamo dal titolo, che, data la mia quasi nulla conoscenza del norvegese
(forse dovrei chiedere a Vivi) non sono riuscito a tradurre, anche se ipotizzo
cerchi di proporre due accezioni del termine “Tormenta”, sia inteso come tempo
atmosferico che come azione atta a distruggere. Fatto sta che il termine è di
certo centrale nel romanzo, anche se per la maggior parte del tempo (ed è qui
la critica ai traduttori) usato senza l’articolo.
Legata
al titolo è poi la copertina. Nella prima edizione Einaudi c’è la foto di una
tormenta di neve, che ci può stare. In questa edizione di Repubblica c’è una
casa che brucia, che certo rimanda all’inizio del libro, ma è fuori contesto
con il resto (a meno di non creare una metafora legando la casa che brucia con
la possibilità che il mondo conosciuto, rappresentato dalla casa stessa, bruci
anche lui).
Per
quanto riguarda invece il testo vero e proprio, devo dire che, personalmente,
l’ho trovato non facile da digerire. Come spesso accade, si muove su due spezzoni
temporali, che solo nel finale si ricongiungono. Tempi che sono sfasati di
poco. Da un lato c’è una specie di presente in cui seguiamo una settimana circa
della vita di Selma, da quando la troviamo nuda ed in fin di vita, sperduta in
una landa norvegese, fino al suo (ovvio) salvataggio e ricongiungimento con
l’altro tempo. Dall’altro un periodo che parte il 18 maggio per arrivare al 16
settembre, punto finale della storia, e momento in cui tutto si ricompone.
Spezzo
subito una lancia mortale verso la storia di Selma che lotta con la neve, con
il fuoco, con il freddo, con la tormenta, con la memoria (è stata picchiata,
ridotta in fin di vita, ed ha subito una piccola amnesia temporale). È una
parte lenta, che coinvolge poco o nulla, che poteva essere collocata nel filone
normale del tempo, ed avrebbe avuto lo stesso risultato. Vedere come si disseta
con la neve sciolta o si fa aiutare e guidare da un cane randagio mentre
recupera, neurone dopo neurone, i brandelli di memoria per ricostruire quello
che leggiamo nell’altro filone del racconto, l’ho trovato poco coinvolgente.
Il
filone principale, invece, in cui c’è un morto, ma anche tanto altro, si segue
meglio, anche se alcune parti sembrano scontate ed alcune denunce sociali sono
forse poste in un contesto che non riescono a colpire come dovrebbero. Da
attenta conoscitrice della realtà norvegese (nonché anche ex-ministro della
Giustizia), Anne Holt ci fa immergere nel clima dei nostri giorni, in un mondo,
norvegese ma potrebbe essere qualsiasi paese occidentale, assediato dai
problemi dell’immigrazione, della mancanza di lavoro, dalle esacerbate proteste
di frange estremiste, di destra e di sinistra. Un mondo in cui l’uso dei social
diviene uno strumento di democrazia e di tirannia. Come si afferma ad un certo
punto, e ne sono convinto anch’io, i social vengono usati da tutti, dall’uomo
della strada al presidente americano (ricordo che l’azione si svolge durante la
presidenza Trump). Ed in ciò è insito un grande pericolo, perché parliamo
(scriviamo) prima di pensare. Questo uso dei social consente ad uno strumento
che in linea di principio è adatto a connettere e collegare le persone, di
ingrandire il solco tra noi e ci separa ancora di più.
In
questo contesto, un residuo dei servizi segreti norvegesi sorti durante la
Seconda guerra mondiale per opporsi al nazismo resta ancora in funzione con il
compito, autoimpostosi, di salvaguardare la democrazia, anche usando azioni non
ortodosse. Holt descrive efficacemente come esaltati di ogni risma attacchino
il sistema democratico, per poi descrivere, attraverso questo gruppo, il modo
meno democratico per mantenere la democrazia.
Fatto
sta che uno dei principali accusatori, da destra, del sistema muore durante il
pranzo di nozze per uno shock allergico. Il punto di partenza è qui, dato che
il tipo stava sposando la figlia di Selma. Quindi la nostra, un po’ per cercare
di riavvicinarsi alla figlia (sappiamo dal precedente libro come i rapporti tra
Selma e la famiglia siano stati troncati di netto) sia per assolvere il cuoco
delle nozze dall’accusa di incuria alimentare, incomincia ad indagare.
Ma
sono indagini un po’ mosce, che si ravvivano solo quando nel narrato si passa a
parlare del responsabile del gruppo di cui sopra, Tryggve Mejer (tra l’altro
Ministro della Giustizia), dei suoi tormenti politici ma anche e soprattutto
della crisi familiare che coinvolge la figlia Mina e la moglie. Tryggve può
scatenare la “Tormenta” per eliminare i pericolosi attentatori alla democrazia,
sia con azioni illegali (tipo uccisioni nascoste) che con azioni para-illegali,
imbavagliando la stampa ed altre simili attività.
Noi,
ed altri, pensano che sia stato lui a chiedere la morte dello sposo molesto. Ma
Selma, aiutata dal fido barbone Einar Falsen (che ora vive in una casa, ma
rimane barbone dentro e per me l’unico personaggio veramente divertente e
positivo), ricostruisce la catena degli eventi risalendo alla vera
concatenazione di azioni che hanno portato alla morte durante le nozze.
Tuttavia,
Tryggve non era stato inerte, avendo autorizzato le azioni collaterali:
chiusura di giornali online attraverso il taglio della pubblicità, denigrazioni
che portano a dimissioni incomprensibili, nonché l’arresto per (falsa) droga di
una coppia che in realtà gestiva una rete di hacker finanziata dai russi.
Inciso: queste considerazioni, sugli hacker e sulle ingerenze sovietiche fatte
nel 2019 sono di una preveggenza sconcertante.
Ovvio
che all’interno del gruppo segreto, comunque, nascano attriti sulle modalità di
azione, nonché sul fatto che Selma si stia avvicinando troppo alla verità. Per
cui qualcuno decide che va eliminata, così che finalmente capiamo perché sia
stata quasi uccisa nel primo filone del libro. Ma Selma si salva, anche se la
sua verità verrà sopravanzata dagli avvenimenti, in un finale che è decisamente
un po’ moscio, un po’ scontato e molto proiettato ad aprire la strada ad un
nuovo episodio.
Non
è un giallo entusiasmante, dal punto di vista del “giallo puro”. È di certo un
libro che tocca molti punti dolenti del mondo attuale. Vediamo descritto con
capacità e somiglianza il nostro come un mondo pieno di odio, di violenza, dove
risorge il razzismo più deleterio. C’è tutta una parte in cui narra in modo
efficace l’utilizzo eccessivo e negativo dei social che diventano veicolo di
comunicazione anche quando diffondono notizie false. C’è una grossa parte che
indica l’esistenza di complotti, nazionali e sopranazionali, dove sempre più
predominante diviene il ruolo dei potenti. Ma c’è anche, sia nelle schermaglie
tra Selma e la figlia Anine, sia tra quelle di Mina con il padre Tryggve tutto
il difficile rapporto tra genitori e figli.
Certo
non è compito di un thriller portarci soluzioni, ma il merito di questo libro,
pur nella sua incompletezza, è di aver posto e descritto queste tematiche. Come
nella precedente trama, vedremo cosa ci riserva il futuro.
Finisco
con un richiamo storico. In Norvegia esisteva realmente un gruppo “Stay Behind”
composto da cinque persone e smantellato soltanto nel 1978. Come dice Einar, è
Wikipedia che ci fornisce molte informazioni (che bisogna scremare), e ci
descrive (purtroppo solo in norvegese) la “Norsk okkupasjonsberedskap i
etterkrigstiden”, cioè la “Preparazione all'occupazione norvegese nel
dopoguerra”. Cercatela e leggetene, breve ma interessante.
Jussi Adler-Olsen “Il messaggio nella
bottiglia” Feltrinelli euro 12
[A: 06/08/2021 – I: 24/08/2024 – T: 26/08/2024] - &&&
[tit. or.: Flaskepost fra P; ling. or.: danese; pagine: 557; anno 2009]
Come detto, sei anni fa ho letto i primi due
episodi, con una critica che ne riportava una discreta sufficienza. Poi le
evoluzioni letterarie mi hanno un po’ allontanato dallo scrittore, che solo ora
riprendo. Poiché penso che abbiate scordato gli inizi faccio una breve
ricapitolazione degli elementi principali.
Dopo un episodio sfortunato della sua squadra
(con morti e feriti di polizia) l’ispettore Carl Mørck, per non essere
licenziato, viene messo a capo di una struttura, all’inizio inesistente,
denominata “Q” che si occupa di casi irrisolti. A Carl si associano un profugo
di origine araba, Assad, ed una segretaria tuttofare molto punk Rose Knudsen.
Carl ha anche una vita privata incasinata: un figlio, Jesper, in crisi
adolescenziale, una ex-moglie, Vigga, che non lo vuole lasciare, ed un
innamoramento verso Mona, la psicologa che lo ha seguito nel percorso di
riabilitazione dopo l’episodio iniziale della serie.
Il nostro autore, sull’onda dei volumi zeppi
di avvenimenti della tradizione del giallo scandinavo e seguendo in parte
l’onda dei “procedural thriller” americani, riempie il romanzo di molte
attività ed inchieste, pur seguendo il profilo centrale delle inchieste. Noi
seguiremo solo il filone centrale, essendo il resto un modo di rendere
partecipe il lettore del clima dell’azione stessa. Lasciando ai lettori il
piacere di immergersi nell’atmosfera del Nord Europa (anche se tecnicamente la
Danimarca non è Scandinavia).
Il filone principale è un “cold case” che
arriva a Carl tramite una bottiglia rinvenuta in Scozia e recapitata ai nostri
solo dopo molti anni. La bottiglia era stata fatta scivolare in mare da un
ragazzo danese, tenuto prigioniero insieme al fratello da un fanatico serial
killer. Dalle poche parole che si riescono a comprendere, l’azione relativa
alla bottiglia si era svolta tredici anni prima della storia che siamo
seguendo.
Ben presto conosciamo questo serial killer.
Nasce in una famiglia devota ad una delle tante sette presenti nel Nord,
succube di un padre violento. Il nostro si ribella ma senza successo, finché,
in una sera di tragedia, lanciando una bottiglia di soda caustica, rende cieca
sua sorella ed il padre ha un infarto e muore. Da lì nasce il suo odio per le
sette religiose ed il tentativo di vendicarsi su tutte queste deviazioni
religiose. Il modo che trova è ingegnosamente perverso.
Studia le sette, ne individua particolarmente
chiusa, ed al suo interno una famiglia possibilmente facoltosa e numerosa.
Rapisce due figli, ricatta la famiglia, intasca il riscatto, poi libera un
figlio ed uccide l’altro, creando nella famiglia stessa un clima di terrore che
non consente ai superstiti nessuna strada di ribellione. Jussi ha buon modo,
nelle more, di lanciare strali sulla grettezza di queste sette, sulla
pericolosità della loro chiusura al mondo.
Il killer (di cui non sapremo mai il vero
nome) accumula beni e denaro, e parallelamente si costruisce anche una famiglia
normale, sposando Mia e mettendo al mondo il piccolo Benjamin. Rallenta molto
le sue attività, ma tracolli finanziari lo costringono a riprendere i suoi
ricatti. Così lo vediamo entrare in contatto con i “Servi di Maria di Dio”,
individuare la famiglia, e rapire i due figli. Commette solo un errore, per
entrare nel giro si accompagna con Isabel, una ragazza, che si rivelerà un osso
duro quando la lascia senza motivo.
Isabel capisce le sue mosse, e si mette in
contatto con la famiglia, cercando di dare scacco al killer. Anche Mia si
ribella, ma viene scoperta, messa quasi in condizione di non nuocere, e
portando il piccolo Benjamin da Eva, la sorella cieca.
In tutto ciò non ci scordiamo di Carl, che
partendo dal messaggio nella bottiglia, dalla data, e dalla firma (il titolo
originale dice infatti “Messaggio in bottiglia da P”), trovando la famiglia di
quel rapimento e ricostruendone la storia. Piccoli elementi (sangue, carta,
legno, lische di pesce) portano la squadra Q a restringere il campo delle
ricerche del luogo dove vengono tenuti i prigionieri, anche se non sa che ce ne
sono due nuovi.
L’incontro con Isabel farà collassare le
informazioni, portando Carl a trovare il luogo ed inscenare una lotta senza
esclusione di colpi con il killer. Chi si salverà? E si salveranno i rapiti?
Che fine faranno i genitori dei due che si erano votati all’azione ed all’aiuto
di Isabel? Si salverà Mia? Verrà ritrovato Benjamin?
Tanti gli interrogativi che la lunga sequenza
finale porterà tutti alla conclusione che vi lascio scoprire se vi va. Restando
che, nonostante la lunghezza, è comunque un buon thriller. Certo, alcuni
passaggi sono un po’ lenti, ma tuttavia efficaci. E certo, non tutti i
personaggi sono tratteggiati con uguale maestria. Ma di certo Carl risulta
simpatico ed empatico, come i suoi aiutanti, ed una serie di personaggi di
contorno.
La bravura di Jussi sta anche nel
tratteggiare il killer non come uno psicopatico facilmente riconoscibile, ma
come una persona con un grande autocontrollo, ma che potrebbe essere (quasi) un
uomo qualunque. Jussi si concentra sulla psicologia di tutti i personaggi (e
non a caso uno dei personaggi è proprio una psicologa). Pur spaziando nella
cattiveria e nella crudeltà, e spezzando lance molto forti contro il fanatismo
religioso, Jussi ci ricorda che nessuno “nasce con il marchio di Caino sulla
fronte”. Le situazioni, e le scelte, creano i mostri.
Ho messo le virgolette perché mi rifaccio a
quanto di poco noto segue la vicenda di Caino dopo che uccide il fratello
Abele. Leggetene altrove la storia, molto interessante, e a mio dire poco
divulgata.
Un buon thriller, infondo.
Jussi Adler-Olsen “Paziente 64” Feltrinelli
euro 12
[A: 22/03/2021 – I: 03/10/2024 – T:
05/10/2024] - &&&---
[tit. or.: Journal 64; ling. or.: danese; pagine: 522; anno 2010]
Eccoci giunti, attraverso i libri del danese
Jussi Adler-Olsen, al quarto volume della sua scrittura seriale, intitolata: “I
casi della Sezione Q”, dove la sezione in questione è un dipartimento di
polizia dedicato alla risoluzione di “cold case”.
Jussi, con la sua preparazione medica
pregressa, ed una discreta capacità affabulatoria, riesce sempre ad imbastire
situazioni intriganti, che hanno anche il pregio di sollevare alcuni dubbi sul
perbenismo avvolgente della società pubblica danese.
Ricordiamo brevemente i protagonisti della
Sezione. Il responsabile è Carl Mørck, che dopo uno sfortunato caso, in cui
rischia di venir ucciso, viene dirottato in questa sezione, dove, nonostante
una non completa riabilitazione, può esercitare le sue notevoli doti deduttive.
Ha una vita privata complicata che comprende una moglie divorziata che vuole
sposare un indiano, un figlio che vuole tornare a vivere con lui, una nuova
relazione con la psicologa Mona, nonché un collega tetraplegico che decide di tenersi
in casa.
La sezione comprende anche Assad, un profugo
siriano che nasconde qualcosa (non sappiamo ancora cosa), ma che di sicuro ha
contatti con ambienti non ortodossi, e la segretaria Rose, che non si capisce
ancora se sia molto intelligente o schizofrenica (sembra un paradosso, ma
leggetene e capirete cosa intendo).
Come tutte le storie abbastanza “procedural
thriller”, l’autore ci fa seguire diversi filoni di indagini, che si
sovrappongono e si intersecano nel tempo. Poiché a noi interessa il discorso
centrale, ci occuperemo soltanto di questa che riporta il discorso su di un
paziente che tiene un diario (benché anonimo). Il “Diario 64” appunto.
Lo spunto nasce dal fatto che, per
distogliere Carl da vicende che stavano incartando la sua sensibilità, Rose
propone di occuparsi della scomparsa di una prostituta (forse drogata) Rita
Nielsen. Appena cominciano ad approfondire il caso, i nostri bravi poliziotti
scoprono che, nello stesso giorno della scomparsa di Rita, nella capitale sono
avvenute altre quattro sparizioni, non tutte denunciate per mancanza di parenti
prossimi. Si tratta di Tage Hermansen, Gitte Charles, Viggo Mogensen e Philip
Nørwig.
Indagando sulle cinque persone scomparse,
cominciano a comparire dei possibili segni di convergenza. Philip era un
avvocato che spesso aveva difesa il ginecologo Curt Wad da accuse di
sterilizzazioni ed aborti forzati. Gitte era stata un infermiera in una
struttura, la Kellerske Anstalter (su cui torneremo) nel tempo in cui ne era
responsabile Wad. Struttura dove Viggo era un guardiano e Rita una paziente
psichiatrica. Rimane per lungo tempo fuori Tage, fino a che non si scopre che
era il cugino di Nete, una donna a sua volta paziente nella struttura
sopracitata, e stranamente l’unica ancora in vita insieme a Curt.
Come in tutti i romanzi seriali che seguono
più storie, Jussi ci delizia andando su e giù tra i vari personaggi, ma alla
fine la nostra attenzione è focalizzata su Curt e Nete. Curt Wad ora ottantenne
e non più medico operante, è diventato il capo di una fazione di destra estrema
che tenta di farsi spazio nel panorama politico danese. Una formazione che in
danese si chiama “klare grænser”, cioè “Confini chiari”, intendendo i confini
come limiti territoriali e morali. Cioè un gruppo che vuole impedire l’immigrazione
e dedicarsi all’eugenetica in modo anche drastico, magari (esempio, ma potrei
continuare a lungo) sterilizzando le prostitute. Purtroppo, la traduzione
italiana fa perdere un po’ questa stortura, traducendo il nome del gruppo come
“Linee Pure”.
Non solo ma il gruppo ha al suo interno un
“Nucleo d’acciaio” votato alle azioni estreme per mantenere puliti i confini di
cui sopra, dal nome “Den Hemmelige Kamp”, cioè “Lotta segreta”.
L’altra parte della storia ci fa seguire la
vita di Nete, da sempre ribelle, poi violentata e messa in cinta, e per questo
rinchiusa nel Kellerske Anstalter di cui sopra, dove conosce la prostituta
Rita, da cui subisce una sorta di tradimento, l’infermiera Gitte, di cui si
innamora, ed il guardiano Viggo, che di nuovo la violenta. E finisce nelle mani
di Curt, che la fa abortire, e le asporta l’utero.
Seguiamo altre storie della vita di Nete, che
tralascio per non entrare troppo nella trama. Fatto sta, che, ad un certo
punto, divenuta più forte psicologicamente, decide di invitare tutti i suoi
carnefici ad un pranzo. Vengono tutti, meno Curt. Non torna indietro nessuno, o
forse sì.
Attraverso le ricerche correlate a queste
sparizioni, la nostra Sezione Q, utilizzando gli scritti nel diario di una
paziente di cui non voglio dire il nome, ed indicata con il numero 64, non solo
trova la soluzione alle sparizioni, ma trova anche le prove per incriminare e
fermare il tentativo quasi golpista di Curt Wad.
La scrittura, benché al solito troppo
saltellante tra passato e presente, e tra i vari personaggi, si mantiene
abbastanza gradevole. Un solo neo, è che ci si aspetta che i componenti della
sezione vengano resi con maggior risalto, mentre, soprattutto Carl, ha degli
alti e bassi che ancora non mi spiego. Forse usciranno meglio in altre prove,
se saranno lette.
Finisco con riprendere il discorso sulla
Kellerske Anstalter, il più grande complesso per disabili esistente in
Danimarca con sede centrale a Brejning, soprattutto per sordi, e sedi
decentrate sulle isole di Livø (per gli antisociali maschili) e Sprogø (per
quelli femminili). In quella femminile furono effettuate sterilizzazioni
forzate tra il 1923 ed il 1961, senza che, tuttora, il governo danese abbia
risarcito le vittime. Come ci dice lo stesso Jussi, ora si dibatte se deportare
su un’isola i criminali, gli stranieri clandestini ed altri emarginati. Ebbene
in questo libro lui dice ai danesi: lo abbiamo già fatto, ed abbiamo causato
tanto male.
Non ho altre parole, ma, seppur la trama
gialla non è sempre all’altezza, basta questo a far sì che questo libro abbia
ragione di esistere.
Margaret Doody “Aristotele e la Montagna
d’Oro” Sellerio euro 16 (in realtà, scontato a 15,20 euro)
[A: 05/07/2021– I: 21/11/2024 – T: 23/11/2024] - & e ½
[tit. or.: Aristotle and the Mountain of Gold; ling. or.: inglese; pagine: 484; anno 2021]
Margaret Doody con questo dodicesimo
libro credo metta un punto quasi finale alla lunga storia del suo rapporto con
Aristotele. Un rapporto iniziato con un veloce libretto, quasi un divertimento
intellettuale (“Aristotele detective”) scritto nel 1979, dove aveva l’agio di
mostrare il filosofo che, usando la ragione per perseguire il bene, trova il
modo di risolvere un piccolo giallo. Un libro scritto in un’epoca in cui i
“thriller storici” non erano ancora di moda.
Ed in effetti, il libro non ebbe
grande risonanza. Ci è voluta la lungimiranza della casa editrice Sellerio che
lo pubblica verso la fine del secolo. Una pubblicazione che riscuote un
discreto successo in Italia, tanto che sono proprio i Sellerio a chiedere se la
scrittrice canadese avesse già o avesse intenzione di continuare gli episodi.
Visto che stava avvicinandosi la pensione, Margaret ci prova, e sforna nel
corso degli ultimi venti anni una decina di romanzi (circa uno ogni due anni).
Devo però dire che, con l’andare del
tempo, la scrittura, pur rimanendo di livello, si appesantisce nei contorni. Il
thriller rimane, ma spesso sono abbastanza poco incisivi e se ne intuisce
presto lo svolgimento. Mentre aumenta il peso prima delle considerazioni
filosofiche, e poi anche di quelle storiche. Così come ben vediamo in
quest’ultimo libro.
Intanto, rispetto alla cronologia
delle pubblicazioni, dopo che nel precedente scritto la scrittrice aveva fatto
un passo indietro temporale per dar modo di descrivere una situazione di un
certo interesse anche filosofico, qui si riprende il corso del tempo
proseguendo quindi direttamente dal penultimo libro, che ricordo finiva con la
morte di Alessandro Magno. Siamo quindi nel 323 a.C., con Aristotele che si
avvia verso i sessantadue anni.
Sappiamo, e Doody ben ne accenna, che
dopo la morte del Grande ci furono molte turbolenze in tutta l’area che
costituiva l’Impero Macedone. Tra i primi a sobillarsi furono proprio gli
Ateniesi che pensarono bene di inscenare una grande faida antimacedone,
decidendo di esiliare o di costringere alla fuga tutti i residenti in Atene che
non fossero “ateniesi” puri. Quindi uno dei primi ad essere colpito è proprio
Aristotele che si vede costretto a chiudere la sua scuola filosofica, il Liceo,
e poi (ma questo avverrà dopo la fine del romanzo) a riparare a Calcide poco a
nord della capitale. Città dove l’anno seguente muore pare per una malattia
allo stomaco (anche se esistono versioni romanzate che non ci interessa
approfondire).
Ma tra la chiusura del Liceo e la
fuga verso Calcide, si collocano gli avvenimenti di questo libro. Che, nella
parte di indagine, affronta il possibile mistero della tomba di Alessandro. Una
volta morto, una fazione imperiale lo voleva in Macedonia, ma il faraone
egiziano Tolomeo ruba la salma per seppellirla nella città fondata dal grande,
Alessandria d’Egitto. Gli stessi macedoni, intanto, nella città di Filippi
costruiscono un mausoleo dove riporre le ceneri di Efestione, il grande amore
di Alessandro. Lì, a Filippi (ora Kavala) c’era anche una fornitissima miniera
d’oro, fonte di molti dei tesori del re.
Ed a Filippi e dintorni si
intrecciano i destini delle varie fazioni. C’è chi vuole rubare (o ha rubato)
il vero corpo di Alessandro, una fazione che si divide in due: chi vuole
seppellirlo nel tumulo dell’amato chi vuole restituirlo a Tolomeo. Una seconda
fazione che a sua volta si scinde con una costola che vuole sostituire il corpo
con un altro morto e, restituito il falso feretro agli egiziani, sbugiardarli
prendendosi una rivincita e scatenando una nuova guerra.
Aristotele-Holmes e Stefanos-Watson
vengono coinvolti con la promessa di ricompense in oro per i loro servigi ad
Alessandro. Ma è solo una mossa per coinvolgerli nella scatola cinese delle
macchinazioni. Che ovviamente portano ad una serie di morti, dell’una e
dell’altra fazione, con lo stesso Aristotele più volte a rischio come capro
espiatorio di contese altrui.
Questa, che poi è la parte
preponderante del testo, è realmente un po’ lunga e lenta, non si fa una chiara
luce sulle fazioni in gioco, si mescola molto, purtroppo senza trovare il modo
di coinvolgere intellettualmente il lettore. Aristotele mostra la solita
razionalità arrivando alla descrizione dei contorni di tutti i complotti
nell’ultimo quinto del libro. Stefanos mostra la consueta abilità sia di
cacciarsi nei guai sì di prendere contatto con diverse delle parti in causa e,
eloquio del filosofo permettendo, trovando il modo di far fare ad ognuno il
giusto mestiere.
Credo sia lungo e complicato seguire
i nomi dei personaggi, le giravolte delle persone, e tutta la trama. Lungo e
forse poco utile, e di certo poco coinvolgente. Rimangono un paio di
discussioni filosofiche dei nostri intorno al significato del “corpo” di un
defunto dopo che questi sia passato a miglior vita. Con Aristotele che
razionalmente sostiene l’uso del corpo solo per le persone in vita. Dopo la
morte le spoglie della carne sono “non-vitali” essendo venuto meno a mancare il
soffio intellettivo che ne faceva qualcosa di unico. Questa, forse, l’unica
parte un minimo degna di essere approfondita.
Rimane invece molto sterile e
defatigante tutta la serie di rimandi che durante la narrazione vengono fatti a
situazioni e personaggi presenti nel primi dieci romanzi. Filologicamente
giusto, ma narrativamente inconcludente.
L’unico altro accenno, ma questo
stimolante solo per me ed i miei, è l’imbarco dei protagonisti su di una nave
dallo splendido nome di “Argo”. Che di certo a noi rimanda al cane di Ulisse,
alla nave di Giasone, via via sino al nostro cane, ma che era un nome molto
usato per le navi greche dell’antichità, venendo infatti dal greco “αργός” che
porta con sé connotati legati alla velocità.
Comunque, la nostra scrittrice ormai
ha raggiunto gli 85 anni, e giustamente sono tre anni che null’altro viene
prodotto. Infatti, dopo che Aristotele alla fine di questo libro torna verso
Atene con l’oro ottenuto per i suoi servigi, e da lì, con la famiglia, si
rifugia nell’Eubea, passerà meno di un anno prima che lo colga la morte. E non
credo si riesca a trovare materiale utile per trame giallo-filosofiche.
Un saluto allora a Doody, in ricordo
del complesso della sua opera.
“Un aiuto può mancare proprio quando
se ne ha più bisogno.” (19)
“Tu sei ancora così giovane, non puoi
immaginare cosa si provi ad aver superato i sessant’anni.” (62) [vogliamo
parlarne?]
Essendo
la prima trama completa del nuovo anno, inseriamo le letture del mese di
ottobre 2024. Diciassette titoli, guidati da quello che resta il TOP READ
dell’anno, il Dizionario giallo di Pierre Lemaitre. Seguito a poca distanza da
tre buoni gialli (Dennis Lehane, Gaetano Savatteri e Alessandro Robecchi) e da
un buon premio Pulitzer (Hernan Diaz). In fondo alla scala, i due libri illeggibili
di Rino Cammilleri.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Rino Cammilleri |
Nuovi delitti nella camera chiusa |
Mondadori |
6,50 |
1 |
2 |
Dennis Lehane |
Buio prendimi per mano |
Repubblica Brivido Noir |
8,90 |
3,5 |
3 |
Jussi
Adler-Olsen |
Paziente
64 |
Marsilio
UEF |
12 |
3 |
4 |
Nico
Orengo |
Di
viole e liquirizia |
Repubblica
Montagna |
9,90 |
2,5 |
5 |
Anne Perry |
Tre volte colpevole |
Mondadori |
5,90 |
2,5 |
6 |
Louise
Penny |
Il
regno delle ombre |
Repubblica
Brivido Noir |
8,90 |
3 |
7 |
Francesco Guccini & Loriano
Macchiavelli |
La pioggia fa sul serio |
Repubblica
Noir |
8,90 |
2,5 |
8 |
Hernan
Diaz |
Trust |
Feltrinelli |
22 |
3,5 |
9 |
Anna
Holt |
La
tormenta |
Repubblica
Anima Noir |
8,90 |
2 |
10 |
Pierre
Lemaitre |
Dizionario
amoroso del giallo |
Mondadori |
18 |
4,5 |
11 |
Rino
Cammilleri |
I
misteri della camera chiusa |
Mondadori |
6,50 |
1 |
12 |
Gaetano
Savatteri |
La
Magna Via |
Sellerio |
15 |
3,5 |
13 |
Haruki
Murakami |
L’incolore
Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio |
Corriere |
8,90 |
4 |
14 |
Arnaldur
Indriðason |
In
silenzio si uccide |
Repubblica
Profondo Noir |
8,90 |
3 |
15 |
Alessandro
Robecchi |
Le
verità spezzate |
Rizzoli |
16 |
3,5 |
16 |
Paolo
Forcellini |
Vipere
a San Marco |
Marsilio |
15 |
2 |
17 |
Abraham
Verghese |
La
porta delle lacrime |
Neri
Pozza |
22 |
3 |
Visto
cha abbiamo avuto una densa trama gialla, vi propongo alcune brevi annotazioni
sul viaggio estratte da un libro di un grande antropologo, Marco Aime. Nel suo “Eccessi di cultura” mi rimangono due citazioni di citazioni di
due grandi viaggiatori:
“Thor
Heyerdhal: Le frontiere? Esistono eccome. Nei miei viaggi ne ho incontrate
molte e stanno tutte nella mente degli uomini” (6)
“Amadou
Hampaté Ba: Il sapere è l’unica ricchezza che si può donare interamente senza
che diminuisca” (127)
Ed una considerazione antropologica che
invierei a tutti i Salvini di questo mondo:
“-
Siamo tutti uguali – In questo modo si legittima l’altro solo perché è uguale a
noi, non perché è diverso e come tale va rispettato” (61)
Non vi tratterò ancora a lungo, che questa prima trama è molto densa di commenti sui gialli scandinavi. Dove per ora non torniamo, visto che abbiamo deciso di dirigere le mete di questo 45 quadrato verso il Sud America piuttosto che verso Europa ed Asia. Vi terrò aggiornati, mentre continuo ad augurarvi un sereno anno, vi avvolgo in un abbraccio.