Settimana dedicata ad un solo
autore: Andrea Vitali da Bellano. Già molto ne ho letto e parlato, e tuttavia
ne continuo a leggere e parlare, che è gradevole e scorrevole. Medico a
Bellano, inizia a scrivere trasportando sulla carta piccole storie locali, tanto
da elaborare alla fine una complessa saga locale. Sempre interessante, con
romanzi che svariano tra i primi anni del secolo e vicende quasi a noi vicine.
Andrea Vitali “Una finestra vistalago” Garzanti euro 12
[A: 15/04/2012 – I: 06/02/2013 – T: 08/02/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 360;
anno: 2003]
Finalmente si torna a leggere la
scrittura scorrevole, leggera e tuttavia piacevole del medico di Bellano, che
della saga di questa cittadina sul lago di Como ha fatto (come ho detto
altrove) il centro del proprio mondo narrativo. Qui siamo tuttavia più sul
versante di verità che di verosimiglianza alla Vigata di Camilleri. Bellano è
lì, e intorno c’è il lago, i monti, ed a valle tutto il nord lombardo – veneto
– emiliano. Vitali ci ripropone il suo stile fatto di corti capitoli, che
sbocconcellano la storia, facendocene digerire piccoli pezzi alla volta, per
non essere indigesta. E ci ripropone il giro di valzer delle storie stesse.
Anche questa volta si parte da lontano, dal 1919, ma solo per imbastire storie
e per darci qualche caratterizzazione non tanto dei personaggi ma del clima generale
della storia stessa. Dato che poi il nucleo narrativo centrale del tutto si
colloca tra il 1967 ed il 1972 (piccola citazione interna, il via alla vicenda
trainante si ha con una gita da Bellano verso il Polesine il … 7 maggio 1967, e
non dico altro). Ma lì negli anni Venti si colloca il punto di inizio, con la
fondazione di un consorzio dove uno dei titolari è tal Quintiliano Arrigoni.
Fortune della ditta, commerci di bachi da seta, nascita di figli fuori del
matrimonio, tanto per dipingere un po’ di tutto. E questo figlio (che si
chiamerà Arrigoni pur non essendo riconosciuto) lo seguiamo per un po’, lì
dove, ventenne nei primi anni cinquanta, si invaghisce e sposa la bella Maria
Grazia (non senza aver seminato qualcosa nel Polesine del
’51). Bella e ricca, e concupita dal nuovo arrivato, il dottor Benito Tornabuoni,
che sarà l’anima del Partito Comunista locale, in un paese, lombardo al solito,
sempre vicino al Bianco Fiore. Ed arriviamo così alle sarabande della seconda
metà degli anni Sessanta. Laggiù sui monti non si sente l’aria di rivoluzione
che si respirava in pianura, nelle grandi città. Lì c’erano, e ci saranno per
anni, solo riflessi locali delle grandi masse. C’è un cammeo del mancato
segretario del PCI, che avrebbe dovuto sostituire il dottore, ma che non viene
nominato perché si chiama Benito! C’è un ricordo che sbiadisce, quando Eraldo,
il presunto eroe della vicenda, sbandiera le sue simpatie per il …PSIUP. Spero
che, oltre a me, Carlo e Luciano, ci sia qualche d’un altro che se ne ricorda. Eraldo
che appunto nella gita di cui sopra conosce Elena, che non vede l’ora di
sposarsi (essendo ragazza madre), con la sorella acquisita figlia dell’Arrigoni
di cui sopra. Elena la bella che si trasferisce a Bellano anche per le belle
parole di Eraldo, ma che si ritrova a vivere con i di lui genitori, in una casa
dove dalla finestra il lago lo può vedere forse una giraffa. E quindi a Bellano
si intrecciano i mille motivi e le mille storie dei paesi di provincia. Le
elezioni, i piccoli scontri tra Benito ed Eraldo, Elena che va a fare da tata
all’Arrigoni morente di cui sopra. Dove conosce un piccolo truffatore dalla
parlata audace, il bel Curzio. Maria Grazia che tira avanti la ditta paterna.
Il Tornabuoni che fa carriera, ma che sempre comunista è. La fabbrica. Le micro
lotte sindacali. La pesca di frodo. Il piccolo contrabbando con la Svizzera,
prima solo di sigarette e poi (con una piccola microstoria simpatica) con i
contraccettivi. Perché forse qualcuno si è scordato che fino al 1972 la pillola NON era
commercializzata in Italia. C’è anche il maresciallo, solita figura umana, che
cerca di mettere a posto quelli che non rigano dritto, senza però esercitare la
forza bruta delle forze dell’ordine tradizionali. C’è anche l’industriale che
tenta di circuire la vedova Maria
Grazia , ma che sarà colto in flagranza di reato dalla
finanza. Insomma il solito e simpatico mondo di paese, dove ci aspettiamo di
vedere se Tornabuoni ci riprova con la Maria Grazia o si mette il cuore in pace, se
Elena lascerà Eraldo per Curzio (ma bisognerà aspettare che questi esca di
prigione, dove è rinchiusa per truffa), se il PSIUP riuscirà ad aprire una
sezione locale, se Quintiliano, infine, doppiata la boa dei cento anni,
continui ad essere una presenza pur se lontana, o finalmente si aggiunga alla
schiera dei defunti. Come detto, un buon esercizio di valzer, qualche sorriso,
e tuttavia mi aspettavo qualcosa di più incisivo, come in altre storie compare,
vuoi per la parte storica vuoi per la parte ironica. Qui sono un po’ carenti,
ed il libro scorre via, in attesa di una nuova storia.
Andrea Vitali “Almeno il cappello” Garzanti euro 12
[A: 01/11/2012 – I: 10/04/2013 – T: 12/04/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 410;
anno: 2009]
Un'altra buona prova del medico
di Bellano, che imbastisce un lungo romanzo, rispetto ai soliti che vanno più
sulle 200 che le 400 pagine, con la solita e ben collaudata tecnica che chiamo
alla “Schnitzler”. Un grande girotondo, pieno di personaggio che a volte si fa
difficoltà a tenerne a mente tutti i nomi. Pieno di storie che si intrecciano,
si ostacolano e poi si esaltano a vicenda. Il nodo centrale della storia,
motore del romanzo, la nascita, difficile, contrastata ma (forse) alla fine ben
voluta del Corpo Bandistico di Bellano. Siamo di nuovo nel periodo migliore
delle storie di Vitali. Il ventennio, con tutte quelle figure senza molto
spessore, ma che allora (solo allora?) comandavano i paesi ed i paesotti di
un’Italia unificata forse solo di nome e non di fatto. Vitali ha quindi modo di
mettere in piedi tutta una schiera di personaggi, da furbetti a poco scaltri,
uomini irretiti da donne ingegnose, e quando Vitali usa questo periodo la sua
vena sembra distendersi nel passo lungo del fondista. Diciamo che tre sono le
storie in un certo senso predominanti nel romanzo. La prima vede protagonista
Lindo Nasazzi (e complimenti a Vitali che ha dato il cognome di questo
personaggio come quello del capitano del grande Uruguay primo campione del mondo,
che d’altra parte era oriundo di Esino Lario, un paesino a soli 15 Bellano) il bombardino (o flicorno baritono)
della fanfaretta di Bellano. Diventato vedovo, cerca e trova una nuova sposa
nella campagnola Noemi. Ma questa di ben altra pasta della prima moglie è
fatta. Non lo fa più ubriacare e diventa più manesca di lui (se arrabbiata). Il
suonatore cercherà tutto il romanzo di trovare il modo di racimolare soldi per
le bevute. Li troverà soltanto con un inganno relativo alle divise della futura
banda. Peccato che ne godrà per poco dato che … E qui sospendiamo il Lindo e
passiamo ad Onorato Geminazzi, il ragioniere che da Maneggio, sull’altra riva
del lago, si trasferisce a Bellano quando la sua vecchia ditta di liquori sta
per fallire (e si troverà accusato di frode, poi salvato da testimonianze
varie, all’interno di una delle tante storie nella storia, quella del
commendator Varechini, che però vi lascerò scoprire). Ragioniere che sa far
ballare i numeri, tanto da risollevare le sorti del collassante ospedale,
perché sa di musica. Era stato seconda (ma lui sostiene prima) cornetta nella
Banda di Laveno. Ed ora farà di tutto per trasformare la fanfaretta in un Corpo
Bandistico. Si batte come un leone, contro il podestà Parpaiola (uomo veramente
ottuso come tutti i podestà) che cerca in tutti i modi di contrastarlo, per
avere prima gli strumenti, poi un luogo per le prove, infine le divise. Fiore
all’occhiello di tutte le prove sono i duetti che imbastisce con il Nasazzi, e
che dovranno sfociare in un grande assolo durante il debutto della Banda, nel
giorno dei santi patroni di Bellano in quel di fine luglio. Ma oltre ai numeri
e la musica, l’altra passione di Onorato è la moglie Estenuata, con la quale
continua a sfornare figli su figli. Non ultimi, i gemelli che avranno anche
loro un ruolo nella terza storia. Intanto, nonostante tutte le traversie, Geminazzi
riesce a mettere su la Banda per il debutto, se non che, il Nasazzi… La terza
storia vede invece protagonisti il segretario locale del fascio Bongioanni che
in tutti i modi favorirà il Geminazzi contrastando il Parpaiola. Tanto che
frequenta assiduamente la casa del ragioniere, e vi trova e si invaghisce di
Armellina Banchieri, un’orfana ormai cresciuta, andata a servizio a Milano, ed
ora tornata, che ha due tette indescrivibili. Il Bongioanni si innamora prima
delle tette poi dell’Armellina tutta. Ed anche quando scoprirà il segreto delle
suddette, non cesserà l’amore. Anzi, si sposeranno presto, un mese prima che la
banda … Ecco, le storie principali si intrecciano, si alimentano, producono
rivoli anch’essi gradevoli. Bello l’inserimento nella storia e nella geografia,
anche se, rispetto alle prove migliori (non tante che questa si colloca nel
gruppo di testa) c’è un po’ meno umorismo ed un po’ meno di quei sani e
ridanciani accenni al sesso paesano. Ah, il cappello del titolo è ovviamente
quello del Corpo Bandistico, ed ha un suo preciso ruolo, come si scopre alla
fine, perché… Leggetelo, va.
Andrea Vitali “La mamma del sole” Garzanti euro 12
[A: 13/06/2012 – I: 18/05/2013 – T: 18/05/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 286;
anno: 2010]
Un nuovo libro veloce e
scorrevole, come al solito i libri del medico lariano. Rispetto agli ultimi letti,
ha un andamento in minore, senza una vera storia. Cioè, di storie ce ne sono
tante, affabulate alla maniera di Vitali. Cominciano, si intersecano, un po’ si
incartano su se stesse, e poi scorrono verso un finale, generalmente abbastanza
esplicativo degli eventuali misteri rimasti in sospeso. Non c’è però, come in
altri romanzi, un punto centrale. Più che altro è un affresco di un momento di
Bellano, collocato (dando fede ai riferimenti storici) nei mesi di luglio e
agosto del 1933. Questo perché, come motivo di fondo, ci sono i riferimenti
alla Crociera Aera del Decennale, organizzata appunto in quei mesi da Italo
Balbo. Siamo quindi nei momenti più caratteristici degli scritti di Vitali:
periodo fascista e vita di provincia. Vita che si snoda intorno alla Caserma di
polizia ed alla segreteria del Partito Fascista, due pallini ricorrenti nei
suoi scritti, che gli consentono da un lato di mettere alla berlina i tronfi
personaggi sedotti dal potere, e dall’altro di evidenziare come, nella vita
quotidiana, c’è uno scorrere delle cose che per nulla erano intaccate dal
regime imperante. Una storia passata, che molto risuona nel presente. Il motivo
che dà l’avvio al romanzo è appunto l’estate, il caldo che anche sul lago si fa
sentire, e, con i colpi di calore, anche qualche comportamento un po’ “fuori le
righe”. Si intrecciano così, nel caldo del lago, le storie di Maria che
dall’ospizio si va a confessare dal vecchio don Carlo, e poi muore sulla nave
durante il ritorno. La ricerca dell’anziana si unisce alle richieste di
informativa su tal Velia, madre di quattordici figli (non tutti suoi),
inopinatamente arrivata al nuovo segretario del PNF da parte della sede di
Como. Il tutto cade sulle spalle dei militi, il maresciallo Maccadò ed il
brigadiere Efisio Mannu in primis. Tra messaggi che girano tra le varie
stazioni di polizia, vetri della caserma che si rompono, caldo che impera e
radio galenica che trasmette le notizie della Crociera di cui sopra, si
dipanano i comportamenti quotidiani dei bellanesi. Don Carlo che non vuole dire
i motivi della visita di Maria. Lì dirà solo per iscritto, al maresciallo e
riguarda la scomparsa del figlio di Maria neonato, che la levatrice, piuttosto
che mandarlo all’orfanotrofio, sottrae e dona alla sorella sterile. Il buon
Alvise, che cresce un po’ ritardato, e che sarà l’unico (ma non creduto) a
vedere Maria per le strade di Bellano. Intanto i vetri della Caserma continuano
a rompersi che le finestre sbattono per fare corrente. E qui si innesta la
macchietta del vetraio scansafatiche, che dovrà fare i conti con l’autorità
della Caserma, vincendo la sua indole poco produttiva (perché dannarsi, se si
riesce a mettere in fila i pasti di ogni giorno, con qualche partita a scopa in
sovrappiù?). Rimane il mistero delle informative richieste sulla Velia di cui
sopra, che si vorrebbe portare al cospetto del Duce a Roma, come esempio di
“romana prolificità”. Peccato che la suddetta Velia sia stata una delle più
richieste meretrici del paese in gioventù. E che i suoi numerosi figli, vengano
da padri molto diversi. E che tra i suoi più calorosi sostenitori c’è proprio
il cavalier Viglietta, attuale segretario del Partito. Che in un’esilarante
scena campestre, deve confessare i suoi misfatti al maresciallo e con lui ordire
una trama di salvataggio per non sputtanare se stesso e il partito. Ma risolto
il problema di Velia, rimane il dubbio su chi abbia fatto partire l’inusuale
richiesta. Anche qui, travisamenti, mezze verità, fino alla soluzione (che non
vi narro) data all’epilogo e che riconcilia la tutta questa parte di vicenda.
Insomma, si comportano tutti un po’ strampalati, per colpa di quei colpi di
sole agostano che fanno andar via di testa anche i ben assennati abitanti prospicienti
il lago. Alla fine si sorride, si apprezzano le piccole immagini della vita
normale, come se fossero foglietti che il medico Vitali scrive nella sua
condotta, tra un paziente e l’altro. Ipotesi rafforzata dalla stringatezza dei
capitoli, che sono corti, cortissimi, come appunto scritti velocemente tra un
paziente e l’altro. Un solo punto vorrei chiarire con l’autore: il brigadiere
Efisio Mannu, in “La signorina Tecla Manzi” si innamora della bella Osmide; qui
invece Osmide diventa una zia lasciata nel natio paesello sardo. Come mai?
Anche perché in quello c’era già come in questo la rivalità a colpi di piccoli
dispetti tra il brigadiere sardo e l’appuntato siculo. Mentre vorrei
ringraziarlo per un nuovo elemento di cultura medica che mi fornisce.
Finalmente ho capito cosa affligge il rinofimico Tino: il nasone, vero Emilio?
Andrea Vitali “Un amore di zitella” Garzanti euro 9,90 (in realtà,
scontato a 7,43 euro)
[A: 19/06/2013 – I: 12/07/2013 – T: 13/07/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 116;
anno: 2004]
Un nuovo capitolo della
sterminata saga ambientata a Bellano, non solo paese reale ma anche paese
natale del prolifico Vitali. Abbiamo ormai imparato che l’autore prende spunto
da piccoli fatti vissuti o conosciuti durante la sua costante carriera di
medico condotto, e da questi trae piccole o grandi storie. Certo, meglio
rappresentate ed argomentate quelle che si svolgono nel ventennio, dove,
utilizzando i vari personaggi, riesce da un lato a mettere in vista le
contraddizioni del regime fascista, dall’altra ci riserva le gustose parentesi
umoristiche della vita quotidiana. Subito sotto le altre, da quelle ambientate
ai primi del secolo, a quelle (come la presente) che invece si svolge nel 1962.
Siamo nell’Italia del boom, c’è Tony Renis che canta “Quando, quando, quando”,
ci sono i sogni del totocalcio e delle prime lotterie. E c’è la vita che gravita
intorno all’Ufficio Comunale. Intorno ai personaggi dell’ufficio, Vitali
costruisce la sua microstoria, sempre con quel suo marchio dei capitoli brevi,
di un paio di pagine l’uno, che danno ritmo alle storie (come se fossero
scritte su piccoli fogli volanti, tra una visita e l’altra). Il perno della
vicenda è Iole, la zitella del paese (e del titolo), non bella ma forse
piacente, sicuramente con un buon cervello (che a volte le consente voli che
non seguono i suoi cittadini). E c’è il contraltare Iride, la maneggiona, che
cerca di arrotondare lo stipendio con piccoli espedienti e molte chiacchiere.
Controllore ed arbitro delle vicende, il segretario Restelli, con il suo
piccolo problema privato (ma per lui gigante) di una prostata che non fa il
proprio dovere. Il tutto si scatena proprio dalla prostata. Restelli per
mettere a posto l’Ufficio prima dell’operazione toglie un lavoro a Iride
dandolo a Iole. La prima non si capacita, la seconda non può rifiutare. Nasce
così una lotta senza esclusione di colpi. Che avrà il suo culmine quando Iride
non invita Iole al suo matrimonio. Iole, per far sentire la sua superiorità,
invia comunque un regalo ai novelli sposi. Una Divina Commedia rilegata.
Scrivendo un biglietto firmato “Iole e … Dante”. Ovviamente i grandi somari del
paese cascano nella trappola. E da quel momento nasce tutta una serie di qui
pro quo della segreta tresca amorosa con il misterioso Dante. In tutto si
innesta la presenza della zia Ortensia di Rapallo. Una costante nella vita di
Iole, anche se è più un’amica che una parente (e mi domando se sia la stessa
che profuma di menta in un altro libro di Vitali). Presenza anche pesante, che
assedia la nostra zitella con richieste varie (una gamba rotta, un’influenza
perniciosa, ed altro ancora), ma che alla fine troverà il modo, in maniera inconsueta
(e con l’aiuto del pur buono Restelli) di togliere Iole dalle peste
dell’assedio del paesello alla scoperta del misterioso Dante. Con una fine in
sordina, se vogliamo, ma com’è in sordina tutto il libro. Ho trovato molta
malinconia, infatti, in queste vite di provincia appese al quotidiano. Non solo
quelle dei protagonisti, ma forse e di più dei comprimari. L’autista di
corriera, il radiotecnico, la moglie del medico. La capacità, sempre di buon
livello, di Vitali è di non dimenticare personaggi per strada, di inventare
nomi che rimangono in testa. E spesso di riprendere nomi e situazioni tra un
libro e l’altro. A volte si creano confusioni o qui pro quo, ma continuo a
trovarlo gradevole e degno di continuare ad essere menzionato e letto. Perché
comunque ci sono spunti (come avete letto sopra), o a volte, come in questo
caso, piccoli ricordi. Il mio è legato al Festival di Sanremo. Benché piccolo,
ben ricordo il testa a testa di quel festival, che non fu vinto da Tony Renis
(arrivò solo quarto, anche se poi risultò il più venduto, e lo è tuttora), ma
che vide l’alternarsi tra “Addio… addio” di Modugno (di cui ricordo ben poco) e
“Tango italiano” di Milva (che invece ben ricordo, di cui facevo il tifo, e che
ovviamente arrivò secondo). Ricordo l’atmosfera di quelle prime settimane di
febbraio, cui mi era concesso di stare alzato un po’ di più. Ma queste forse
sono altre storie che andranno raccontate in altri lidi. Per ora, un piccolo
grazie ancora a Vitali.
Ed ancora un’estate che non
finisce (fortunatamente) con il vostro lettore che da qualche mese legge poco e
viaggia molto. Quindi, dietro le solite sollecitazioni avventurose, ecco che ci
apprestiamo a partire per un giro di più di due settimane in Tanzania e
Mozambico. Viaggio deciso in tanta fretta che non ho avuto tempo neanche di
parlarne in giro. A questo punto, ci diamo appuntamento ad ottobre, credo.
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