Tanto per parafrasare la metà dei
libri tramati. Quelli di Cristiana Astori, per capirci, pieni di buona volontà,
ed anche di spunti, ma che mi hanno convinto di meno. Interessanti per i
cinefili, ma a noi piacciono anche i “gialli” puri. Più sul versante
dell’esordiente Parri, tanto per rimanere in tema, piuttosto che su quello del
pur leggibile Riccardi. Comunque una settimana dedicata al relax, che devo dire
ci voleva dopo un travagliato inizio di anno, per i noti lavori casalinghi.
Cristiana Astori “Tutto quel nero” Mondadori euro 4,90
[A: 07/10/2011 – I: 29/09/2012 – T: 02/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 311;
anno: 2011]
Premessa
indispensabile: non mi è piaciuto, l’ho trovato lento, ripetitivo, con una scarsa
capacità/volontà di portare a compimento il romanzo. Ed è un peccato, che
Cristiana Astori sa usare la scrittura, e ci sono pagine che meriterebbero
altri contesti, e che il filo narrativo prometteva ed era potenzialmente
interessante e foriero di almeno una bella lettura. L’idea di fondo, infatti, è
quella di seguire le tracce di un film perduto nei meandri del tempo. Invece di
darsi a libri maledetti, come sembra essere la mania del momento, o simili
orpelli, la scrittrice costruisce un’ipotesi di trama partendo da alcuni dati
reali: il cinema erotico sperimentale dello spagnolo Jess Franco, che negli
anni ’60 incontra una sua musa ispiratrice, Soledad Miranda. Dopo 3-4 film,
purtroppo, nel 1970 (e non nel 1969) a Lisbona, sulla corniche dell’Estoril,
Soledad, a soli 27 anni, muore in un incidente di macchina. Ma viene sostituita
da quella che diventerà la moglie di Jess, Lina Romay. La trovata è ipotizzare
che esista un film girato con la Miranda, poi inglobato in altro film “di serie
B” italiano, ed a sua volta scomparso. Questo il fondo. Alla luce, veniamo alla
storia dove seguiamo la ventisettenne Susanna Marino , in cerca di laurea
ed occupazione, che viene ingaggiata per ritrovare la pellicola scomparsa.
Susanna comincia allora ad aggirarsi nel mondo delle pellicole horror e dei
cacciatori di film perduti. È ingenua e sprovveduta, e continua, per tutto il romanzo,
a fare disastri ed a non trovare appigli per svolgere il suo lavoro
decentemente. Pare solo che l’oscuro Steve, un cacciatore di pellicole, riesca
ad aiutarla, sfoderando trucidità alla “Pulp Fiction”. Mentre intorno tutti
fanno una brutta fine. L’amante dell’horror Paolo che, dopo aver ritrovato
un’oscura “comparsa scomparsa” viene strangolato. Così come viene strangolata a
Madrid tale Elena, della Cineteca Nacional, anche lei imbattutasi in una
piccola rara. Susanna frequenta con Steve il mondo underground del “Blue
Velvet”, dove incontra Ewa (poi torneremo sui nomi), che la convince ad
eseguire una danza come quella di Soledad nel suo ultimo film “Il diavolo viene
da Akaswa”, dove l’attrice eseguiva un fantomatico strip-tease, senza
spogliarsi (almeno così si dice sulla rete, che pare anche questo film sia
sparito nei meandri del nulla). Ma prima del ballo, anche Ewa muore. L’idea (lo
spunto horror) è che tutte queste morti siano suscitate da qualcuno che esce
fuori da quella famosa pellicola. Ed è il produttore di allora, tale Omar, che
ha innescato il tutto, quasi ad aver paura delle conseguenze. O a tirarne le
fila? Questo il dubbio che non solo non sciolgo io, ma, in realtà, non scioglie
neanche la
scrittrice. Perché per 300 pagine si va su e giù nel tempo,
tra le quinte dove girava i film il famoso Jess Franco di cui sopra, Lisbona
come set cinematografico, intarsi su Madrid, e poi Torino ed anche Manziana.
Facendo entrare nomi noti o meno, ma mescolandoli in uno zibaldone che ci vuole
un libro a parte per tenerne conto. Non solo con la ripetizione delle iniziali
(Susanna-Soledad Marino-Miranda), ma con Ewa che era anche il nome della partner
di Soledad in un film dal titolo “Vampyros Lesbos”. E poi con le apparizioni di
Christopher Lee (interprete del “Conte Dracula” sempre di Franco), di Jack
Taylor (altro attore di film horror). Ma Cristiana punta in alto, e fa
intervenire anche il negromante Alistair Crowley, di passaggio a Lisbona dove
incontra Pessoa. Ed altre chicche cinefile. Questi gli aspetti divertenti.
Peccato che l’andar su e giù nel tempo non giovi alla comprensione della trama.
Come non giova il tentativo di usare una scrittura “sulfurea”, cercando di
creare mistero, dove invece si sparge noia a piene mani. I caratteri moderni
sono poi senza mordente. E la fine scivola via senza un vero perché. Tante
possibili buone idee annegate in un lago di insensatezze: ripeto, troppe citazioni
tra il vero e l’inventato, e, soprattutto, nessuna idea di come possa risolversi,
oscillando tra un horror da King di serie B ed un tentativo di razionalizzare
gli avvenimenti, che purtroppo non riesce. Peccato.
Roberto Riccardi “I condannati” Mondadori euro 4,90
[A: 15/03/2012 – I: 22/10/2012 – T: 26/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 197;
anno: 2012]
Secondo episodio del giallo
carino ma leggerino imperniato sulla figura del capitano dei Carabinieri Renato
Roversi. Dal punto di vista narrativo, riprende tutti gli stili che aveva
introdotto nel primo romanzo, acuendo, se possibile, alcune delle
caratteristiche, quasi portandole ad un punto di rottura. Ma sono solo le
caratterizzazioni personali, mentre, purtroppo, la vicenda non si aggiorna più
di tanto, risultando non dico scontata, che non è vero, ma di certo un poco piatta.
Inoltre si cerca di mescolare un po’ le carte, con qualche luoghetto comune
sulla Sicilia e sulla mafia (certo, ambientare qualcosa in Sicilia e NON
parlare di mafia risulta ormai un azzardo). Separiamo quindi i due piani: la
vicenda ed il contorno. Il paese (inventato) di Villafranca ha il suo bravo
boss locale, Don Michele, con il suo bravo consigliere (l’avvocato) e con i
suoi bravi (più o meno) scagnozzi e con tutti quegli equilibri di relazioni
interpersonali che reggono tali paesi. Fatto sta che scompaiono due ragazzi,
figli di un pastore, che ne chiede ragione all’avvocato. Poi cominciano a
morire i bravi di Don Michele. Nel frattempo, l’avvocato alleva un nuovo
picciotto per fare le scarpe al capo dei picciotti (troppo fedele a Don
Michele). In tutto questo, si muovono i Carabinieri. E soprattutto il nostro
Roversi, che, sebbene preso da altre “grane” (vedi oltre) e con poca lucidità
iniziale, riesce a vedere la trama che si cela dietro a tutta questa
confusione. E riesce a portare a termine la missione di collocare tutti i pezzi
al posto giusto, e quelli più esposti anche in prigione. Non certo Don Michele
o il rampante Gaetano. Che anzi, lasciando una serie di punti in sospeso, fa
presagire la possibilità di nuove avventure nel futuro. E poi c’è il contorno.
I bravi Carabinieri del presidio di Villafranca, dal maresciallo Mandalà che
conosce tutti al nuovo entrato Antonio, che si fa presto ben volere. Ma un
passo avanti, l’appuntato Pasquale, una specie di alter ego in minore del capitano,
ove sembra quasi che ogni due per tre, l’autore cambi il punto di vista della
scrittura in soggettiva, passando dal capitano all’appuntato, e viceversa. Sono
sicuro che ne farà di strada. Infine, last but not least, ci sono “le donne del
capitano”. La romana
Laura , di lui sempre innamorata, che tenta di toglierselo
dalla mente promettendosi in sposa all’amico Giulio (solito trenino: Giulio che
ama Laura che ama Roberto che invece non sa a chi vuole bene). Ed anche
Roversi, pur conscio che Laura non è per lui, non riesce a staccarsene
completamente. La
palermitana Rosalba , giornalista di punta, che già dall’altro
romanzo stava puntando al Capitano. Ma che deve fare anche i conti con il
mescolarsi dei sentimenti privati, con i bisogni pubblici. E non può fare
l’errore di cercare di circuire il capitano per estorcergli notizie per il
giornale. Anche se questo va a scapito della carriera. E poi c’è il nuovo
entrato, il tenente dei RIS Milena, che, uscita da una disastrosa storia, cerca
di capire se Roversi possa essere una nuova alternativa. E ci prova subito,
anche se un po’ goffamente. Il nostro capitano, pur lusingato, non sa come
muoversi. Certo la romana è assai lontana. Ed un legame interforze può essere
pericoloso. Alla fine sembra indirizzare le proprie antenne verso la giornalista. Ma
dico sembra, che non porta avanti molto questo ragionamento, travolto
dall’incalzare della vicenda. E quando Roversi risolve il caso, il libro si
tronca presto. Una scusa in più per tirare fuori altro materiale e pubblicare
un nuovo libro. Che magari uscirà da qualche altra parte, evitandoci di doverci
sorbire le tiritere finali dell'un tempo ottimo Costanzo, ma che ora risulta
noiosetto anzi che no. Insomma, nel finale, un buon momento di relax notturno,
dopo giorni di stress diurno.
“Non riusciva a togliersi il vizio di
arrivare in anticipo, per quanto si sforzasse” (78)
Carlo Parri “Il metodo Cardosa” Mondadori euro 4,90
[A: 06/10/2012 – I: 26/12/2012 – T: 28/12/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 233;
anno: 2012]
Un
buon esordio, veramente gradevole, di un veterano, come dicono i lanci
pubblicitari. Poiché Carlo Parri è sì al suo primo romanzo, ma è un
pubblicitario di vecchia data (visto che è anche più grande del vostro
tramatore), che dalla Pisa natia, ormai da anni vive in quel di Castiglion del
Lago. Ma non è il suo fare versiliese che mi ha preso, quella mistura di ironia
e buon senso di cui sono piene le pagine dell’ottimo Malvaldi. Mi ha deliziato
il modo trasverso con cui attraversa il giallo, mescolando molto Maigret con
qualche puntata (rapida ma efficace) oltre oceano. E soprattutto, quel continuo
irrompere di citazioni, ahi quanto dotte, che sembrano infilarsi nel testo
senza scopo. Ma chi mi hanno fatto sentire vicino lo scrittore. Si sentono le
tante letture, e la capacità di distillarne i succhi per riempire le pagine di
profumi diversi. Ha certo qualche mancanza, qualche scivolata, ma nel complesso
il romanzo tiene e si legge. Anzi, più che un romanzo, direi un romanzo ed un
racconto, che, in effetti, sono due le storie che si intrecciano, oltre al
delinearsi dei personaggi, ed in primo luogo del protagonista, il vice questore
Ludovico Cardosa. Che tra l’altro si aggira in una Roma che ho imparato a
conoscere negli ultimi anni, tra Piazza Crati e Piazza Gimma, nella terza
sezione della Mobile di via Acherusio. E che ragiona per modi traversi, riprendendo,
oltre l’amato Maigret, anche i pensieri alla Adamsberg della Vargas. Ha anche
una vita sentimentale complicata, pur essendo single. Ha un rapporto lasco con
l’ispettore capo Francesca. Rincontra nel corso delle indagini il magistrato
Caterina (con cui ebbe trasporti focosi ai tempi pugliesi). Si interessa sempre
più dell’ispettore Gemma. E comincia ad indagare sulla morte di un ricco
costruttore, inspiegabilmente freddato e derubato nei dintorni proprio di via
Acherusio. Indagini a tutto campo, scoperta la passione del morto verso il
collezionismo in generale e l’occultismo in particolare. Rivelando tutto un
tessuto di ricerche gravitanti intorno ad un testo cinquecentesco del
crittografo Giambattista Della Porta. Che avrebbe nascosto nel testo una mappa
che consentirebbe il tele-trasporto. Rischiando di cadere nelle fanfaluche alla
Dan Brown, Parri non si inoltra più di tanto su questo terreno minato. Fatto
salvo far intervenire un santero brasiliano (con il quale organizza una
cerimonia di “mate” che mi ha subito riportato in Argentina). Ed una strana barbona
italiana. Mentre ci si inoltra nelle parziali scoperte, intanto, i morti
aumentano. Si scopre la presenza di un killer sudamericano, forse legato alle
cosche di Pinochet. Insomma, frizzi e lazzi che scorrazzano per il globo.
Tuttavia Cardosa, saltando di palo in frasca, ragionando di traverso, trova una
serie di possibili fili di Arianna da seguire. Qualcuno non porta a nulla. Uno
porta alla soluzione, che viene solo accennata un po’ di traverso. Che quello
che interessa a Parri sono i personaggi, le situazioni, il quotidiano del
nostro Ludovico. Le sue cene con gli ingredienti comprati al mercato di piazza
Gimma, i convitati diversi, le possibili o effettive storie d’amore. Esploriamo
quindi il “mondo Cardosa”, e devo dire che mi è piaciuto aggirarmi con lui tra
le pagine. Rischiando al fine di scontrarsi con poteri troppo forti (in una
delle sette segrete è presente un ministro del governo…), ma riuscendo a
trovare l’artefice principe di tutta la macchinazione, con citazioni questa
volta alla Patricia Highsmith piuttosto che alla Simenon. E mentre come
Baudelaire si dibatte tra le sue conquiste femminili, deve risolvere un diverso
problema (il racconto nel romanzo appunto), che coinvolge la sorella (simpatica
presenza con la sua compagna Giovanna) e la casa avita in quel del mare intorno
a Catania. Anche qui morti, un po’ di mafia, un rinvangare le vicende giovanili
e la scomparsa del padre. Ma il buon Cardosa trova la soluzione anche qui,
soluzione che porterà ad altre agnizioni, personali e collettive che non vi
delucido. Ne parlerei ancora, ma preferisco lasciare il testo alla pazienza di
chi lo vuole leggere, ritornando sui punti dolenti di qualche spiegazione
mancante e di qualche passaggio forse volutamente monco. Che anche Maigret, a
volte, trova soluzioni senza che il lettore capisse come. Pur tuttavia Simenon
si industriava nel finale a rimettere tutte le caselle a posto. Ma va bene
anche cosi, caro Parri. Mi è senza dubbio piaciuto.
“Prima o poi, avrebbe dovuto affrontare se
stesso e le sue sensazioni. E finiva sempre per scegliere il poi.” (10)
“Si ricordò che aveva promesso a Francesca
di comprare un televisore. Nessuno vive in casa senza il televisore. Non è
normale.” (148) [NdT: io si!]
“Il saggio in ogni cosa guarda al proposito,
non all’esito. Cominciare dipende da noi, il risultato invece lo decide la
sorte.” (190) [parafrasi da Seneca]
Cristiana Astori “Tutto quel rosso” Mondadori euro 4,90
[A: 05/12/2012 – I: 23/02/2013 – T: 25/02/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 250;
anno: 2012]
Ripeto
la fine della prima trama: oscillazioni pericolose tra uno Stephen King di
serie B ed un giallo “moderno”. La solerte Astori dimostra che si muove bene
nell’ambiente cinematografico, soprattutto che conosce (e non superficialmente,
come potrei fare io da puro spettatore) a fondo i film di cui parla. Tanto a
fondo, che, appunto, noi poveri spettatori a volte ci perdiamo nella raffinatezza
delle citazioni. Qui, dagli snuff movie del romanzo precedente, passiamo nel
rosso pieno (tanto per non ripetere un profondo rosso che sarebbe troppo in
linea con il fatto che le 250 pagine sono una lunga ed articolata citazione di
Dario Argento). Ritroviamo, e con un pizzico di simpatia, la distratta Susanna
del primo romanzo, inconsapevole perno delle vicende, che esce dalla vicenda
precedente un po’ malconcia, con una sindrome di narcolessia acuta (che
ovviamente esplode nei momenti topici della vicenda). Qui l’attacco è diretto,
che Susanna vuol portare avanti la sua tesi, come nel primo romanzo, passando
alle ricerche sulle location di Dario Argento, ed in particolare su quelle di
“Profondo Rosso” (che indicherò con PR visto che si ripete ogni due pagine).
Siamo quindi a Torino, galleggiando tra piazza CLN e Villa Scott. Ritroviamo
anche l’ambiguo Steve, il cacciatore di pellicole rare, che fa la parte del
“tuttologo”: conosce tutti, sa di tutto, e per soprammercato, sa guidare l’auto
meglio di Alonso e fa lo stunt man, ma solo per divertirsi. Come ci si aspetta,
le morti fioccano da far impallidire anche Django di Tarantino: prima la bella Clara Pardi ,
uccisa come la medium di PR, poi Rudy il robivecchi, ucciso per avere una copia
pirata di PR, e poi Solange la sorella di Clara, uccisa come Amanda Righetti in
PR, e Rosselli, il relatore della tesi di Susanna che muore alla maniera del
prof. Giordani di PR, e Daniele il giornalista. Almeno questi son quelli che
ricordo. E ad ogni morte, primo Susanna si trova sempre nei pressi e secondo sembra
sempre più colpevole, tanto che il commissario Tommasi la vuole incriminare, e
si salva solo dopo una lunga fuga in macchina con una Opel Manta guidata da
Steve. Soltanto verso la fine, la casta Susanna si sveglia (o sembra) e ce n’è
voluto di tempo. Ha dovuto: trovare il diario di Clara in cui si parla di uno
strano tipo (che si rivelerà uno degli attori della vicenda) che le fornisce
coca, farsi rubare da due squinzie filo-escort alla Ruby di Berlusconiana
memoria, coinvolgere Solange nella ricerca, rimanere impressionata dalla di lei
morte, coinvolgere il giornalista, con identica fine, capire che tutto ruota
intorno ad un cinema di Torino, andato in fumo alcuni anni prima del cinema
Statuto, che era un covo di film horror et similia. Ed è proprio quando
finalmente trova il cinema Z, e parla con il custode (al tempo proiezionista e
maschera) che ricostruisce la
vicenda. Quel giorno al cinema si proiettava PR, al cinema
era andato l’undicenne Rosselli, con la madre cui il custode faceva il filo.
Poi era scoppiato l’incendio, il custode era andato al bagno per salvare chi
c’era rimasto, e vi aveva trovato due hippie che scopavano (e che non erano
altro che i genitori delle sorelle Pardi), nonché una donna incinta, che per il
fumo poco dopo morirà, dopo aver partorito un bimbo settimino. Forte di tutta
questa ricostruzione, Susanna capisce tutto, da appuntamento al killer nella
Villa Scott, e dopo agnizioni e colluttazioni, il cattivo (o la cattiva, che
tanto non vi dico di che sesso sia) muore come il colpevole di PR: si incastra
un ciondolo nell’ascensore, qualcuno preme il pulsante e chi aveva il ciondolo
si strangola. La vicenda inoltre si arricchisce (un bell’eufemismo) di alcune
avventure laterali, che servono solo a riempire le pagine ed arrivare alla
fine. Ripeto, ancora, il modo di scrivere della Astori non mi coinvolge: nel
primo c’era un andare avanti e indietro nel tempo che sconcertava, qui ci sono
parti in corsivo che sembrano essere i pensieri di chi poi farà una brutta
fine, ma anche questi per un po’ stufano, poi li ho saltati a piè pari, che già
il tutto mi sembrava assai lungo. L’autrice conosce e molto bene i film di
Dario Argento, nonché le vicende ad essi collegate (le vicende del regista,
degli attori, delle location, insomma un wikipedia di PR da paura), ma ha due
difetti di fondo: non riesce a coinvolgere il lettore in queste sue trame
pseudo-oniriche ma fondamentalmente razionali e presuppone nel lettore stesso
una conoscenza di PR che non tutti hanno. Perché non consentire a qualche personaggio,
ogni tanto, una digressione sulla trama di PR tanto da far seguire meglio la
vicenda, anche senza anticiparne i modi e le conclusioni? Un solo concorde
plauso, nel finale, ai ringraziamenti al negozio PR di via dei Gracchi in Roma.
Che
altro dire? Tornato in casa (e con un po’ di dispiacere che i miei amici ospitevoli
già mi mancano un po’), non si fa in tempo ad iniziare a sistemare le casse e
casse di libri e carabattole, che già il viaggio ci chiama, e (fatto salvo
imprevisti) il prossimo sabato si vola di nuovo verso Bangkok. Ed anche da lì
continuerò a pensarvi.