Gian Mauro Costa “Stella o croce” Sellerio
euro 14
[A: 12/06/2018 – I: 11/03/2020 – T:
12/03/2020] &&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 245; anno:
2018]
Non
ho molto dell’autore, che del resto non è che sia prolifico. Fin qui un libro
ed un racconto con al centro il radiotecnico investigatore Enzo, ed un racconto
che introduce la poliziotta Angela Mazzola. Per pareggiare il conto con Enzo,
ecco un romanzo con al centro la simpatica Angela. Costa, da buon giornalista
sia della carta che del video, non ci delude anche qui per la scorrevolezza del
testo, per le descrizioni dei luoghi, e soprattutto per l’ambientazione
palermitana che da sola vale un punto in più. Leggermente meno invece per
quanto riguarda l’intreccio noir. Facendo alcune congiunzioni tra i punti
inziali del puzzle, avevo ipotizzato la soluzione alla comparsa di un
personaggio, che si è rivelata esatta. Non avevo ancora capito tutte le intricate
vie che il filo avrebbe seguito per creare la matassa. Ma già sembrava l’unica
strada percorribile. Fortuna, per me e per Costa, che il noir è solo un di cui
di un romanzo che ci dà alcuni altri spunti. Ad esempio, quello di seguire la
vita e le opera di Angela Mazzola, giovane, intelligente e poliziotta.
Proveniente da un quartiere, Borgo Nuovo, arroccato alle spalle della Zisa e
dello ZEN (che non è un modo di meditare palermitano, ma l’acronimo di un
quartiere tra i più degradati, la Zona Espansione Nord), quartiere chiuso e
degradato. Da lì, per uscirne, la nostra Angela decide di fare le scuole come
interna in un collegio di suore, poi dopo la maturità, continuare a
studicchiare, mantenendosi con mille lavoretti, e facendo un corso da sommelier
(che permette a Costa di continuare l’elenco di vini e buone bevute come aveva
iniziato nelle storie di Enzo). Per poi entrare, con un po’ di sorpresa, nella
polizia. Ora il poliziotto Angela inizia la sua carriera all’Antirapine (e
seguiremo in parallelo tutta la storia per sventare una serie di rapine ben
organizzate da una banda proto-mafiosa), ma si sente dentro il fuoco della
poliziotta da Omicidi. Tramite il collega Santo (con il quale ha una
mini-storia più di sesso che d’amore, e Costa ben tratta questa parte del
personaggio, libero ma non senza regole, e comunque decentemente coerente)
ottiene una minuscola appartamento con terrazza nella zona dell’Acquasanta,
dominata dalla Villa Igea (ora un hotel di Rocco Forte) ma prospicente il mare,
vicino alle spiagge dell’Arenella. Costa impiega una serie di capitoli, inziali
e poi sparsi, per presentarci Angela e la sua vita, per poi farci piombare nel
mezzo dell’intrigo. Che nasce casuale: una intervista giornalistica ad una
signorina cui mesi prima è morta la zia, una parruccaia (non parrucchiere, ma
fabbricante di parrucche) uccisa nel suo negozio, senza che la polizia trovasse
moventi e colpevoli. Angela è stimolata dal fatto che la signorina era una sua
collega nel collegio monastico, che la giornalista è stata sua collega nel
corso da sommelier, e che si tratta di un omicidio, dove lei pensa di poter
sviluppare le sue capacità. Unendo i primi due tratti, insieme alla giornalista
Silvia comincia ad indagare: finte interviste ai personaggi coinvolti per
ripercorrere gli interrogatori di sette mesi prima; coinvolgimento di Santo nel
fornire copie di prove della Omicidi, tra cui il magico nastro di una
telecamera; e tanti ragionamenti. Sia sui personaggi che sulla morta, che forse
tanto limpida non era. Divorziata senza astio da un marito con il quale è ora
in lite per un posto al cimitero (o meglio, era in lite prima di morire);
fornitrice di parrucche a travestiti e futuri trans, come il pur simpatico,
forse l’ultimo che ha visto la signora viva; ma anche di parrucche a donne in
cure chemioterapiche. Che tra l’altro anche la zia di Angela potrebbe avere
qualcosa, si fa visitare da un primo medico (di una antipatia unica), poi da un
sodale di Angela, che fornisce la diagnosi esatta: diverticoli. Tutto si
complica quando (ma io l’avevo detto al primo momento: se una volante della
polizia deve passare alle 16:45 ed il nastro indica 17:45, di sicuro c’è un
disallineamento dovuto all’ora legale) il nastro mostra discrepanze tra le
varie testimonianze. E noi cominciamo a riflettere anche sulla morte di una
cliente della parruccaia, avvenuta il giorno prima. Alla fine, la nostra
Angela, fornisce gli elementi per chiudere l’indagine, per scagionare gli
innocenti, per incastrare i colpevoli, per avere la promessa del suo capo che
forse, chissà, potrebbe passare alla Omicidi, e per adottare Stella, un
cucciolo di labrador. Perché, come dice zia Giuseppina, nei momenti topici
della vita, si butta in aria una moneta: se riesce Stella andrà bene,
altrimenti croce, e lo capite anche voi e non dico altro. Una lettura relax, in
questi momenti difficili come diceva Tonino Carotone (e spero che sappiate chi
sia).
“Tirò fuori il libro comprato il giorno
prima. ‘La vera storia del pirata Long John Silver’ … l’aveva appassionata sin
dalle prime pagine.” (102) [un libro veramente interessante, di Bjorn Larsson,
un magistrale svedese; leggetelo]
Alessia Gazzola “Un po’ di follia in
primavera” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 3,60 euro)
[A: 13/09/2017 – I: 27/03/2020 – T: 29/03/2020]
- &&&
--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 298; anno 2016]
Ed eccoci ad una nuova avventura della fortunata
“allieva” di Alessia Gazzola. Che era allieva al primo libro, ed ora al sesto è
quasi dottoranda e per noi rimane soltanto Alice Allevi. O “Elis” come dice il
suo amato, ma forse non tanto, Arthur. Una scrittura che in parte riscatta la
non tanto brillante prova precedente. È anche vero che il libro viene
pubblicato durante l’ondata delle uscite in TV della seconda serie televisiva
(quella con Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale), cosa che, secondo me, dà
qualche elemento di troppa fretta nelle uscite, e di sensazione che tutto sia
permesso. Non è così, e quindi l’attenzione a volte si sposta troppo sul
personale, laddove la vicenda gialla, quella che dovrebbe essere il motore
della storia, risulta a volte zoppa, a volte scontata, a volte monca (alcuni
punti avrebbero dovuto essere portati più avanti nelle loro conseguenze, e non
lasciati morire lì). Quindi abbiamo la parte personale che diventa
preponderante ed ingombrante, un po’ come stava diventando (ma poi si è un po’
frenata) la serie di Camilla Lackberg. C’è il rapporto amore – non amore tra
Alice ed Arthur. Lui ha lasciato l’amato lavoro di reporter free lance, per
stare con lei, la vuole in sposa, tanto che la madre torna dall’America per
conoscere la futura nuora. Qui c’è veramente un siparietto inutile che porterà
l’ex capo di Alice nonché padre di Arthur a convolare a nuove nozze con Kate,
la madre e sua prima ex-moglie. Ovviamente ci sono le incursioni
sentimental-lavorative di Claudio Contorti, il nuovo capo di Alice e a volte
suo partner. In mezzo a tutto ciò non capiamo Alice dove vuole stare: buttarsi
con Arthur? Lasciarlo libero che lui, spirito nomade, è bene parta sulle vie
della redenzione del mondo? Buttarsi con Claudio? Decidere magari, senza mai
buttarsi, quale sia la vita sentimentale che vuole seguire? Questo sarebbe
l’ottimo per lei, come da sempre le consiglia l’amata Nonna Amelia. Ma Alessia,
la scrittrice, non vuole mettere punti fermi a questo capitolo delle avventure,
come avesse paura di deludere qualcuno (il pubblico televisivo?). Poi abbiamo
la storia: la morte di un affermato psichiatra, Roberto. La nostra brava
scrittrice fa di tutto per complicare la vita alla vicenda. Roberto è sposato
con Eleonora, ma la tradisce assai (anche se mantiene un basso profilo).
Eleonora a sua volta ha una storia con Andrea, violinista maestro della figlia,
ma soprattutto figlio adottivo di una famiglia di grandi industriali
farmaceutici. Adozione propiziata dalle perizie proprio di Roberto. Mentre poi
in una prima fase (quella delle lezioni di violino) Roberto aiuta Andrea,
quando scopre la tresca, comincia ad ostacolare lui e tutta la terra intorno.
Come, ad esempio, traumatizzando la sorellastra Azzurra, togliendo ad Andrea
ingaggi promettenti, ed altre piccole cattiverie che fanno risaltare a poco a
poco la cattiveria interna del personaggio. Coperto solo in parte dalla sua
assistente – aiutante Mathilde (ma perché quell’H?). E ponendoci domande su
quale ruolo abbia Elena la sorella di Mathilde con lei affranta in pianto
durante il funerale. Inframmezzato da citazioni e situazioni personali che alla
fine sono un po’ “pallose”, la trama gialla si riduce ai cinque personaggi di
cui sopra. Chi è l’assassino? La moglie stufa dei tradimenti nell’intento di
farsi una nuova vita. Andrea per vendicarsi dei torti subiti. Azzurra
esacerbata dallo stalkeraggio psicologico di Roberto psichiatra. Mathilde che a
sua volta non sopporta la deriva autoritaria del lavoro medico di Roberto.
Elena che non accetta più il ruolo di amante di secondo piano (ruolo che si
poteva evincere sin dal funerale). Tra l’altro, come ho già notato, Alessia
continua ad avere poca fantasia con i nomi, andando spesso a ripetere le
iniziali in tutti i personaggi principali. Così come abbiamo Alessia e Claudio
nella parte anatomopatologica, abbiamo Arthur (una A) il fidanzato di Alessia,
abbiamo Cordelia (una C) la sorella di Arthur. In più qui abbiamo Andrea
Cardinali e Azzurra Cardinali (una A ed una C) nel ruolo di sospettati. Nonché,
per finire, l’ispettore Calligaris (un’altra C) nel ruolo di investigatore
principe e unico a sostenere sempre Alessia. Una buona e veloce lettura, che
non ha impegnato troppo le sinapsi cerebrali, lasciando riposare i due stanchi
neuroni dell’attuale momento di non facile vita. Ma la scrittura c’è, così come
il potenziale di crescere ancora sul fronte della serialità della storia.
“Il mio … itinerante, è uno che quando c’è c’è, e
quando non c’è non esiste per nessuno. Queste sue assenze stimolano non solo la
solitudine, ma alimentano anche il desiderio.” (88)
“La partenza è un momento di fine e di inizio, per
affrontarla ci vuole coraggio. Non si smette di essere nomadi quando lo si è
nell’anima.” (173)
“Chi ha scarso spirito matematico ben difficilmente
comprende a fondo la realtà.” (193)
Gianni Simoni “La scomparsa di De Paoli”
TEA euro 10 (in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 16/08/2018 – I: 05/05/2020 – T: 06/05/2020]
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[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 228; anno 2015]
Dopo
sei mesi, torniamo a leggere gli scritti dell’ex-magistrato Gianni Simoni,
nell’alternanza rigida delle sue due serie. Si era letto di Lucchesi, unico
commissario di colore alla Omicidi, che qui torniamo alle storie sottotitolate
“un caso di Petri e Miceli”. Non solo, ma anche la quarta ci dice che Petri
costringe Miceli “a rimettersi in gioco”. Ora Miceli è praticamente in
pensione, come da tempo il giudice Petri. E qui, se non fosse che compare
qualche volta in Questura, che si fa qualche salto a casa sua per parlare delle
indagini, che per lungo tempo avrà anche un raffreddore, non è che c’entra
molto con le indagini. Che al solito ruotano intorno all’acume di Petri, e,
talvolta, anche se qui meno, alla bravura del nuovo commissario che sostituirà a
breve Miceli, cioè Grazia Bruni. Sebbene in altre storie poi il nostro Simoni
esprime qualche passaggio interessante, qui siamo ridotti ai minimi termini.
C’è un morto, c’è una possibile indagine, ma lo scritto vaga spesso per altri
lidi. Soprattutto alle vicende private, alla vita intima di Petri, quasi fosse
un Maigret in pensione, con tanto di moglie accudente e simpatica. O alle
vicende del commissario Bruni, che ricordiamo nelle precedenti storie dilaniata
tra il rapporto storico con il buon Maccari e la presenza nuova dell’ispettore
Armiento, di bella presenza e di buon intuito. Il lato privato è anche
aumentato dal fatto che il morto non è altro che un amico di Petri, il buon
dottore De Paoli, che in altre vicende era presente come personaggio di contorno.
Qui diventa centrale, in quanto ucciso nelle prime pagine, in modo cruento ed
in luoghi non chiari. A noi lettori, visto che per le indagini il morto sembra
ignoto, è ben chiaro da subito chi sia il morto. Solo i poliziotti impiegano
metà libro per collegare i vari fili del discorso e trovare l’identità del
morto. Dicevamo in luoghi non chiari, perché De Paoli viene trovato vicino a
luoghi frequentati dalle belle di notte. Che oltre ad essere medico, il
solitario dottore si prodigava per le sfortunate signorine, al fine di dare una
mano, sanitariamente, o anche qualcosa in più. Come accade per la bella
Roberta, che alcuni anni prima, toglie dalla strada per farne la cameriera.
Suscitando le ire del “protettore” che non si mai rassegnato alla perdita. Inoltre,
indagando a casa De Paoli, i nostri scoprono un astio mortale dell’inquilino a
piano terra, che rimprovera al dottore non aver autorizzato un’amniocentesi per
poi scoprire che la piccola Sara nasce con dei moncherini al posto delle
braccia. Questi i due filoni che seguiranno le indagini: vendetta del pappone
privato della bella o del “piccolo borghese” che imputa colpe non provabili. E
saranno filoni che tormenteranno tutto il libro, insieme alla terza ipotesi di
omicidio inutile a scopo di rapina. Tre filoni che sono di poco peso, ma che
vedranno ogni volta aumentare il proprio, a fronte di intercettazioni
telefoniche, di minacce velate, di orologi scomparsi. È inutile che vi dica che
la soluzione arriverà, ma assolutamente fuori dai canoni “alla Van Dine”. Come
se Simoni si fosse un po’ stufato di farci partecipare alle indagini, e ci
porta il menu bell’e fatto senza che noi lo si riesca a gustare. Dobbiamo
invece gustarci le peripezie, tra fumo e dolori alla schiena, del nostro Petri.
Nonché la sua vena da “pater familias” risolutore. Laddove vede che il
triangolo Bruni – Maccari – Armiento può portare complicazioni all’interno
della Questura, Petri si occupa di indagare anche nella vita privata dei tre.
Ovvio che la soluzione del privato è a portata di mano (e noi che abbiamo letto
i libri precedenti lo pensavamo da tempo). Armiento, infatti, in una precedente
indagine si era già invaghito di una simpatica dottoressa, con la quale presto
convolerà, e fuori da Brescia, così che probabilmente in altri libri sarà fuori
gioco. E Grazia, alla soglia dello scadere dell’orologio biologico, vedrà
coronare il suo sogno di proliferare, anche se Maccari non sembrava all’inizio
contento. Ma anche questa era una finta. Così che tutto finisce con probabili e
successivi “happy end”. Rimane molto poco di altro: qualche passeggiata per una
Brescia che non conosco, e che ora è sempre in cronaca per motivi legati
purtroppo ai contagi, qualche lettura interessante (sottolineo “I fratelli
Ashenazy” che legge il giudice), un buon film (l’indiano “Lunchbox”), e
soprattutto la fobia di Petri per le scritte minacciose presenti sui pacchetti
di sigarette. Tanto che compra solo quelli che invitano le puerpere ad
astenersi. Insomma, una lettura che scivola via, senza molti sussulti, e che
poco restituisce a chi non conosce già i nostri personaggi. Speriamo Simoni
abbia qualche sussulto positivo in futuro.
“Si
era accucciato per raccogliere dal pavimento un mozzicone … e non era più
riuscito a rialzarsi, neppure aggrappandosi al bordo del lavabo.” (23) [ahi,
come ti capisco, Petri!]
Barbara Bellomo “La ladra di ricordi” TEA
euro 10
[A: 09/03/2018 – I: 01/06/2020 – T: 02/06/2020]
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e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 308; anno 2016]
Non
indimenticabile, ma gradevole, almeno nella costruzione di alcuni personaggi e
nella finta ricostruzione storica di alcune vicende della storia romana
seguenti alla morte di Cesare. Non è un caso, infatti, che l’autrice sia una
storica dell’epoca romana. Una scrittura agile e senza intoppi, che mostra una
discreta scioltezza nel periodare, anche se poi, nell’intreccio, qualcosa di
perde per strada. La scrittrice sembra proprio partire da esperienze personali,
visto che la protagonista, Isabella, è una dottoranda in storia, e si trova in
quel di Todi, insieme ad altri due dottorandi, al fine di perfezionare una
ricerca storica ed accedere a posizioni museali importanti. Non è quindi un
caso che quando si mette a tracciare le linee della vita universitaria Barbara
Bellomo abbia la mano agile: parla e ci mostra cose che ben conosce, e che non
è un caso epigrafi con la bella citazione di Corrado Alvaro. Amicizie e
solidarietà, venate e spesso inquinate da arrivismi ed altri egoismi. Come
l’utilizzo del proprio corpo come merce di scambio per ottenere posti
vantaggiosi. Isabella ha anche un altro grande problema, sottolineato dal
titolo. È affetta da cleptomania compulsiva, cioè rubacchia piccoli elementi
che incontra per via, come fossero ricordi da immagazzinare in una sua scatola
privata. Ovvio e facile da predire che proprio da quella scatola, alla fine
salterà fuori il pezzo del puzzle che permetterà di ricostruire in modo
coerente tutta la vicenda gialla. Che in effetti, lo sfondo globale non è un
dotto excursus universitario, ma una morte e le sue indagini. I personaggi
sulla scena sono quindi i tre professori che gestiscono i dottorandi, insieme
al loro assistente, i tre dottorandi, uno studente e sua nonna. È lei che
contatta il professor Nardi per un consiglio su di un cammeo, ed è lei che
subito dopo viene trovata uccisa. Nardi allora si prende cura del nipote,
Carlo, e coinvolge Isabella in quanto esperta in cammei d’origine antica. Tutto
ruota infatti su questo cammeo scomparso, che sapremo in modo diagonale essere
d’origine romana, regalo di Fulvia, moglie di Marco Antonio, alla figlia
Claudia, undicenne sposa del ben noto Ottaviano. La scrittrice, ben edotta
della storia romana, ci porta a fare un dotto excursus sulla storia romana, sul
triumvirato succeduto alla guida di Roma a seguito della morte di Giulio
Cesare. Tralasciando questa parte, interessante ma non coinvolgente, sappiamo
che di dono in dono il cammeo arriva sino alla signora poi uccisa. Isabella,
con la sua esperienza, risale questo crinale di notizie, scoprendo che l’ultimo
posto conosciuto dove si ha notizie del cammeo era un Museo di Catania. Ed è lì
che lei con Nardi si reca per indagare sulla scomparsa ai tempi della Guerra.
Le notizie e le vicissitudini lì si complicano: cammeo appartenente ad una
famiglia ebrea, poi omaggiato al Museo, e da lì scomparso per riapparire nella
casa di un potente boss mafioso. Nella cui famiglia si verifica un doloroso
lutto (che alla fine verrà svelato) collegato con la futura morta. Che in
realtà era la governante della famiglia, che dopo quella morte si allontana dai
mafiosi per rifugiarsi in Umbria, dove partorisce e si sposa. Siccome i due
avvenimenti avvengono in quella sequenza, si capisce che il marito non è il
padre. La signora vive molto agiatamente, fino a quando la figlia muore, ed il
flusso di denaro che veniva dalla Sicilia si interrompe. Avrete capito bene
perché. I sospetti del commissario (figura marginale ma utile alla maturazione
di Isabella) si appuntano proprio sui mafiosi. Anche se alla fine, benché tutto
si colleghi, il responsabile ultimo si rivela di altro ceppo. Forse era
prevedibile, ma è un po’ un altro coniglio che esce dal cilindro di una trama
gialla poco avvincente. Rimane il concorso, dove Isabella viene osteggiata da
uno dei docenti che vuol far vincere la sua amante. Amante cui si oppone Nardi,
e quindi risulta vincente il terzo e più debole incomodo. Isabella avrà i suoi
successi professionali, anche se in direzioni diverse da quelle che attendeva.
Meglio, il divertente rapporto tra Nardi ed il nipote Carlo. Tirando le somme,
Bellomo riesce ad imbrogliare bene le carte, non ci fa troppo annoiare, anche
se la cleptomania di Isabella, che doveva essere il motore primo della vicenda,
rimane sempre latentemente presente e non sviscerato fino in fondo. Quindi,
bene una certa fotografia del mondo universitario, bene alcune figure, discreti
gli estratti storici, meno bene il narrato giallo e la sua risoluzione. Alla
fine, un risultato discreto, con una scrittrice da rivedere in altre prove.
“Corrado
Alvaro: La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il
dubbio che vivere onestamente sia inutile.” (5)
“Per
me leggere è divertimento. La cultura, lo spirito. Sono queste le cose
importanti. Il resto passa, si perde. Ma quello che sai lo tieni per te,
sempre.” (203)
Essendo la seconda trama d’agosto, vi regalo
la solita lettura aggiuntiva dedicata ai supereroi di carta o di carne.
Pensavo di riposarmi nel mio buon ritiro, ma
le vicende mediche mi forzano di supporto a Roma. Caldo e posa voglia di fare. Speriamo
sia inappetenza normale. Per poi tornare a viaggiare, come il nostro amico
Lucio.
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i
“bugiardini” di Giovanni
AGOSTO 2020
Ed anche questo mese una volontà
altra, quella di essere dei supereroi e prendere a sberle tutti i Covid del
mondo.
SUPEREROE, VOLER ESSERE UN
Michael
Chabon “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay”
- M.
Homes “Questo libro ti salverà la vita”
Aspettate un po’ - non ditecelo.
Avete in mente un costume in lycra, rosso e blu. Siete indecisi su quale
superpotere scegliere. Qualcuno tra voi crede ancora che la tiara di Wonder
Woman riesca a fermare i proiettili, alle sue facoltà telepatiche e
all’incredibile velocità con cui scrive a macchina (centosessanta parole al
minuto, se volete saperlo). Non vi sentite di escludere che un giorno possiate
guidare un veicolo simile, se non proprio identico, alla Batmobile. Ogni tanto,
infine, mentre vi dedicate alle attività quotidiane, vi immaginate sopra la
testa una nuvoletta con dentro scritto «Woosh!», «Barn!», «Kaboom!» o magari
«Pzzow!».
Bene, tutto OK. Crescendo, di solito
passa. A voi non è successo.
Avrete già letto e adorato “Le
fantastiche avventure di Kavalier e Clay” di Michael Chabon, l’epica vicenda di
Josef Kavalier e Sammy Clay, disegnatori di fumetti. Cavalcando l’onda degli
anni d’oro del fumetto, i due creano una serie di supereroi, a partire da
L’Escapista che nel 1939 «corre in aiuto di chi soffre, oppresso dalla tirannia
e dall’ingiustizia», e combattono contro Hitler con la penna e l’inchiostro.
Joe e Sammy non diventano tuttavia dei veri supereroi, ma se cercate un mentore
letterario che vi insegni come si fa noi conosciamo la persona adatta.
Richard Novak, protagonista di
“Questo libro ti salverà la vita” di A. M. Homes, non è più in grado di provare
emozioni dopo un divorzio, tredici anni prima, e quando si è trasferito in
California ha lasciato a New York il figlio di quattro anni, Ben. La sua vita
adesso rappresenta il volto più artificiale della moderna Los Angeles: vive in
una casa che sembra una scatola di vetro sulla parete di un canyon, splendidamente
isolato dal mondo grazie a un paio di auricolari che cancellano qualsiasi
rumore, e interagisce solo con la donna delle pulizie, la nutrizionista, il
massaggiatore e il personal trainer. Un giorno ricomincia a provare qualcosa -
a cominciare da un dolore fisico travolgente e dalla diagnosi impossibile - e a
poco a poco gli altri iniziano a entrare nella sua vita: Anhil, il proprietario
del negozio di ciambelle, Cynthia, la casalinga frustrata, e Tad, il vicino di
casa, una stella del cinema «incredibilmente sexy». Di lì a poco inizierà a
infrangere le regole - beve caffè («Vero caffè?» domanda la nutrizionista,
inorridita. «Con vero latte?»), fa spuntini a base di ciambelle, scoppia in
lacrime, schiaccia un pisolino... e vuole «essere di più, fare di più... essere
eroico, sovrumano - salvare qualcuno da un edificio in fiamme, saltare sui
tetti». In altre parole, vuole essere un supereroe.
Da appassionati, i vari gesti
eroici di Richard - come quello che secondo noi è il migliore inseguimento in
autostrada di tutta la letteratura - vi metteranno in soggezione. Ci vorrà quel
ciarlatano del suo medico, Lusardi, per sottolineare che forse tutto questo
salvare altre persone significa in realtà salvare sé stessi. Quando Ben, che
ormai ha diciassette anni, finalmente compare sulla soglia di casa, Richard è
pronto a cercare di salvare il rapporto più importante di tutti.
La verità è che non si può
diventare un supereroe se prima non si ha sofferto. Richard è sensibile ai
bisogni degli altri ma ciò che lo spinge, in realtà, è il disperato bisogno di
sistemare le cose con Ben e recuperare almeno in parte ciò che ha perduto. Se
la vostra motivazione è rimediare agli errori del passato e migliorare
l’esistenza altrui, allora anche voi potete essere dei supereroi.
Bugiardino
Due
libri interessanti, letti abbastanza tempo fa, ma comunque interessanti. Sia
per le avventure dell’escapista sia per quelle dello “scappato”.
Michael Chabon “Le fantastiche avventure di Kavalier e Clay” BUR euro
12
[tramato
il 1° maggio 2015]
Un libro
interessante, che potrebbe anche aspirare a qualche cosa in più, tra
valutazioni e segnalazioni, ma che soffre di qualche pecca poco sanabile. Prima
di tutto, la lunghezza che seguire per 800 pagine le straordinarie, fantastiche
avventure dei due cugini è impresa non da poco. E secondo, mi domando con che
criterio e con quali motivazioni questo libro sia stato premiato con il
Pulitzer nel 2001. E terzo, ma in un certo qual modo collegato al primo, Chabon
mette molta carne al fuoco, riempiendo il romanzo di molti spunti a loro volta
degni di trattazione propria. Non parlo comunque degli “intarsi” (così li
definisco io) in cui le storie pensate dai nostri irrompono e si mescolano
sulla scena. Il libro, visto nella sua globalità, e nello spirito del premio
ricevuto, è una saga del modo di vivere americano, ed un omaggio ad un settore
produttivo, quello dei “comics” che proprio dell’americanità è stato un
campione ed un esempio. Ho di proposito usato il termine americano, piuttosto
che il nostro “fumetti”, che induce una visione riduttiva del fenomeno e della
diffusione che l’utilizzo del disegno e della scrittura combinati hanno avuto
in America, ed hanno poi diffuso in tutto il mondo. Certo, potremmo dire che un
po’ ovunque, in Italia come in Giappone o soprattutto in Francia, hanno avuto
vita propria ed un loro percorso anche differente. Qui Chabon, prende lo spunto
nel narrare la vita di due cugini dediti appunto ai fumetti, per narrare, con
capacità, uno spaccato americano che potremmo individuare dal ’39 al ’54.
Quindi anni di fuoco, per quella che venne etichettata come “L’età d’oro dei
supereroi”. Che nasce nel ’38 con l’irruzione sulla scena di Superman e finisce
con le tristi audizioni della commissione McCarthy per le attività antiamericane.
La storia è seguita attraverso le vicende di due cugini: Sam Clay e Joe
Kavalier. Il primo vive da anni in America, diciamo vivacchia, barcamenandosi
tra piccoli lavoretti e idee grandiose. Joe invece sta a Praga. Qui seguiamo
tutta la prima storia: Joe è ebreo, c’è l’invasione della Cecoslovacchia, tutte
le repressioni che iniziano verso gli ebrei, Joe che ha il mito di Houdini, ha
un maestro che gli insegna vita e prestigiazione, tenta di emigrare legalmente,
ed inutilmente, poi fugge dentro una finta bara che dovrebbe contenere il
mitico “Golem” di Praga. E questa del Golem è tutta una storia a sé, che
percorre inizio e fine del romanzo, forse funzionale per il ricongiungimento
con le radici ebraiche e con i miti del Vecchio Mondo, ma che a me personalmente
ha lasciato decisamente freddino. Joe arriva alla fine a New York, e Sam scopre
le sue doti sia di mago che di disegnatore. Sam invece ha una testa piena di
storie, e Chabon ce ne racconta brani, ogni volta immergendoci in situazioni di
avventure, di intrecci ed altro. I due allora tentano (e con successo) di
proporre le loro idee ad un editore di giornali popolari. Nasce così
“L’Escapista”, un supereroe che, sfruttando le sue doti alla Houdini, comincia
a lottare contro le forze del male. Qui c’è la parte migliore del libro,
dedicata alla vita bohemienne in minore dei grafici degli anni Quaranta. Lì a
disegnare, a ripassare a china, a proporre ed a vendere e con successo le loro
storie. La vita dei due cugini scorre così in parallelo, con Sam che, pur non
accettandola fino in fondo, scopre la sua omosessualità. E Joe che fa di tutto
per aiutare i parenti in patria, per farli emigrare, prendendo a pugni tutti i
tedeschi che vivono a New York. Non è facile seguire tutte le vicende che si
intersecano a questo punto. I fatti salienti, mentre prosegue la vicenda della
scrittura dei comics, sono l’incontro di Joe con Rosa, ed il loro amore, il
tentativo, abortito, di Sam di vivere la sua sessualità, la ricerca di far
espatriare il fratello di Joe, su di una nave che i tedeschi affondano, la
crisi di Joe che decide di arruolarsi e combattere, non dando più sue notizie
per anni, la nascita del figlio di Rosa e Joe (ma Joe non lo sa), la vita di
Joe nelle basi polari, la sua guerra privata, il matrimonio di facciata tra Sam
e Rosa, il piccolo Tommy che cresce. Nella parte finale, assistiamo alla crisi
del mondo dei fumetti nel dopoguerra, al tentativo di reinventarli, alla vita
quotidiana di Rosa, Sam e Tommy, al ritorno, dopo dieci anni, sulla scena di
Joe. Ed alle agnizioni finali. Nonché alla chiusura di alcune riviste perché
“contrarie allo spirito americano”. C’è tutto il tempo per vedere come cresce
Tom, come si riavvicinano Tom e Joe, prima, e poi Joe e Rosa, e come Sam fa
delle scelte, e via discorrendo per tutte le lunghe pagine del romanzo. Quello
che esce fuori è un inno d’amore verso i “comics”, al quale, per la mia storia
personale di lettore non posso che associarmi alla grandissima, uno spaccato
sulla vita degli ebrei americani, dai rapporti tra loro a quelli con i genitori
(e mi viene sempre in mente la mamma ebrea dei film di Woody Allen), la nascita
dei sogni americani (se sai fare sfonderai nella vita, la villetta a schiera
dei benestanti, i neri che non sono ancora non dico integrati ma neanche
considerati). Insomma, un libro complesso nella sua struttura, gradevole e
stimolante nelle sue idee, leggermente prolisso per una riuscita vincente su
tutta la linea. Seppur letto con fatica nelle notti settembrine, prendetelo
anche voi in considerazione, magari per un’estate sotto l’ombrellone. Piccola
notazione per le traduttrici: se si parla dei Dodgers di Brooklyn stiamo
parlando di football non di calcio!!
“Di solito
evitavano di porsi domande come: È normale comportarsi come facciamo noi?
Oppure: Che senso hanno le nostre vite?” (727)
A. M. Homes
“Questo libro ti salverà la vita” Feltrinelli euro 9 (in realtà, scontato a
6,75 euro)
[tramato
il 29 novembre 2015]
Non è che non
sappia come si chiama (il suo nome completo è Amy Michael Homes), ma questo con
i punti è il suo nome da scrittrice, quello con cui firma tutti i suoi lavori.
Cinquantenne newyorchese, a me prima di questo libro ignota, pur nella non
completa riuscita del libro, mi ha incuriosito, divertito, ed anche fatto
riflettere qua e là. Le prime cinque pagine mi stavano frenando, come se non si
riuscisse a decollare. Poi sono stato preso dalla vicenda di Richard, ma,
soprattutto, dall’uso che fa la scrittrice di un racconto per fare critiche
alla società americane ed alle sue degenerazioni palesi. Con l’abilità di
farmi, in fondo, fare il tifo per lo sballottato Richard, anche se non è
proprio l’esempio del paladino dalle mille virtù che ci si aspetta per farne il
tifo. Richard ha un pacco di soldi, essendo un abilissimo online trader che
vende e compra azioni come fossero noccioline, ed in questo che non sembra
essere un gran lavoro, accumula dollari su dollari. Ad un certo punto si separa
dalla moglie, molto più di lui work-aholic come si dice oggi in America,
lasciandola a New York con il loro figlio Ben e trasferendosi a Los Angeles.
Qui vive in una villa su una collina, si mette cuffie con musica la mattina, si
allena sul suo tapis roulant mentre la sua tata accudisce la casa, mangia la
sua colazione ed i suoi pranzi che gli prepara la sua nutrizionista, interrompe
il collegamento con il PC per un po’ di ginnastica con la sua Personal Trainer,
e poco altro. Guarda la collina del suo mondo, e sta lì, ibernato, tanto che la
tata gli dice che sono 35 giorni che non parla con nessuno. Il punto di crisi,
la “zeppa” che viene messa nell’ingranaggio è un dolore che sente al petto. Sto
per morire? Un infarto? Dalla visita al pronto Soccorso comincia un percorso
suo per comprendersi, tanto che tutti cominciano a non “riconoscerlo” più. Si
“interessa”! E gli capitano tante cose, cui, forse, prima neanche avrebbe
scorto. Si crea una buca in giardino che sta per inghiottire il cavallo di una
sua vicina, che lui e un vicino famoso che si scopre poi essere un grande divo
del cinema, salvano con un elicottero. Vagando per il quartiere con la sua
Mercedes in leasing incontra un immigrato indiano che fa delle ciambelle
favolose, che entrano a poco a poco a sostituire i creali che punteggiano la
sua vita. In un super mercato incontra una donna che piange e … le parla. Un
altro incontro che sarà di buon auspicio per il resto del libro. Diventano
amici e lui la incoraggia a seguire una nuova vita, lontano da un marito
violento e da figli che si accorgono di lei solo se non cucina o non lava i
panni. Lo strano (per il mondo di L.A.) è che saranno solo amici. Per un
terremoto la casa minaccia di crollare, e lui si trasferisce a Malibu. Dove
incontra uno vicino stralunato, che si dimostra essere uno scrittore di grido.
Dove adotta un cane. Dove, dopo anni, fa di nuovo sesso (ma non con l’amica di
cui sopra). Dove lo raggiunge il figlio Ben che ha deciso di fare il coast to
coast con il cugino Barth. E lunghe saranno le difficoltà che Richard e Ben
dovranno superare per avvicinarsi e comunicare realmente. E Richard capirà
quello che aveva già capito ma non vissuto: la necessità di Ben della sua
figura, anche distante, ma in modo da scambiarsi parole e sostenersi a vicenda
nei momenti di crisi. Richard continua a fare il buon samaritano, salvando una
signorina che stava per essere rapita da un bruto, facendo regali a tutti,
senza volere niente in cambio (ricordate i discorsi sui doni), pagando
l’operazione all’anca alla sua tata. Ed avendo anche un riavvicinamento, almeno
verbale, con l’ex-moglie. Fortunatamente Holmes non spinge tutto verso l’happy
end, che sarebbe uno stucchevole strato di miele su di una storia che invece,
anche se facciamo il tifo, è ben amara. E si ipotizza che, benché sperso su di
una zattera davanti alla spiaggia di Malibu, Richard ci sarà, per gli altri, e
soprattutto per Ben. Il piacevole della scrittura è che tutta questa scrittura,
che potrebbe essere solo una specie di sceneggiatura per un mélo americano
(alla Paul Mazursky) diventa una critica serrata della società americana:
incomunicabilità, passione per il “cibo sano” ma solo se lo dice la
nutrizionista, macchine in leasing, attori che fanno i simpatici, lo scrittore
che scrive i suoi capolavori perché si isola, ginnastica che “deve” essere
fatta (tapis roulant e piscina in casa), divorzi senza parole, famiglie che
pensano la donna solo come serva, e tutte le peggiori insensatezze americane
(fino al dottore che cura bene ma che si scopre non essere laureato). Certo,
non un capolavoro né un libro immancabile, ma ho trovato la nostra scrittrice
capace di gettare un bell’occhio sulla realtà americana attuale.
“[della mia
infanzia] io non mi ricordo niente … e poi, tutto a un tratto, mi torna un
pezzetto e penso: ma guarda, me n’ero completamente dimenticato.” (236)
“Non basta dire
‘mi dispiace’ come se significasse qualcosa.” (258)
Conclusioni
Mi aspettavo una critica maggiore
su Chabon, e magari le citazioni di qualche Marvel o DC Comics. Un po’ deluso dei
miei ricordi fumettistici, mi consolo pensando ai quotidiani eroi della mia
amica a fumetti, ormai molto francese. Bonjour, Luaná!
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