Si avvicina la boa del capo dell’anno,
e questa sarà dunque l’ultima trama del 2014 (la sua fine). Si è scritto di
meno, anche se si è letto di più, che nei frequenti viaggi di quest’anno si
riuscì a leggere, ma non a scrivere. E chiudiamo con tre scrittrici, le due di
lingua inglese spesso presenti nella mia libreria, con risultati mediamente
accettabili. E la mia amata Vargas, ancora in uno dei suoi migliori e da me
amati libri, dove si cavalca con bellezza e partecipazione, insieme all’altrettanto
amato commissario Adamsberg.
Anne Perry “Assassinio sul molo” Mondadori euro 4,90
[A: 15/07/2013– I: 10/07/2014 – T: 12/07/2014] - &&&
[tit. or.: Execution Dock; ling. or.: inglese; pagine: 270;
anno 2009]
Nell’ultimo
anno, i Gialli Mondadori stanno sfornando a ruota libera i libri della
scrittrice inglese. Che ben sappiamo prolifica ai limiti dell’eccesso (dal 1979
ad oggi ha pubblicato circa 80 libri). E che ben conosciamo per le sue due
serie di polizieschi, ambientate entrambe nella Londra vittoriana, che
l’autrice ben conosce (per studio) e ben rappresenta (per maestria). Ricordo
inoltre, per chi si fosse dimenticato delle precedenti trame, che le due serie
sono in qualche modo complementari. Quella di Thomas Pitt ambientata più sul
lato borghese, e giunta al trentesimo episodio. E quella di William Monk, quella
del lato proletario, di cui quest’anno è uscito in Inghilterra il ventesimo
romanzo. Qui, come si intuisce dal titolo, siamo sul lato Monk, e precisamente
all’episodio 16. Mi riferivo al titolo, perché, se qualcuno ricorda, Monk dopo
un inizio da investigatore privato, è da poco tempo approdato alla guida della
Polizia Fluviale (ecco quindi il molo del titolo). Indicato a questa carica dal
commissario Durban prima che questi morisse nell’esercizio delle sue funzioni. In
questo episodio, Monk cerca di chiudere una delle inchieste di Durban, relativa
ad un sordido figuro procacciatore di minorenne per adulti pedofili, nonché
assassino di ragazzi recalcitranti. La storia in sostanza si divide in due
parti. Nella prima, Monk arresta Jericho e si svolge il processo contro di
questi, accusato dell’uccisione di un ragazzo. Peccato che la difesa del
cattivo sia assunta da sir Oliver, uno dei grandi avvocati del foro londinese,
nonché ex-spasimante di Hester la moglie di Monk. Difesa che gli è stata
commissionata dal suocero cui non può dire di no. L’avvocato è bravo, e Monk ha
solo prove indiziarie. Per cui Jericho si salva dalla forca. Qui comincia la
seconda e lunga parte in cui assistiamo: alle indagini di Monk per trovare
prove consistenti verso Jericho, alle analoghe indagini di Hester, che utilizza
i canali della sua clinica per prostitute in difficoltà, l’aiuto che ai due dà
il ragazzo Scuff, alla crisi morale di sir Oliver che ha fatto trionfare la
legge nel processo (e si badi bene, la legge non la giustizia) mettendo in
difficoltà i suoi due amici e sapendo che il suo assistito era sicuramente
colpevole. Non è difficile intuire che Jericho nei suoi sordidi traffici deve
avere le spalle ben coperte. Ed i loschi figuri hanno buon gioco nel mettere in
difficoltà Monk ed i suoi, nonché cominciare ad infangare anche la memoria di
Durban. Potere della corruzione ed auto-alimentazione del potere tramite
cooptazione dei malvagi. Ma i nostri tre, ognuno seguendo sue idee e contatti,
proseguono nel cammino verso lo svelamento dei misteri. Helen riesce a
ricostruire tutta la storia di Durban, da ragazzo abbandonato all’orfanotrofio,
alle cattive compagnie giovanili, la svolta nella polizia, ed il lavoro sempre
con uno sguardo di riguardo verso i più sfortunati. Monk, con l’aiuto del
piccolo Scuff, mette vari tasselli sui giovani che cadono nelle grinfie di
Jericho. Ma è Oliver, nonostante tutto a fare i passi da gigante, quando si
ribella al suocero, e con uno stratagemma capisce chi sia almeno una persona
che tira le fila dietro ai pedofili. L’altro passo da gigante lo fa una delle
aiutanti di Hester all’ospedale, una signora che per far del bene lavora alle
cucine. Ma che si mette in testa di aiutare i nostri, e trova il modo di
arrivare ad uno dei posti dove si vendono le foto dei festini con i ragazzi
(anche se con dagherrotipi le foto ci sono già nella seconda metà
dell’Ottocento), e scoprire che uno dei clienti è… Non vi dico che sia, ma questo
fa precipitare la situazione. Jericho rapisce Scuff per ucciderlo. I nostri tre
uniscono le forze, fanno irruzione sul barcone del cattivo e salvano il
ragazzo. Il finale, al solito nella Perry, è sempre un po’ veloce, ma alla fine
i più cattivi la pagano. Ripeto quello che ho scritto altre volte. Dal punto di
vista giallo, gli spunti non sono “eccelsi”, solo passabili. È invece degna di
nota la ricostruzione ambientale. Ed anche qui, esce con forza il dipinto della
vita intorno e sopra il Tamigi che si svolgeva all’epoca. Un quadro ben
realizzato, e che porta un libricino di gradimento in più per un libro
altrimenti direi classificabile solo come discreto.
“Nessun uomo onesto fa solo ciò che lo mette
a suo agio.” (65)
“Non volevo parlare del mio passato e non mi
interessava parlare del suo. Per chiunque di noi, ciò che conta è chi si è
oggi.” (81)
Fred Vargas « L’armée furieuse » J’ai lu euro 8,70
[A: 19/06/2013– I: 25/07/2014 – T: 29/07/2014] - &&&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: francese; pagine: 440;
anno 2011]
Finalmente
e con soddisfazione leggo l’ultimo capitolo uscito della saga del commissario
Adamsberg, uno dei più riusciti personaggi noir degli ultimi anni. Grazie alla
maestria della penna della scrittrice francese Vargas, che i miei lettori sanno
quanto ami e che per questo ho nella mia libreria tutte le sue apparizioni. C’è
voluto del tempo perché uscisse in economica, dovuto in parte alla
sovraesposizione dell’autrice nel “caso Battisti”. Ma di quello lasciamo ad
altre cronache e passiamo a goderci il pensiero svagato del nostro commissario
e della sua “brigade” di poliziotti sempre fuori dall’ordinario. Ritroviamo
l’erudito Danglard, l’attento Vyrenc, la forza della natura Violette Retancourt,
ma anche i loro comprimari, il bulimico, il narcolettico e il “cretino”
(etimologicamente parlando) che fa il miglior caffè di tutta la polizia.
Essendo passato del tempo dall’ultima uscita, l’autrice impiega il primo
capitolo per introdurre i neofiti ai modi investigativi di Adamsberg, che nel
primo capitolo risolve alla sua maniera l’uccisione di un’anziana signora per
mano del marito, ottuagenario stufo di reprimenda e voglioso di dedicarsi alle
sue parole crociate. Poi iniziano le vere danze. In quel di Bonneval, la
formosa Lina sogna i cavalieri dell’Armata Furiosa che prendono nella loro
morsa mortale alcune persone malviste della cittadina di Ordebec. L’Armata
Furiosa, come poi ci spiegherà Danglard, è una leggenda che risale a poco dopo
l’anno mille, e narra di una banda di morti a cavallo, comandata da tal
Hellequin (guarda i casi della vita, un nome che si metamorforizzerà nel tempo trasformandosi
nella maschera della commedia dell’arte Arlecchino), che scorrazza per le valli
normanne, prendendo con sé, e quindi uccidendo, i cattivi della zona. Lina
sogna che la Masnada Hellequin prenda quattro suoi concittadini, di cui tre
riconosce il viso ma non il quarto. La madre della giovane, per vie traverse,
chiede aiuto ad Adamsberg che viene sempre tentato da queste situazioni ai
margini. Anche se in Parigi avrebbe da seguire un caso serio, la morte di un
potente affarista bruciato nella sua macchina. Tutto incolperebbe un tunisino
incendiario, Momo-miccia-corta. Ma le cose ovvie non piacciono ad Adamsberg,
che, in base al modo di allacciarsi le scarpe da ginnastica di Momo, lo ritiene
innocente. Però deve discolparlo. E la famiglia del morto è potente ed
intoccabile. Il nostro attua allora un piano audace, fa fuggire Momo portandolo
con sé ad Ordebec, lasciando la brigata al comando di Violette per indagare sui
potenti affaristi. E lui, con Momo e Zerk (il figlio che ritrovò nell’ultimo
romanzo, ormai quasi trentenne, che, pur non essendosi incrociati per tutta la
vita, agisce come il padre, tutto merito del DNA), nonché Danglard e Vyrenc
indaga sui misteri di Ordebec. Scontrandosi con Èmeri il commissario locale,
discendente di un gran maresciallo napoleonico. Ed alleandosi con l’anziana Léone,
uno dei pilastri della cittadina, insieme al potente locale, il visconte
d’Ordebec. Senza premere su nessun acceleratore (non è il suo stile) ma
parlando e collegando fatti, mentre ad Ordebec avanza un’ordalia, ricostruisce
una sua storia di alcuni personaggi locali, tutti ruotanti intorno a Lina ed
alla sua famiglia. Cioè ai suoi tre fratelli: Hyppolite, nato con 6 dita per
mano che il padre in un accesso di rabbia troncò con un’accetta e che ogni
tanto parla invertendo le lettere delle parole (dicendo Oaic invece di Ciao per
esempio), Martin, che fa fantasiose ricette con coleotteri ed altre insetti, e
Antoine, gettato dal padre giù dalle scale in tenera età, con tante fratture e
la paura di rompersi ad ogni momento. E scoprendo che il padre fu ucciso da un
colpo di accetta trenta anni prima, con Lina di cinque anni che vide chi era
stato, ma nascose il ricordo utilizzando l’Armata furiosa. Armata che appunto
ora ritorna. Con tutti i sospetti che si annidano sul truculento Hyppolite, che
da piccolo lanciava anatemi su tutti i suoi compagni di scuola, compreso il
futuro commissario Èmeri. Si diceva dell’ordalia. I tre visti da Lina ad uno ad
uno muoiono. Léone, che ha capito il colpevole, viene quasi uccisa ed entra in
coma. Ci sono tante situazioni che convergono e che rischiano di far saltare
tutto: Adamsberg sembra essere messo sotto inchiesta per la fuga di Momo,
riesce, con l’aiuto di Vyrenc, a far rifugiare il ricercato in Spagna, Violette
scopre le menzogne dei figli del morto incendiato, e tramite un colpo di genio
audace di Adamsberg, ne trova le prove, Danglard rischia di finire sotto un
treno ed è salvato da Vyrenc, un ergastolano medico amico di Adamsberg fa
uscire Léone dal coma, ma questa non riesce ancora a parlare, e finalmente Adamsberg
scopre che Hyppolite e Lina sono figli del visconte, che li ha nominati eredi,
a scapito del figlio di seconde nozze, su cui a questo punto si puntano tutti
sospetti. Soprattutto dopo il suicidio di quest’ultimo. Ma il nostro
commissario non si da pace, non trova l’incastro di tutto. Sarà soltanto
ripensando al ritrovamento di alcuni involucri di zollette di zucchero accanto
al luogo del primo assassinio che scoprirà il vero colpevole. Ed aiutato
dall’intera brigata, ne assicurerà l’arresto. Belli sono tutti questi piani su
cui gioca la nostra scrittrice, forse abusando del termine “giocare” perché sembra
quasi faccia di proposito di tutto per presentare ogni tanto una possibile
soluzione, solo per poi smontarla. Ma questo è il bello di chi sa costruire
storie. Poi io rimango sempre affascinato dalle capacità mentali del
commissario, che si fissa su dei particolari insignificanti (molliche di pane,
lacci di scarpe, zollette di zucchero), li tiene lì nella testa, li agita ben bene.
Ed alla fine ecco la soluzione. E sono anche curioso di vedere se avrà un
seguito il personaggio del figlio, simpatico sin dalle prime battute. In
conclusione, un bel libro, cui forse non fa giustizia questa trama che cerca di
razionalizzarne il contenuto, quando è meglio averlo sulla carta, sregolato sin
dalla prima riga. Grazie Vargas per avermi regalato alcuni momenti per far
funzionare anche i miei ormai arrugginiti neuroni.
Elizabeth George “Un castello di inganni” TEA euro 6,90 (in realtà,
scontato a 5,18 euro)
[A: 02/04/2014– I: 03/08/2014 – T: 07/08/2014] - &&&
[tit. or.: Believing the Lie; ling. or.: inglese; pagine: 582;
anno 2012]
E
mettiamo in archivio anche questo sedicesimo romanzo della scrittrice
americana, non eccelso ma che comunque ha due innegabili meriti. Riesce ad
ambientare i suoi scritti in un’Inghilterra reale, pur scrivendo dall’altra
parte dell’Oceano. E riesce anche a tirar fuori trame non convenzionali. Come
questo lungo (questa è forse la pecca) romanzo basato sull’indagine di un
omicidio che poi omicidio non è. L’altra caratteristica peculiare dei suoi
scritti, poi, è l’intrecciarsi della trama principale con le vicende dei
personaggi ricorrenti (lo stesso protagonista Thomas Linley, ma anche Deborah,
Simon e il sergente Havers) che fanno da sfondo alla vicenda criminale. Qui
anzi, a tratti, lo sfondo diventa addirittura preponderante, s’intreccia
strettamente all’indagine e quasi la sopravanza. Sono passati, nella cronologia
della saga, circa otto mesi (e due romanzi) dalla morte della moglie Helen e
Thomas Linley sta faticosamente cercando di tirare avanti. Ha una relazione
problematica con Isabelle Ardery, il suo superiore, ed ovviamente non ha ancora
superato il grande dolore. Le cose non sono destinate a migliorare quando
Linley viene coinvolto dal sovrintendente Hilliard in un’indagine ufficiosa di
cui nessuno deve sapere niente: anche Isabelle dovrà essere tenuta all’oscuro,
e non ne sarà molto soddisfatta. Bernard Fairclough, ricco baronetto titolare
di una florida impresa, si è rivolto ad Hilliard per risolvere un problema
famigliare ed il sovraintendente non ha esitato a scaricare la faccenda sulle
spalle di Linley, particolarmente adatto a valersi di acume quanto di
discrezione. Linley vorrebbe evitare di venir trascinato in un’indagine i cui
risultati potrebbero poi essere occultati (perché questo è in fondo il nocciolo
della questione), però non può rifiutare un ordine diretto. Parte così per la
Cumbria e la Regione dei Laghi, dove vivono i Fairclough; lo accompagnano gli
amici Deborah e Simon St. James: in mancanza di aiuti ufficiali, saranno loro
ad affiancarlo nell’indagine, e in ogni caso l’abilità di Simon come esperto
forense potrebbe essere preziosa. Il problema su cui indagare è un presunto
omicidio: Ian Cresswell, nipote di Bernard e amministratore della sua
industria, è morto battendo la testa sul molo della rimessa per le barche, al
ritorno da un’escursione sul lago. Pare che l’uomo sia scivolato su di una
pietra malferma, e l’inchiesta ha stabilito che si è trattato di un incidente.
Bernard Fairclough però vuole accertarsi se sia davvero così, o se si debba
invece cercare un responsabile. Teme possa trattarsi di un membro della
famiglia, e più precisamente di suo figlio Nicholas, un ex drogato sulla via della
redenzione, sospetto a causa del turbolento passato e della probabile rivalità
con Ian. In famiglia quasi tutti avrebbero avuto un movente per la morte di
Ian: la vendicativa moglie Niamh, da lui abbandonata per un uomo, il bellissimo
Kaveh, di origine irachena; lo stesso Kaveh, che eredita la fattoria in cui
entrambi vivevano e che ora è libero di farsi una vita “normale” che soddisfi i
suoi tradizionalisti genitori; la figlia minore di Bernard Fairclough, Mignon,
finta disabile e vera ricattatrice, alla quale Ian intendeva tagliare i viveri;
l’altra figlia Manette, che continua ad abitare sotto lo stesso tetto con il
marito Freddie dal quale ha divorziato e che vorrebbe affiancare il padre in
maniera più diretta; e poi Valerie, la moglie di Bernard: ufficialmente è stata
lei a trovare il cadavere, ma nella sua deposizione ci sono alcune
incongruenze. Persino Tim, il figlio di Ian, un quattordicenne infelice e
disturbato, non sarebbe impossibile come colpevole, se si considera il rapporto
conflittuale che aveva sviluppato con il padre a causa della sua sessualità.
Insomma, le possibilità non mancano, però l’indagine di Linley non fa che
rafforzare la tesi dell’incidente: la morte di Ian è conveniente per molte
persone, ma nessuna di esse l’ha provocata. Mentre Deborah trova una dolorosa
affinità con Alatea, la moglie di Nicholas, che come lei non può avere figli e
sta cercando modi alternativi per diventare madre, l’indagine di Linley porta
comunque allo scoperto tutti i segreti della famiglia Fairclough, nonché dei
veri motivi per cui è stato richiesto l’intervento di Scotland Yard (di cui
ovviamente taccio). Siamo come al solito nella migliore tradizione dello stile
caro ad Elizabeth George, alla quale non dispiace certo rimestare nel torbido e
riesce a tirar fuori una corposa accozzaglia di misfatti assortiti. Insomma, al
solito, secondo me i suoi romanzi sono a volte un po’ lunghi, forse ingiustificatamente.
Certo, lei si lascia andare seguendo la vicenda principale e poi tutte le
secondarie (Tommy e Isabelle, Deborah e Simon, Barbara ed il simpatico vicino
di casa), facendoci sentire quasi a casa. Però si perde di vista lo scopo
principale dello scrivere. Ed alla fine si aspettano le ultime pagine (o forse
le prime del romanzo successivo).
Anne Perry “Congiura a Buckingham Palace” Mondadori euro 4,90
[A: 08/11/2013– I: 28/10/2014 – T: 31/10/2014] - &&&
[tit. or.: Buckingham Palace
Gardens; ling. or.: inglese; pagine: 270; anno 2008]
Passiamo
all’altra e più lunga serie scritta dalla strana scrittrice inglese di cui ho
già parlato a lungo. Quella “borghese”, di cui questo è il 25° episodio. Ed
anzi, qualcosa in più di borghese, visto che ci aggiriamo non in un posto qualsiasi,
bensì nei Giardini Reali del Palazzo di Buckingham, residenza ufficiale dei
reali inglesi. Piccolo inciso, il titolo inglese, come spesso nella Perry, si
riferisce ad un luogo, in genere teatro degli avvenimenti (giardini, ma anche
dentro il Palazzo stesso). I nostri esimi traduttori devono far colpo, devono
vendere, ed aggiungono quel “congiura” che serve da specchietto per le
allodole, ma serve soprattutto a svelare molto del libro stesso, in un certo
senso anticipandone gli esiti finali. I quali, come spesso ho detto tramando i
libri della Perry, sono spesso un po’ affrettati (ricordo che spesso ho
ipotizzato, a torto, che fossero addirittura tagliati dagli editor italiani),
mentre a volte avrebbero diritto ad un respiro più ampio. Ed anche questa
volta, mi rimane un piccolo dubbio latente, ma andiamo con ordine. L’ispettore
Pitt, questa volta, è chiamato, insieme alla Sicurezza Nazionale, poiché c’è
una ragazza morta a… Palazzo Reale. C’era una riunione d’alto livello,
organizzata per convincere il Principe di Galles, futuro re Giorgio V, ad
appoggiare il progetto di una ferrovia da Città del Capo al Cairo. Progetto
spinto dal sig. Dunkeld, ed appoggiato dal genero, dal fratellastro del genero
e da un ingegnere tra i migliori del regno. Dopo una cena con le mogli, i
quattro ed il principe fanno venire tre escort (si direbbe ora), una delle
quali non esce vive dal palazzo. Poiché è in gioco l’onorabilità dell’Impero,
Pitt per indagare si trasferisce a Palazzo, dove introduce come aiuto la sua
domestica Gracie. L’abilità della Perry è trasformare questa sorta di “delitto
in una stanza chiusa”, in un romanzo che tocca quasi le 300 pagine, riuscendo
ogni volta ad introdurre elementi di disturbo che rendono sempre più difficile
arrivare alla soluzione. Innanzi tutto, è il luogo stesso che rende difficili
le indagini, essendo impossibile, per ragioni di etichetta, interrogare il
principe ereditario. Poi, i quattro sono accompagnati dalle mogli, ed anche qui
la Perry ci presenta notevoli problemi di etichetta. Riuscendo tuttavia ad intrecciare
una complicata rete di rapporti. La moglie di Dunkeld è stufa del marito (che
mira solo ad un titolo nobiliare ed alla ferrovia), e sembra presa da Julius, il
genero. Minnie, la figlia di Dunkeld, poco più giovane della seconda moglie, è
molto farfallona, e pare abbia un debole per il fratellastro del marito. Solo
l’ingegnere con la moglie sembrano fuori da giochi, ma sembrano anche aver
paura di tutto, anche perché Liliane è figlia di un grande esploratore, messo
fuori gioco da Dunkeld, perché si occupava di navi e non di treni. Il delitto è
inoltre avvenuto in un’ala del palazzo dove potevano accedere solo loro otto.
Gracie, muovendosi tra la servitù e con più libertà di Pitt, riesce a tirare fuori
interrogativi strani: nella stanza dove è rinvenuto il corpo c’erano lenzuola
macchiate di sangue con lo stemma reale, nella cantina trova delle bottiglie di
Porto che invece di vino avevano contenuto sangue, e c’è un piatto di Limoges
misteriosamente distrutto, ed altrettanto misteriosamente ricomparso. Infine
Dunkeld aveva ricevuto una cassa probabilmente contente libri durante la notte
fatale, portata da un misterioso vetturino, che la porta poi rapidamente via e
scompare. Poiché i sospettati sono solo gli ospiti di cui sopra, ovviamente
sale la tensione, e anche piccoli accadimenti acuiscono l’atmosfera. Dunkeld,
mai convinto di Julius, sembra far di tutto per incolparlo, e Minnie si muove
per trovare prove contrarie. Le avrà sicuramente trovate, che anche lei viene
uccisa, con le stesse modalità della escort. Tutto converge su Julius, ma Elsa
Dunkeld confida a Pitt che un piatto simile a quello rotto era nel bagaglio del
marito. Dopo pagine e pagine di elucubrazioni, di sensazioni, di pranzi
ufficiali, di etichette rispettate o violate, ci si avvia rapidamente verso la
conclusione. Dunkeld, come sospettavamo dall’inizio, è l’artefice del tutto.
Volendo legare il principe al progetto, lo fa ubriacare e, una volta svenuto,
fa fuggire la escort, sostituendola con un cadavere procuratogli dal vetturino.
Poi fa di tutto per incolpare Julius al posto del principe che pensa essere
stato lui ad operare il misfatto. Quando Minnie lo affronta, lui, violento, la
sbatte a terra, e questa, cadendo male, purtroppo muore. Tutto però potrebbe essere
messo a tacere, non potendo imbastire un processo che coinvolgerebbe il
principe. Pitt ha il colpo di genio, però, di incolpare Dunkeld non di
assassinio, ma di alto tradimento, dove sarà giudicato e condannato a porte
chiuse. Tutto sembra finito, ma Pitt non si capacita del vetturino, ed in una
veloce indagine, scopre non essere altri che l’esploratore di cui sopra, che
faceva di tutto per sabotare il progetto. Queste sono le veloci pagine finali,
dove si arriva ad arrestare tutti i colpevoli, e tutto finisce in gloria per
Pitt. Ma la Perry non ci spiega come mai Dunkeld abbia chiesto aiuto per il ricatto
ad una persona che sapeva essere sia contro il progetto sia contro di lui. Nonostante
questa piccola flessione nella costruzione del racconto, il testo fila. E fila
la descrizione del mondo alto borghese londinese che si muove intorno al 1880
(datazione che desumiamo dalla vedovanza della regina Vittoria e da altre
letture che sto facendo sulle tradizioni inglesi dell’Ottocento e di cui prima
o poi vi parlerò).
Come
detto è una fine, ma prelude ad un altro inizio. Un 2015 che inizierà con
qualche lettore in più, e con un viaggio
immediato, un ritorno in India di “fosteriana” memoria, e, si spera, di altrettanta
lucida bellezza. Ora tutti accomunati in un grande abbraccio, ed in una grande
e fattiva attesa ai festi indubitati che ci porterà il Nuovo Anno, noi, come
diceva il buon Dalla, ci stiamo già preparando.