domenica 23 agosto 2015

Banana ed altro - 23 agosto 2015

Tornato dall’ottimo, ed impagabile, giro nel Baltico, eccoci che si ritorna ad alcune certezze e a molti amori. Banana è da sempre una costante, e qui, pur nella sua brevità, rimane all’altezza delle mie aspettative. Che invece sorpassa, seppur di poco, la Taylor di Angel, e invece di molto e con merito lo strano libro di Jennifer Egan (leggetelo).
Banana Yoshimoto “Andromeda Heights. Il Regno volume 1” Feltrinelli euro 11
[A: 12/02/2015– I: 23/02/2015 – T: 14/02/2015] - &&& 
[tit. or.: Ōkoku. Sono 1. Andromeda Heights; ling. or.: giapponese; pagine: 100; anno 2002]
Banana Yoshimoto “Il dolore, le ombre, la magia. Il Regno volume 2” Feltrinelli s.p. (regalo di Ale)  
[A: 25/12/2014– I: 15/02/2015 – T: 16/02/2015] - &&& 
[tit. or.: Ōkoku. Sono 2. Itami, ushinawareta mono no kage, soshite mahō; ling. or.: giapponese; pagine: 100; anno 2004]
Non posso che tramare insieme questi due libri dell’esimia Banana, sia perché sono legati tra loro, sia perché sono entrati nella mia libreria anche loro in modo congiunto. Ale, sapendo la mia passione per le delicate atmosfere della ormai cinquantenne giapponese mi ha regalato il secondo volume della quadrilogia “il Regno”. E come potevo io, prima di intraprendere la lettura del secondo, non comperare e leggere il primo? Idea ovviamente vincente, che gran parte delle atmosfere del dolore e della magia avrebbero avuto poco senso senza conoscere gli antefatti descritti in Andromeda. Complessivamente, mi sembra che l’idea della scrittrice sia quella di imbastire una saga sul corretto rapporto tra uomini, e tra uomini e natura, in armonia e senza prevaricazioni. Ci introduce quindi nella saga della giovane Shizukuishi (che non si capisce perché la quarta di copertina si ostini a chiamare Yoshie), e nei drammi della sua inurbazione, dopo una giovinezza vissuta (felicemente anche se duramente) in montagna. Per agnizioni e rimandi scopriamo quindi la storia della sua vita. Prima di tutto l’assenza di genitori: non si sa se siano esistiti, e che funzione hanno avuto (oltre alla procreazione). È presente invece la nonna, di cui, tuttavia, non abbiamo molte notizie dirette, se non che ha un feeling speciale con le piante e con la preparazione di tè curativi. Le due vivono fuori di rotte trafficate (in campagna, ai piedi di un qualche monte), ma vengono visitate, spesso e con successo, da tutte le persone che hanno bisogno di cure. La nonna li guarda, li ascolta, e poi prepara una mescolanza sapiente delle sue erbe. Mai direttamente, ma nel corso di questi due primi volumi, vediamo come la gente si ristori dalla nonna, o ne prenda i medicamenti dell’anima. E quanto affaristi senza scrupoli tentino di appropriarsi del suo commercio, di coinvolgerlo in contesti industriali. Ma le piante non resisterebbero a colture intensive, o a mono culture. La vita in campagna è faticosa, senza distrazioni, alzarsi presto, andare alla ricerca delle erbe, la loro coltura, ricevere la gente, andare a letto stanchi ma appagati. Niente televisione (e vedremo che ha un senso). Niente richieste ai “malati”: daranno quello che possono, commisurato alla riuscita delle tisane. La “sinistrosa – ambientalista” Banana introduce così il concetto di armonia con il creato. Non abbiamo bisogno di accumulare denaro, ma solo di essere ricompensati il giusto per quello che facciamo, e per avere il sostentamento per continuare a farlo. Non ci sono negozi, lì in campagna, sono così vicini e clienti che portano alle due “maghe delle erbe” quanto serve loro per vivere. Tuttavia l’opera dell’uomo interviene a modificare il quadro della natura. Cambi di colture e disboscamenti fanno depauperare la montagna. La nonna cerca di mantenere i suoi cactus per continuare colture e cure. Non ci riesce. Deve così considerare un cambio di vita. E radicale: decide di andare a vivere con un coetaneo cui corrispondeva via mail. In tutt’altri luoghi, trasferendosi con lui a Malta, dove coltiva i suoi cactus mentre lui insegna inglese a giapponesi in transito. Shizu decide allora di trasferirsi in città (Tokyo?) dove affitta un appartamento, ci si installa con i suoi cactus, e cerca di capire come vivere in città. Con i rapporti mutati, con la differenza di essere immediatamente a contatto con le persone (e di continuo). Ci vorrà tempo e spazi aperti per affrontare questa nuova vita. Diventa amica dei gestori di una “izakaya” (un ristorante informale) dove trascorre la maggior parte del tempo. E che la indirizzano verso il sensitivo Kaede. Un ipovedente che, al contatto di persone e oggetti “vede” passati e presenti, rilasciando magie alle persone che vanno a consultarlo (descrive situazioni, ritrova oggetti, suggerisce comportamenti). La nostra entra subito in sintonia con Kaede, e ne diventa la fedele assistente. La sua natura è sempre quella di essere complementare a qualcuno che ha un dono. Mai in prima persona, ma aiutando a compiere le diverse attività. L’unica particolarità di Shizu è la capacità di “sentire l’odore” delle persone. Per questo sente il buon odore di Kaede, anche se non è l’odore dell’amore, ma dell’ammirazione e dell’amicizia. E sente l’odore di Shin’ichirō, l’uomo che cura i cactus al giardino botanico, un odore pulito, forse vicino a quello dell’amore. E con lui comincia una “storia clandestina” come dice lei, che lui è sposato (infelicemente), e loro si incontrano in cui “lonely hostel” che abbiamo visto in Giappone (ricordi Ale?). E l’odore cattivo dei nuovi vicini di casa, che porteranno tanti guasti nella sua vita. Infatti, dopo ubriacature e liti, si massacrano a vicenda, riducendo in cenere il loro appartamento e quello di Shizu. Fortuna che molti suoi cactus li aveva trasferiti da Kaede. Ma altri non si salvano. Piccole riflessioni, allora, sulla vita e sulle sue complicazioni. Intanto Kaede decide di trasferirsi temporaneamente a Firenze con il suo amante – manager Kataoka (meglio vivere all’estero per due gay timidi, forse?), lasciando così il suo appartamento alla ormai senza casa Shizu. Da questi antefatti, prende il via il secondo libro, che è sempre più una riflessione della nostra eroina che una racconto di “avvenimenti”. Con una crasi della pur eccellente traduzione di Gala Maria Follaco, il dolore del titolo viene privato della “perdita di ombra e magia”, unendo i tre termini solo da virgole. Certo, il dolore è il filo rosso di tutta l’opera. Dolore per le perdite, per il modo di vivere degli uomini, per la mancanza di rapporti. Mancanza che la nostra Shizu ci mostra in modo palese e duro nel suo rapporto con la televisione. Mentre nel primo, come detto, questa non c’era, ora lei ne vince una in una lotteria. Ed una volta accesa non riesce più a staccarsene, come una droga che ne taglia i ponti con il resto dell’umanità. Una bella descrizione, che faccio mia proprio per la mia mancanza di apparecchi TV, e che con una difficoltà infinta alla fine riesce a superare. Ma solo dopo una lunga mail della nonna da Malta, ed una foto della Venere di Malta (statuina piccola e delicata del Museo Archeologico). Che Shizu convincerà a visitare anche a Kaede e Kataoka (unitamente ai bellissimi e da me sempre ricordati dipinti di Caravaggio nella cattedrale di San Giovanni a La Valletta), facendo in modo che “i suoi amori” all’estero si conoscano e ribadiscano la sua centralità per loro. Si perdono le ombre, anche. Ad esempio nel rapporto con Shin, che questi (senza dirglielo) finalmente riesce ad approdare al divorzio. E a continuare su di un piano uguale ma diverso il suo rapporto con Shizu. Forse anche la magia si attenua, anche se l’amore per i suoi cactus rimane sempre, come rimane sempre la sua capacità di creare tisane e beveraggi per le persone a lei care, e per farle entrare in sintonia. Come detto, un secondo volume in cui è tutto un susseguirsi di sue riflessioni, e dove le azioni sono ridotte al minimo. Qualche accenno alla vita maltese della nonna, i rimpianti (ma neanche tanto profondi) per non sapere nulla del suo passato familiare, un ritorno veloce di Kataoka, dove, finalmente, loro due riescono ad instaurare un rapporto non conflittuale, mostrando e rivelando vicendevolmente i lati migliori di loro stessi. Le passeggiate per le strade piene di negozi, che inducono riflessioni sulle diversità tra città e campagna, dove, forse un po’ idilliacamente, Shizu pensa alla felicità di camminare tra la gente e di avere con loro “rapporti e scambi”. Come la descrizione, breve ma intensa, del vecchio pescatore e della sua capacità di riversare verso gli altri le sue conoscenze in fatto di pesci e del modo di cucinarli. E riprendere questo rapporto nel finale, con il vecchio ormai andato, ma con nipote che riprende la tradizione, e riprende il discorso con Shizu mentre questa si preparare ad organizzarsi una cena con oden, udon, wasabi, sashimi, e chikuwabu (vedi in coda per la descrizione della cena). Certo la nonna continuerà a stare a Malta (ma forse nei volumi successivi Shizu l’andrà a trovare?). Mentre Kaede e Kataoka tornano a Tokyo e riprenderanno il modo di vivere, aiutati dalla crescente assistenza di Shizu. E forse Shizu e Shin troveranno il modo di finalizzare il loro rapporto e il rapporto che hanno con le piante. Ma soprattutto Shizu comincia a cambiare dalla chiusura del mondo in campagna alle aperture del mondo cittadino. Con la speranza di riuscire a creare nuovi modi di stare. Vedremo. Per ora continua il modo delicato di scrivere di Banana, a volte forse etereo. E pur tuttavia delicato, e capace di far uscire delle piccole frasi che suonano e risuonano. Non sono libri che stravolgono la vita, ma con umiltà portano acqua al loro mulino. A me danno materie di riflessioni. E non è poco.
“La montagna ci ha sempre donato qualcosa, eppure gli uomini non hanno sempre accolto quei doni con umiltà.” (vol. 1, 30)
“Finora mi ero sempre sentito solo e triste, ma con te so che posso continuare a vivere.” (vol. 1, 69)
“Se decido di farlo vuol dire che lo posso fare. Rinunciare significherebbe essere schiavo del tempo. Se si sta con le mani in mano quando si desidera qualcosa, si rischia di non ottenerla più…” (vol. 1, 83)
“Tutti prima o poi invecchieremo, nuove generazioni nasceranno e il tempo farà il suo corso: esserne consapevoli, in fondo, non è poi così male.” (vol. 2, 29)
“Amare significa sentire che ogni istante è irripetibile” (vol. 2, 40)
“So molto bene quanto gli esseri umani possono essere fragili, e capita a tutti, almeno una volta nella vita, di vivere momenti particolari e ritrovarsi aggrappati a qualcosa.” (vol. 2, 58)
“Ogni volta che finisce qualcosa, comincia qualcos’altro. Siamo solo noi a scegliere se vederlo o non vederlo.” (vol. 2, 87)
Queste le indicazioni per la rilassante cena di Shizu. Il chikuwabu è uno degli ingredienti per la versione tokyoita degli oden (piatto composto di una zuppa con vari ingredienti, come uova, radici, alghe, verdure; si consuma, molto caldo, prevalentemente in inverno), con un impasto simile a quello degli udon (pasta lunga di farina di frumento di formato piuttosto spesso), a cui si conferisce una forma cilindrica, prima di cuocerlo a vapore. I sashimi, invece, sono fettine di pesce crudo che si consumano con un intingolo a base di salsa di soia e wasabi (vegetale della famiglia del ravanello da cui si ricava una pasta di colore verde e dal gusto molto piccante).
Elizabeth Taylor “Angel” Beat euro 9
[A: 04/01/2014– I: 13/02/2015 – T: 19/02/2015] - &&&& 
[tit. or.: Angel; ling. or.: inglese; pagine: 300; anno 1957]
No, non è l’attrice dagli occhi bellissimi, ma una bravissima scrittrice inglese del Novecento molto amata in patria, casualmente omonima, e sfortunatamente ormai morta da quaranta anni. Non la conoscevo, e devo dire sempre grazie alla fucina delle cure con i libri se mi fa scoprire nuovi autori, nuovi libri di vecchi autori, ma anche libri che non mi piacciono di autori nuovi o vecchi. Ogni lettura porta sempre con sé qualcosa (e d’altra parte, come non potrebbe essere così, dal momento che ogni viaggio porta con sé qualcosa, e chi legge è un viaggiatore, come sostiene Ale). Ma torniamo alla Taylor. Non fu una scrittrice prolifica (si citano una decina di titoli) e fu anche molto riservata (una sua amica incaricata di scriverne la biografia rinunciò dicendo che non c’erano avvenimenti tali da poter sostenere il peso di un libro). Amata, ed anche qui lo riporto, anche per alcuni suoi libri per l’infanzia. Venendo a questo libro, è una lunga carrellata della storia della vita di Angelica Deverell, detta appunto Angel. La vediamo adolescente che non riesce ad interagire con i suoi coetanei, immaginandosi una vita altra, piena di ricchezza e signorilità, lei che vive in una sperduta campagna inglese, che non ha conosciuto il padre, e con la madre titolare di un negozio di alimentari. Angel si sente diversa, sente che ha un mondo di “lustrini, begli abiti e grandi signore aristocratiche” dentro di sé. E per sfuggire la sua triste vita, decide di scrivere, di mettere sulla carta questo suo mondo sensazionale. Qui scatta la cifra forte della su vita, la sua arroganza infinita, per cui è certa di scrivere i migliori romanzi che possano essere pubblicati. Romanzi sensazionali, ambientati in quel mondo dorato di aristocrazia e fasti di cui lei ha solo immaginazione, ma che ben si attaglia al primo decennio del secolo scorso, epoca in cui parte la vicenda. Trova anche un editore, che gli rimarrà amico per tutta la vita, che nonostante i pareri contrari della sua casa editrice, decide di pubblicarla. Proprio quel suo mondo fantastico, in un mondo che invece sta declinando, le porta quel successo cui lei era sicura di arrivare. Ma ci sarà sempre una crasi fra il suo mondo, la sua vita, ed il resto dell’umanità. La scrittura le porta fama, e soldi, e benessere. Ma i critici considereranno i suoi lavori come assurdi e illeggibili (sottofondo: come fare tanti soldi pubblicando romanzi di genere…). Ed anche la sua vita sarà sempre destinata all’isolamento ed alla delusione. Si compera una prima villetta, dove relega la madre a ruolo di governante, ruolo che porterà la genitrice ben presto verso la tomba. C’è Nora, una giovane che si infatua dei suoi libri, e che prenderà il posto della madre, rimanendo con lei per tutta la vita (quasi presa da un affetto lesbico, anche se mai rivelato). Angel in un primo tempo accetta Nora solo perché sorella di uno scapestrato pittore di cui lei si è invaghita. Non solo, ma Angel ha deciso che lo ama, e, con una serie di trovate strane, riuscirà anche a farsi amare e sposare da lui. Siamo nel momento alto, i soldi sono ancora tanti, e lei compera la grande tenuta di “Paradise House”, il sogno della sua infanzia.  Da qui comincerà la china, di cui lei, nel suo incosciente isolamento interno, per cui legge la realtà solo per quello che si accorda con il suo volere, non si accorgerà mai. Il marito la tradisce, ma lei non se ne accorge. Scoppia la guerra, e lui parte per il fronte, da cui tornerà senza una gamba, sempre più depresso, tanto da morire poco dopo annegato in un laghetto della tenuta. Ma Angel non si accorgerà di nulla, e lo porterà sempre in palma di mano, ripetendo a tutti quanto sia stata bella ed intensa la sua storia d’amore. La guerra porta anche ad un repentino calo delle vendite, e della sua ricchezza, nonostante gli sforzi di Nora di gestire al meglio il poco che entra. Tutti invecchiano, l’editore va in pensione, i suoi libri cadono nell’oblio e la vita a Paradise House si trascina piena di stenti. Senza che lei se ne abbia cura. Ed isolata nel suo mondo dorato, morirà accudita dalla sola Nora, l’unica che sempre le rimarrà vicino. Isolata sempre e comunque, perché gli altri saranno incapaci di conformarsi alla sua visione non realistica della vita. Una figura che ha del grottesco, con punte di patetico e fondi di grande tragicità. Il tutto reso dalla Taylor con una scrittura che ti tiene sempre lì sulla pagina, che non stanca, che ti porta a vedere contemporaneamente queste due facce: la sua realtà e quella di chi gli sta vicino. Ci sono anche alcuni momenti, direi intensamente personali, quando Angel pensa alla sua scrittura, e la confronta con i critici, con accenti che la Taylor avrà senz’altro sentito durante anche la sua, di scrittura. Ma il libro è bello, dolente, e letto con piacere ti da un balsamo per curare le ferite di quando si pensa troppo a sé stessi, incuranti di quanto succede nel mondo.
Jennifer Egan “Il tempo è un bastardo” Minimum Fax euro 18
[A: 04/01/2014– I: 01/03/2015 – T: 04/03/2015] - &&&&& 
[tit. or.: A Visit from the Goon Squad; ling. or.: inglese; pagine: 391; anno 2010]
Mi incuriosì per le citazioni libropeutiche, e per aver vinto il Premio Pulitzer nel 2011. Tanto che decisi di comperarlo senza aspettare edizioni economiche o sconti. Un piccolo inciso sul Pulitzer, che è eminentemente un premio giornalistico, ma che, come sottoprodotto, ha anche dei premi che variano dalla letteratura all’arte ed alla musica; e nella narrativa viene assegnato ad un'opera di un autore statunitense, che tratti in preferenza della vita americana. Chiuso l’inciso veniamo ora al libro, che una volta chiuso, vorrei tornare ad aprire, vorrei tornare ad immergermi nella vita di Benny, di Sasha, di Dolly, e di tutti i personaggi (anche di Lincoln, perché no) di cui la fertile mente di Jennifer Egan ha popolato questo spazio. Un libro magistrale, forse non semplicissimo (pieno di nomi, di rimandi, ed anche di musica, con citazioni neanche tanto scontate). Ma sicuramente un libro che non mi si scollava di dosso. Che inizia tra l’altro con una difficile traduzione del titolo. In italiano ci si rifà al tempo chiamandolo bastardo, come in spagnolo, dove lo si chiama canaglia. Mentre in francese si ceca di svelare un po’ di più chiedendosi nel titolo che cosa abbiamo fatto dei nostri sogni. In inglese, dicevo, è più complicato. Si parla di una visita di una “Goon Squad”, termine ha origine nella metà degli anni '90, dove indica gruppi di teppistelli che venivano assoldati per intimidire, e presto passato ad indicare, nel lato violento, una banda criminale, e nel lato “leggero” un accolita di teppisti. La Egan lo usa per indicare il nocciolo duro da cui si dipartono le storie, una specie di band rock degli anni ’70 in quel di San Francisco, con il suo bassista-manager Bennie (e quanto c’è in lui del grande Bill Laswell?), il suo chitarrista-fenomeno Scotty, il batterista Bosco e le groupie (Jocelyn, Rhea e Alice). Il bello, ed il difficile, della storia è che non seguiamo la band in un percorso temporale sincrono, ma ci vengono sfornati 13 capitoli, che possono quasi leggersi come tredici racconti (ognuno ha un suo sviluppo interno ed una sua coesione), ma che sono legati perché nei racconti entrano ed escono i personaggi della band, ma anche quelli a loro legati, in una specie di Girotondo alla Schnitzler, che, andando su e giù nel tempo, dai mitici anni ’70 a qualche anno del prossimo futuro (ma forse del nostro presente) cerca di sviluppare il tema che ad un certo punto dice uno dei personaggi: come siamo passati da A a B? cioè “com’è successo che da rockstar io sia diventato un ciccione che nessuno s’incula?”. Da qui capite il riferimento del titolo francese. Uno degli assi portanti, che parte dalla band di cui sopra, sarà Bennie, pieno di idee verso la nuova musica che, partendo dal rock puro degli anni ’70 passa per le propaggini estreme, tra canzoni d’impegno e suoni duri (forse heavy metal, forse altro). E per le sue capacità di talent e di manager. L’incontro che farà maturare Bennie è con il divo rock Lou, emblema di tutto il meglio ed il peggio delle star. Sempre pieno di soldi e droga, con famiglie che costruisce e sfascia. E con le storie, cui cambierà la vita, con Jocelyn e, forse, con Rhea. E mentre si imbastiscono i primi tradimenti all’odore di fumo pesante (con Bennie che non si dichiara ad Alice, così che lei si mette con Scotty), per riscattare la sua incapacità di suonare e di amare, Bennie fonda una casa discografica, che avrà un enorme successo nel lanciare nuovi talenti. Qui si inserisce il secondo volano della storia, Sasha, che dopo una gioventù sbandata, trova il suo posto come segretaria di Bennie, raddrizzando le storie che a lui cominciano ad andare storte. Anche se di Sasha sappiamo di più, per una lunga seduta di analisi, in cui scopriamo la sua pulsione cleptomane, ed il breve amore per il giovane e belloccio Alex. Bennie, fatta fortuna, con la moglie Stephanie si sposta nelle zone “in” di New York, dove Stephanie verrà a poco a poco risucchiata e corrotta dallo star system, e dai nuovi ricchi repubblicani. Mentre tentava ancora di avere una sua strada come giornalista al servizio di Dolly, portandosi appresso il fratello giornalista e fuori di testa, che viene condannato a 5 anni per tentato stupro al Central Park di un’attricetta che sta intervistando. La vita di Bennie va a rotoli quando si rifiuta di cedere al mercato (mitica la scena in cui al consiglio d’amministrazione che vuole portare la casa discografica verso facili successi porta a colazione della merda, dicendo “Volete vendere merda? Allora mangiate merda!”), e viene licenziato. Stephanie lo lascia, rifacendosi una vita con gli alimenti, perché nel frattempo lascia anche Dolly, la cui agenzia di promoter va a rotoli per un party sbagliato. Sasha sparisce e la troviamo anni dopo, sposata con Drew, un chirurgo dai buoni sentimenti, vivere ai margini di un deserto con la brillante figlia Alison, maniaca di Power Point (e molto bello è il capitolo fatto tutto a slide) ed il secondo figlio quasi autistico Lincoln, che cerca nei dischi le pause di silenzio (e ne fa una disamina acuta e coinvolgente analizzando David Bowie ed i Led Zeppelin, i Police e Jimi Hendrix). Dolly cerca di risalire la china facendo la promoter per un generale sudamericano in odore di massacri civili, coinvolgendo in un servizio fotografico l’attricetta dello stupro al Central Park. Ma anche questo andrà a rotoli, e lei si ritirerà in campagna a fare torte artigianali. Bennie tocca il fondo, poi trova nuovo sprint in un nuovo matrimonio, e nell’idea (vincente) di lanciare un concerto live del vecchio Scotty, rimasto sempre nell’ombra, ma sempre fedele a sé stesso. Anche se ormai imbolsito (come da citazione di cui sopra). E per il lancio usa come elemento di spinta Lulu, la figlia di Dolly che riesce a convincere Scotty a salire sul palco, e Alex (l’amore di Sasha sempre di cui sopra), anche lui sposato e con figlio piccolo. Ad un certo punto c’è anche una riunione di (quasi) tutti a casa di Lou, per assisterne gli ultimi istanti di vita. Con gli echi di chi ricordava la stessa casa, trenta anni prima, piena di tutti altri fermenti ed altri suoni. Io ho ricostruito la storia lineare perché mi piaceva fare così, ma come detto, la scrittrice riesce a farne una storia che va su e giù nel tempo, durante la quale siamo noi a dover ricostruire i pezzi saltati o accennati. Perché invece lei, nella sua circolarità, inizia con la mini-storia di Sasha e Alex, e finisce con Benny e Alex che vanno alla vecchia casa di Sasha, senza sapere della di lei nuova vita. Succede anche molto altro che tralascio per brevità e curiosità. Ribadendo il piacere della lettura, gli stimoli cultural-musicali che propone. E ritornando alla domanda su come abbiamo fatto, anche noi, a passare da quell’A che eravamo al nostro B attuale. Domandandoci anche com’è che, dentro, spesso, non ci sentiamo diversi, anche se tutto intorno a noi ci dice il contrario. Una bella lettura assolutamente da consigliare (e non preoccupatevi di ricostruire le storie come fa il vostro amico maniaco ma godetevele e rimanete sempre su quella domanda). Buona lettura.
Sebbene siamo quasi alla fine del mese, non posso comunque esimermi dal solito allegato della seconda settima. E per combinazione dei casi si parlerà di mangiare, e con uno scrittore caro ai luoghi nordici appena visitati. Leggetene, vi consiglio.
Siamo tutti ormai sulla via dei ritorni. Da Europe, da Americhe, da Afriche. E ritorna anche chi no si è mosso. Per i miei amici agostani, un augurio di buon compleanno (sia a quelli che hanno già festeggiato, si a chi festeggerà tra breve). Per altri, forse, ci saranno anche nuove partenze.
Aspettatevi delle sorprese, amici miei.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

AGOSTO 2015
Beh, credo sia un bell’argomento da affrontare ad Agosto, anche se rovesciato. In genere, si tende a mangiare di più, ad ingrassare, in questo mese feriale. Ma qui si parla invece di non mangiare per tutta una serie di ragione che analizzeremo con calma.

Fame

Knut Hamsun        Fame
In quei giorni in cui vi aggirate, affamati, per una strana città che nessuno abbandona prima che abbia  asciato il segno su di lui; quando vi domandate, per la forza dell’abitudine, che cosa potete aspettarvi di quel giorno; quando vi accorgete di non avere una sola corona in tasca, allora è il momento di ricorrere a Fame di Knut Hamsun. Questo romanzo vi darà tanta energia che riuscirete a vedere tutto nei minimi dettagli e con grande chiarezza, e non avrete alcun dubbio sul fatto che l’appetito del corpo deve essere soddisfatto, ma che la nobiltà dell’animo è oltremodo più importante Se solo poteste sedervi e scrivere un trattato di filosofia, un articolo in tre parti da vendere al giornale per, diciamo, dieci corone; se solo vi sedeste a scriverlo su una panchina, al sole, allora avreste i soldi per un pasto decente. Oppure, in alternativa, potreste impegnare giacca e gilet, per una corona e cinquanta Øre. Ricordatevi però di non lasciare la matita in tasca, come fa l’anonimo eroe del romanzo di Hamsun, perché allora non riuscireste mai a scrivere il saggio, che non solo vi farebbe guadagnare dei soldi, ma aiuterebbe i giovani della città a vivere in modo migliore. Ovviamente, però, la giacca l’avete solo impegnata, perché ormai vi stava un po’ stretta; la riprenderete di sicuro entro pochi giorni, quando il vostro articolo sarà pubblicato. Allora potrete dare finalmente qualche corona a un uomo per strada con un fagotto in mano che non mangia da parecchi giorni e che vi ha fatto piangere. Certo, nemmeno voi avete mangiato, e il vostro stomaco non riuscirà più a trattenere il cibo perché è rimasto vuoto per troppo tempo. Ma non dimenticate che avete lasciato una banconota da dieci corone che pensavate non fosse vostra alla venditrice di torte, gliel'avete messa in mano e lei non capiva perché: ora forse potreste andare alla sua bancarella e chiedere qualche torta che, diciamo, avete pagato in anticipo. La polizia potrebbe arrestarvi perché siete in giro la mattina presto e non avete un posto - e, in quel caso, cosa potreste volere più di una cella, asciutta e pulita? Ovviamente la polizia crede alla storia che siete un uomo di buon carattere e saldi principi, che è rimasto semplicemente chiuso fuori e in casa ha un sacco di soldi. Potete far tesoro di questa esperienza e raccontarla nel prossimo pezzo che venderete al giornale e che potrebbe fruttarvi addirittura quindici corone; naturalmente, c’è pure un tocco di commedia, basta solo riuscire a finire l’ultimo atto. Se riuscirete a pubblicarla, non dovrete più preoccuparvi dei soldi. Prima, però, conoscerete la gioiosa follia della fame cronica e non soffrirete più nemmeno a stomaco vuoto.

Bugiardino

Ne scrissi più o meno un anno fa, e ne uscii in modo controverso. Vediamone ora, anche alla luce di quanto sopra esposto.
Knut Hamsun “Fame” Adelphi euro 10
 [pubblicato il 6 luglio 2014]
Il recupero di un classico: come scrittore e come scritto. Un libro che per molto tempo è stato nelle mie liste mentali di acquisto, ma che non trovava spazio per più urgenti e presenti letture. Sotto la spenta del mai troppo lodato Curarsi di Otto e Ale, ho deciso di prenderlo, e di leggerlo. È un libro datato, ovvio, visto che è stato scritto quasi 125 anni fa. Ha pur tuttavia una forza espressiva, descrittiva e narrativa non indifferente. Intanto pensiamo allo strano autore, che lo buttò giù di getto a 30 anni. Knut era uomo dai mille mestieri e dai diecimila vagabondaggi. A vent'anni aveva già varcato l’oceano per una lunga permanenza in America. In questo libro riversa molta del suo vissuto giovanile, esaltato dalla scrittura ma intrinsecamente povero, sempre alla ricerca del modo di sbarcare il lunario. Altro dato interessante è la scrittura stessa: prima di Joyce e molto prima di Proust, una sorgente quasi di “flusso di coscienza” che riempie le pagine delle idee, delle azioni soggettive, dei pensieri di questo giovane norvegese, girovagante per le strade e per le case di Christiania (questo il nome di Oslo fino al 1924) in cerca di qualcosa da mangiare e nell'intento di scrivere qualsiasi cosa che possa essere vendibile e sollevarlo dall'indigenza. Il romanzo è tutto lì, concentrato in un ristretto spazio temporale, e scandito da quattro lunghi capitoli, all'interno dei quali il nostro percorre un’altalena, spesso analoga come andamento, ma diversa (ed angosciosa) in ogni passo. Ogni capitolo comincia con questa grande fame, tanto che il libro è grondante di fame dalla prima alla penultima riga (poi vi dirò perché non ultima). E lui gira, pensa, si industria nella scrittura, impegna abiti, cerca conoscenti cui magari ha prestato denaro a sua volta (e non li trova mai), si rivolta contro il Dio che come a Giobbe gli da tante prove da sopportare. Ed ogni volta la discesa verso l’indigenza pura è sempre più forte e sempre con meno speranza di risalita. Tanto che si industria a succhiare pezzi di legno prima, ed anche sassolini poi per placare la fame. Ed intanto, come detto, scrive. E nei primi due capitoli, inaspettatamente, alla fine riesce a vendere un articolo, un brano, qualcosa ad un giornale, che gli viene pagato. E con le cinque corone riesce ad andare avanti un altro po’. Il suo è comunque un girovagare folle, allucinato, fa cose strampalate. Segue una signorina inventandosi storie e storielle. Ed ovviamente quella, pagine dopo, si ricorderà e sembra che si possa innamorare del folle giovane. C’è una timida scena di quasi sesso, che si ferma molto al di qua (si adombra forse la visione di un seno). Ma il giovane, cui la carenza di zuccheri da cibo fa sproloquiare, non può che allontanarsi dalla giovane. Oltre al cibo, costante è anche la ricerca di un riparo per la notte. Quando ha qualche spicciolo riesce ad affittare, anche se per poco, stanze o ripari vari. Al verde, cerca di farsi ospitare. Una notte la passa anche in prigione (con la scusa che ha perso le chiavi di casa). Insomma, inventa di tutto. Ma sempre al di qua della legge. Non ruba mai, anzi quando si trova inaspettatamente dei soldi, li scialacqua subito. Vuoi per concedersi una suntuosa bistecca (ma non avendo mangiato per giorni, il cibo improvviso non potrà che farlo vomitare). Vuoi per dare elemosine, come se fosse un signore. Vuoi per pagare più del dovuto la sua affittacamere, che lo aveva trattato sgarbatamente. E lui, altero, le dà tutti i soldi ricevuti in regalo dalla signorina di cui prima, per poi andarsene via, senza un soldo, senza una casa, senza un cibo sotto i denti. Quando ha due panini, ne regala uno ad un ragazzo che piange. Ma la girandola dei capitoli si fa sempre più difficile, sempre più difficile trovare anche una corona. Che la sua vena di scrittura, l’unica a sorreggerlo, sembra si inaridisca. Per poi terminare, come nella sua vita di cui scrissi sopra, per imbarcarsi su di una nave, senza un soldo in tasca e senza una meta in testa (questa l’ultima e diversa riga). Due sono infine i motivi per cui alla fine non riesco a dargli che 4 libricini su 6. Il primo è legato al testo, che alla fine forse diventa appunto ripetitivo con questa ciclicità di alti e bassi. E con l’incapacità del giovane di spezzare il cerchio che lo avvolge. Il secondo è invece di contesto, che poi (ma dovrò approfondirlo) nella sua lunga vita, anche se nel ’20 riceve il Nobel per la letteratura, lo strambo Hamsun si lega al partito nazista, tanto da subire un processo nel ’48 per queste sue simpatie. La materia è controversa, e non c’è spazio (né conoscenza mia) per andare oltre. Ma nella mia testa è un punto nero che non si cancella. Tuttavia devo riconoscere che quando descrive la sua fame, mi fa venire una stretta allo stomaco. D’angoscia.
“Così ero fatto, all'occorrenza pagavo fino all'ultimo centesimo.” (181)

Conclusioni


Questa volta un “nome – omen” di sicura presa. La Fame descritta da Hamsun è quasi tangibile. E la sua descrizione talmente vivida che non potremmo più fare a meno di cercare di evitarla. Per noi probabilmente sarà facile. Ma quanti soffrono e muoiono di fame nel mondo? E non vado oltre.

Nessun commento:

Posta un commento