domenica 10 marzo 2013

Tutto quel giallo - 10 marzo 2013


Tanto per parafrasare la metà dei libri tramati. Quelli di Cristiana Astori, per capirci, pieni di buona volontà, ed anche di spunti, ma che mi hanno convinto di meno. Interessanti per i cinefili, ma a noi piacciono anche i “gialli” puri. Più sul versante dell’esordiente Parri, tanto per rimanere in tema, piuttosto che su quello del pur leggibile Riccardi. Comunque una settimana dedicata al relax, che devo dire ci voleva dopo un travagliato inizio di anno, per i noti lavori casalinghi.
Cristiana Astori “Tutto quel nero” Mondadori euro 4,90
[A: 07/10/2011 – I: 29/09/2012 – T: 02/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 311; anno: 2011]
Premessa indispensabile: non mi è piaciuto, l’ho trovato lento, ripetitivo, con una scarsa capacità/volontà di portare a compimento il romanzo. Ed è un peccato, che Cristiana Astori sa usare la scrittura, e ci sono pagine che meriterebbero altri contesti, e che il filo narrativo prometteva ed era potenzialmente interessante e foriero di almeno una bella lettura. L’idea di fondo, infatti, è quella di seguire le tracce di un film perduto nei meandri del tempo. Invece di darsi a libri maledetti, come sembra essere la mania del momento, o simili orpelli, la scrittrice costruisce un’ipotesi di trama partendo da alcuni dati reali: il cinema erotico sperimentale dello spagnolo Jess Franco, che negli anni ’60 incontra una sua musa ispiratrice, Soledad Miranda. Dopo 3-4 film, purtroppo, nel 1970 (e non nel 1969) a Lisbona, sulla corniche dell’Estoril, Soledad, a soli 27 anni, muore in un incidente di macchina. Ma viene sostituita da quella che diventerà la moglie di Jess, Lina Romay. La trovata è ipotizzare che esista un film girato con la Miranda, poi inglobato in altro film “di serie B” italiano, ed a sua volta scomparso. Questo il fondo. Alla luce, veniamo alla storia dove seguiamo la ventisettenne Susanna Marino, in cerca di laurea ed occupazione, che viene ingaggiata per ritrovare la pellicola scomparsa. Susanna comincia allora ad aggirarsi nel mondo delle pellicole horror e dei cacciatori di film perduti. È ingenua e sprovveduta, e continua, per tutto il romanzo, a fare disastri ed a non trovare appigli per svolgere il suo lavoro decentemente. Pare solo che l’oscuro Steve, un cacciatore di pellicole, riesca ad aiutarla, sfoderando trucidità alla “Pulp Fiction”. Mentre intorno tutti fanno una brutta fine. L’amante dell’horror Paolo che, dopo aver ritrovato un’oscura “comparsa scomparsa” viene strangolato. Così come viene strangolata a Madrid tale Elena, della Cineteca Nacional, anche lei imbattutasi in una piccola rara. Susanna frequenta con Steve il mondo underground del “Blue Velvet”, dove incontra Ewa (poi torneremo sui nomi), che la convince ad eseguire una danza come quella di Soledad nel suo ultimo film “Il diavolo viene da Akaswa”, dove l’attrice eseguiva un fantomatico strip-tease, senza spogliarsi (almeno così si dice sulla rete, che pare anche questo film sia sparito nei meandri del nulla). Ma prima del ballo, anche Ewa muore. L’idea (lo spunto horror) è che tutte queste morti siano suscitate da qualcuno che esce fuori da quella famosa pellicola. Ed è il produttore di allora, tale Omar, che ha innescato il tutto, quasi ad aver paura delle conseguenze. O a tirarne le fila? Questo il dubbio che non solo non sciolgo io, ma, in realtà, non scioglie neanche la scrittrice. Perché per 300 pagine si va su e giù nel tempo, tra le quinte dove girava i film il famoso Jess Franco di cui sopra, Lisbona come set cinematografico, intarsi su Madrid, e poi Torino ed anche Manziana. Facendo entrare nomi noti o meno, ma mescolandoli in uno zibaldone che ci vuole un libro a parte per tenerne conto. Non solo con la ripetizione delle iniziali (Susanna-Soledad Marino-Miranda), ma con Ewa che era anche il nome della partner di Soledad in un film dal titolo “Vampyros Lesbos”. E poi con le apparizioni di Christopher Lee (interprete del “Conte Dracula” sempre di Franco), di Jack Taylor (altro attore di film horror). Ma Cristiana punta in alto, e fa intervenire anche il negromante Alistair Crowley, di passaggio a Lisbona dove incontra Pessoa. Ed altre chicche cinefile. Questi gli aspetti divertenti. Peccato che l’andar su e giù nel tempo non giovi alla comprensione della trama. Come non giova il tentativo di usare una scrittura “sulfurea”, cercando di creare mistero, dove invece si sparge noia a piene mani. I caratteri moderni sono poi senza mordente. E la fine scivola via senza un vero perché. Tante possibili buone idee annegate in un lago di insensatezze: ripeto, troppe citazioni tra il vero e l’inventato, e, soprattutto, nessuna idea di come possa risolversi, oscillando tra un horror da King di serie B ed un tentativo di razionalizzare gli avvenimenti, che purtroppo non riesce. Peccato.
Roberto Riccardi “I condannati” Mondadori euro 4,90
[A: 15/03/2012 – I: 22/10/2012 – T: 26/10/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 197; anno: 2012]
Secondo episodio del giallo carino ma leggerino imperniato sulla figura del capitano dei Carabinieri Renato Roversi. Dal punto di vista narrativo, riprende tutti gli stili che aveva introdotto nel primo romanzo, acuendo, se possibile, alcune delle caratteristiche, quasi portandole ad un punto di rottura. Ma sono solo le caratterizzazioni personali, mentre, purtroppo, la vicenda non si aggiorna più di tanto, risultando non dico scontata, che non è vero, ma di certo un poco piatta. Inoltre si cerca di mescolare un po’ le carte, con qualche luoghetto comune sulla Sicilia e sulla mafia (certo, ambientare qualcosa in Sicilia e NON parlare di mafia risulta ormai un azzardo). Separiamo quindi i due piani: la vicenda ed il contorno. Il paese (inventato) di Villafranca ha il suo bravo boss locale, Don Michele, con il suo bravo consigliere (l’avvocato) e con i suoi bravi (più o meno) scagnozzi e con tutti quegli equilibri di relazioni interpersonali che reggono tali paesi. Fatto sta che scompaiono due ragazzi, figli di un pastore, che ne chiede ragione all’avvocato. Poi cominciano a morire i bravi di Don Michele. Nel frattempo, l’avvocato alleva un nuovo picciotto per fare le scarpe al capo dei picciotti (troppo fedele a Don Michele). In tutto questo, si muovono i Carabinieri. E soprattutto il nostro Roversi, che, sebbene preso da altre “grane” (vedi oltre) e con poca lucidità iniziale, riesce a vedere la trama che si cela dietro a tutta questa confusione. E riesce a portare a termine la missione di collocare tutti i pezzi al posto giusto, e quelli più esposti anche in prigione. Non certo Don Michele o il rampante Gaetano. Che anzi, lasciando una serie di punti in sospeso, fa presagire la possibilità di nuove avventure nel futuro. E poi c’è il contorno. I bravi Carabinieri del presidio di Villafranca, dal maresciallo Mandalà che conosce tutti al nuovo entrato Antonio, che si fa presto ben volere. Ma un passo avanti, l’appuntato Pasquale, una specie di alter ego in minore del capitano, ove sembra quasi che ogni due per tre, l’autore cambi il punto di vista della scrittura in soggettiva, passando dal capitano all’appuntato, e viceversa. Sono sicuro che ne farà di strada. Infine, last but not least, ci sono “le donne del capitano”. La romana Laura, di lui sempre innamorata, che tenta di toglierselo dalla mente promettendosi in sposa all’amico Giulio (solito trenino: Giulio che ama Laura che ama Roberto che invece non sa a chi vuole bene). Ed anche Roversi, pur conscio che Laura non è per lui, non riesce a staccarsene completamente. La palermitana Rosalba, giornalista di punta, che già dall’altro romanzo stava puntando al Capitano. Ma che deve fare anche i conti con il mescolarsi dei sentimenti privati, con i bisogni pubblici. E non può fare l’errore di cercare di circuire il capitano per estorcergli notizie per il giornale. Anche se questo va a scapito della carriera. E poi c’è il nuovo entrato, il tenente dei RIS Milena, che, uscita da una disastrosa storia, cerca di capire se Roversi possa essere una nuova alternativa. E ci prova subito, anche se un po’ goffamente. Il nostro capitano, pur lusingato, non sa come muoversi. Certo la romana è assai lontana. Ed un legame interforze può essere pericoloso. Alla fine sembra indirizzare le proprie antenne verso la giornalista. Ma dico sembra, che non porta avanti molto questo ragionamento, travolto dall’incalzare della vicenda. E quando Roversi risolve il caso, il libro si tronca presto. Una scusa in più per tirare fuori altro materiale e pubblicare un nuovo libro. Che magari uscirà da qualche altra parte, evitandoci di doverci sorbire le tiritere finali dell'un tempo ottimo Costanzo, ma che ora risulta noiosetto anzi che no. Insomma, nel finale, un buon momento di relax notturno, dopo giorni di stress diurno.
“Non riusciva a togliersi il vizio di arrivare in anticipo, per quanto si sforzasse” (78)
Carlo Parri “Il metodo Cardosa” Mondadori euro 4,90
[A: 06/10/2012 – I: 26/12/2012 – T: 28/12/2012]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 233; anno: 2012]
Un buon esordio, veramente gradevole, di un veterano, come dicono i lanci pubblicitari. Poiché Carlo Parri è sì al suo primo romanzo, ma è un pubblicitario di vecchia data (visto che è anche più grande del vostro tramatore), che dalla Pisa natia, ormai da anni vive in quel di Castiglion del Lago. Ma non è il suo fare versiliese che mi ha preso, quella mistura di ironia e buon senso di cui sono piene le pagine dell’ottimo Malvaldi. Mi ha deliziato il modo trasverso con cui attraversa il giallo, mescolando molto Maigret con qualche puntata (rapida ma efficace) oltre oceano. E soprattutto, quel continuo irrompere di citazioni, ahi quanto dotte, che sembrano infilarsi nel testo senza scopo. Ma chi mi hanno fatto sentire vicino lo scrittore. Si sentono le tante letture, e la capacità di distillarne i succhi per riempire le pagine di profumi diversi. Ha certo qualche mancanza, qualche scivolata, ma nel complesso il romanzo tiene e si legge. Anzi, più che un romanzo, direi un romanzo ed un racconto, che, in effetti, sono due le storie che si intrecciano, oltre al delinearsi dei personaggi, ed in primo luogo del protagonista, il vice questore Ludovico Cardosa. Che tra l’altro si aggira in una Roma che ho imparato a conoscere negli ultimi anni, tra Piazza Crati e Piazza Gimma, nella terza sezione della Mobile di via Acherusio. E che ragiona per modi traversi, riprendendo, oltre l’amato Maigret, anche i pensieri alla Adamsberg della Vargas. Ha anche una vita sentimentale complicata, pur essendo single. Ha un rapporto lasco con l’ispettore capo Francesca. Rincontra nel corso delle indagini il magistrato Caterina (con cui ebbe trasporti focosi ai tempi pugliesi). Si interessa sempre più dell’ispettore Gemma. E comincia ad indagare sulla morte di un ricco costruttore, inspiegabilmente freddato e derubato nei dintorni proprio di via Acherusio. Indagini a tutto campo, scoperta la passione del morto verso il collezionismo in generale e l’occultismo in particolare. Rivelando tutto un tessuto di ricerche gravitanti intorno ad un testo cinquecentesco del crittografo Giambattista Della Porta. Che avrebbe nascosto nel testo una mappa che consentirebbe il tele-trasporto. Rischiando di cadere nelle fanfaluche alla Dan Brown, Parri non si inoltra più di tanto su questo terreno minato. Fatto salvo far intervenire un santero brasiliano (con il quale organizza una cerimonia di “mate” che mi ha subito riportato in Argentina). Ed una strana barbona italiana. Mentre ci si inoltra nelle parziali scoperte, intanto, i morti aumentano. Si scopre la presenza di un killer sudamericano, forse legato alle cosche di Pinochet. Insomma, frizzi e lazzi che scorrazzano per il globo. Tuttavia Cardosa, saltando di palo in frasca, ragionando di traverso, trova una serie di possibili fili di Arianna da seguire. Qualcuno non porta a nulla. Uno porta alla soluzione, che viene solo accennata un po’ di traverso. Che quello che interessa a Parri sono i personaggi, le situazioni, il quotidiano del nostro Ludovico. Le sue cene con gli ingredienti comprati al mercato di piazza Gimma, i convitati diversi, le possibili o effettive storie d’amore. Esploriamo quindi il “mondo Cardosa”, e devo dire che mi è piaciuto aggirarmi con lui tra le pagine. Rischiando al fine di scontrarsi con poteri troppo forti (in una delle sette segrete è presente un ministro del governo…), ma riuscendo a trovare l’artefice principe di tutta la macchinazione, con citazioni questa volta alla Patricia Highsmith piuttosto che alla Simenon. E mentre come Baudelaire si dibatte tra le sue conquiste femminili, deve risolvere un diverso problema (il racconto nel romanzo appunto), che coinvolge la sorella (simpatica presenza con la sua compagna Giovanna) e la casa avita in quel del mare intorno a Catania. Anche qui morti, un po’ di mafia, un rinvangare le vicende giovanili e la scomparsa del padre. Ma il buon Cardosa trova la soluzione anche qui, soluzione che porterà ad altre agnizioni, personali e collettive che non vi delucido. Ne parlerei ancora, ma preferisco lasciare il testo alla pazienza di chi lo vuole leggere, ritornando sui punti dolenti di qualche spiegazione mancante e di qualche passaggio forse volutamente monco. Che anche Maigret, a volte, trova soluzioni senza che il lettore capisse come. Pur tuttavia Simenon si industriava nel finale a rimettere tutte le caselle a posto. Ma va bene anche cosi, caro Parri. Mi è senza dubbio piaciuto.
“Prima o poi, avrebbe dovuto affrontare se stesso e le sue sensazioni. E finiva sempre per scegliere il poi.” (10)
“Si ricordò che aveva promesso a Francesca di comprare un televisore. Nessuno vive in casa senza il televisore. Non è normale.” (148) [NdT: io si!]
“Il saggio in ogni cosa guarda al proposito, non all’esito. Cominciare dipende da noi, il risultato invece lo decide la sorte.” (190) [parafrasi da Seneca]
Cristiana Astori “Tutto quel rosso” Mondadori euro 4,90
[A: 05/12/2012 – I: 23/02/2013 – T: 25/02/2013]
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 250; anno: 2012]
Ripeto la fine della prima trama: oscillazioni pericolose tra uno Stephen King di serie B ed un giallo “moderno”. La solerte Astori dimostra che si muove bene nell’ambiente cinematografico, soprattutto che conosce (e non superficialmente, come potrei fare io da puro spettatore) a fondo i film di cui parla. Tanto a fondo, che, appunto, noi poveri spettatori a volte ci perdiamo nella raffinatezza delle citazioni. Qui, dagli snuff movie del romanzo precedente, passiamo nel rosso pieno (tanto per non ripetere un profondo rosso che sarebbe troppo in linea con il fatto che le 250 pagine sono una lunga ed articolata citazione di Dario Argento). Ritroviamo, e con un pizzico di simpatia, la distratta Susanna del primo romanzo, inconsapevole perno delle vicende, che esce dalla vicenda precedente un po’ malconcia, con una sindrome di narcolessia acuta (che ovviamente esplode nei momenti topici della vicenda). Qui l’attacco è diretto, che Susanna vuol portare avanti la sua tesi, come nel primo romanzo, passando alle ricerche sulle location di Dario Argento, ed in particolare su quelle di “Profondo Rosso” (che indicherò con PR visto che si ripete ogni due pagine). Siamo quindi a Torino, galleggiando tra piazza CLN e Villa Scott. Ritroviamo anche l’ambiguo Steve, il cacciatore di pellicole rare, che fa la parte del “tuttologo”: conosce tutti, sa di tutto, e per soprammercato, sa guidare l’auto meglio di Alonso e fa lo stunt man, ma solo per divertirsi. Come ci si aspetta, le morti fioccano da far impallidire anche Django di Tarantino: prima la bella Clara Pardi, uccisa come la medium di PR, poi Rudy il robivecchi, ucciso per avere una copia pirata di PR, e poi Solange la sorella di Clara, uccisa come Amanda Righetti in PR, e Rosselli, il relatore della tesi di Susanna che muore alla maniera del prof. Giordani di PR, e Daniele il giornalista. Almeno questi son quelli che ricordo. E ad ogni morte, primo Susanna si trova sempre nei pressi e secondo sembra sempre più colpevole, tanto che il commissario Tommasi la vuole incriminare, e si salva solo dopo una lunga fuga in macchina con una Opel Manta guidata da Steve. Soltanto verso la fine, la casta Susanna si sveglia (o sembra) e ce n’è voluto di tempo. Ha dovuto: trovare il diario di Clara in cui si parla di uno strano tipo (che si rivelerà uno degli attori della vicenda) che le fornisce coca, farsi rubare da due squinzie filo-escort alla Ruby di Berlusconiana memoria, coinvolgere Solange nella ricerca, rimanere impressionata dalla di lei morte, coinvolgere il giornalista, con identica fine, capire che tutto ruota intorno ad un cinema di Torino, andato in fumo alcuni anni prima del cinema Statuto, che era un covo di film horror et similia. Ed è proprio quando finalmente trova il cinema Z, e parla con il custode (al tempo proiezionista e maschera) che ricostruisce la vicenda. Quel giorno al cinema si proiettava PR, al cinema era andato l’undicenne Rosselli, con la madre cui il custode faceva il filo. Poi era scoppiato l’incendio, il custode era andato al bagno per salvare chi c’era rimasto, e vi aveva trovato due hippie che scopavano (e che non erano altro che i genitori delle sorelle Pardi), nonché una donna incinta, che per il fumo poco dopo morirà, dopo aver partorito un bimbo settimino. Forte di tutta questa ricostruzione, Susanna capisce tutto, da appuntamento al killer nella Villa Scott, e dopo agnizioni e colluttazioni, il cattivo (o la cattiva, che tanto non vi dico di che sesso sia) muore come il colpevole di PR: si incastra un ciondolo nell’ascensore, qualcuno preme il pulsante e chi aveva il ciondolo si strangola. La vicenda inoltre si arricchisce (un bell’eufemismo) di alcune avventure laterali, che servono solo a riempire le pagine ed arrivare alla fine. Ripeto, ancora, il modo di scrivere della Astori non mi coinvolge: nel primo c’era un andare avanti e indietro nel tempo che sconcertava, qui ci sono parti in corsivo che sembrano essere i pensieri di chi poi farà una brutta fine, ma anche questi per un po’ stufano, poi li ho saltati a piè pari, che già il tutto mi sembrava assai lungo. L’autrice conosce e molto bene i film di Dario Argento, nonché le vicende ad essi collegate (le vicende del regista, degli attori, delle location, insomma un wikipedia di PR da paura), ma ha due difetti di fondo: non riesce a coinvolgere il lettore in queste sue trame pseudo-oniriche ma fondamentalmente razionali e presuppone nel lettore stesso una conoscenza di PR che non tutti hanno. Perché non consentire a qualche personaggio, ogni tanto, una digressione sulla trama di PR tanto da far seguire meglio la vicenda, anche senza anticiparne i modi e le conclusioni? Un solo concorde plauso, nel finale, ai ringraziamenti al negozio PR di via dei Gracchi in Roma.
Che altro dire? Tornato in casa (e con un po’ di dispiacere che i miei amici ospitevoli già mi mancano un po’), non si fa in tempo ad iniziare a sistemare le casse e casse di libri e carabattole, che già il viaggio ci chiama, e (fatto salvo imprevisti) il prossimo sabato si vola di nuovo verso Bangkok. Ed anche da lì continuerò a pensarvi. 

Nessun commento:

Posta un commento