Tra poco parte il pullman per l’aeroporto
in questa uggiosa giornata di ricorrenza di un voto di 70 anni fa, tra i più
importanti della Storia italiana (ed in attesa di quello di domenica prossima,
che forse sarà importante solo per Roma). Vi saluto allora con l’attacco di una
nuova saga: quella dell’investigatore dell’Antica Roma, Publio Aurelio Stazio,
rendendo anche omaggio alla scrittrice che ne ha inventato le gesta, Danila
Comastri Montanari, storica bolognese. Non sempre come vedrete le trame gialle
sono all’altezza, ma sempre lo è la ricostruzione del mondo romano e delle
vicende succedutesi al tempo dell’imperatore Claudio. Queste prime letture cominciano
bene, poi scendono pian pianino, per risalire in finale verso una piena
sufficienza.
Danila Comastri Montanari “Mors Tua” Mondadori euro 12 (in realtà,
scontato a 10,20 euro)
[A: 01/11/2015 – I: 10/12/2015 – T: 12/12/2015] - &&&-
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201;
anno 1990]
Dopo
aver saltabeccato un paio di volte nella scrittura dell’esimia storica del
mondo romano, con questa morte tua (che sottintende l’ovvio vita mia) diamo
inizio allo studio analitico dei romanzi legati alle gesta del nobile romano
Publio Aurelio Stazio. La scrittrice ha dedicato a questa scrittura seriale una
ventina di romanzi nel corso di questi ultimi venticinque anni. Questo, anche
se la quarta o il lancio editoriale ne tacciono la genesi, è poi il primo della
serie. Dove la scrittura e la trama già scorrono abilmente, come se noi ed il
senatore ci si conoscesse già da tempo. Un pregio nelle scritture seriali, dove
a volte chi scrive fatica ad ingranare teso com’è a dover descrivere gesta e
personaggi che si pensa torneranno. Danila affronta tutto ciò molto
spavaldamente, appunto come se questo fosse un caso isolato. Vedremo negli
altri come tutto ciò avrà una sua evoluzione. Intanto, due tirate d’orecchio
all’autrice ed all’editore. Danila, infatti, pur avendo ben presente che stiamo
in piena epoca romana, utilizza (ed è molto aderente al testo) la metà di
quella locuzione che citavo sopra “Mors tua, vita mia”. Cioè “la tua morte è la
mia vita”, cioè ancora solo uno ne uscirà vincitore. Peccato che questa sia una
locuzione medioevale e non romanica. Il secondo appunto, per l’editore che, da
qualche parte, avrebbe dovuto scrivere che, data la brevità del romanzo in sé,
ad esso aggiungeva un racconto (“Una filosofa per Publio Aurelio Stazio”) che,
oltre a servire per raggiungere un congruo numero di pagine, fortunatamente
serve anche a complementare i caratteri dei personaggi. Da quale buona storica
ci risulta essere Danila, la prima cosa che notiamo è la sapiente collocazione
della trama nella Storia. Conosciamo il nostro Publio nel 42 d.C., quando da
ormai un anno è sul trono di Roma Tiberio Claudio Druso, conosciuto con il nome
di Claudio, quarto imperatore della dinastia Giulio-Claudia, e primo imperatore
nato lontano da Roma (nasce, infatti, a Lione). E nelle trame anche non vicine
alla storia stessa notiamo in trasparenza la presenza della moglie di Claudio,
Messalina, e l’ombra del predecessore di Claudio, il turpe Caligola. Vediamo
inoltre la vita romana, incentrata nel Senato (cui Claudio aveva ridato potere)
dove al solito si affrontano fazioni progressiste ed elementi nostalgici del
“tempo romano che fu”, e dei suoi valori. Infine notiamo l’ordito di altre
trame, quelle malefiche degli intrighi, con belle donne che concedono favori
per il potere ed altre cose non degne (ma direi abbastanza attuali), dove si
erge a megafono dei gossip la grassa matrona Pomponia. Ci caliamo anche nei
meandri della Roma di quegli anni, dove, appunto, oltre ai nobili, ai senatori,
ed alle ville, c’è il popolo, che vive nel sordido quartiere della Suburra
(dove ancora oggi abbiamo amici e conoscenti), con i barbieri, le lavandaie, il
fango, l’orina, e le donne di facili costumi. In questo teatro, seguiamo e
conosciamo meglio il nostro Publio (e la sua ombra, lo schiavo segretario
tuttofare Castore). Publio viene implicato nella morte dell’etera Corinna, con
cui cercava facili avventure, ma che in ben altre trame era coinvolta. Nasceva
dal popolo e si era erta a concedere favori a nobili denarosi. Pochi in realtà,
ma assai lucrosi. Mantenuta da Strabonio, anziano marito di Lollia. Amante del
plebeo Ennio (che avrebbe fatto meglio a rivolgere le proprie attenzioni alla
di lei sorella Clelia). Ed in più coprente la scandalosa storia tra Gaio,
figlio del senatore Furio Rufo, e Quintilio, marito di Marzia, l’altra figlia
di Rufo. Ma se la morte di Corinna poco muove gli animi, tutto si infervora
all’uccisione di Quintilio, trovato sgozzato al tempio di Esculapio (nell’isola
tiberina, là dove ora sorge l’ospedale Fatebenefratelli). Publio si trova lì
poco dopo e viene accusato dell’omicidio. Il costume romano non prevede difesa
per i nobili, ma un onorevole suicidio. Cosa che Publio organizza, ma solo per
smascherare il vero colpevole che non voleva cedere ai ricatti di Corinna e
voleva nascondere la storia “greca” di Gaio (perché i greci erano gay ed i
romani no). Bella ed istruttiva dei costumi romani, la scena del banchetto
epicureo che precede il suicidio. E dove Danila conduce una requisitoria alla
Nero Wolfe, invitando tutti i possibili colpevoli, e smascherando al fine
l’unico responsabile. Che per la vita di Publio offrirà la morte sua. Veloce è
il racconto finale, che segue di poco temporalmente questo primo episodio.
Publio, per riposarsi delle fatiche, si reca a Baia, il posto di mare dei
nobili romani (ed anch’esso a noi ben noto). Per alleviare il tedio, entra in
contatto con un circolo di filosofi epicurei, il cui capo, subito dopo, viene
anche lui ucciso. Con una semplice indagine, anche qui incolpando e poi
assolvendo vari personaggi, Publio ne viene facilmente a capo. Una storia
minore e ve la lascio alla vostra più attenta lettura. Notiamo solo, in finale,
che Publio, corretto e gaudente, alla fine finisce sempre nel letto di qualche
bella signora o signorina del tempo. Alla fine riconosciamo una scrittura
scorrevole e piacente, e un’ambientazione, per il mio gusto personale, di degno
rilievo, che ci porta indietro di quasi duemila anni. E che a me è decisamente
piaciuta. Se ne riparlerà tra non molto.
“Epicuro: quando noi ci siamo, non c’è la
morte, e quando c’è la morte, allora non ci siamo noi.” (exergo)
Danila Comastri Montanari “In corpore sano” Mondadori euro 12 (in
realtà, scontato a 10,20 euro)
[A: 01/11/2015– I: 13/12/2015 – T: 14/12/2015] - &&
e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 213;
anno 1991]
Secondo
episodio, che contiene due elementi che risvegliano antichi rumori ed umori. Il
titolo, che mi rimanda a quando io e Giorgio Gaber prendevamo in giro il mio
amico che faceva finta di essere Luciano. L’altro è il verso che riporto in
fondo, il Catullo dell’orazione funebre per il fratello morto. Che oltre a
toccare corde a me care, a riportarmi ed avvicinarmi al mio allora amato Foscolo,
fu anche l’unica poesia che riuscì a declamare in distici latini con gli
accenti corretti. E non è poco. Anche se il verso viene dal racconto che chiude
il libro e non dal libro stesso. Perché anche qui, senza avvertire nessuno,
oltre al romanzo del titolo, c’è l’appendice dal titolo “Un’eredità per Publio
Aurelio Stazio”. Appendice che liquidiamo brevemente, dove c’è poco oltre al
verso di cui appena detto. Un anziano senatore che, nascostamente alla
famiglia, sta per sposare una giovane della Suburra (ancora a Monti, eh?),
rimasta incinta, muore inaspettatamente e provvidamente (per il figlio). Breve
inchiesta, anfora con veleno, testamento ritrovato grazie al testo di Catullo,
morte per infarto, e figlio illegittimo riconosciuto. Tutto bene, con il solito
sollazzo per Publio, di cui ormai abbiamo imparato vizi e virtù. Più complesso
il discorso sul romanzo in sé, che al solito contiene qualche piccolo errore.
La citazione del titolo è infatti presa dalla Satira Decima di Giovenale (“Allora,
se qualcosa vuoi chiedere ai numi, … devi pregarli che ti diano mente sana in
un corpo sano”). Satira composta intorno al 100 d.C., quindi sessanta anni dopo
l’età in cui si svolge il romanzo. Ed all’inizio del romanzo si parla
dell’imperatore Claudio come di un sessantenne, laddove svolgendosi l’azione
nel 43 d.C., Claudio ha solo 53 anni. E non ne ha quaranta più della moglie
Valeria Messalina, in quanto la stessa, in quell’anno, ne ha 26 (e ne aveva 14
quando sposò il futuro imperatore). Dicevo complesso, che si toccano temi
delicati per la Roma di allora (ma che non sono dissimili da problematiche
attuali). La base di fondo è il rapporto tra romani ed ebrei, sia quelli
“storici”, insediatisi da anni in Trastevere, sia delle derive del tempo, dei
seguaci dell’ebreo chiamato Cresto (come storpiavano al tempo in luogo di
Cristo). Tutto nasce dalla morte della bella Dinah, ebrea figlia di un amico di
Publio. Parrebbe morta per procurato aborto, anche perché si dice in cinta di
un romano mentre doveva andare in sposa all’ebreo Eleazar. Il nostro
investigatore ante litteram, non può lasciar cadere il fatto, vista la sua
amicizia. E subito nell’indagine scopre l’esistenza di questo amante,
Ruben/Rubellio. Che per amore di Dinah stava studiando per convertirsi
all’ebraismo. Che prima del colpo di fulmine faceva parte della banda di
facinorosi capeggiata da Flavio, trovandosi tutti nel lupanare dell’ormai
sfiorita Oppia. Dove Ruben e Dinah consumano il loro atto d’amore. E dove
Flavio diventa l’amante di una donna bellissima e misteriosa. Intanto le
indagini di Publio lo portano negli ambienti medicali del tempo. Dove scopre
con facilità l’inconcludente e non “laureato” medico Demofonte, e la bella e
piacente Mnesarete, donna in un mestiere di uomini, che fa pagare il giusto, a volte
curando gratis i non abbienti, e che spera di essere invitata nel prestigioso
ospedale di Alessandria. Quando anche Ruben muore mentre la dottoressa lo cura
da un colpo di spada, probabilmente avvelenata, Publio comincia ad essere
insofferente verso tutti. Anche verso la bella dottoressa, con la quale
tuttavia trascorre ore piacevoli (alla sua solita maniera). La scolta si ha
quando Publio scopre che la bella che si dà a Flavio non è altro che
l’imperatrice Messalina (e qui la nostra Danila riprende uno dei temi cari
dell’iconografia sulla bella donna, che la vede spesso frequentare un bordello
col nome di Lisisca). Tutto sembra portare ad una tresca in cui Flavio, per
ordine di Messalina, uccide i due amanti che ne avevano scoperto il gioco
erotico. Ma la morte di Flavio per mano dei pretoriani imperiali spegne questa
pista. E ragionando con il fido Castore (di cui abbiamo parlato poco, anche se
sempre ben presente in tutto il libro) sull’origine di confusioni allocutorie,
che Publio scopre l’arcano. Dinah morente aveva detto al padre “ricordati della
virtù”, che in greco recita “Mnesai aretes”. Qui Danila utilizza anche un
secondo elemento trasversale, anche giocoso se vogliamo, che uno dei primi
amanti di Messalina era stato l’attore Mnestere. Tutte queste sbavature fanno
diminuire leggermente i punteggi attribuibili al libro. Anche se
l’ambientazione generale, i rimandi storici, e le incursioni geografiche (sia
in Campania che, in questo libro, anche nella lontana Ceylon) me ne rendono
gradita la lettura.
“Catullo: Multas per gentes et multa per
aequora vectus.” (187)
Un dì,
s’io non andrò sempre fuggendo
|
Mùltas pèr gentès et mùlta per aèquora vèctus
|
Condotto
per molte genti e molti mari
|
di
gente in gente; mi vedrai seduto
|
àdvenio hàs miseràs, fràter, ad ìnferiàs,
|
sono
giunto a queste (tue) tristi spoglie, o fratello,
|
su la
tua pietra, o fratel mio, gemendo
|
ùt te pòstremò donàrem mùnere mòrtis
|
per
renderti l’estrema offerta della morte
|
il
fior de’ tuoi gentili anni caduto:
|
èt mutàm nequìquam àlloquerèr cinerèm,
|
e per
parlare invano alla (tua) muta cenere,
|
la
madre or sol, suo dì tardo traendo,
|
quàndoquidèm fortùna mihì tete àbstulit ìpsum,
|
poiché
la sorte mi ha portato via proprio te, ahimè,
|
parla
di me col tuo cenere muto:
|
hèu miser ìndignè fràter adèmpte mihì!
|
infelice
fratello ingiustamente strappatomi via!
|
ma io
deluse a voi le palme tendo;
|
Nùnc tamen ìnterea haèc, priscò quae mòre parèntum
|
Ora
questi pegni, che secondo l’usanza degli avi
|
e se
da lunge i miei tetti saluto,
|
tràdita sùnt tristì mùnere ad ìnferiàs,
|
sono
stati consegnati come triste omaggio funebre,
|
sento
gli avversi Numi, e le secrete
|
àccipe fràternò multùm manàntia flètu,
|
accettale,
stillanti di molto pianto fraterno,
|
cure
che al viver tuo furon tempesta;
|
àtque in pèrpetuùm, fràter, ave àtque valè.
|
e per
sempre, o fratello, ti saluto e ti dico addio.
|
e
prego anch’io nel tuo porto quïete:
|
|
|
questo
di tanta speme oggi mi resta!
|
|
|
straniere
genti, l’ossa mie rendete
|
|
|
al
petto della madre mesta.
|
|
|
Danila Comastri Montanari “Cave canem” Mondadori euro 9,90
[A: 20/02/2015– I: 15/12/2015 – T: 17/12/2015] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201;
anno 1993]
Come spesso accade quando
incontro un autore seriale, spesso i suoi scritti cadono a grappoli nella mia
rete di lettura. Così è anche per le storie romane di Publio Aurelio Stazio
scritta con buona proprietà dalla bolognese nonché scorpione Danila. Mentre
nelle prime due storie c’era un’appendice che serviva a colmare il numero di
pagine atto ad una pubblicazione non in perdita (ricordo che per la stampa in
offset, è bene avere un numero di pagine che tra intestazioni e pagine bianche
finali si aggiri intorno alle 210), qui abbiamo un inizio più organico. La
nostra scrittrice, nell’intento di ampliare la nostra conoscenza del senatore,
ci presenta nel prologo il momento epico dell’infanzia di Aurelio. Ed è il
momento migliore del libro. Avviene un furto nella casa del sedicenne Aurelio,
sotto la tutela del padre (che se lo fila poco), e senza la madre che subito
divorziò e se ne sta da qualche parte in Oriente. Furto di cui viene accusato
Diomede, amministratore del patrimonio di casa Stazio e padre del suo compagno
di giochi Paride. Contemporaneamente il padre, bevitore e giocatore, muore, cosicché
Aurelio diventa il pater familias della casa, riesce a scoprire il vero
colpevole del furto, e si accorge della bravura di Diomede, che sarà per sempre
suo servitore ed amministratore, cedendo il posto, alla sua morte, al figlio
Paride. Ora manca che prima o poi si conosca la storia del rapporto tra Aurelio
ed il suo schiavo liberato Castore, per avere luce sulla sua costellazione
familiare. Intanto continuiamo a sapere nelle more del racconto che Aurelio è
sempre più dedito a conquiste muliebri, anche ora che ha da poco superato i 40
anni. In effetti, dal prologo sappiamo che è nato nel 3 d.C., che diventa capo
della famiglia nel 19 d.C., anno in cui in una libreria di Roma incontra
l’allora poco appariscente Claudio, studioso e balbuziente, che però, nel colmo
di queste indagini è nel frattempo diventato imperatore. Inoltre sono 10 anni
che non vede più la moglie da cui ha divorziato nel 34 d.C. Ultimo elemento
positivo, riguarda il titolo, che questa volta è in linea con il tempo del
racconto. Infatti, la scritta “CAVE CANEM” si trova sicuramente in una villa di
Pompei risalente al 20 d.C. Questo però è tutto il meglio, che il resto del
racconto non è all’altezza. Né dell’ironia che a volte traspare da altri
scritti, né dall’intrigo investigativo, che si rivela (almeno parzialmente) ben
presto, anche se la piena luce potrà venire solo alla fine (quando sapremo cose
che all’inizio erano impossibili da divinare). Dimenticavo, l’altro momento
personalmente di goduria è l’ambientazione del romanzo, che si svolge tutto tra
Baia e Pozzuoli, passando per il lago di Lucrino, ed altre zone ben note della
baia Domizia (anche senza Patrizia, se qualcuno ricorda la canzone). Insomma,
lì sta in “ferie augustae” il buon Aurelio e, decidendo di tornare a Roma, si avvia
con l’amica Pomponia, fermandosi per saluti ed altre amenità, nella villa di
Gneo Plauzio. E qui cominciano le complicazioni: Gneo Plauzio è un mercane
arricchito (in realtà è uno che vende pesci e mitili d’allevamento), che ha tre
figli dalla prima moglie (Attico, Secondo e Terzia, gran fantasia), che con i
soldi convince l’imperatore Tiberio a fare divorziare la bella Paolina dal
generale Fabrizio, sposandola, adottandone il figlio Lucio, ed accogliendo
nelle sue schiere il piccolo Silvio, forse nato da una sua relazione
adulterina. Appena arriva Aurelio muore Attico che cade in una vasca di murene.
Fatalità? Il nostro ci crede punto o poco. Anche se viene sobillato da Paolina
che gli mostra un’antica profezia, dove i figli di Gneo perirebbero per mano di
pesci, uccelli e insetti. Profezia che data quasi venti anni prima. Già qui, ne
noto l’improbabilità, che solo Paolina ne conosceva il contenuto. Neanche la
sibilla cumana, cui Aurelio tributa una visita (spassosa, questa sì) ne sapeva
alcun che (ed è la sibilla, oh!). La situazione precipita quando Secondo viene
ucciso orse da un airone, più probabilmente da un pugnale. Gneo, impaurito, fa
testamento riconoscendo Silvio e nominandolo suo erede. E poco dopo, mentre
tutti cercano di proteggere Terzia dagli insetti, anche Gneo muore. Così che
Silvio, obtorto collo, assume le redini della casa, si dichiara alla sedicenne
Nevia (di cui non vi diciamo altro, sennonché è figlia della bella Elena, che
Aurelio… e quante cose volete sapere, eh?), e durante il banchetto di commiato
di Aurelio, sorride con un ghigno tale e quale a Lucio Fabrizio. Trate voi le
somme, che noi l’abbiamo fatto da un pezzo. Detto anche dei gustosi accenni a
vicende trasversali, come la sconfitta di Varo a Teutoburgo o la rivolta di Spartaco
(che veniva dalla Tracia, e non me lo ricordavo), tutto il resto passa un po’
in sordina, senza troppa infamia è vero, ma anche senza troppa lode. Tanto poi
per collegare gli episodi, il romanzo finisce con Sestilio che invita il
recalcitrante Aurelio ai ludi circensi. Tant’è che il prossimo romanzo si
intitola: ...
Danila Comastri Montanari “Morituri te salutant” Mondadori euro 9,90
[A: 28/11/2014– I: 22/02/2016 – T: 24/02/2016] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 234;
anno 1993]
Come dicevo alla fine della
precedente trama, il nuovo romanzo non poteva che ricordare il saluto dei
circensi alla loro entrata nell’arena. E sui ludi, sulle morti e sulle indagini
del nostro Publio Aurelio Stazio si dipana una nuova saga scritta dalla brava
Danila Comastri Montanari. Inoltre, essendo il romanzo leggermente corto, come
in altre occasioni viene riempito (purtroppo senza indicazioni in copertina)
con un racconto. Di quelli estivi, di piccole indagini che Aurelio svolge nel
“buen retiro” di Baia. Ma su questo torneremo. Che si deve narrare del libro e
della sua trama. Come spesso accade alla nostra scrittrice, l’ambientazione è
degna di una ricostruzione storica accurata, e degna di fede. Meno l’indagine,
l’intreccio, il giallo, la soluzione. La trama inizia come da titolo
nell’arena, quando il capo dei gladiatori, il supposto invincibile Chelidone
muore improvvisamente mentre sta per finire il suo avversario. Dato che il divo
Claudio è presente ai fatti, non ci si può esimere dalle indagini. Inoltre,
ricordando i trascorsi giovanili, quando l’imperatore era solo un claudicante
erudito, non può che affidarsi al suo allora allievo Aurelio. Ed il nostro, con
la sua solita abilità, e con l’aiuto del fido e nello stesso tempo malandrino
Castore, indaga. Scopre intrecci inaspettati, scommesse truccate (niente di
nuovo sotto il sole!), gelosie e voglie di rivalsa. C’è l’attrice Nissa,
supposta amante di Chelidone, ma anche protetta dal losco avvocato Sergio
Maurico. Ci sono i gladiatori compagni di Chelidone, su cui si gettano più di
un’ombra di dubbio: l’infido Eliodoro, sempre pronto a dire una parola
malvagia, la selvaggia Arduina, principessa britanna in cattività, bruttissima
e bravissima, il celto Gallico, in attesa della fine della schiavitù gladiatoria.
Aurelio scopre facilmente che dietro a tutto, o quanto meno a molto, c’è sempre
Sergio Maurico: ha prelevato il fabbro Placido da quel di Modena facendolo
diventare l’invitto Chelidone, ha riscattato la servetta Nissa dai lupanari,
facendone un’attrice d’avanguardia erotica, è intimo del generale Fazio, di
certo poco popolare. Indagando a fondo in un caldo mese di giugno, Aurelio
ritrova anche la sua prima sposa, Flaminia, da cui era separato da decenni, con
la faccia devastata dal vaiolo ma sempre in contatto con le sfere “nere” del
potere. Sarà facile per Aurelio risalire alla trama ordita dall’avvocato: far
perdere Chelidone, senza che questi muoia, costringere Claudio a decidere “vivo
o morto” come si fa in questi casi, e sulla morte innescare una rivolta
popolare nell’arena che costringa l’imperatore ad uscire da vie laterali, dove
lui ed i suoi scherani avrebbero provveduto a finire l’opera che i miliziani
non avevano terminato ai tempi di Caligola. Ma una trama senza prove è inutile
contro le armi oratorie di Sergio Maurico. Per fortuna che qualcuno (e non vi
dico chi) viene in soccorso al nostro, fornendo a lui ed a Claudio le prove del
complotto. Tuttavia Chelidone non doveva morire nell’arena. Anche qui, Aurelio
si rivela intuitivo, capendo chi fosse l’unica persona che, all’interno
dell’assemblea dei gladiatori, avrebbe desiderato e brigato per uccidere il
fellone. Vi tralascio, in quanto sarebbe un lungo elenco, le morti al contorno
del romanzo. Rimane, come detto, la ricostruzione: dei ludi, dei templi, delle
strade romane, della suburra, delle strade intorno all’Aventino. Nonché delle
vesti, dei banchetti, e di quant’altro riesce a riportarci a quel 45 d.C.
Divertente il cammeo con Lucio Domitio, figlio di Agrippina, che già strimpella
la cetra volendo diventare un grande cantore, e fa uno scherzo mortale alla
sorella di Sergio. Gli esperti di storia sapranno già che Lucio Domitio sarà il
successore di Claudio, con il nome di Nerone. Menzioniamo brevemente il
racconto in appendice (“Una dea per Publio Aurelio Stazio”) dove l’azione si
svolge poco dopo i fatti precedenti, ed è interessante solo per la bellissima
descrizione che riporto. La storia è banalina: Pomponia, amica di Aurelio, in
quel di Baia si invaghisce del culto egizio di Iside. Ma è tutta una truffa,
ordita da due loschi capuani, dove la morte del capo porta all’incriminazione
di Pomponia, unica presente sul luogo del delitto. Aurelio, con una breve
indagine, farà ben presto luce sulla truffa, sulla morte, e su alcune misteriose
nascite. Alla fine, non dispiace lo scritto di Danila, soprattutto per
l’accurata ricostruzione storica, e per qualche cammeo storico ben delineato.
Ne consiglio una distratta lettura a chi voglia anche rivedere nelle piante
inserite nei libri come si era sviluppata nei primi decenni dopo Cristo la
nostra città eterna.
“Baia, il luogo di ogni delizia, nelle cui terme miracolose si
coniugavano i piaceri più raffinati del corpo e dell'anima. Baia, la perla del
mare, dove i vecchi ringiovanivano, i fanciulli si effeminavano e le vergini
non restavano tali a lungo. Baia, il paradiso dei cacciatori di donne, da cui
le belle matrone tornavano guarite nel corpo e ferite nel cuore... La magica
insenatura perfettamente circolare, i colonnati a picco sul mare, gli enormi
bulbi delle aule termali, i giardini fioriti, le lussuose residenze dei grandi
di Roma, prima tra tutte quella dell’imperatore: tutto ciò faceva di Baia la
più bella e la più famosa stazione di villeggiatura dell'impero.” (185)
Prima
e molto solitaria trama del mese. Ed ecco allora le quindici letture del mese
di marzo, illuminate da due interessanti letture: “Il meglio della vita” di
Rona Jaffe, e l’affare Quebert dello svizzero Dicker, che vi consiglio (in
italiano va bene). Ed oscurate da una delle peggiori prove di Wilbur Smith, un
autore di best seller che ho cominciato a studiare, ma che non mi ha ancora
convinto.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Bruno Morchio
|
Le cose che non ti ho detto
|
Garzanti
|
9,90
|
3
|
2
|
Rona Jaffe
|
Il meglio della vita
|
Beat
|
9
|
4
|
3
|
Danila Comastri Montanari
|
Spes ultima dea
|
Mondadori
|
9,90
|
3
|
4
|
Wilbur Smith
|
Figli del Nilo
|
TEA
|
6,90
|
3
|
5
|
Danila Comastri Montanari
|
Scelera
|
Mondadori
|
12
|
2
|
6
|
Joël Dicker
|
La vérité sur
l’affaire Harry Quebert
|
De Fallois
|
9,20
|
4
|
7
|
Wilbur Smith
|
Alle fonti del Nilo
|
TEA
|
6,90
|
1
|
8
|
Bruno Morchio
|
Rossoamaro
|
Garzanti
|
9,90
|
3
|
9
|
Alessia Gazzola
|
Le ossa della principessa
|
TEA
|
12
|
3
|
10
|
Bruno Morchio
|
Bacci Pagano cerca giustizia
|
Fratelli Frilli
|
9,90
|
2
|
11
|
John Irving
|
Hotel New Hampshire
|
Bompiani
|
10
|
3
|
12
|
Andrea Vitali
|
Le tre minestre
|
Mondadori
|
9
|
2
|
13
|
Michael Connelly
|
Il quinto testimone
|
Piemme
|
13
|
3
|
14
|
Claudia Piñeiro
|
Betibú
|
Repubblica Mondo Noir
|
7,90
|
3
|
15
|
Ahmed Mourad
|
Polvere di diamante
|
Repubblica Mondo Noir
|
7,90
|
2
|
Ma
il campanello suona, ed anche sotto la pioggia, è bene avviarsi. A tutti un
caldo abbraccio visto che vado al freddo.
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