Titolo semi-geografico e
semi-letterario. Che da poche ore sono tornato da un bello ed appagante viaggio
in Vietnam (EST) e mi accingo a condividere con voi 4 autori scandinavi (NORD).
Due svedesi, con una nuova e non esaltante puntata della saga di Fjällbacka e
con al contrario una decisa ed interessante riproposizione dell’ambiente del
commissario Van Vetereen. L’islandese è il solo che conosco, ma qui è
altalenante. Mentre sono dispiaciuto del norvegese Nesbø che mi sembra stia in
calando con il suo Harry Hole.
Camilla Läckberg “L’uccello del malaugurio” Marsilio s.p. (regalo
collettivo Almaviva 2013)
[A: 07/05/2013 – I: 08/06/2014 – T: 11/06/2014] - &&
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[tit. or.: Olycksfågeln; ling. or.: svedese; pagine: 460;
anno 2006]
Dicevo
più o meno un anno fa, nella trama del terzo libro della saga di Fjällbacka che
nell’ultima pagina vedevo bene un “continua…”. Ed in effetti, ecco il seguito e
quarto episodio. Sappiamo anche, perché giriamo in libreria, che ne sono usciti
poi un quinto ed un sesto. Che non abbiamo ancora né abbiamo letto, ma se
continuano su questa falsariga poco ci fanno sperare. Il primo libro fu bello e
sorprendente, il secondo calò in basso di molto, e il terzo risalì un po’ la
china. Questo invece continua a scendere. Certo, Camilla è brava a tenere in
piedi tutti i personaggi della cittadina svedese, li riprende, li fa evolvere.
Ma è altrettanto vero che la tensione verso il giallo è ridotta ai minimi
termini, tanto che, salvo piccoli aggiustamenti in corso d’opera, il nucleo
principale del mistero lo immaginiamo già dopo le prime 100 pagine. Ed è un po’
presto, per un libro di quasi 500! Intanto, come detto, il libro si fa sempre
più corale. Non c’è solo Erica al centro della scena. Anzi, qui è molto
defilata. Anche se per tutto il libro assistiamo ai preparativi (finalmente)
delle nozze tra lei e Patrick. Il quale diventa il vero perno, almeno
dell’indagine e del tirare le fila. Indagine che nasce dalla morte di Marit, la
donna che abbiamo seguito in precedenza lasciare il marito ed andare a
convivere con Kerstin, l’amica che la consola dalla dura vita avuta finora con
il rozzo Ola. Sembra un banale incidente d’auto dovuto ad un alto tasso
alcolico. Peccato che Marit sia astemia. Per creare un po’ di confusione nella
tranquilla vita cittadina, la nostra scrittrice da un lato ci fa seguire la
rinascita di Anna, la sorella di Erica, che uccise il marito per legittima
difesa, ed ora, dopo un lungo periodo buio, sembra cominciare a riprendere
gusto alla vita. Aiutata da Dan (un amore giovanile di Erica) che nel frattempo
si è separato dall’odiosa Priscilla. Dall’altro fa irrompere nella tranquilla
cittadina una banda di reality show svedese. Non è “Il grande fratello”, non è
“L’isola dei famosi”, ma un sottoprodotto intitolato “Fucking qualcosa”. Dove
il qualcosa è di volta in volta una cittadina svedese, e il primo termine si
riferisce a catapultare nella suddetta cittadina cinque – sei ragazzi
disadattati, riempirli di birra, e riprendere i casini che fanno. Romanzo nel
romanzo, questo dà dei piccoli spunti interpretativi sull’attuale realtà
svedese (ed è forse la parte a volte interessante del libro, almeno
sociologicamente nuova, anche se non riuscita completamente). Terzo elemento di
disturbo, la sostituzione del poliziotto incapace della terza puntata con una
poliziotta rampante, tal Hanna, che si sposta continuamente di distretto in
distretto negli ultimi anni, con al seguito un tal Lars con il quale ha uno
strano rapporto. Intanto, viene uccisa uno dei personaggi del reality. E
Patrick, invece di pensare alle nozze, deve seguire due inchieste. Anche perché
il suo capo, che in genere delega allegramente, questa volta delega di più,
essendosi innamorato di una signora (che qui lo dico e poi non ci torno, mira
solo ai suoi soldi e riuscirà ad averli, con grande scorno del poliziotto).
Altro elemento strano della morte di Marit è poi la presenza di una pagina di
un libro per ragazzi “Hänsel e Gretel” (a proposito, ve la ricordate, la favola?
E se ve la ricordate, già avete risolto molti misteri). Ricerca a tappeto in
tutta la Svezia, e sbucano cinque – sei casi di morti sospette, tutte con una
pagina del libro. Uno dei poliziotti del dipartimento scopre inoltre
casualmente un nome in controluce su di una pagina. Da quello si risale ad una
prima donna morta in un incidente stradale, dove sono coinvolti due gemelli.
Che però non erano figli suoi, ma di un’ubriacona che vive poco distante da Fjällbacka.
Inoltre, il primo morto risulta essere il padre della concorrente del reality
uccisa. Che all’epoca aveva dieci anni, ma che vide probabilmente l’assassino.
Tutto si collega. E Patrick, mettendo i vari morti sulla mappa della Svezia ha
un’intuizione fulminante: è un percorso che aveva già notato leggendo… Non vi
posso dire tutto, no. Leggetene un po’, visto che siete a rilento con le
letture (oppure cercate di indovinare, che vi ho dato tutti o quasi gli
indizi). Comunque, alla fine Patrick ed Erica finalmente si sposano. E mentre
rovistano in soffitta, trovano un vecchio baule della madre di Erica ed Anna
che contiene … Mi sa che se ne parlerà, nel caso, nel quinto libro.
Arnaldur Indriðason “Un doppio sospetto” TEA euro 10 (in realtà,
scontato a 8 euro)
[A: 23/05/2013– I:
29/06/2014 – T: 02/07/2014] - &&&
[tit. or.: Myrká; ling. or.: islandese; pagine: 316; anno 2008]
E
torniamo dopo un anno ad immergerci nelle atmosfere della fredda Islanda. Dei
suoi abitanti che si conoscono tutti e si chiamano per nome. Della squadra
poliziesca della capitale. Avevamo lasciato il commissario Erlendur che andava
verso la montagna dove scomparve il fratello quando aveva 8 anni. Forse è
ancora lì, che qui, ad indagare sulla morte del turpe Runólfur è la sola
Elíngbor, dato che anche l’altro ispettore Sigurður Óli, preso dalle sue
vicende familiari, sta un po’ defilato (e forse è meglio). Sappiamo già, dalle
altre prove di Arnaldur, che la sua forza non è tanto nella parte poliziesca,
quanto nell’atmosfera generale. Anche se, nei precedenti scritti, il giallo
aveva comunque un suo posto. Soprattutto dovuto alle capacità investigative del
commissario Erlendur. Qui, il giallo è talmente ridotto ai minimi termini che
si aspetta solo che anche l’ispettrice Elíngbor ci arrivi per chiudere il
libro. Runólfur è uno spostato, quasi sembrerebbe uno psicopatico degno di una
grande carriera criminale (si lava continuamente le mani, è un tecnico
elettronico capace di far perdere le sue tracce “informatiche”, è sempre
provvisto di Roipnol, la droga dello stupro). Ma dopo una partenza alla grande,
si perde presto, e non ci meravigliamo di trovarlo ucciso. Aveva circuito una
giovane, l’aveva drogata, stuprata, e ci si aspetta che questa, una volta
sveglia, lo massacri ben bene. Invece lei lo trova morto, ed invece di chiamare
la polizia (si sa che non è bello subire violenze sessuali, e che la polizia in
genere non ci va tenera), chiama il padre e si allontana dal luogo del delitto,
lasciando solo una pashmina che sa di tandoori. Ovviamente Elíngbor è
appassionata di cucina (questo lo sapevamo già), e non è difficile in un
piccolo paese com’è la “grande” Islanda, trovare tracce di cucina indiana.
Trovata la giovane, trovato il padre (il doppio sospetto del titolo, ma quanto
fuorviante! Infatti, il titolo originale parla di qualcosa tipo “oscuramento,
perdita di coscienza”, esattamente come avviene dopo aver preso il Roipnol), sembra
tutto facile. E pur tuttavia Elíngbor non si persuade. Capisce che bisogna
scavare nel passato del violento, risale alla città natale, al padre suicida,
alla madre generalessa ed incline ad una rude educazione (tanto che il figlio
quando può se ne allontana). Nella piccola cittadina della grande isola anche
di più è un sapere tutto di tutti. Facilmente, con l’aiuto di qualche ragazza
locale che non si rassegna, Elíngbor scopre tutto il passato del cattivo,
risalendo al primo stupro, al suicidio della violentata, al fratello della
stessa…. Insomma, alla fine tutto si risolve, in quella direzione che già dalla
bevuta al pub del terzo capitolo avevamo tutti capito e/o immaginato, lasciando
aperta la porta ad un altro mistero (un caso non risolto) che magari potrà
essere la base di un successivo racconto. Pur tuttavia, non è questo l’aspetto
che più preme verso il piacere della lettura degli scritti di Arnaldur. Qui ci
vedo due aspetti, uno di testo ed uno di contesto interessanti. Nel contesto,
l’autore, dopo una serie di scritti basati su di un personaggio, si trova
bloccato non riuscendo a portarlo avanti bene. Allora cosa fa? Lo fa uscire di
scena (per un po’? per sempre? Vedremo), ed utilizza un personaggio di contorno
per approfondirlo e farlo venire in primo piano, cercando di capire se possa
diventare il centro di altre avventure. Abbiamo così Elíngbor, con la sua
storia, la sua famiglia, ed il suo modo di procedere very “icelandic”. Questo
ci illumina sul testo, e sul modo di vivere isolano degli isolati isolani. Chi
come noi ne ha fatto un giro, ne vede tracce ad ogni pagina. Il conoscersi
tutti e chiamarsi per nome, la fiducia (in principio) che si ha verso l’altro,
il modo rilassato di affrontare situazioni, la piaga dell’alcool. Elíngbor
l’ispettrice – mamma – cuoca, è un tipico esempio. Ha un marito che possiede
un’officina meccanica, con il quale si alterna nella gestione della casa e dei
figli (anche se Teddi non è che sia un fulmine in cucina). A Teddi muore una
sorella, e loro ne adottano il figlio. Poi hanno loro tre figli, due maschi
(scapestrati come tutti i maschi) ed una bimba, Theodóra, che è molto
intelligente e sembra anche simpatica. E si vive la vita quotidiana di una
tipica famiglia islandese. Il figlio adottato, ai sedici anni, decide di andarsene
per cercare il padre che vive in Svezia. Il figlio più grande, Valþór, non
parla in casa e scrive tutto su Facebook, dove Elíngbor, pur non volendo, ne
segue le gesta e capisce che ben presto anche lui se ne andrà. Ricordano molto,
come allo specchio, i personaggi di Olafsdottir e dei suoi libri, come a
confermare che quando si è islandesi, lo si è fino in fondo. Ed è per questo,
infine, che continuerò a leggere i libri degli scrittori del Grande Nord.
“Era lunedì; lo aspettava una serata di
bridge a casa di un amico. Incontrava gli stessi compagni di gioco ogni lunedì
sera… Gli anni erano trascorsi senza alcun cambiamento, tra doubleton e slam.
Erano invecchiati dignitosamente davanti al tavolo di gioco, quegli uomini un
tempo giovani… Erano legati da un’amicizia cortese e silenziosa, e da un
profondo interesse per i segreti del bridge.” (140)
Håkan Nesser “Un corpo sulla spiaggia” TEA euro 9 (in realtà, scontato
a 6,75 euro)
[A: 01/02/2014 – I: 27/08/2014 – T: 29/08/2014] - &&&
e ½
[tit. or.: Ewa Morenos fall; ling. or.: svedese; pagine: 310;
anno 2000]
Ed
ecco che orniamo ad uno dei punti forti della letteratura “noir”. Siamo nella
grande fucina svedese, quella che dai capostipiti Sjöwall & Wahlöö, tanti
buoni scrittori ha prodotto. Oltre a Nesser, ricordiamo Mankell, il compianto
Stig Larsson, Liza Marklund, tanto per citare i più diffusi. Nesser ha la
particolarità di aver creato un piccolo mondo in cui racchiude il suo sistema
di relazioni e di indagini. Ha scritto (dal 1993 al 2003) dieci romanzi
ambientati nella fittizia cittadina di Maardam, poi dal 2006 ad oggi altri
cinque in quella di Kymlinge. Questo è l’ottavo della prima serie. E qui
veniamo alle dolenti note rispetto all’editoria italiana. Perché questo libro
(certo non il migliore della serie) esce per la prima volta in Italia una
dozzina di anni dopo la sua pubblicazione, e dopo 4 libri della seconda serie.
Facendoci perdere la cosmogonia di Maardam e le sue ramificazioni. Infatti,
Nesser inventa questa cittadina “atipica” che ha in sé un mix di caratteri
scandinavi con influenze olandesi. Vi impianta una stazione di polizia
all’inizio comandata dal commissario Van Vetereen, che nel settimo libro si
dimette per aprire una libreria antiquaria. Rimane comunque la sua squadra, ed
in questo ottavo abbiamo appunto al centro dell’azione l’unica donna del
gruppo, Ewa Moreno. E non è un caso che il libro in edizione originale si
chiame “Un’indagine di Ewa Moreno”. L’ispettrice Moreno è sulla trentina,
single, dedita al 100% al suo lavoro, cui si è dedicata perché “vuole
assicurare i criminali alla giustizia”. Tanto dedicata che il romanzo si svolge
durante le sue ferie estive. Ferie che ovviamente troverà il modo di passare in
tutt’altro modo rispetto al previsto. Obliquamente alla trama “noir” c’è la sua
storia con il coetaneo Mikael, iniziata sotto buoni auspici, ma che si deteriora
nel corso dell’estate (e nel corso dell’indagine), ponendo ad Ewa delle domande
esistenziali sul suo rapporto con gli uomini, con il lavoro, con il mondo (e
sono domande che tutti ci poniamo quando ci fermiamo a riflettere sulla vita
che stiamo vivendo). La vacanza si interseca con una strana storia che lega
passato e presente. Nel treno che la porta al mare, Ewa incontra una ragazza
diciottenne che sta andando nella stessa città di Ewa per incontrare per la
prima volta il suo vero padre, di cui ignorava l’esistenza, rinchiuso in un
manicomio. Rivelazione che le ha fatto la madre come regalo per il suo compleanno
(!!). Il padre era andato fuori di testa sedici anni prima quando venne
accusato dell’uccisione di una studentessa, lui insegnante di liceo, con la
quale aveva avuto una notte d’amore e che alla morte risultava incinta.
L’autore ci fa capire, con sapienti flashback che ci sono dei misteri in quella
morte. Misteri che si infittiscono dato che la ragazza, dopo aver incontrato il
padre, sparisce. Dopo una settimana sparisce anche il padre dal manicomio. Ed
il giorno dopo si trova sotto la sabbia il cadavere di un uomo, Tim. Ora questo
Tim era proprio il ragazzo di Winnie la studentessa morta. E la madre di Tim,
all’epoca dei fatti, era l’amante del commissario di polizia incaricato delle
indagini. Con un sapiente lavoro di piccole scoperte, di passi avanti, di
caratterizzazioni di personaggi, alla fine, tutta (o gran parte) della verità
viene fuori. Tim e Winnie volevano ricattare il professore con la storia del
bambino, che era vera, ma era loro e non dell’unica scopata fatta dal
malcapitato. Winnie vuole tirarsi indietro, ma prima denuncia il professore
alla moglie. E mentre tutti si precipitano verso uno strano appuntamento
notturno, qualcuno uccide Winnie. Il professore pensa sia stata la moglie, e si
chiude al mondo esterno, facendosi condannare come infermo. Il commissario non
porta avanti le indagini per evitare di scoprire altarini. La moglie va via con
la piccola che ora, tornata, accetta l’innocenza del padre. E nel corso delle
sue indagini viene aggredita dal vero assassino. C’è anche qualche altro
elemento del mondo di Maardam al contorno, ed un cammeo finale del commissario
con la sua ex squadra. Tanto appunto per ribadire la costruzione di Nesser di
questo mondo da lui voluto come esempio dei possibili guasti della civiltà
nordica e delle possibili vie per affrontarli con in mente correttezza e
giustizia. Certo, preso così isolatamente, il libro risente degli anni e
dell’isolamento dal contesto. Elementi che io, con questa modesta trama, cerco
di restituire all’autore che continuo a ritenere tra i più validi autori
seriali degli ultimi venti anni.
“Ogni occasione perduta andava recuperata il
prima possibile e nel migliore dei modi. Perché si vive una volta sola, e certe
volte nemmeno quella.” (190)
Jo Nesbø “Lo spettro” Einaudi euro 14 (in realtà, scontato a 11,90
euro)
[A: 09/11/2013– I: 05/11/2014 – T: 09/11/2014] - &&
[tit. or.: Gjenferd; ling. or.: norvegese; pagine: 551;
anno 2011]
Sono
rimasto molto deluso da questo che credo sia l’ultimo o il penultimo romanzo
della serie di Harry Hole, ideate dallo scrittore norvegese. Oltre ad essere
particolarmente lungo, ma potrebbe non essere un difetto, è involuto, contorto
ed alla fine scontato. Si vede lo sforzo di chi avendo esaurito la spinta
propulsiva dell’idea da cui nasce il personaggio, tenta di chiudere in qualche
modo le fila, mettendolo di fronte a situazioni che non potranno che portare
alla considerazione finale di quell’intrigante film che fu “War Games” quando
il computer dice “l’unica maniera di vincere è non giocare”. E dico questo dopo
che anche alla fine dell’ultimo libro avevo salvato personaggio e scrittore.
Hole, rifugiatosi ancora una volta in Asia, torna a precipizio, or che son
passati almeno tre anni, in quanto il suo amato Oleg è accusato di omicidio.
Harry in Asia si è finalmente disintossicato dall’alcool, ma torna in una Oslo
devastata dalla droga. Qui ritrova due fili rimasti in sospeso da tutta la
serie. Mikael, ora capo della Polizia Criminale, sempre ambiguo e forse anche
qualcosa di più. E Rakel, il suo grande amore, la sua “pallottola unica” come
direbbe Harry Bosch del sempre sulla breccia Connelly. Assistiamo così ad una
narrazione condotta su due binari. L’agonia di Gusto, il pusher assassinato,
che (fortunatamente in corsivo) narra la sua storia di emarginato, poi di
drogato, di ladro, di spacciatore. La sua strana amicizia con Oleg, che porta anche
il ragazzo sulla strada della droga. Il suo ambiguo rapporto con la sorellastra
Irene, cui pur volendo bene non esita a servirsene per i suoi fini da drogato.
Perché un drogato, e questo ben lo rende Nesbø, di fronte alle crisi di
astinenza, è disposto a tutto. E quando dico tutto, è proprio tutto. A mettere
a rischio se stesso, a vendere amici e conoscenti, ad uccidere anche. Tutto ciò
in una Oslo dove viene immessa sul mercato una droga sintetica che crea subito
dipendenza, ma che ha un bassissimo tasso di morti per overdose. Per evitare
lotte interne ai vari cartelli di pusher, uno spacciatore d’origine russa, con
una piccola banda di accoliti, si accorda segretamente con la bella Isabella
(che sarebbe dell’antidroga, ma che fa corsa a sé), per eliminare tutti i
concorrenti. Isabella era stata l’amante di Gusto, ma ora fa la scalata al
potere, e si accorda (praticamente e sessualmente) con Mikael. In tutto ciò, si
muove Harry che non è più poliziotto, ma che ha ancora qualche amico,
soprattutto la simpatica Beate della Scientifica, che gli risolve i problemi
derivanti da prove, da DNA, e da altre piste che altrimenti non potrebbe
seguire. E si fa aiutare da Rakel per entrare di nuovo in contatto con Oleg.
Capiamo subito però che mentre sul lato amore c’è e ci sarà sempre quella
pallottola, tra Oleg e quello che era stato il padre putativo si è rotto il
filo di comunanza. Nesbø ci porta anche qui a ragionare sulla realtà, sul fatto
che Oleg è ormai anche lui “schiavo” della nuova droga. Benché cerchi di
mantenersi al limite, si innamora di Irene, cosa che rende facile a Gusto di
coinvolgerlo nei suoi turpi traffici. C’è anche Truls, uno scagnozzo di Mikael
che, da bravo poliziotto corrotto, riesce anche a far sparire e comparire prove
a proprio (o meglio a Mikael) piacimento. Mentre Gusto ci narra gli antefatti,
dove vediamo lo sprofondare suo e di Oleg, Harry ricostruisce i fatti. In una
sarabanda finale (lunga però un centinaio di pagine) veniamo portati a diverse
soluzioni possibili, veniamo avvicinati ad alcuni ipotetici lieti finali. Ma
tutto finisce nella negatività dello scrittore. Scopriamo che il russo è il
vero padre di Gusto, e che, avendo un cancro terminale, cerca di provare se
Gusto possa prendere il suo posto. Negativo. Harry scopre il rifugio del russo,
inconsapevolmente aiutato da Truls, fa fuori i due guardaspalle del russo,
trova il dottore malefico che aveva scoperto la nuova droga sintetica, e che
aveva venduto una parte del prodotto a Gusto in cambio di Irene, libera Irene e
fa in modo di neutralizzare il dottore. Così come scopre le identità nascoste
del russo, ed anche lui farà una brutta fine. E mentre Rakel lo aspetta
all’aeroporto per partire con lui verso Bangkok, ha una resa di conti, verbale
e non solo, con Oleg. La fine però è volutamente, anche se non tanto, criptica.
È vero che Oleg ha ucciso per legittima difesa o perché voleva riprendersi
Irene? E come finisce il confronto tra Harry e Oleg? Ed il corretto Mikael e la
corrompenda Isabella che fine faranno? Rakel partirà per l’Asia? Perché in sala
d’attesa c’è anche Irene? Oleg raggiungerà la madre? O andrà in carcere? Nesbø
non vuole, almeno esplicitamente, rispondere a tutte queste domande. A lui
basta continuare a ripetere che tutti sono corrotti, che nessuno può salvarsi,
che non c’è redenzione possibile. Che la società è marcia. Ed in particolare lo
è quella norvegese. Un lucido esame, se vogliamo, ma troppo scontato, come
detto all’inizio. È vero che non ci siamo mossi di un passo dal bellissimo film
“Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, con tutti i
distinguo del caso. Però il modo di condurre il gioco da parte di Nesbø non mi
piace. Non si piò portare avanti un personaggio per 6 libri, e farne venire
fuori uno diverso al settimo (e parlo di Oleg e non di Harry). Non si può accennare
che è possibile uscire, e poi chiudere tutte le porte. Ripeto, quindi, l’unico
modo di vincere è non giocare. Oppure aspettare altre prove meno deludenti.
Avevo una buona idea della presa sulla società norvegese dei suoi scritti. Ora
sto pensando che ci sia qualche altro punto che non ho colto fino in fondo. O
che il pessimismo di Nesbø abbia raggiunto un livello tale che non riesca
neanche lui a trovare una via d’uscita (ad un certo punto, Harry dice: “Gli
esseri umani sono una specie guasta e non c’è guarigione” e mi sembra che sia
l’epitaffio alla filosofia di Nesbø). O che si sia rotto di Harry Hole e voglia
tirarsene fuori. Scordandosi la lezione di Conan Doyle. Peccato!
“Ho bisogno di un brav’uomo, e allora perché
non lo voglio un brav’uomo? Perché siamo così maledettamente irrazionali quando
sappiamo benissimo che cosa è meglio per noi?” (367)
Stravolto
di stanchezza (speriamo in un pronto recupero dai fusi orari), senza
possibilità di respirare (un potente raffreddore mi ottunde il cervello),
l’unica attività che riesco a pensare è quella di spedire questa trama in odore
di Natale (dato che in Scandinavia riposa Babbo e le sue renne). Una bella
dormita speriamo ci rimetta in sesto, per affrontare questa settimana che non
sarà di rose e fiori. Un colpo di tosse ed un saluto nonché (ma da molto
lontano se no vi ammalate pure voi),
un bacio
Giovanni
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