domenica 23 agosto 2020

Tea for Three - 23 agosto 2020

Gian Mauro Costa “Stella o croce” Sellerio euro 14
[A: 12/06/2018 – I: 11/03/2020 – T: 12/03/2020] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 245; anno: 2018]
Non ho molto dell’autore, che del resto non è che sia prolifico. Fin qui un libro ed un racconto con al centro il radiotecnico investigatore Enzo, ed un racconto che introduce la poliziotta Angela Mazzola. Per pareggiare il conto con Enzo, ecco un romanzo con al centro la simpatica Angela. Costa, da buon giornalista sia della carta che del video, non ci delude anche qui per la scorrevolezza del testo, per le descrizioni dei luoghi, e soprattutto per l’ambientazione palermitana che da sola vale un punto in più. Leggermente meno invece per quanto riguarda l’intreccio noir. Facendo alcune congiunzioni tra i punti inziali del puzzle, avevo ipotizzato la soluzione alla comparsa di un personaggio, che si è rivelata esatta. Non avevo ancora capito tutte le intricate vie che il filo avrebbe seguito per creare la matassa. Ma già sembrava l’unica strada percorribile. Fortuna, per me e per Costa, che il noir è solo un di cui di un romanzo che ci dà alcuni altri spunti. Ad esempio, quello di seguire la vita e le opera di Angela Mazzola, giovane, intelligente e poliziotta. Proveniente da un quartiere, Borgo Nuovo, arroccato alle spalle della Zisa e dello ZEN (che non è un modo di meditare palermitano, ma l’acronimo di un quartiere tra i più degradati, la Zona Espansione Nord), quartiere chiuso e degradato. Da lì, per uscirne, la nostra Angela decide di fare le scuole come interna in un collegio di suore, poi dopo la maturità, continuare a studicchiare, mantenendosi con mille lavoretti, e facendo un corso da sommelier (che permette a Costa di continuare l’elenco di vini e buone bevute come aveva iniziato nelle storie di Enzo). Per poi entrare, con un po’ di sorpresa, nella polizia. Ora il poliziotto Angela inizia la sua carriera all’Antirapine (e seguiremo in parallelo tutta la storia per sventare una serie di rapine ben organizzate da una banda proto-mafiosa), ma si sente dentro il fuoco della poliziotta da Omicidi. Tramite il collega Santo (con il quale ha una mini-storia più di sesso che d’amore, e Costa ben tratta questa parte del personaggio, libero ma non senza regole, e comunque decentemente coerente) ottiene una minuscola appartamento con terrazza nella zona dell’Acquasanta, dominata dalla Villa Igea (ora un hotel di Rocco Forte) ma prospicente il mare, vicino alle spiagge dell’Arenella. Costa impiega una serie di capitoli, inziali e poi sparsi, per presentarci Angela e la sua vita, per poi farci piombare nel mezzo dell’intrigo. Che nasce casuale: una intervista giornalistica ad una signorina cui mesi prima è morta la zia, una parruccaia (non parrucchiere, ma fabbricante di parrucche) uccisa nel suo negozio, senza che la polizia trovasse moventi e colpevoli. Angela è stimolata dal fatto che la signorina era una sua collega nel collegio monastico, che la giornalista è stata sua collega nel corso da sommelier, e che si tratta di un omicidio, dove lei pensa di poter sviluppare le sue capacità. Unendo i primi due tratti, insieme alla giornalista Silvia comincia ad indagare: finte interviste ai personaggi coinvolti per ripercorrere gli interrogatori di sette mesi prima; coinvolgimento di Santo nel fornire copie di prove della Omicidi, tra cui il magico nastro di una telecamera; e tanti ragionamenti. Sia sui personaggi che sulla morta, che forse tanto limpida non era. Divorziata senza astio da un marito con il quale è ora in lite per un posto al cimitero (o meglio, era in lite prima di morire); fornitrice di parrucche a travestiti e futuri trans, come il pur simpatico, forse l’ultimo che ha visto la signora viva; ma anche di parrucche a donne in cure chemioterapiche. Che tra l’altro anche la zia di Angela potrebbe avere qualcosa, si fa visitare da un primo medico (di una antipatia unica), poi da un sodale di Angela, che fornisce la diagnosi esatta: diverticoli. Tutto si complica quando (ma io l’avevo detto al primo momento: se una volante della polizia deve passare alle 16:45 ed il nastro indica 17:45, di sicuro c’è un disallineamento dovuto all’ora legale) il nastro mostra discrepanze tra le varie testimonianze. E noi cominciamo a riflettere anche sulla morte di una cliente della parruccaia, avvenuta il giorno prima. Alla fine, la nostra Angela, fornisce gli elementi per chiudere l’indagine, per scagionare gli innocenti, per incastrare i colpevoli, per avere la promessa del suo capo che forse, chissà, potrebbe passare alla Omicidi, e per adottare Stella, un cucciolo di labrador. Perché, come dice zia Giuseppina, nei momenti topici della vita, si butta in aria una moneta: se riesce Stella andrà bene, altrimenti croce, e lo capite anche voi e non dico altro. Una lettura relax, in questi momenti difficili come diceva Tonino Carotone (e spero che sappiate chi sia).
“Tirò fuori il libro comprato il giorno prima. ‘La vera storia del pirata Long John Silver’ … l’aveva appassionata sin dalle prime pagine.” (102) [un libro veramente interessante, di Bjorn Larsson, un magistrale svedese; leggetelo]
Alessia Gazzola “Un po’ di follia in primavera” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 3,60 euro)
[A: 13/09/2017 – I: 27/03/2020 – T: 29/03/2020] - &&& --
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 298; anno 2016]
Ed eccoci ad una nuova avventura della fortunata “allieva” di Alessia Gazzola. Che era allieva al primo libro, ed ora al sesto è quasi dottoranda e per noi rimane soltanto Alice Allevi. O “Elis” come dice il suo amato, ma forse non tanto, Arthur. Una scrittura che in parte riscatta la non tanto brillante prova precedente. È anche vero che il libro viene pubblicato durante l’ondata delle uscite in TV della seconda serie televisiva (quella con Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale), cosa che, secondo me, dà qualche elemento di troppa fretta nelle uscite, e di sensazione che tutto sia permesso. Non è così, e quindi l’attenzione a volte si sposta troppo sul personale, laddove la vicenda gialla, quella che dovrebbe essere il motore della storia, risulta a volte zoppa, a volte scontata, a volte monca (alcuni punti avrebbero dovuto essere portati più avanti nelle loro conseguenze, e non lasciati morire lì). Quindi abbiamo la parte personale che diventa preponderante ed ingombrante, un po’ come stava diventando (ma poi si è un po’ frenata) la serie di Camilla Lackberg. C’è il rapporto amore – non amore tra Alice ed Arthur. Lui ha lasciato l’amato lavoro di reporter free lance, per stare con lei, la vuole in sposa, tanto che la madre torna dall’America per conoscere la futura nuora. Qui c’è veramente un siparietto inutile che porterà l’ex capo di Alice nonché padre di Arthur a convolare a nuove nozze con Kate, la madre e sua prima ex-moglie. Ovviamente ci sono le incursioni sentimental-lavorative di Claudio Contorti, il nuovo capo di Alice e a volte suo partner. In mezzo a tutto ciò non capiamo Alice dove vuole stare: buttarsi con Arthur? Lasciarlo libero che lui, spirito nomade, è bene parta sulle vie della redenzione del mondo? Buttarsi con Claudio? Decidere magari, senza mai buttarsi, quale sia la vita sentimentale che vuole seguire? Questo sarebbe l’ottimo per lei, come da sempre le consiglia l’amata Nonna Amelia. Ma Alessia, la scrittrice, non vuole mettere punti fermi a questo capitolo delle avventure, come avesse paura di deludere qualcuno (il pubblico televisivo?). Poi abbiamo la storia: la morte di un affermato psichiatra, Roberto. La nostra brava scrittrice fa di tutto per complicare la vita alla vicenda. Roberto è sposato con Eleonora, ma la tradisce assai (anche se mantiene un basso profilo). Eleonora a sua volta ha una storia con Andrea, violinista maestro della figlia, ma soprattutto figlio adottivo di una famiglia di grandi industriali farmaceutici. Adozione propiziata dalle perizie proprio di Roberto. Mentre poi in una prima fase (quella delle lezioni di violino) Roberto aiuta Andrea, quando scopre la tresca, comincia ad ostacolare lui e tutta la terra intorno. Come, ad esempio, traumatizzando la sorellastra Azzurra, togliendo ad Andrea ingaggi promettenti, ed altre piccole cattiverie che fanno risaltare a poco a poco la cattiveria interna del personaggio. Coperto solo in parte dalla sua assistente – aiutante Mathilde (ma perché quell’H?). E ponendoci domande su quale ruolo abbia Elena la sorella di Mathilde con lei affranta in pianto durante il funerale. Inframmezzato da citazioni e situazioni personali che alla fine sono un po’ “pallose”, la trama gialla si riduce ai cinque personaggi di cui sopra. Chi è l’assassino? La moglie stufa dei tradimenti nell’intento di farsi una nuova vita. Andrea per vendicarsi dei torti subiti. Azzurra esacerbata dallo stalkeraggio psicologico di Roberto psichiatra. Mathilde che a sua volta non sopporta la deriva autoritaria del lavoro medico di Roberto. Elena che non accetta più il ruolo di amante di secondo piano (ruolo che si poteva evincere sin dal funerale). Tra l’altro, come ho già notato, Alessia continua ad avere poca fantasia con i nomi, andando spesso a ripetere le iniziali in tutti i personaggi principali. Così come abbiamo Alessia e Claudio nella parte anatomopatologica, abbiamo Arthur (una A) il fidanzato di Alessia, abbiamo Cordelia (una C) la sorella di Arthur. In più qui abbiamo Andrea Cardinali e Azzurra Cardinali (una A ed una C) nel ruolo di sospettati. Nonché, per finire, l’ispettore Calligaris (un’altra C) nel ruolo di investigatore principe e unico a sostenere sempre Alessia. Una buona e veloce lettura, che non ha impegnato troppo le sinapsi cerebrali, lasciando riposare i due stanchi neuroni dell’attuale momento di non facile vita. Ma la scrittura c’è, così come il potenziale di crescere ancora sul fronte della serialità della storia.
“Il mio … itinerante, è uno che quando c’è c’è, e quando non c’è non esiste per nessuno. Queste sue assenze stimolano non solo la solitudine, ma alimentano anche il desiderio.” (88)
“La partenza è un momento di fine e di inizio, per affrontarla ci vuole coraggio. Non si smette di essere nomadi quando lo si è nell’anima.” (173)
“Chi ha scarso spirito matematico ben difficilmente comprende a fondo la realtà.” (193)
Gianni Simoni “La scomparsa di De Paoli” TEA euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 16/08/2018 – I: 05/05/2020 – T: 06/05/2020] - && -
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 228; anno 2015]
Dopo sei mesi, torniamo a leggere gli scritti dell’ex-magistrato Gianni Simoni, nell’alternanza rigida delle sue due serie. Si era letto di Lucchesi, unico commissario di colore alla Omicidi, che qui torniamo alle storie sottotitolate “un caso di Petri e Miceli”. Non solo, ma anche la quarta ci dice che Petri costringe Miceli “a rimettersi in gioco”. Ora Miceli è praticamente in pensione, come da tempo il giudice Petri. E qui, se non fosse che compare qualche volta in Questura, che si fa qualche salto a casa sua per parlare delle indagini, che per lungo tempo avrà anche un raffreddore, non è che c’entra molto con le indagini. Che al solito ruotano intorno all’acume di Petri, e, talvolta, anche se qui meno, alla bravura del nuovo commissario che sostituirà a breve Miceli, cioè Grazia Bruni. Sebbene in altre storie poi il nostro Simoni esprime qualche passaggio interessante, qui siamo ridotti ai minimi termini. C’è un morto, c’è una possibile indagine, ma lo scritto vaga spesso per altri lidi. Soprattutto alle vicende private, alla vita intima di Petri, quasi fosse un Maigret in pensione, con tanto di moglie accudente e simpatica. O alle vicende del commissario Bruni, che ricordiamo nelle precedenti storie dilaniata tra il rapporto storico con il buon Maccari e la presenza nuova dell’ispettore Armiento, di bella presenza e di buon intuito. Il lato privato è anche aumentato dal fatto che il morto non è altro che un amico di Petri, il buon dottore De Paoli, che in altre vicende era presente come personaggio di contorno. Qui diventa centrale, in quanto ucciso nelle prime pagine, in modo cruento ed in luoghi non chiari. A noi lettori, visto che per le indagini il morto sembra ignoto, è ben chiaro da subito chi sia il morto. Solo i poliziotti impiegano metà libro per collegare i vari fili del discorso e trovare l’identità del morto. Dicevamo in luoghi non chiari, perché De Paoli viene trovato vicino a luoghi frequentati dalle belle di notte. Che oltre ad essere medico, il solitario dottore si prodigava per le sfortunate signorine, al fine di dare una mano, sanitariamente, o anche qualcosa in più. Come accade per la bella Roberta, che alcuni anni prima, toglie dalla strada per farne la cameriera. Suscitando le ire del “protettore” che non si mai rassegnato alla perdita. Inoltre, indagando a casa De Paoli, i nostri scoprono un astio mortale dell’inquilino a piano terra, che rimprovera al dottore non aver autorizzato un’amniocentesi per poi scoprire che la piccola Sara nasce con dei moncherini al posto delle braccia. Questi i due filoni che seguiranno le indagini: vendetta del pappone privato della bella o del “piccolo borghese” che imputa colpe non provabili. E saranno filoni che tormenteranno tutto il libro, insieme alla terza ipotesi di omicidio inutile a scopo di rapina. Tre filoni che sono di poco peso, ma che vedranno ogni volta aumentare il proprio, a fronte di intercettazioni telefoniche, di minacce velate, di orologi scomparsi. È inutile che vi dica che la soluzione arriverà, ma assolutamente fuori dai canoni “alla Van Dine”. Come se Simoni si fosse un po’ stufato di farci partecipare alle indagini, e ci porta il menu bell’e fatto senza che noi lo si riesca a gustare. Dobbiamo invece gustarci le peripezie, tra fumo e dolori alla schiena, del nostro Petri. Nonché la sua vena da “pater familias” risolutore. Laddove vede che il triangolo Bruni – Maccari – Armiento può portare complicazioni all’interno della Questura, Petri si occupa di indagare anche nella vita privata dei tre. Ovvio che la soluzione del privato è a portata di mano (e noi che abbiamo letto i libri precedenti lo pensavamo da tempo). Armiento, infatti, in una precedente indagine si era già invaghito di una simpatica dottoressa, con la quale presto convolerà, e fuori da Brescia, così che probabilmente in altri libri sarà fuori gioco. E Grazia, alla soglia dello scadere dell’orologio biologico, vedrà coronare il suo sogno di proliferare, anche se Maccari non sembrava all’inizio contento. Ma anche questa era una finta. Così che tutto finisce con probabili e successivi “happy end”. Rimane molto poco di altro: qualche passeggiata per una Brescia che non conosco, e che ora è sempre in cronaca per motivi legati purtroppo ai contagi, qualche lettura interessante (sottolineo “I fratelli Ashenazy” che legge il giudice), un buon film (l’indiano “Lunchbox”), e soprattutto la fobia di Petri per le scritte minacciose presenti sui pacchetti di sigarette. Tanto che compra solo quelli che invitano le puerpere ad astenersi. Insomma, una lettura che scivola via, senza molti sussulti, e che poco restituisce a chi non conosce già i nostri personaggi. Speriamo Simoni abbia qualche sussulto positivo in futuro.
“Si era accucciato per raccogliere dal pavimento un mozzicone … e non era più riuscito a rialzarsi, neppure aggrappandosi al bordo del lavabo.” (23) [ahi, come ti capisco, Petri!]
Barbara Bellomo “La ladra di ricordi” TEA euro 10
[A: 09/03/2018 – I: 01/06/2020 – T: 02/06/2020] - && e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 308; anno 2016]
Non indimenticabile, ma gradevole, almeno nella costruzione di alcuni personaggi e nella finta ricostruzione storica di alcune vicende della storia romana seguenti alla morte di Cesare. Non è un caso, infatti, che l’autrice sia una storica dell’epoca romana. Una scrittura agile e senza intoppi, che mostra una discreta scioltezza nel periodare, anche se poi, nell’intreccio, qualcosa di perde per strada. La scrittrice sembra proprio partire da esperienze personali, visto che la protagonista, Isabella, è una dottoranda in storia, e si trova in quel di Todi, insieme ad altri due dottorandi, al fine di perfezionare una ricerca storica ed accedere a posizioni museali importanti. Non è quindi un caso che quando si mette a tracciare le linee della vita universitaria Barbara Bellomo abbia la mano agile: parla e ci mostra cose che ben conosce, e che non è un caso epigrafi con la bella citazione di Corrado Alvaro. Amicizie e solidarietà, venate e spesso inquinate da arrivismi ed altri egoismi. Come l’utilizzo del proprio corpo come merce di scambio per ottenere posti vantaggiosi. Isabella ha anche un altro grande problema, sottolineato dal titolo. È affetta da cleptomania compulsiva, cioè rubacchia piccoli elementi che incontra per via, come fossero ricordi da immagazzinare in una sua scatola privata. Ovvio e facile da predire che proprio da quella scatola, alla fine salterà fuori il pezzo del puzzle che permetterà di ricostruire in modo coerente tutta la vicenda gialla. Che in effetti, lo sfondo globale non è un dotto excursus universitario, ma una morte e le sue indagini. I personaggi sulla scena sono quindi i tre professori che gestiscono i dottorandi, insieme al loro assistente, i tre dottorandi, uno studente e sua nonna. È lei che contatta il professor Nardi per un consiglio su di un cammeo, ed è lei che subito dopo viene trovata uccisa. Nardi allora si prende cura del nipote, Carlo, e coinvolge Isabella in quanto esperta in cammei d’origine antica. Tutto ruota infatti su questo cammeo scomparso, che sapremo in modo diagonale essere d’origine romana, regalo di Fulvia, moglie di Marco Antonio, alla figlia Claudia, undicenne sposa del ben noto Ottaviano. La scrittrice, ben edotta della storia romana, ci porta a fare un dotto excursus sulla storia romana, sul triumvirato succeduto alla guida di Roma a seguito della morte di Giulio Cesare. Tralasciando questa parte, interessante ma non coinvolgente, sappiamo che di dono in dono il cammeo arriva sino alla signora poi uccisa. Isabella, con la sua esperienza, risale questo crinale di notizie, scoprendo che l’ultimo posto conosciuto dove si ha notizie del cammeo era un Museo di Catania. Ed è lì che lei con Nardi si reca per indagare sulla scomparsa ai tempi della Guerra. Le notizie e le vicissitudini lì si complicano: cammeo appartenente ad una famiglia ebrea, poi omaggiato al Museo, e da lì scomparso per riapparire nella casa di un potente boss mafioso. Nella cui famiglia si verifica un doloroso lutto (che alla fine verrà svelato) collegato con la futura morta. Che in realtà era la governante della famiglia, che dopo quella morte si allontana dai mafiosi per rifugiarsi in Umbria, dove partorisce e si sposa. Siccome i due avvenimenti avvengono in quella sequenza, si capisce che il marito non è il padre. La signora vive molto agiatamente, fino a quando la figlia muore, ed il flusso di denaro che veniva dalla Sicilia si interrompe. Avrete capito bene perché. I sospetti del commissario (figura marginale ma utile alla maturazione di Isabella) si appuntano proprio sui mafiosi. Anche se alla fine, benché tutto si colleghi, il responsabile ultimo si rivela di altro ceppo. Forse era prevedibile, ma è un po’ un altro coniglio che esce dal cilindro di una trama gialla poco avvincente. Rimane il concorso, dove Isabella viene osteggiata da uno dei docenti che vuol far vincere la sua amante. Amante cui si oppone Nardi, e quindi risulta vincente il terzo e più debole incomodo. Isabella avrà i suoi successi professionali, anche se in direzioni diverse da quelle che attendeva. Meglio, il divertente rapporto tra Nardi ed il nipote Carlo. Tirando le somme, Bellomo riesce ad imbrogliare bene le carte, non ci fa troppo annoiare, anche se la cleptomania di Isabella, che doveva essere il motore primo della vicenda, rimane sempre latentemente presente e non sviscerato fino in fondo. Quindi, bene una certa fotografia del mondo universitario, bene alcune figure, discreti gli estratti storici, meno bene il narrato giallo e la sua risoluzione. Alla fine, un risultato discreto, con una scrittrice da rivedere in altre prove.
“Corrado Alvaro: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile.” (5)
“Per me leggere è divertimento. La cultura, lo spirito. Sono queste le cose importanti. Il resto passa, si perde. Ma quello che sai lo tieni per te, sempre.” (203)
Essendo la seconda trama d’agosto, vi regalo la solita lettura aggiuntiva dedicata ai supereroi di carta o di carne.
Pensavo di riposarmi nel mio buon ritiro, ma le vicende mediche mi forzano di supporto a Roma. Caldo e posa voglia di fare. Speriamo sia inappetenza normale. Per poi tornare a viaggiare, come il nostro amico Lucio. 

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

AGOSTO 2020

Ed anche questo mese una volontà altra, quella di essere dei supereroi e prendere a sberle tutti i Covid del mondo.

SUPEREROE, VOLER ESSERE UN

Michael Chabon “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay”

  1. M. Homes “Questo libro ti salverà la vita”
Aspettate un po’ - non ditecelo. Avete in mente un costume in lycra, rosso e blu. Siete indecisi su quale superpotere scegliere. Qualcuno tra voi crede ancora che la tiara di Wonder Woman riesca a fermare i proiettili, alle sue facoltà telepatiche e all’incredibile velocità con cui scrive a macchina (centosessanta parole al minuto, se volete saperlo). Non vi sentite di escludere che un giorno possiate guidare un veicolo simile, se non proprio identico, alla Batmobile. Ogni tanto, infine, mentre vi dedicate alle attività quotidiane, vi immaginate sopra la testa una nuvoletta con dentro scritto «Woosh!», «Barn!», «Kaboom!» o magari «Pzzow!». 
Bene, tutto OK. Crescendo, di solito passa. A voi non è successo.
Avrete già letto e adorato “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay” di Michael Chabon, l’epica vicenda di Josef Kavalier e Sammy Clay, disegnatori di fumetti. Cavalcando l’onda degli anni d’oro del fumetto, i due creano una serie di supereroi, a partire da L’Escapista che nel 1939 «corre in aiuto di chi soffre, oppresso dalla tirannia e dall’ingiustizia», e combattono contro Hitler con la penna e l’inchiostro. Joe e Sammy non diventano tuttavia dei veri supereroi, ma se cercate un mentore letterario che vi insegni come si fa noi conosciamo la persona adatta.
Richard Novak, protagonista di “Questo libro ti salverà la vita” di A. M. Homes, non è più in grado di provare emozioni dopo un divorzio, tredici anni prima, e quando si è trasferito in California ha lasciato a New York il figlio di quattro anni, Ben. La sua vita adesso rappresenta il volto più artificiale della moderna Los Angeles: vive in una casa che sembra una scatola di vetro sulla parete di un canyon, splendidamente isolato dal mondo grazie a un paio di auricolari che cancellano qualsiasi rumore, e interagisce solo con la donna delle pulizie, la nutrizionista, il massaggiatore e il personal trainer. Un giorno ricomincia a provare qualcosa - a cominciare da un dolore fisico travolgente e dalla diagnosi impossibile - e a poco a poco gli altri iniziano a entrare nella sua vita: Anhil, il proprietario del negozio di ciambelle, Cynthia, la casalinga frustrata, e Tad, il vicino di casa, una stella del cinema «incredibilmente sexy». Di lì a poco inizierà a infrangere le regole - beve caffè («Vero caffè?» domanda la nutrizionista, inorridita. «Con vero latte?»), fa spuntini a base di ciambelle, scoppia in lacrime, schiaccia un pisolino... e vuole «essere di più, fare di più... essere eroico, sovrumano - salvare qualcuno da un edificio in fiamme, saltare sui tetti». In altre parole, vuole essere un supereroe.
Da appassionati, i vari gesti eroici di Richard - come quello che secondo noi è il migliore inseguimento in autostrada di tutta la letteratura - vi metteranno in soggezione. Ci vorrà quel ciarlatano del suo medico, Lusardi, per sottolineare che forse tutto questo salvare altre persone significa in realtà salvare sé stessi. Quando Ben, che ormai ha diciassette anni, finalmente compare sulla soglia di casa, Richard è pronto a cercare di salvare il rapporto più importante di tutti.
La verità è che non si può diventare un supereroe se prima non si ha sofferto. Richard è sensibile ai bisogni degli altri ma ciò che lo spinge, in realtà, è il disperato bisogno di sistemare le cose con Ben e recuperare almeno in parte ciò che ha perduto. Se la vostra motivazione è rimediare agli errori del passato e migliorare l’esistenza altrui, allora anche voi potete essere dei supereroi.
Bugiardino
Due libri interessanti, letti abbastanza tempo fa, ma comunque interessanti. Sia per le avventure dell’escapista sia per quelle dello “scappato”.
Michael Chabon “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay” BUR euro 12
[tramato il 1° maggio 2015]
Un libro interessante, che potrebbe anche aspirare a qualche cosa in più, tra valutazioni e segnalazioni, ma che soffre di qualche pecca poco sanabile. Prima di tutto, la lunghezza che seguire per 800 pagine le straordinarie, fantastiche avventure dei due cugini è impresa non da poco. E secondo, mi domando con che criterio e con quali motivazioni questo libro sia stato premiato con il Pulitzer nel 2001. E terzo, ma in un certo qual modo collegato al primo, Chabon mette molta carne al fuoco, riempiendo il romanzo di molti spunti a loro volta degni di trattazione propria. Non parlo comunque degli “intarsi” (così li definisco io) in cui le storie pensate dai nostri irrompono e si mescolano sulla scena. Il libro, visto nella sua globalità, e nello spirito del premio ricevuto, è una saga del modo di vivere americano, ed un omaggio ad un settore produttivo, quello dei “comics” che proprio dell’americanità è stato un campione ed un esempio. Ho di proposito usato il termine americano, piuttosto che il nostro “fumetti”, che induce una visione riduttiva del fenomeno e della diffusione che l’utilizzo del disegno e della scrittura combinati hanno avuto in America, ed hanno poi diffuso in tutto il mondo. Certo, potremmo dire che un po’ ovunque, in Italia come in Giappone o soprattutto in Francia, hanno avuto vita propria ed un loro percorso anche differente. Qui Chabon, prende lo spunto nel narrare la vita di due cugini dediti appunto ai fumetti, per narrare, con capacità, uno spaccato americano che potremmo individuare dal ’39 al ’54. Quindi anni di fuoco, per quella che venne etichettata come “L’età d’oro dei supereroi”. Che nasce nel ’38 con l’irruzione sulla scena di Superman e finisce con le tristi audizioni della commissione McCarthy per le attività antiamericane. La storia è seguita attraverso le vicende di due cugini: Sam Clay e Joe Kavalier. Il primo vive da anni in America, diciamo vivacchia, barcamenandosi tra piccoli lavoretti e idee grandiose. Joe invece sta a Praga. Qui seguiamo tutta la prima storia: Joe è ebreo, c’è l’invasione della Cecoslovacchia, tutte le repressioni che iniziano verso gli ebrei, Joe che ha il mito di Houdini, ha un maestro che gli insegna vita e prestigiazione, tenta di emigrare legalmente, ed inutilmente, poi fugge dentro una finta bara che dovrebbe contenere il mitico “Golem” di Praga. E questa del Golem è tutta una storia a sé, che percorre inizio e fine del romanzo, forse funzionale per il ricongiungimento con le radici ebraiche e con i miti del Vecchio Mondo, ma che a me personalmente ha lasciato decisamente freddino. Joe arriva alla fine a New York, e Sam scopre le sue doti sia di mago che di disegnatore. Sam invece ha una testa piena di storie, e Chabon ce ne racconta brani, ogni volta immergendoci in situazioni di avventure, di intrecci ed altro. I due allora tentano (e con successo) di proporre le loro idee ad un editore di giornali popolari. Nasce così “L’Escapista”, un supereroe che, sfruttando le sue doti alla Houdini, comincia a lottare contro le forze del male. Qui c’è la parte migliore del libro, dedicata alla vita bohemienne in minore dei grafici degli anni Quaranta. Lì a disegnare, a ripassare a china, a proporre ed a vendere e con successo le loro storie. La vita dei due cugini scorre così in parallelo, con Sam che, pur non accettandola fino in fondo, scopre la sua omosessualità. E Joe che fa di tutto per aiutare i parenti in patria, per farli emigrare, prendendo a pugni tutti i tedeschi che vivono a New York. Non è facile seguire tutte le vicende che si intersecano a questo punto. I fatti salienti, mentre prosegue la vicenda della scrittura dei comics, sono l’incontro di Joe con Rosa, ed il loro amore, il tentativo, abortito, di Sam di vivere la sua sessualità, la ricerca di far espatriare il fratello di Joe, su di una nave che i tedeschi affondano, la crisi di Joe che decide di arruolarsi e combattere, non dando più sue notizie per anni, la nascita del figlio di Rosa e Joe (ma Joe non lo sa), la vita di Joe nelle basi polari, la sua guerra privata, il matrimonio di facciata tra Sam e Rosa, il piccolo Tommy che cresce. Nella parte finale, assistiamo alla crisi del mondo dei fumetti nel dopoguerra, al tentativo di reinventarli, alla vita quotidiana di Rosa, Sam e Tommy, al ritorno, dopo dieci anni, sulla scena di Joe. Ed alle agnizioni finali. Nonché alla chiusura di alcune riviste perché “contrarie allo spirito americano”. C’è tutto il tempo per vedere come cresce Tom, come si riavvicinano Tom e Joe, prima, e poi Joe e Rosa, e come Sam fa delle scelte, e via discorrendo per tutte le lunghe pagine del romanzo. Quello che esce fuori è un inno d’amore verso i “comics”, al quale, per la mia storia personale di lettore non posso che associarmi alla grandissima, uno spaccato sulla vita degli ebrei americani, dai rapporti tra loro a quelli con i genitori (e mi viene sempre in mente la mamma ebrea dei film di Woody Allen), la nascita dei sogni americani (se sai fare sfonderai nella vita, la villetta a schiera dei benestanti, i neri che non sono ancora non dico integrati ma neanche considerati). Insomma, un libro complesso nella sua struttura, gradevole e stimolante nelle sue idee, leggermente prolisso per una riuscita vincente su tutta la linea. Seppur letto con fatica nelle notti settembrine, prendetelo anche voi in considerazione, magari per un’estate sotto l’ombrellone. Piccola notazione per le traduttrici: se si parla dei Dodgers di Brooklyn stiamo parlando di football non di calcio!!
“Di solito evitavano di porsi domande come: È normale comportarsi come facciamo noi? Oppure: Che senso hanno le nostre vite?” (727)
A. M. Homes “Questo libro ti salverà la vita” Feltrinelli euro 9 (in realtà, scontato a 6,75 euro)
[tramato il 29 novembre 2015]
Non è che non sappia come si chiama (il suo nome completo è Amy Michael Homes), ma questo con i punti è il suo nome da scrittrice, quello con cui firma tutti i suoi lavori. Cinquantenne newyorchese, a me prima di questo libro ignota, pur nella non completa riuscita del libro, mi ha incuriosito, divertito, ed anche fatto riflettere qua e là. Le prime cinque pagine mi stavano frenando, come se non si riuscisse a decollare. Poi sono stato preso dalla vicenda di Richard, ma, soprattutto, dall’uso che fa la scrittrice di un racconto per fare critiche alla società americane ed alle sue degenerazioni palesi. Con l’abilità di farmi, in fondo, fare il tifo per lo sballottato Richard, anche se non è proprio l’esempio del paladino dalle mille virtù che ci si aspetta per farne il tifo. Richard ha un pacco di soldi, essendo un abilissimo online trader che vende e compra azioni come fossero noccioline, ed in questo che non sembra essere un gran lavoro, accumula dollari su dollari. Ad un certo punto si separa dalla moglie, molto più di lui work-aholic come si dice oggi in America, lasciandola a New York con il loro figlio Ben e trasferendosi a Los Angeles. Qui vive in una villa su una collina, si mette cuffie con musica la mattina, si allena sul suo tapis roulant mentre la sua tata accudisce la casa, mangia la sua colazione ed i suoi pranzi che gli prepara la sua nutrizionista, interrompe il collegamento con il PC per un po’ di ginnastica con la sua Personal Trainer, e poco altro. Guarda la collina del suo mondo, e sta lì, ibernato, tanto che la tata gli dice che sono 35 giorni che non parla con nessuno. Il punto di crisi, la “zeppa” che viene messa nell’ingranaggio è un dolore che sente al petto. Sto per morire? Un infarto? Dalla visita al pronto Soccorso comincia un percorso suo per comprendersi, tanto che tutti cominciano a non “riconoscerlo” più. Si “interessa”! E gli capitano tante cose, cui, forse, prima neanche avrebbe scorto. Si crea una buca in giardino che sta per inghiottire il cavallo di una sua vicina, che lui e un vicino famoso che si scopre poi essere un grande divo del cinema, salvano con un elicottero. Vagando per il quartiere con la sua Mercedes in leasing incontra un immigrato indiano che fa delle ciambelle favolose, che entrano a poco a poco a sostituire i creali che punteggiano la sua vita. In un super mercato incontra una donna che piange e … le parla. Un altro incontro che sarà di buon auspicio per il resto del libro. Diventano amici e lui la incoraggia a seguire una nuova vita, lontano da un marito violento e da figli che si accorgono di lei solo se non cucina o non lava i panni. Lo strano (per il mondo di L.A.) è che saranno solo amici. Per un terremoto la casa minaccia di crollare, e lui si trasferisce a Malibu. Dove incontra uno vicino stralunato, che si dimostra essere uno scrittore di grido. Dove adotta un cane. Dove, dopo anni, fa di nuovo sesso (ma non con l’amica di cui sopra). Dove lo raggiunge il figlio Ben che ha deciso di fare il coast to coast con il cugino Barth. E lunghe saranno le difficoltà che Richard e Ben dovranno superare per avvicinarsi e comunicare realmente. E Richard capirà quello che aveva già capito ma non vissuto: la necessità di Ben della sua figura, anche distante, ma in modo da scambiarsi parole e sostenersi a vicenda nei momenti di crisi. Richard continua a fare il buon samaritano, salvando una signorina che stava per essere rapita da un bruto, facendo regali a tutti, senza volere niente in cambio (ricordate i discorsi sui doni), pagando l’operazione all’anca alla sua tata. Ed avendo anche un riavvicinamento, almeno verbale, con l’ex-moglie. Fortunatamente Holmes non spinge tutto verso l’happy end, che sarebbe uno stucchevole strato di miele su di una storia che invece, anche se facciamo il tifo, è ben amara. E si ipotizza che, benché sperso su di una zattera davanti alla spiaggia di Malibu, Richard ci sarà, per gli altri, e soprattutto per Ben. Il piacevole della scrittura è che tutta questa scrittura, che potrebbe essere solo una specie di sceneggiatura per un mélo americano (alla Paul Mazursky) diventa una critica serrata della società americana: incomunicabilità, passione per il “cibo sano” ma solo se lo dice la nutrizionista, macchine in leasing, attori che fanno i simpatici, lo scrittore che scrive i suoi capolavori perché si isola, ginnastica che “deve” essere fatta (tapis roulant e piscina in casa), divorzi senza parole, famiglie che pensano la donna solo come serva, e tutte le peggiori insensatezze americane (fino al dottore che cura bene ma che si scopre non essere laureato). Certo, non un capolavoro né un libro immancabile, ma ho trovato la nostra scrittrice capace di gettare un bell’occhio sulla realtà americana attuale.
“[della mia infanzia] io non mi ricordo niente … e poi, tutto a un tratto, mi torna un pezzetto e penso: ma guarda, me n’ero completamente dimenticato.” (236)
“Non basta dire ‘mi dispiace’ come se significasse qualcosa.” (258)
Conclusioni
Mi aspettavo una critica maggiore su Chabon, e magari le citazioni di qualche Marvel o DC Comics. Un po’ deluso dei miei ricordi fumettistici, mi consolo pensando ai quotidiani eroi della mia amica a fumetti, ormai molto francese. Bonjour, Luaná!

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