domenica 3 luglio 2016

Gialli in anticipo - 01 luglio 2016

Non meravigliatevi dei tempi e del titolo. Poiché ci sono novità motorie, anticipo di due giorni il primo invio di luglio, e per rilassare l’atmosfera introducendo l’estate, facciamo un piccolo giro di gialli. A Londra, prima, con le due serie di Anne Perry, di cui a lungo ho parlato, dei due ispettori, William Monk, ispettore delle acque, e Thomas Pitt, sovraintendente verso Scotland Yard. Poi torniamo alla me sempre cara Bruges di Pieter Aspe, finendo con un dovuto omaggio ai paesi scandinavi appena lasciati con una nuova prova di Håkan Nesser.
Anne Perry “I dannati del Tamigi” Mondadori euro 4,90
[A: 03/04/2014– I: 27/07/2015 – T: 29/07/2015] - &&&
[tit. or.: Acceptable Loss; ling. or.: inglese; pagine: 255; anno 2011]
Sebbene siano passati due anni dalla puntata precedente, questo episodio numero 17 della serie di William Monk è indissolubilmente legato a quell’altro, dal titolo “Assassinio sul molo”, quasi fossero un solo libro diviso in due, perché troppo lungo. Così non è in realtà, e questo fa di questa seconda parte della storia un episodio leggermente sottotono, almeno dal punto di vista dell’indagine. Ricordo, per i disattenti, che la storia precedente mirava al debellamento di una banda di depravati che usavano violenza ai minori, scattando foto (o meglio dagherrotipi) e ricattando le persone della “buona società” che indulgevano in queste deviazioni inaccettabili. Monk con l’aiuto della moglie Hester salva il giovane Scuff (una vittima della violenza) ed assiste alla morte di uno dei capi delle bande. Ma non si trovò, lì, il vero burattinaio. Anche se qualche cattivo, in punto di morte, fa il nome di Arthur Ballinger, gran commis dell’epoca, nonché suocero di sir Oliver Rathbone, uno dei più brillanti avvocati londinesi che ne aveva sposato la figlia Margaret dopo aver lasciato Hester a Monk. Qui si inizia con la morte di tal Parfitt, sodale del morto del libro precedente. E nel barcone di Parfitt vengono trovati altri bambini portati allo sfruttamento dai cattivi. Monk s’impegna alla ricerca dell’assassino del bandito, più che altro per poter risalire la catena degli orrori ed arrivare al burattinaio capo. La parte gialla, che da qui si dipana, è al solito un po’ in minore. Si trova lo strumento del delitto (un fazzoletto di seta), si trova il proprietario (Rupert, depravato sulla via del pentimento e con molte donazioni all’ospedale della buona Hester), ma si trova anche una prostituta che scagiona Rupert dicendo di aver rubato lei il fazzoletto senza però rivelare per conto di chi fece il furto. Contemporaneamente, nella stessa parte del Tamigi, a cena da un amico, c’è anche Ballinger. Monk allora cerca di calcolare i tempi per vedere se fosse stato possibile a Ballinger di arrivare alla barca di Parfitt, ucciderlo e tornare a casa senza sforare quanto dichiarato da altri che lo hanno incontrato. I tempi lo permettono. Inoltre, uno scagnozzo di Parfitt consegna a Monk un pezzo di carta, con l’invito al cattivo di recarsi ad una certa ora sul luogo dove poi viene assassinato. Pezzo di carta scritto sul retro di una lista di farmaci compilata da Margaret e da lei lasciata in giro per casa. Monk a questo punto accusa Ballinger del delitto. E ci si avvia al processo, avendo l’accusa sue sole frecce al proprio arco: la prostituta ed il pezzo di carta. Ma la prima, complice l’incuria (forse volontaria) di Margaret, viene uccisa prima del processo. Il quale, nell’ultimo quarto del libro, fa la parte del leone. Anche perché scatena sentimenti profondi. Sir Oliver è chiamato dal suocero per difenderlo, cosa che fa riluttante nella testa, ma con tutte le grandi capacità che gli sono riconosciute. E ci sono scontri feroci. Margaret non concepisce che il padre possa essere il cattivo, ed accusa Monk ed Hester di accanimento, anche se lei, da anni, lavora a fianco di Hester nell’ospedale per prostitute. Oliver è dilaniato tra l’amore per Margaret e quello per la giustizia. Insomma, si passa dal dramma “noir”, al dramma psicologico, dove entrano in gioco altri elementi per “incasinare” la vicenda (e se ripensiamo alla storia personale di Anne Perry non finiremo mai di stupircene). L’errore fatale di Ballinger è quello di non accettare l’assoluzione per mancanza di prove, e di voler testimoniare per essere assolto “con formula piena”. Il pezzo di carta di cui sopra però lo incastra definitivamente, e viene condannato a morte. In un “redde rationem” con il genero Ballinger rivela tutta la sua losca natura, i modi perversi attraverso i quali ha usato il ricatto, e confessando di andare verso la soluzione “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Oliver e Monk cecano di salvare il salvabile, ma qualcuno, più svelto di loro, fa in modo di uccidere Ballinger in carcere. Margaret rifiuta la colpevolezza del padre e lascia Oliver. Monk e Hester sperano che sia finita la storia dello sfruttamento minorile. Oliver riceve “in eredità” tutte le foto compromettenti scattate dal suocero. Che ne farà? Sarà questo l’argomento di fondo dell’episodio 18, o finalmente potremmo passare ad altri delitti ed altre storie? Vedremo. Intanto continuo a dare la sufficienza piena alla nostra scrittrice, ribadendo quanto ne ho scritto nelle precedenti storie: più che il giallo, potente è l’ambientazione e gradevole la ricostruzione storica delle vicende.
“Il coraggio non ti serve se non hai paura.” (13)
“Chi ama non chiede all’amato di distruggere quanto c’è di meglio in lui … Amare significa anche libertà di seguire la propria coscienza. A chi rinnega la propria natura, rimane poco da dare agli altri.” (243)
Anne Perry “Tradimento a Lisson Grove” Mondadori euro 4,90
[A: 02/07/2014– I: 20/01/2016 – T: 23/01/2016] - && e ½
[tit. or.: Betrayal at Lisson Grove; ling. or.: inglese; pagine: 243; anno 2010]
Torniamo a Thomas Pitt, che qui si muove nel suo 26° episodio (certo la nostra Juliet Marion alias Anne non è prolifica, ma di più, tanto che dal 1979 ad oggi, delle sue due serie maggiori ha pubblicato, in 36 anni, ben 51 libri!), lasciando per un po’ da parte l’ispettore fluviale Monk. Come ben sapete, seguendo con attenzione tutte le mie trame, infatti, la nostra Anne produce da quasi quaranta anni una serie “alta” imperniata sull’ispettore Thomas Pitt, ed una serie “bassa”, con al centro l’ispettore fluviale William Monk. I due termini, ovviamente, non sono riferiti alla resa degli scritti, ma all’ambiente in generale dove si muovono i personaggi. Triviali, duri, sporchi quelli di Monk che si muovono lungo il Tamigi. Tra pizzi e crinoline, ma altrettanto sporchi dentro, quelli che si muovono vicino ai palazzi del potere. Ricorderete spero che l’ultima avventura di Pitt di cui ho parlato si muoveva addirittura all’interno dei giardini reali, coinvolgendo, in una qualche misura, anche personaggi regali. Intanto registriamo l’anomalia, anche della versione inglese, sul titolo. I titoli della serie di Pitt in genere si riferiscono ad un luogo toponomastico di Londra, come anche in questo caso. Eppure c’è messo un aggettivo accanto, cosa che accade solo cinque volte in questi oltre venticinque libri. Ed il tradimento si addice alla strada ed al racconto. Che Lisson Grove è la sede dell’allora Sicurezza Nazionale (SN), cui da qualche capitolo della serie si è aggregato l’ispettore Pitt, date le sue capacità investigative. SN che deve seguire diversi casi di estremisti (all’epoca generalmente di stampo anarchico) che si agirano per l’isola e per l’Europa stessa. Da qui si dipana una trama complessa: Pitt insegue un possibile estremista da Londra sino in Belgio, sguarnendo l’attenzione su Londra, dove il suo capo Narraway viene accusato di frode e messo a riposo. È ovviamente un falso, ma ben architettato. Narraway per difendersi deve allora tornare nella turbolenta Irlanda delle sue prime mosse da poliziotto, e, non potendo avvalersi di Pitt, ed avendo bisogno di una copertura, chiede l’aiuto a Charlotte, la moglie del nostro. Che accetta di aiutarlo sapendo che la rovina di Narraway sarebbe anche la rovina del marito. Di certo non ci sono cellulari all’epoca, e le due vicende si dipanano senza che si riesca a trovare la comunicazione tra i due gruppi. Pitt scopre che la pista belga era un tentativo di allontanarlo da Londra, e con uno stratagemma riesce a districarsi. Tuttavia a Londra è coinvolto in una ben più alta grana: per rendergli la vita difficile, qualcuno nelle alte sfere lo fa nominare al posto di Narraway. Ed alla SN giungono sempre più notizie su possibili attentati nella città di Londra (cosa del resto reale che proprio nel gennaio del 1885 terroristi irlandesi danneggiano Westminster con della dinamite). Più sul versante giallo invece, è la vicenda in Irlanda, dove Charlotte è coinvolta nei risvolti di vecchie trame irredentiste, che lo stesso Narraway aveva dipanato in gioventù. Infiltrandosi nei gruppi armati, facendo innamorare di sé una bella irredentista, e debellando una trama sovversiva, che però porta alla catastrofe: il marito della bella, scoperto l’inganno, la uccide e poi si lascia condannare a morte dal tribunale. Il fratello sopravvive, covando un rancore irrisolto verso (ovviamente) l’Inghilterra in generale e Narraway in particolare. Charlotte cerca di muoversi in questo marasma, non sapendo mai su chi contare, e con l’anziano Narraway preso anche dai rimorsi del passato. Ci sarà una morte, che potrebbe essere attribuita a Narraway, se la stessa Charlotte non trovasse le prove della sua innocenza. Trovando al contempo il bandolo della matassa del complotto, motivo per cui i due tornano in patria di gran carriera. In maniera parallela anche Pitt trova le tracce del complotto, riuscendo ad individuare le teste pensanti di tutta la messa in scena. Il gran finale, è, al solito della Perry, molto affrettato. Intanto si torna in ambito regale, che l’attentato coinvolge la stessa regina Vittoria, sequestrata nella residenza di campagna, insieme a Narraway e Charlotte. Pitt, debellati frettolosamente gli anarchici (la Perry se la cava in meno di cinque righe), riesce anche a salvare la regina, la moglie e tutto l’ambaradan. Non entro nei particolari, ma il romanzo si chiude sulle parole della regina che ringrazia Pitt, annunciandogli che non si dimenticherà di lui. Vedremo cosa vorrà dire nelle successive puntate. La nostra amata e controversa neozelandese se la cava discretamente in tutta questa confusione, con una storia discretamente scorrevole, anche se, al solito nelle sue ultime prove, con accelerazioni improvvise che non ci convincono più di tanto. Ma i personaggi sono simpatici, e l’ambientazione sempre ben riuscita. Aspettiamo il futuro, allora (inciso laterale, il 1885 è anche l’anno in cui si svolge la parte nel passato del sempre meraviglioso serial “Ritorno al futuro”).
Pieter Aspe “Sangue Blu” Fazi Editore euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 03/07/2014– I: 24/01/2016 – T: 26/01/2016] - &&&
[tit. or.: Blauw bloed; ling. or.: neeralndese; pagine: 318; anno 2000]
Il primo errore degli editori italiani, su cui ripeto da anni dovrebbero cambiare, magari rivolgendo più attenzione ai lettori, riguarda il mancato svolgimento ordinato delle storie. Ora Pieter Aspe ha scritto nel tempo 38 romanzi con al centro il commissario Pieter Van In e la città di Bruges. Dopo aver pubblicato i primi episodi, quattro nella fattispecie, ecco che Fazi ci propone ora il sesto (ora, anche se l’ho acquistato quasi due anni fa), ed ora (nel senso proprio di ora) pubblica il quinto. Peccato che ormai sappiamo che Hannelore, la compagna del nostro commissario, ha avuto due gemelli. Bando alle polemiche però, che anche qui si parla di figli. La trama in realtà è un filo complicata, e cercando di semplificarla, vediamo Hannelore che si ritrova con il suo primo fidanzato Valentijn Heydens, cui, tuttora, non rimane insensibile. Peccato che durante la rimpatriata il padre di Heydens, Marcus, tra l’altro massone, viene trovato morto impiccato nella sua abitazione. Certo l’indagine è complicata proprio dai rapporti di Hannelore, e dalla gelosia prorompente di Pieter, cui solo il fido Guido cerca di dare sfoghi positivi (possibilmente davanti ad un bel boccale di birra Duvel). In base ad indizi che non riveliamo, si scopre ad un certo punto l’impossibilità di un suicidio. Il nostro commissario allora comincia a scavare nel passato della vittima, per cercarne i lati oscuri (che noi lettori onniscienti già vediamo dalle prime righe). Vediamo una serie di strani personaggi gravitare intorno al morto, personaggi che facevano parte dell’entourage della gioventù fiamminga, quando anche loro erano giovani. E che ora, non più giovani, sono importanti personaggi della città fiamminga. Tra questi spiccano il futuro notaio Henri Broos, nonché si mormora un rampollo della casa reale. Facciamo un inciso: i reali del Belgio ed i loro prossimi sono stati sempre chiacchierati. Non tanto re Baldovino Alberto Carlo Leopoldo Axel Maria Gustavo di Saxe-Cobourg-Gotha (mi piace mettere per esteso tutti i nomi del buon Baudouin, senza scordarci la regina moglie Fabiola), quanto (almeno in gioventù) il fratello Alberto, quello che sposò Paola Ruffo di Calabria dei principi di Scilla, Palazzolo e Licodia Eubea, la quale ebbe, pare, una relazione con tal Salvatore Adamo. Ma torniamo alla nostra vita nella città fiamminga, anzi alle morti. Che mentre Hannelore non sa decidersi tra Valentijn e Pieter, ed il commissario capo De Kee vorrebbe tacitare il tutto, si trova cadavere anche tal Wilfried Delanghe, ritrovato in casa imbavagliato e ricoperto da una moltitudine di libri (e pur amandoli, credo sia una morte orrenda). Saranno i buoni uffici dell’ispettore Versavel, nonché una ritrovata lena del nostro commissario che porteranno alla luce il comune denominatore nelle vite di Delanghe e Heydens, e del notaio Broos. È una donna, Leona Vidts, che ha avuto relazioni e figli con tutti e tre: Valentijn Heydens, Diana Delanghe, Joris e Virginie Broos. E tutti sono disturbati. Diana, ex-drogata, vivacchia facendo emigrare clandestinamente croati in Inghilterra. Joris è non-vedente. Ma non vorrei elencare tutto il fattibile delle scelleratezze che mette in mostra il nostro autore per rimpolpare la trama. Non ultima, l’amicizia, appunto, della casa reale con il notaio, la prossima morte di questi per tumore, la visita di cortesia che l’aristocratico decide di fare, e tutte le complicazioni di vendetta che possono mettere in piedi i figli di padri che non li hanno amati (o i figli che non hanno capito l’amore paterno). Alla fine il giallo che ne esce fuori ha una sua discreta intensità, anche se non riesce a stimolare curiosità per la soluzione dei misteri (forse a volte troppo legati alla realtà fiamminga). Una caratteristica di cui comunque ringraziamo Aspe, è la capacità di aver reso sulla carta la difficoltà delle indagini, che possono essere influenzate da tanti fattori, non ultimi anche i risvolti di carattere personale dei vari protagonisti. Anche se talvolta in modo ridondante, andiamo su e giù per le pagine tra ripicche e riconciliazioni (ed io penso sempre ai quei poveri gemelli che aspettano a casa). Ma non mancano le solite divagazioni sulle passioni del commissario, la birra Duvel, le paste all’uvetta (quelle che a Roma chiamano maritozzi), la carne rossa alla brace. Insomma, avrei preferito leggerne in sequenza, ed avrei preferito un andamento più veloce, ma la lettura di Aspe mi riporta alle magiche atmosfere di Bruges, e di questo lo ringrazio sentitamente.
Håkan Nesser “La rondine, il gatto, la rosa, la morte” TEA euro 10 (in realtà, scontato a 8,20 euro)
[A: 01/09/2014 – I: 21/04/2016 – T: 23/04/2016] - &&& e ½    
[tit. or.: Svalan, katten, rosen, döden; ling. or.: svedese; pagine: 509; anno 2001]
Prima di cominciare a parlare bene, come merita, del libro e dell’autore, vogliamo cominciare con qualche tirata d’orecchi? In effetti, in tutti i corsi di comunicazione che ho fatto, si consiglia di iniziare analisi e rimandi con le parti positive, lasciando le critiche alla fine, per predisporre benevolmente l’ascoltatore ad apprezzare i punti forti e migliorare nelle debolezze. Non dovendo insegnare nulla a Nesser, mi dolgo invece delle scelte di marketing della casa editrice. Nesser ha scritto dieci storie basate nella fittizia città di Maardam, dove è di stanza il commissario Van Veteren e la sua squadra. Abbiamo seguito nelle prime sette il commissario, che poi si ritira in pensione, e seguiamo i suoi “allievi” sempre con un suo possibile aiuto, se serve. Nella precedente, ed ottava uscita, come ho descritto, la fa da padrona di casa l’ispettrice Ewa Moreno. Presi dall’euforia, i pensatori della TEA, mettono quindi in copertina in questa nona, “un’indagine dell’ispettrice Ewa Moreno”. Falso! C’è tutta la squadra, che opera, compresa Ewa, ma, anche se pensionato e gestore di una libreria, è proprio Van Veteren che trova nessi e connessi. Non solo, ma la nuova entrata Irene, di cui si sottolinea l’intervento nella quarta, entra nella storia senza nessun apporto particolare. Secondo elemento di critica, il ritardo con cui, rispetto alla produzione dell’autore, questi romanzi vengono in Italia. Nesser, dopo il ciclo di Van Veteren & co ha iniziato quello del commissario Barbarotti, di cui escono le prime storie senza concludere le precedenti. Alle quali manca ancora l’ultima, quella dedicata al famigerato “caso G”, l’unico che il commissario Van Veteren non risolse. Veniamo invece a questo che viene risolto, anche se, forse, con un po’ di lentezza. La narrazione fa un po’ il pendolo, mentre scopriamo un crudele assassino che, nel corso del tempo, se rifiutato da una donna, non trova di meglio che ucciderla. Iniziando con la moglie a Cefalonia, poi con altre morti in giro per l’Europa, fino a ritrovarcelo a Maardam, dove, dopo aver circuito mamma e figlia, pensa bene di far fuori anche loro. Non solo, ma, saputo incidentalmente che la giovane Monica si era confidata con un prete, uccide anche lui. La difficoltà, per l’ex-squadra di Van Veteren, è la casualità delle morti (almeno apparentemente), e l’astuzia dell’assassino, che si nasconde sempre dietro nomi e personalità fittizie. Una volta utilizzando il nome di un killer protagonista di un oscuro giallo anglosassone degli anni trenta. Un’altra storpiando, ma in maniera riconoscibile, il personaggio dell’assassino presente ne “L’uomo senza qualità” di Musil. Moreno, Munster e glia altri ispettori e commissari vari indagano, analizzano, ma non sembra riescono a trovare bandoli nell’oscura matassa. Il primo passo falso il cattivo lo fa non riuscendo ad uccidere una nuova vittima, cui aveva dato appuntamento per farsi riconoscere con un libro di T. S. Elliott in mano. Vittima che viene sfigurata, e che per questo si eclissa, ma medita vendetta. Intanto, è proprio Van Veteren che riesce a capire il nesso tra le varie rappresentazione dell’assassino. Soprattutto quando scopre un libro che questi regala alla giovane Monica. Un libro di poesie di William Blake. Il nostro segue quindi la pista di qualcuno che possa avere una discreta conoscenza di letteratura inglese. Con alcuni aiuti, ricostruisce il possibile scenario, e benché senza prove, punta il dito sul possibile colpevole. Parte allora al suo inseguimento, che questi fugge dalla Svezia per tornare al primo posto di sangue, la Cefalonia di alcuni anni prima. E nell’isola greca si trovano l’assassino, la vittima sfigurata, e il commissario. Chi riuscirà ad arrivare prima alla fine? Arresto? Altro finale? Questo rimane nelle pieghe della pagina, anche se questa parte risulta un po’ lenta rispetto al resto. Forse, è tutto il libro un po’ ridondante, dove Nesser si perde in molti rivoli laterali, al fine di darci un quadro a tutto tondo della vita e degli abitanti di una cittadina di provincia. Moreno che forse torna definitivamente al suo Mikael. Il rapporto tra Van Veteren e Ulrike. L’isolamento di Monica. I giochi sessuali di Anna e Ester. Forse lungo, alla fine, e con qualche elemento non chiarito completamente. Ma una bella costruzione sulla psicologia umana e sui rapporti personali. Restano al fine due misteri, per me che non sono ferrato in letteratura (ricordo che Nesser per anni ha insegnato lettere in un liceo). Il sogno (e la sua prosecuzione da sveglio) in cui Van Veteren vede una rondine volare, e poi un gatto ucciderla. Rondine e gatto che entrano nel titolo, per cui ci sarà un nesso che mi sfugge. E William Blake, dove, nel libro di Monica, è presente una delle sue più famose poesie, “La rosa malata”, dove un verme corrode la bellezza della rosa, uccidendola. E rose e morte sono la seconda parte del titolo. Se qualcuno ne sa cogliere i rimandi ne sarei felice. Per ora mi accontento della lettura del libro, aspettando l’ultimo.
“Nemmeno quel singolare mattino riuscì a capire quale benevola potenza superiore l’avesse messa sul suo cammino.” (101)
“Dobbiamo essere consapevoli … che per troppe persone la vita finisce molto prima che muoiano.” (143)
Essendo formalmente la prima trama di luglio, eccovi allora le letture del mese di aprile. Aumentano in modo serio raggiungendo i 16 titoli (in attesa dei cali estivi). Nessun libro eccelso (e nessuno da immolare), pur tuttavia non posso non ricordare il primo Oz e la lunga storia catalana di amore e di guerra di Jaume Cabré.
#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Esmahan Aykol
Tango a Istanbul
Sellerio
14
3
2
Amos Oz
Altrove, forse
Feltrinelli
s.p.
4
3
Enrico Pandiani
Troppo piombo
Instar
9
3
4
Danila Comastri Montanari
Gallia Est
Mondadori
9,90
3
5
Charles Bukowski
Donne
TEA
9
2
6
Danila Comastri Montanari
Saturnalia
Mondadori
9,90
3
7
Marco Vichi
La forza del destino
TEA
9
2
8
Bruno Morchio
Colpi di coda
Garzanti
11,60
2
9
Jaume Cabré
Le voci del fiume
Beat
13
4
10
Bruno Morchio
Lo spaventapasseri
Garzanti
9,90
3
11
Michael Connelly
La caduta
Piemme
13
3
12
Hakan Nesser
La rondine, il gatto, la rosa, la morte
TEA
10
3
13
Mikaël Ollivier
Fratelli di sangue
Repubblica Noir Junior
6,90
2
14
Chan Ho Kei
Duplice delitto a Hong Kong
Repubblica Noir
7,90
3
15
Alessandro Gatti & Pierdomenico Baccalario
Non si uccide un grande mago
Repubblica Noir Junior
6,90
3
16
Jonathan Franzen
Libertà
Einaudi
14
3

Come detto all’inizio, eccoci qui di fronte ad una nuova impresa. Ebbene sì, sarà un’estate in giro, per questo anticipo trame, aspettando il 9 luglio ed il nuovo volo verso le Americhe. Per ora, tuttavia, continuiamo sull’onda lunga di giugno, a tifare per la “nostra” Islanda. 

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