Ann Patchett “Corri” TEA euro 8,60 (in
realtà, scontato a 7,31 euro)
[A: 04/05/2016 – I: 16/08/2018 – T:
18/08/2018] - &&&
+
[tit. or.: Run; ling. or.: inglese; pagine: 284; anno 2007]
Pensavo che le cure delle mie dottoresse
malate di libri si riferissero a quella brutta malattia chiamata razzismo.
Invece no, anche se qualcosa c’entra, il maggior interesse cui viene sottoposto
il libro riguarda il tema delle adozioni. Anche se poi, su questo tema,
l’autrice imbastisce tutto un suo mondo dedicato ai rapporti. Rapporti tra
adulti, rapporti tra giovani, rapporti tra giovani e adulti. Ma prima di
entrare nel merito, due parole sullo stile. Si sente, dallo scorrere del testo,
dalla presa delle parole, che la Patchett ha lavorato a lungo nel mondo della
carta stampata, pubblicando articoli per una decina d’anni su settimanali e
mensili. Una scrittura fluente, anche se, passando dal giornalismo al romanzo,
ogni tanto si nota qualche intoppo: un passaggio a volte brusco di scena (da un
ospedale ad una casa di riposo, dalla stanza di Tip al suo laboratorio). Il
romanzo in sé è articolato in un mini-prologo ed un mini-epilogo, intervallati
dal corpus di più di 200 pagine che descrive 24 ore nella vita della famiglia
Doyle, e di alcuni personaggi al contorno. La famiglia è composta da Bernard,
il padre, sessantenne ex-sindaco di Boston (ed a Boston si svolge tutta la
trama), cui una quindicina (o poco più) di anni prima è morta la moglie
Bernadette, entrambi eponimi di famiglie irlandesi, cattolici e devoti. I due
hanno un figlio, Sullivan, che all’epoca della storia ha una trentina d’anni.
Colpito dalla morte della madre, non riesce mai ad avere un buon rapporto con
il padre, che in lui sperava per “onori e glorie”, così come spesso fanno i
padri con i figli. I due rompono definitivamente quando, guidando ubriaco,
Sullivan ha un incidente di macchina dove muore la sua fidanzata Nathalie. Per
coprirlo, Bernard inventa una complicata menzogna, che però mette fine alla sua
carriera politica. Sullivan allora si allontana sempre più. E qui lo ritroviamo
tornante da un lungo soggiorno in Africa, dove si è dedicato ad affari poco
chiari. La coppia Doyle, quattro o cinque anni prima della morte di Bernadette,
adotta un bambino negro, Teddy. Ma per farlo, la madre naturale chiede loro di
prendersi cura anche del fratello di lui, Thomas detto Tip, di soli quattordici
mesi. Così i due si trovano ad avere una coppia di ragazzi coloured da
crescere. Che poi crescerà Bernard da solo, riversando su di loro le
aspettative che Sullivan ha deluso. Ma anche i due decidono di avere delle
strade proprie. Tip si appassiona all’ittiologia, e, benché studente in
medicina, passa tutto il suo tempo a studiare e catalogare i pesci. Teddy, più
solare, e sempre con la testa tra le nuvole, trova i suoi momenti migliori
andando a trovare il vecchio zio, il padre Sullivan, malato ed avviato ad una
serena vecchiaia, pur contrappuntata da momenti di intensa religiosità.
Bernard, pur non più sindaco, si appassiona sempre alla politica ed ai diritti
civili, costringendo Tip e Teddy ad accompagnarlo in tutte le riunioni ed i
dibattiti pubblici. Questo sarà l’elemento scatenante del libro: all’uscita da
una conferenza di Jesse Jackson, Tip sta per andare sotto un SUV ma viene
salvato da una donna, Tennessee, che viene investita al suo posto. Tip ha solo
una slogatura, mentre Tennessee viene ricoverata in gravi condizioni
all’ospedale. L’intrigo è che Tennessee ha con sé una ragazza undicenne di nome
Kenya, e dalle parole di Kenya veniamo a sapere che Tennessee potrebbe essere
la madre naturale di Tip e Teddy. E quindi Kenya ne è la sorellastra. Tutto il
romanzo si costruisce intorno a questo intreccio. Ai sentimenti tra i ragazzi,
ai dubbi di Bernard, ai rapporti con Dio e con gli uomini di padre Sullivan.
Alle maturità della stessa Kenya, ed alla sua bravura nella corsa (da cui il
titolo). Rimarranno dei dubbi se sia Tennessee la madre dei tre ragazzi negri,
o se qualcuno di loro sia invece figlio della sua amica Beverly. Ma non è
questo che importa. Noi seguiamo la crescita esponenziale della maturità di
ognuno in queste 24 ore cruciali. E ne seguiremo l’epilogo nel breve capitolo
di 4 anni successivo, dopo che Tennessee muore in ospedale ed anche Kenya entra
a far parte della famiglia Doyle. Le cose migliori sono però proprio i rapporti
che si instaurano tra Tip, Teddy e Kenya. E nei pensieri del fratello maggiore,
unico bianco in questa famiglia allargata. Un’America come ci piacerebbe fosse,
e come mi piacerebbe potesse essere ovunque. Senza barriere di colori, ma solo
con le persone e con le loro personalità. Purtroppo, credo che sia una visione
un filo utopistica e buonista, che abbia poco riscontro nel reale. Ma la
speranza, anche in noi anziani come Bernard, non viene mai meno. Ci sarà, io
spero ancora, un mondo migliore per tutti. Intanto, rallegriamoci che, almeno
sulla carta, qualcosa c’è. Anche se poi, nel finale, non tutto va o andrà verso
lieti fini che sfortunatamente non sono (ancora) di questo mondo.
Katherine Pancol “Gli occhi gialli dei
coccodrilli” Bompiani euro 12 (in realtà, scontato a 7,50 euro)
[A: 24/08/2016 – I: 19/11/2018 – T:
25/11/2018] - & e ½
[tit. or.: Les yeux jaunes des crocodiles;
ling. or.: francese; pagine: 614; anno 2006]
Avendo
approfittato dell’offerta prendi 2 e paghi 1 presso il mio Mondadori a Cola di
Rienzo, e dovendo decidere il secondo libro, ho pensato di rivolgermi ad uno
ritenuto di successo, per capire anche com’è questo successo, quali meccanismi
innesca, se mi trovo o meno d’accordo. Intanto, cominciando dalla fine, il
libro della francese Pancol non mi è piaciuto, né mi ha coinvolto in maniera
particolare. Certo, ha un intreccio a scatole cinesi, dove ogni tanto succede
qualcosa che manda tutto all’aria (o quasi). Ma molte vicende sono al limite
della proponibilità. Le uniche cose sensate che vengono in mente è che, se ci
fosse un bravo regista, ne potrebbe tirar fuori una serie tv, visto proprio che
l’impianto è di quelli “guarda che succederà dopo la pubblicità”. La seconda è
che, non so se per merito dell’autrice o dei suoi editor, questo ed i suoi
seguiti hanno titoli accattivanti. Infatti, il presente testo è il primo di una
trilogia, che prosegue con “Il valzer lento delle tartarughe” e “Gli scoiattoli
di Central Park sono tristi il lunedì”. Ma passando dal titolo al testo, il
romanzone è una lunga cavalcata in un universo femminile, con diversi
personaggi ben delineati, e qualche maschio che farebbe bene (come fa) a
togliersi di torno. Al centro c’è Josephine, studiosa del Medioevo, brava nel
suo lavoro bibliotecario, assolutamente incapace di gestire i rapporti con gli
altri. Con la madre Henriette, che la odia imputandole il mancato successo
nella vita. Con la sorella Iris, quella amata, fortunata, un po’ vanesia,
sposata con Philippe (ma non so se ben maritata). Con le figlie Hortense, 14
anni, piccola e meravigliosa serpe, assolutamente centrata su sé stessa, e Zoé,
10 anni, adorabile, che mitizza la sorella ed è l’unica a stare sempre dalla
parte della madre. Infine, c’è la vicina di casa, Shirley con il figlio Gary,
una spalla su cui appoggiarsi per Josephine, ma che nasconde una tonnellata di
segreti (che scopriremo nel corso del romanzo, ma di cui non dico più nulla
qui). Josephine è sposata con Antoine, da mesi disoccupato, di quelli che
rifiutano il lavoro perché non all’altezza del proprio talento. Antoine ha
anche un’amante, la morbida Mylène disposta a tutto perché abbagliata dalle sue
parole. Il libro inizia con la prima ribellione di Josephine che, stufa
dell’ignavia di Antoine, lo caccia finalmente di casa. Da qui parte tutto il
filone di Antoine, che seguiamo a spezzoni vari, che va a vivere con Mylène,
che per riscattarsi accetta il posto di gestore di una riserva di coccodrilli
in Africa (quelli del titolo), dove va a vivere con la sua amante. Riserva
gestita da cinesi cattivi che non lo pagano. Africa dove Mylène troverà una sua
dimensione autonoma. E dove… beh questa parte leggetela. Intano Josephine è
coinvolta in una specie di truffa dalla sorella. Iris ad una cena, per farsi
bella agli occhi di un convitato, la spara grossa: sta scrivendo un libro. È un
falso, e quando il tizio le dà corda, Iris non trova di meglio che coinvolgere
la sorella in una truffa: Josephine scriverà il libro e prenderà tutti i soldi
che ne verranno fuori, Iris (che tanto i soldi ne ha) lo firmerà così da non
perdere la faccia. Come qualcuno ha scritto, alla fine sembra un romanzo
ricorsivo: un libro, che parla di un libro che diventa un best seller, diventa
un best seller. Ovvio che Josephine, a parte i soldi che riceve, viene rosa
dalla delusione di non veder mai riconosciuto il suo talento. Quando era
sposata, il marito prendeva le lodi e lei faticava. Ora scrive un libro, ed
ugualmente rimarrà nell’ombra. La sua imbranataggine fa una grande rabbia,
tanto che a volte verrebbe da dire che se la merita. Sarebbe carino tirar fuori
anche le altre storie del libro, quella di Luca, ad esempio, di Marcel, di
Josiane, insomma di tutta la miriade di persone che occupano le più di 600
pagine. Ma farei un cattivo servizio a chi ne volesse davvero leggere. Io per
me, la finisco qui. L’ho letto, ed una settimana è stata sufficiente a riempire
alcuni spazi vuoti, a farmi contento dei momenti in cui i buoni hanno la loro
rivincita (in fondo a me gli “happy end” piacciono). In particolare, mi ha
coinvolto molto il rapporto amore/odio tra Josephine e Hortense, che mi ha
rimandato a tanti rapporti conflittuali madre-figlia. Sperando che siano tutti
buonisti come la nostra Katherine, lascio la lettura a chi ne voglia. Alla
fine, benché scorra facile, rimarrà credo isolato, e non credo che passerò né
alle tartarughe né agli scoiattoli.
“Quando non sai dove vai, fermati e guarda
da dove vieni.” (83)
“C’è gente che non si fa mai domande, che
vive con gli occhi chiusi e non trova mai niente.” (113)
“Non è che dobbiamo raccontarci sempre tutto
quanto! L’amicizia è fatta anche di silenzi.” (270)
“La felicità si riconosce dal rumore che fa
quando se ne va via.” (572)
Donatella Di Pietrantonio “Bella mia”
Einaudi euro 12 (in realtà, scontato a 7,80 euro)
[A: 12/03/2018 – I: 01/01/2019 – T: 04/01/2019]
- &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 182; anno 2018]
Una
lettura atipica e fuori sequenza, originata dal tentativo, per ora inorganico e
poco riuscito, di dare spazio anche a letture di attualità. Visto che con le
letture organizzate siamo ancor ad alcuni libri acquistati nel … 2016. Dicevo
tentativo poco riuscito perché non riesco a trovare spunti di lettura che mi
convincano. Ho così acquistato alcuni libri, di cui questo è l’ultimo della
serie, sulla base delle migliori vendite dell’anno passato (questo in
particolare è stato tra i più venduti tra i tascabili nei mesi di febbraio e
marzo 2018). Per venire al libro, ed alla autrice, Di Pietrantonio è una
scrittrice di cui avevo letto il primo libro (“Mia madre è un fiume”) ben sei
anni fa, trovandolo, seppur incompiuto in alcuni punti, uno dei migliori esempi
di trattazione dell’Alzheimer e di come la malattia influenzi la vita del
malato e delle persone a lui vicine. Essendo lo scrivere non la sua attività
principale (ricordo che lei è dentista pediatrico a Penne in Abruzzo), bisogna
sempre aspettare qualche elemento scatenante la necessità di scrivere. Come in
questo libro, grido di dolore e di ringraziamento. Dolore per la ferita
provocata dal terremoto aquilano del 6 aprile 2009. Ringraziamento per essere
sopravvissuta al disastro, per chi sta lottando e ricostruendo la città. Ringraziamento
mio per avermi fatto riprendere le fila mentali con la mia cugina “aquilana”
Simonetta e la sua famiglia (in particolare ripensando al marito Ferdinando e
le nostre scorribande giovanili in quel di Tortoreto). Nonché il ricordo di un
altro terremoto, quello di Amatrice del 2016, dove perse la vita la madre della
mia amica Simona. Come spesso nelle narrazioni dell’autrice, la trama è esile,
riassumibile in poche azioni elementari. Quello che c’è in più è sempre il
bagaglio delle emozioni, delle sensazioni, delle difficoltà ad uscire dal
“dramma”. Qui, infatti, abbiamo una famiglia colpita dal sisma, in cui perde la
vita Olivia, la gemella di punta, nel ricordo e nelle azioni, della narratrice
Caterina. Che si salva dall’evento insieme al figlio di Olivia, Marco. E con
Marco si ritrova a vivere, stretta in una casa della frazione Coppito, dove si
andava ricostruendo alcune abitazioni secondo il progetto C.A.S.E. (Complessi
Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili), insieme alla madre. Dalle parole di
Caterina seguiamo le loro vite, e la ricostruzione del loro passato, in attesa,
forse troppo buonista, della costruzione di un nuovo futuro: con nuove vite e
nuove case. Immaginiamo la madre in nero, e la vediamo cucinare e pulire in
casa, per poi recarsi, spesso e con dolenza, al cimitero. Per Olivia, più che
per il marito morto ormai da tempo. Veniamo a sapere del divorzio di Olivia da
Roberto, cui anche Caterina aveva fatto un pensiero da giovane, ed osserviamo
l’attuale non-presenza dello stesso (con alcune scusanti che però non
convincono). Vediamo crescere Marco, che con difficoltà attraversa i suoi
sedici anni, che non elabora ancora bene sia il divorzio che la morte della
madre. Vediamo Caterina alle prese con le sue ceramiche, con gli uccelli dipinti
(di cui fa tanti nomi da ricordarmi la mia amica “ranger” Paola) e con tutti i
sensi di colpa di essere sopravvissuta mentre Olivia moriva. Brandelli di
memoria servono a ricostruire le loro vite, a farli crescere. Marco attraverso
le cure di Bric, il cane vagabondo, le poche ma profonde parole con la zia, la
nascita di una complicità sotterranea, fino ad un possibile (qui la svolta
buonista) recupero anche del rapporto con il padre. Caterina attraverso il
ripasso di tutti i suoi momenti con Olivia, positivi e negativi, fino alle
possibili aperture verso nuovi scenari, di cui vi lascio leggere. Il tutto,
comunque, pervaso dalla dolenza verso la città distrutta, la lentezza e la poca
cura della ricostruzione, l’attraversamento della Zona Rossa, per recuperare
piccoli frammenti del passato. Credo non sia un libro facile per chi non ha
avuto nessuna esperienza di terra che trema. Certo, io qualcosa ho sentito
nella mia vita, anche se il ricordo più vivo è quello del sisma del settembre
1979, di cui mi accorsi ma solo in margine ad altre e più interessanti
attività, di cui forse parlerò in altra sede, ma che si legarono in modo
indissolubili a quei momenti. Dicevo, l’unico neo è quel senso di positività
che attenua tutte le possibili critiche e le possibili negatività della vita
post-terremoto. Tuttavia, si legge bene, dona spunti di riflessioni, ed
aggiunge un pezzo di piacere in più alla lettura per tutti i rimandi personali,
che fanno poi sì che ci si appassioni ad un libro, anche spesso al di là del
testo.
Elizabeth Gilbert “Eat, Pray, Love – One
Woman’s Search for Everything across Italy, India and Indonesia” Penguin euro
10
[A: 29/10/2017 – I: 24/01/2019 – T: 03/02/2019]
- &&&---
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 444; anno 2006]
Non so a che titolo l’ottima Giulia Fiore lo
consiglia, ma sicuro che può essere un libro che rende non dico più felici, ma
forse più sereni, soprattutto se preso per il suo giusto verso. Io ne avevo già
visto la versione cinematografica, uscita una decina di anni fa, perché
interpretata dall’ottima Julia Roberts. Un film non eccelso, ma lo ricordavo
godibile. Per questo, al termine di un viaggio asiatico, in cui sono riuscito
molto a rilassarmi, aspettando una coincidenza a Seoul, e non avendo trovato
niente che mi convincesse su Giappone o Corea, ho pensato che come “libro da
viaggio” questo potesse essere un buon surrogato. Si svolge per 2/3 in Asia, e
ricordavo che, almeno nel film, c’erano alcuni momenti di riflessione personale
della protagonista che potevano valer la pena. La lettura si è poi persa in
alcuni meandri di aspettative di altro. Ora ne riprendiamo le fila, prima di
tutto scordandoci completamente il film, e dedicando i nostri piccoli neuroni
al testo. Anche all’autrice, direi, che quest’anno ne fa cinquanta, e quindi
all’epoca della scrittura era una 37enne già dedita a belle scritture. Questo
libro tripartito narra poi, in maniera poco velata, ma con qualche nascondino
qua e là, le vicissitudini dell’autrice stesse. Giornalista, sposata, nel 2002
attraversa un difficile divorzio, ha una relazione con un suo coetaneo
americano, con cui si prende e si lascia continuamente. Fino a che, sull’onda
di un consiglio ricevuto da un uomo di medicina indonesiano, e seguendo i
dettami del suo Guru spirituale indiano, decide di dedicare un anno della sua
vita alla ricerca di qualcosa. Di sé stessa, forse, di tutto, anche, o come
dice lei stessa, di Dio, anche se usa questo termine in termine più generali.
Oserei trasformarlo in una deità di riferimento. Quando deve organizzare questo
viaggio, decide di dividerlo in tre parti, ognuna di 4 mesi. La prima alla
ricerca del piacere. La seconda alla ricerca della devozione. La terza alla
ricerca di un bilanciamento tra le prime due. Le sue riflessioni (e le indicazioni
sopraesposte) la portano ad individuare tre paesi per queste tre esperienze.
Tutti e tre, stranamente (vorrà dire qualcosa a qualcuno), iniziando con la
lettera “I”: Italia, India e Indonesia. La scrittura scorre veloce, le
sensazioni si accumulano, anche se il coinvolgimento emotivo non è grandissimo.
Alla fine, per me lettore un po’ sempre disincantato, anche un andamento
sbilanciato. Molto poco coinvolgente il piacere italiano. Alcune punte di
interesse nella devozione indiana. Meglio il finale bilanciato, più
prospettico, più sereno forse. Qualcuno, che vuole molto bene all’autrice, dirà
che il finale bilanciato è merito dello sbilanciamento delle prime parti. Può
essere. Tuttavia, il piacere, in Italia, per la scrittrice, oltre al fatto che
fin da quando era in America aveva interesse alla cultura ed alla lingua
italiana, dicevo questo piacere si riversa tutto sul cibo. Devo senz’altro
convenire che il cibo italiano è di gran lunga più piacevole di molte cose che
avvengono in giro per il mondo. Ma lo stare a Roma, il girare alcune città
(piacevole la puntata napoletana su cui torno), poteva essere condito da ben
altro sugo. Certo, Elizabeth dice che, proprio perché uscente da un matrimonio
e da una relazione faticose non cerca uno sfogo sessuale, anche se si sente una
tensione verso. Le cose migliori sono per me l’attacco, che commento sotto. E
la visita alla pizzeria di Michele a Napoli, quella che fa solo Pizza
Margherita, e che, nonostante o proprio per questo, è uno dei locali più
affollati di tutta Napoli. Un piccolo accenno di ricordi personali: Elizabeth
incontra il suo mentore di italiano in un Internet Point vicino al cinema
Barberini. Confermo, in quegli anni, lì ce n’era uno, con le pareti arancioni,
dove sono andato anch’io a volte. I quattro mesi indiani servono a farci
entrare nel mondo dello Yoga duro e puro. Quattro mesi di ashram, di
meditazioni, di sanscrito. Quattro mesi di polvere, di parole, di silenzi.
Questa doveva forse essere la parte che andava in profondità verso la ricerca di
“altro”, della deità di qui sopra, forse. Riesce a farci capire che pensando e
ripensando, riesce a staccarsi dalle pene americane. Ma non riesce a
comunicarcelo. Come al solito, non bastano le parole soltanto per dire e per
dare. In Italia la descrizione del cibo non dava il piacere di mangiarlo. In
India la descrizione della devozione non ci dà gli strumenti per capire il
percorso della scrittrice. Come dicevo, si va meglio in Indonesia. Anzi, per la
precisione a Bali. Dove incontra finalmente solo persone solari: Ketut, il suo
uomo di medicina, Wayan, la sua sorella spirituale, e Felipe, che riuscirà a
bucare la corazza di Elizabeth, riportandola sulla terra. Sempre con la
capacità (si intuisce nelle pieghe dei discorsi) di continuare a meditare, a
pensare, a riflettere, su sé stessa, sugli altri, e sul rapporto tra queste due
entità e tra questi e il mondo. Mentre le prime due parti passano con qualche
accenno, qui, anche se più condensati, ci sono molti avvenimenti. Che non
descrivo, in cui non entro, che vi lascio leggere (o vedere nel film, se
preferite). Comunque, la parte indiana avrebbe dovuto dare una svolta al testo,
invece a me è più piaciuta la parte balinese, soprattutto per quei pochi, ma
non banali, ragionamenti sull’amore. A cui bisogna aprire il cuore ma
soprattutto la mente. In fondo, alla fine, è più quello che mi dà l’idea del
libro che il libro stesso. Per finire alcune altre chicche, oltre quella sopra
riportata su via Barberini. Spesso Elizabeth ed i suoi amici italiani si
salutano con questo giochetto molto english: “See you later, alligator!” cui si
risponde “In a while, crocodile!”. Una piccola imprecisione ci sarebbe a pagina
45: a piazza del Popolo si correva a cavallo nel Medioevo; quello che cita
l’autrice sono le corse dei carri, che invece si svolgevano a Piazza Navona.
Altro punto, forse un po’ di parte: a pagina 47 viene citato come il miglior
gelato quello di “San Crispino”. Forse la nostra autrice dovrebbe anche provare
cioccolato e pistacchio di via dei Gracchi! Ovvio che la parte “romana” mi ha
divertito, pur se nel complesso, come detto, ha una sufficienza molto, molto
risicata.
“I thought of how
many people have had siblings or friends or children or lovers disappear from
their lives before precious words of clemency or absolution could be passed
along.” [Ho pensato a quante persone hanno avuto fratelli o amici o figli o
amanti che sparivano dalle loro vite prima che preziose parole di clemenza o di
assoluzione potessero essere scambiate] (247)
“I like that he’s
traveled through over fifty countries in his life, and that he sees the world
as a small and managed place.” [Sono contenta che abbia viaggiato in oltre
cinquanta paesi nella sua vita e che consideri il mondo un posto piccolo e
gestibile] [mia nota: io ho viaggiato in più di ottanta paesi…] (367)
Ecco
allora, già in vista della Pasqua, che cominciamo a srotolare i libri letti in
gennaio. Una bella dozzina, illuminata da regali: i Conrad di Giovanni (non io,
l’altro) ed i Simenon di mamma. Nonché un saggio di Rodotà da leggere e
rileggere. Ultimo, e da dimenticare, un libro pur osannato di De Silva, che ho
letto in prove migliori.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Donatella Di
Pietrantonio
|
Bella mia
|
Einaudi
|
12
|
3
|
2
|
Paco Ignacio Taibo
II
|
Ritornano le tigri
della Malesia
|
Tropea
|
s.p.
|
3
|
3
|
Georges Simenon
|
I Maigret – 14
|
Adelphi
|
s.p.
|
4
|
4
|
Joseph Conrad
|
Cuore di tenebra
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
4
|
5
|
Stefano Zuffi
|
Apocalisse con
figure - Un viaggio di Durer
|
Corriere della Sera
Arte
|
7,90
|
3
|
6
|
Joseph Conrad
|
La linea d’ombra
|
Feltrinelli
|
s.p.
|
4
|
7
|
John Grisham
|
The Whistler
|
Hodder
|
9
|
2
|
8
|
Edgarda Ferri
|
Il sogno del
Principe
|
Corriere della Sera
Arte
|
7,90
|
2
|
9
|
Stefano Rodotà
|
Solidarietà
|
Laterza
|
7,90
|
4
|
10
|
Diego De Silva
|
Mia suocera beve
|
Repubblica Italia
Noir
|
7,90
|
1
|
11
|
Horace McCoy
|
Non si uccidono
così anche i cavalli
|
Corriere della sera
Gialli
|
6,90
|
3
|
12
|
Ross MacDonald
|
Bersaglio mobile
|
Corriere della sera
Gialli
|
6,90
|
2
|
13
|
Fabiano Massimi
|
Il club
Montecristo
|
Mondadori
|
6,50
|
3
|
Si avvicina la Pasqua che vedrà un giusto
riposo del sottoscritto, volante per altri lidi. Ma bella è stata la settimana
andalusa, costruttivo il week-end sorianese, e pensierosa la costruzione dei
prossimi giorni. Certo, la partenza priverà qualche settimana di letture, ma si
tornerà sempre più spavaldi e leggenti.