Comincia qui il viaggio tra gli scritti dell’autrice anglo-siciliana che riprendiamo (soprattutto) dalla collana edita dal Corriere. Un viaggio che mi rimanda ad un altro che si svolse nel deserto algerino, cui, per l’amicizia di Franco e Giovanna, partecipò anche la scrittrice, che conobbi, frequentai ed imparai ad apprezzare. Qui ne percorriamo alcuni fra i primi scritti (quelli della trilogia iniziale) ed alcuni fra gli ultimi (cui manca la terza gamba dell’ultima trilogia). Tutti di buon livello, forse cedendo un po’ nella bocca che non parla.
Simonetta Agnello Hornby “La zia marchesa”
RCS Media Group SAH vol. 3 euro 8,90
[A: 18/10/2019
– I: 13/01/2022 – T: 15/01/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 323; anno: 2004]
Due
anni fa, il gruppo del Corriere della Sera pubblicò una serie di volumi che
riprendevano i romanzi e gli scritti di Simonetta. Con questo comincio, con i
miei tempi, a leggerne cronologicamente. Rivolgendo uno sguardo sempre
affettuoso alla scrittrice, al viaggio fatto anni fa, ed ai nostri comuni amici
siciliani. Una Sicilia che rimane sempre nel cuore, e che Simonetta ci
presenta, da un’ottica privata, ma in un contesto storico di grande evoluzione.
La
vicenda, in effetti, pur con salti temporali frequenti, si svolge dal 1859,
anno della nascita di Costanza Safamita sino al 1898, quando la balia della
marchesa narra alla nipote Pinuccia le vicende della sua vita, della vita della
famiglia dei Baroni Safamita di Sarentini, e di sfuggita le vicende italiche
della metà dell’Ottocento. La bravura dell’autrice è anche quella appunto di
non farci dimenticare che nel 1860 Garibaldi sbarca in Sicilia, e comincia la
risalita per scacciare i Borboni ed annettere il Regno delle due Sicilie al
Regno di Sardegna. Di ricordarci l’entrata a Roma dei piemontesi attraverso la
breccia di Porta Pia, la nascita del governo romano e della difficile
interazione con i lontani siciliani. Ma questo è un contorno storico che c’è,
ma il fulcro è e rimane la Sicilia, quella del Gattopardo e quella dei
Malavoglia.
Così
seguiamo le vicende dei Baroni Safamita, ma anche quella di Amalia Cuffaro e
dei servitori della casa patrizia. Al vertice della baronia ci sono i due
fratelli, Guglielmo padre di Caterina e Domenico che Caterina la sposa. Di lato
le sorelle, Assunta, quella nubile, con la massima aspirazione di diventare
“beata” dopo la vita terrena e Carolina, quella emarginata, anche perché
cleptomane. Domenico e Caterina danno vita alla nuova generazione della
baronia: Stefano, il maggiore e possibile ereditiere del titolo, e Giacomo, il
cadetto, astioso e negletto. Tra i due, la protagonista del libro, Costanza.
Che avrebbe tutti i titoli per prendere il comando, ma è donna. Per di più
bruttina, e rossa di capelli. In una famiglia che di rossi ne ha pochi.
Tanto
che la madre la rifiuta, che voleva un maschio. E lei si affeziona alla balia
Amalia, e sarò sempre colmata d’affetto del padre. anche a scapito dei
deludenti, per la baronia, figli maschi. Stefano verrà cacciato che si innamora
e sposa una donna non nobile. Giacomo sarà sempre invidioso della sorella, e
farà di tutto per toglierle l’eredità. Così che Costanza è costretta, per
mantenere il suo stato sociale, a trovarsi un marito. Prenderà il bello ma
vanesio marchese Pietro Patella di Sabbiamena, che la sposa per i soldi, che
non le vorrà mai bene, e che farà figli fuori del matrimonio. Ma Costanza è
donna forte, orgogliosa, ma benevola, tanto che deciderà di sostenere nella
vita il figlio di Pietro.
Molte
delle notizie, poi, verranno dai colloqui di Amalia con la nipote Pinuccia, che
non solo porteranno alla luce il lato nascosto di Costanza, ma daranno vita
all’altra parte dell’affresco siciliano, quello dei poveri. Amalia costretta a
fare da balia, impedita nell’affetto del suo unico figlio, che si consola con
un famiglio della casa baronale. E che ce ne mostra, con tocco leggero, lo
svolgimento quotidiano delle piccole faccende.
Ecco,
quindi, il quadro della Sicilia della seconda metà dell’Ottocento. Un mondo
aristocratico senza la consapevolezza amara di un Gattopardo. Con i punti fermi
di una vita malriposta: l’onore innanzi a tutto, l’organizzazione di matrimoni
combinati per nascondere magagne e tradimenti, discussioni infinite sulle proprietà
e sulle eredità. Un mondo d’apparenza e mai di sostanza, contrapposto ai valori
umili del popolo minuto, che cerca di vivacchiare ai margini di quel benessere,
senza mai riuscire in una giusta ma mai arrivata ribellione. Qualche sprazzo
durante i moti garibaldini, poi le consorterie dei proprietari terrieri, le
mezze figure prendono il sopravvento, intrecciando un tessuto mafioso che
ancora non si riesce a distruggere.
Già
conoscevo la scrittura di Simonetta, e qui in questo romanzo che avevo
lisciato, ben si esprime. Capitoli agili, introdotti da proverbi siciliani che,
nonostante vicinanze varie, non sempre riesco a comprendere. Ma i luoghi sono
descritti con amore e con amore veniamo trasportarti alla Montagnazza, da dove
vediamo in fondo il mare; passeggiamo per Sarentini, sudandone il caldo afoso.
Andiamo a sentire il profumo di gelsomino che si spande a Malivinnitti.
Insomma, ho ottenuto quello che mi aspettavo dalla lettura, e confermo la
piacevolezza, di cuore e di testa, della lettura degli scritti della
siculo-londinese scrittrice.
Simonetta
Agnello Hornby “Caffè amaro” RCS Media Group SAH vol. 2 euro 8,90
[A: 15/10/2019
– I: 10/03/2022 – T: 11/03/2022] &&&
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 346; anno: 2016]
Dopo
aver letto, e con piacere, la grande storia siciliana della famiglia Florio,
magistralmente scritta da Stefania Auci, mi intrigava la lettura di una nuova
storia familiare sicula. Ne avevo letto nel tempo gli strilloni pubblicitari,
che lanciavano una grande saga narrata da una penna a me cara, per molti ed
amicali versi. Così mi sono accinto a prendere in mano una nuova storia di
Simonetta Agnello Hornby, che, sembra, si srotoli in tre volumi. Questo, è il
primo che ne scrisse sei anni fa, e ne è uscito un buon gradimento di lettura,
che mi ha accompagnato in questi giorni di forzato isolamento. Laddove, pur
essendo io normalmente un forte lettore, ho innalzato l’asticella di lettura a
livelli quasi da record.
Una
storia che si innesta con la Storia, siciliana ed italiana, dagli inizi del
Novecento sin dentro la Seconda Guerra mondiale. Una storia che vide
l’intreccio di vita pubblica e privata di due famiglie, i Sala ed i Marra, che
istanziano due grandi tipologie di famiglie isolana. I Marra, vicini ai
socialisti, di religione valdese, aperti e solidali. I Sala, aristocratici del
denaro, possidenti di terre e di miniere, poco inclini ad aprire il loro mondo
dorato.
Comunque,
le storie di famigli dei Marra e dei Sala le scopriamo a poco a poco, quando
Simonetta ingrana le marce basse, e senza apparire troppo, torna sui passati,
sui perché, su cosa successe prima. Una capacità notevole, che alla fine
abbiamo il quadro generale di tutti, senza però appesantirne la narrazione.
In
ogni caso, da un lato c’è la famiglia Marra, dove seguiamo il personaggio
principale, l’unica figlia femmina, Maria. Che passa infanzia e adolescenza
insieme a Giosuè Sacerdoti, orfano di un caro amico del padre, che, pur
livornese ed ebreo, passa la sua vita, il suo studio, le sue passioni, in casa
dei valdesi e siciliani Marra. Maria vorrebbe studiare, suonare il piano ed
altro, ma viene concupita da Pietro, che, di trent’anni più anziano, vedendola,
ne cada irrimediabilmente innamorato. Tanto da volerla sposare “addirittura”
senza dote.
Pietro,
come molta aristocrazia locale, è di certo colto (e porterà Maria in giro per
l’Italia e l’Africa), ma anche inguaribilmente donnaiolo e perduto al gioco.
Maria all’inizio sembra fragile, sembra cedere a tutti i diktat delle famiglie,
la nuova e la vecchia. Ma vedremo presto come sappia farsi rispettare, come
sappia, quando servirà, prendere in mano le redini familiari, e gestire la sua
e l’altrui vita verso domani possibilmente migliori. Perché sarà lei, quando il
suocero interdirà Pietro per i troppi debiti, a prendere in mano non solo le
redini della sua famiglia, ma anche di tutta la casata dei Sala.
L’alter
ego di Maria, che sarà in ombra per quasi tutto il libro, pur essendo sempre
presente, è Giosuè. Che quando Maria si sposa decide di entrare in Accademia Militare.
Dove farà una luminosa carriera, anche in quel di Libia, dove viene mandato
verso il ’12 per le ricostruzioni a valle della “conquista”. Impregnato degli
ideali socialisti dei Marra, sarà anche lui preso dall’abbaglio mussoliniano,
diventando un fervente e “illuminato” fascista. Anche perché nessuno sa la sua
origine ebrea. Che però verrà alla luce con le leggi razziali, e lui si
rifugerà in convento, sino alla liberazione nel ’43.
La
domanda di fondo, che ci perseguita per tutto il libro, è se Maria, ad un certo
punto, capirà anche lei di essere innamorata di Giosuè, se riusciranno a
coronare il possibile sogno d’amore, sia per vie carnali (forse le più
semplici, che tanto nascerà la piccola Rita) sia per le vie ufficiali, una
volta che il buon Pietro lascia questa terra.
Come
detto, allora, questa storia di grandi famiglie attraversa la Sicilia e
l’Italia, ci porta in partenza ai Fasci Siciliani del ’93, ai moti dei primi
anni del Secolo, dalla Guerra di Libia (1911) alla Prima Guerra mondiale, dall’avvento
del Fascismo (1924) alle leggi razziali (1936). Per terminare con la
liberazione alleata della Sicilia.
Il
tutto, come detto, seguendo la docile ma ferma ed alla fine risoluta Maria.
Senz’altro entrare nella narrazione, possiamo comprendere Maria seguendola nel
momento topico che ci porta al titolo del libro. Invitata dalle zie di Pietro,
che vogliono di certo conoscere la possibile giovane sposa del loro Pietro, ma
anche vogliono metterla in difficoltà, all’offerta del caffè non si peritano di
offrire lo zucchero a Maria. Che anche lei, appunto, non si piega, e lo prende
(e continuerà a prenderlo) amaro. Perché lei, alla fine, è la più tosta. Perché
lei, alla fine, vincerà.
Come
vince, ancora una volta, la nostra amica-amata scrittrice, magari con qualche
caduta qua e là, forse a volte per spiegare tutto si spiega anche troppo. Ma
leggerne è gradevole, e lo faremo ancora.
Simonetta
Agnello Hornby “Piano nobile” Feltrinelli s.p. (regalo di Mario&Ines)
[A: 25/01/2022
– I: 14/03/2022 – T: 17/03/2022] &&&
--
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 348; anno: 2020]
C’è
un duplice intento nella mia mente quando ho affrontato questo libro. Da un
lato, quello più remoto, avevo (ed ho) intenzione di esaurire tutti i libri che
mi sono stati regalati. Perché, con la casuale lettura che mi ritrovo, a volte
passa troppo tempo tra il dono e la lettura, così che il felice ricordo del
primo si allontana rispetto al secondo. L’altro lato è il voler proseguire in
quella che viene considerata “la trilogia familiare” di Simonetta Agnello
Hornby, iniziata con il precedente “Caffè amaro” e chiusa con il futuro “Punto
pieno”.
Di
mezzo, appunto, questo piano nobile, che serve a precisare meglio i contorni
dell’idea di Simonetta. Non una plurilogia basata su di una famiglia, ma libri
indipendenti, dove alcuni personaggi, in questo marginali ma non meno
importanti, si intrecciano. Rimanendo sul proscenio l’idea di dipingere un
mondo, quello siciliano, ricco di tante sfaccettature.
Così,
questa seconda puntata è tutta incentrata sulla famiglia Sorci. Anzi, sulla
famiglia del Barone Enrico Sorci. E se una piccola convergenza con il
precedente caffè è presente, si rivela solo quando ci viene detto che Rico
Sorci, il figlio di Cola Sorci, erede del Barone, sposa Rita Sala, la figlia di
Maria Marra e del suo amante Giosuè.
Per
il resto abbiamo il periodare che si sovrappone, ma solo di poco, che qui la
storia inizia nel 1942 e terminerà nel 1955. Ed abbiamo un’idea diversa di
scrittura. L’autrice, che ci aveva abituata alla grande narrazione onnisciente,
qui si cala nei diversi personaggi, facendoli a turno parlare in prima persona,
ed evocando la trama complessiva con questo ventaglio di voci. Un esperimento
interessante, ed abbastanza ben riuscito. Anche se, nel complesso, pur essendo
un buon romanzo, non tocca vertici inusuali. Bel romanzo, bella storia,
bellissima scrittura.
Così
da questo coro siciliano ricostruiamo le vicende della famiglia Sorci. In
primis, con il capofamiglia, il Barone Enrico, di cui assistiamo alla morte, ed
ai suoi pensieri sulla sua vita. La moglie sposata per allargare i feudi, i
figli, maschi quanti se ne vuole, di femmine massimo tre, che le femmine
costano. Vedremo così la sfortunata Rosalia utilizzare l’abominevole tecnica
detta del “panno freddo”. Vedremo, prima, durante e dopo la vita con Rosalia,
le tante amanti del Barone, le costrizioni verso figli a fare matrimoni
d’interesse, in primis all’erede Cola, costretto al matrimonio con Margherita.
Vedremo l’affetto per la nuora prediletta, Laura. E come, anche da morto,
comanderà a bacchetta tutta la famiglia. Anche se nessuno dei figli oserà
abitare la casa del Barone, il cosiddetto “piano nobile”.
Prima
di tornare su Cola, vediamo di sfuggita Ludovico, poco utile, con la moglie Caterina,
che ambisce ad essere l’erede al femminile della casa, essendo la prima ad
essersi sposata. Vediamo la primogenita, Maria Teresa, imbalsamata con il
marito, il vecchio Barone Merlo. Vediamo l’ultima nata, Lia, l’unica a sposarsi
per amore con un ingegnere. Vediamo Filippo, il traffichino, quello che sta
molto vicino alla mafia ed ai potenti. Soprattutto, è un Filippo violento, la
cui prima moglie, forse, non muore proprio di morte naturale. La seconda
accetta di tutto per amore della figlia Mariolina. E con Filippo che, contro il
parere testamentale del padre, e quello di Cola, tenta di diseredare le
sorelle.
Infine,
c’è Andrea, il fratello malato di testa, quello che sposa la bella Laura. Sposa
bella ma non amata, tanto che Laura diventa amante di Cola e con lui genera
Carlino. Questo è poi tutto il nerbo della trama, uno spaccato
dell’aristocrazia e dell’alta borghesia palermitano dalla fine della guerra
alla ricostruzione “americana”, con tutte le collusioni e le ipocrisie. Per
l’onore familiare, Laura viene allontanata da casa, ma sistemata in modo
acconcio. Cola continuerà, di nascosto, a frequentarla. E poi vediamo la
crescita di Carlino, effeminato e poi apertamente gay, con le sue vicende
americane, il ritorno in Sicilia, ed una delle scene madri e forti del libro:
la prima dell’opera a Palermo, con nel palco mamma Laura, Carlino ed il suo
amante-marito. Una presentazione gay a tutti che, nel ’55 non può che fare
scandalo.
Rimane
solo da seguire le vicende di Peppe Vallo, uno dei tanti figli illegittimi del
Barone, che farà fortuna in America, in affari ovviamente poco puliti, e torna
per rivedere il padre, incontro che non avverrà mai, e con lui che rimane,
ferito ed orgoglioso, a vedere il declino della baronia dei Sorci.
Alla
fine, e non è un caso conoscendo il mestiere di Simonetta in quel di Londra,
tutto ruota intorno ad una grande domanda: che cos’è la famiglia? È un bene
sociale, è una convenzione, è un insieme di affetti? Ognuno ne trae le sue di
conclusioni. Certo, ed io sono con lei, quello che non deve mancare è l’amore.
Ma quali ne sono i prezzi?
Aspetteremo
il terzo libro, forse, per capirne di più.
Simonetta
Agnello Hornby “La monaca” RCS Media Group SAH vol. 6 euro 8,90
[A: 07/11/2019
– I: 28/03/2022 – T: 30/03/2022] &&&
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[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 296; anno: 2010]
Un'altra
lettura interessante dell’opera omnia di Simonetta Agnello Hornby, anche se il
libro non è del tutto riuscito. Sempre in linea con l’idea, attraverso la
scrittura, di presentare spaccati della vita siciliana, in diversi aspetti ed
in diversi momenti storici.
Un
dato che a me non è piaciuto, nella presentazione editoriale (qui ed in altri
romanzi della scrittrice) è la presentazione dei personaggi, ad inizio libro,
quasi fossimo in un giallo Mondadori. Certo, i personaggi sono tanti, e si
rischia di perdersi tra nomi e parentele. Tuttavia, l’avrei posto in finale,
che, se si leggono bene i commenti ai vari protagonisti, si ha già non solo
un’idea della trama, ma anche come si possa sviluppare e verso quale punto
finale si arrivi.
La
storia è imperniata intorno alla figura di Agata, cadetta (anche se non ultima
nata) delle grane famiglia Padellani, ed al ruolo della donna in uno spaccato
di società della prima metà dell’Ottocento. Laddove le donne non studiavano,
non avevano diritti, se non quello di sposarsi (o meglio di essere date in
sposa) e di fare figli. Si doveva sottostare al volere del capofamiglia, senza
nessuno cui chiedere aiuto e consiglio. Una posizione, questa, che, anche nelle
parole di un’intervista della stessa autrice, riflette, ora, modi e
comportamenti di società diverse. In primis, quelle islamiche tradizionaliste.
Ma anche di situazioni retrograde di mondi contadini ed isolati in molte
latitudini, anche nei mondi occidentali.
Simonetta
è sempre attenta alle fonti storiche ed ai rimandi, così che si è ben
documentata, al fine di rendere la vita monacale, visitando conventi, leggendo,
intervistando monache e badesse. Poi, come tutti i bravi scrittori (plurale
“uncorrect” onnicomprensivo) ha macinato il tutto ed ha prodotto questo
romanzo.
Vediamo
così la parabola completa dei Padellani di Opiri. Si comincia con la festa
dell’Assunta, il 15 agosto 1839. Il patriarca, Don Peppino, anziano ma grande
affabulatore, tiene testa ai problemi economici in virtù dei suoi passati con
il re Ferdinando. La moglie, donna Gesuela, governa a bacchetta la casa. Ci
sono figlie sposate, figlie in via di accordo matrimoniale, figlie piccole. E
c’è Agata, tredici anni, innamorata del ricco Giacomo Lepre. Sentimenti
osteggiati dalle famiglie, anche perché non c’è accordo sulla dote.
Così,
alla morte di don Peppino, i Padellani si trovano in difficoltà. Donna Gesuela
tenta di avere una pensione dal re, e si trasferisce con Agata a Napoli. Sul
piroscafo inglese, Agata conosce il capitano James Garson, ed i due si trovano
a scambiarsi parole, in affiatamento emotivo.
A
Napoli, tutto volge al peggio. Niente soldi per la famiglia, l’unica
possibilità è far entrare Agata in convento, presso la badessa sorella di Don
Peppino. Da qui la narrazione entra molto nello specifico conventuale. Un mondo
chiuso sembra dall’esterno. Un mondo pieno di tante cose, e non solo di
spiritualità. Un mondo dove si intrecciano amore e odio, rancori e vendette,
financo passioni illecite. Agata cerca di farsi andare tutto per il meglio.
Studia, coltiva erbe mediche, si prefigura infermiera. Legge inoltre tutti i
libri che, nascostamente, le invia James. Si appassiona anche alle vicende
politiche, sull’onda delle notizie che le porta sua sorella Sandra.
Agata
vive con lacerazione lo stacco tra il sentimento religioso, cui comunque si
sente vicina, ed il desiderio di vivere nel mondo.
Seguiremo
molte vicissitudini, fughe, morti, litigi ed altro. Ma anche terremoti, ed
altre calamità naturali. Fino all’aprile del 1848, quando lasciamo Agata, ormai
oltre i vent’anni al resto della sua storia. Il cui sbocco lascio a voi fedeli
lettori, mie e di Agnello Hornby.
Non
sono un culture di Jane Austen, per cui non prendo posizione sui commenti
editoriali che accomunano Agata alle eroine della grande scrittrice. Non basta
essere “addicted” di “Orgoglio e Pregiudizio” per apparentare Elizabeth ad
Agata. Preferisco godere del libro così com’è, una buona scrittura, una buona
panoramica del mondo borbonico, una lode verso chi, nonostante le costrizioni,
cerca di seguire una sua strada. O cerca di trovare il buono nella strada che è
costretta a seguire.
Infine,
un cenno ai “guasti” di Wikipedia. Se andate sul sito biografico dell’autrice,
ci sono l’elenco delle opere. Ma il link de “La monaca” non porta ad una trama
del libro, ma al libro di Diderot “La religieuse”. Forse ci vorrebbe un po’ di
attenzione (in ogni caso io l’ho segnalato all’amministratore del sito).
Simonetta
Agnello Hornby “Boccamurata” RCS Media Group SAH vol. 4 euro 8,90
[A: 22/10/2019
– I: 02/05/2022 – T: 04/05/2022] &&
e ½
[titolo:
originale; lingua: italiano; pagine: 278; anno: 2007]
Continuiamo
a saltabeccare nei dintorni della scrittrice siciliana, tornando al suo terzo
romanzo. Laddove, ancor lavorando, si dedicava con parsimonia efficace alla
scrittura (due anni tra i primi due libri, e tre per questo). Si sente che sta
ancora cercando una sua cifra “definitiva”, epperò non rinuncia allo stile
classico della sua scrittura: un’indagine, da sempre diverse angolazioni, sulla
famiglia, sui suoi guasti, a volte sulle sue benefiche risorse.
Nell’analisi
classica dei suoi scritti, questo viene considerato il capitolo finale della
“trilogia siciliana”. Analisi un po’ forzata, che i suoi primi tre scritti non
hanno alcun personaggio ricorrente, ma solo una Sicilia che esce fuori con
diverse sfaccettature. Fors’anche con un’analisi comune delle passioni che i
sensuali personaggi incarnano mirabilmente, nonché (benché io non sia
siciliano) una descrizione di quelle terre bellissime che immagino incanti e
rechi nostalgia a chi ne è lontano. Una Sicilia diversa dallo stereotipo che
tutti si aspettano, popolata da una borghesia colta, odorosa dei suoi profumi,
ma soprattutto senza la presenza a volte troppo ingombrante di una mafia che
c’è, ma non qui.
Altro
elemento all’apparenza discorde è il fatto che, sembra, al centro della storia
non ci sia un personaggio femminile, ma nonno Tito, con tutta una storia che ne
viene appresso. Ma, pagina dopo pagina, ci accorgiamo che, pur non sempre in
prima persona, è zia Rachele che, anche quando non c’è, occupa tutta la scena.
Anche quando non parla perché “Boccamurata sono!”.
Ci
si trae in inganno che l’inizio è appunto centrato su Tito, sul suo compleanno
festeggiato con intorno figli e nipoti, e con la moglie Mariola a portare in
tavoli i piatti della tradizione. Tito, proprietario del più grande pastificio
della zona si bea di chiamare i piccoli con i nomignoli del pastificio:
capellini, rigatoni e così via. Nell’ombra, matriarca silente ma che tutto sa e
tutto osserva, zia Rachele tiene le redini morali della casa.
In
coda alla festa nasce però il primo gradino del “dramma”. Il nipote preferito,
Titino, gli chiede aiuto per il compito che la maestra gli ha affidato:
“Ricostruire l’albero genealogico della famiglia”. Domanda che apre la grande
ferita di Tito e che dà il via a tutto il fulcro duro del racconto. Il padre
Gaspare gli ha sempre raccontato che lui, Tito, è il frutto di una relazione
con una donna sposata. Per salvare l’onore di entrambi, la buona Rachele si era
incaricata allora di abbandonare tutte le sue intenzioni altre, dedicandosi
alla cura di Tito e della casa.
Scopriamo
quindi, pagina dopo pagina, la personalità di Tito, ed il carattere forte ed
irreprensibile di zia Rachele. Montando tutto sino all’incontro con Dante,
figlio di un’amica di zia Rachele che lo viene a trovare a valle della morte
della madre. Portandogli un dono “insanguinato”: le lettere che sua madre e Rachele
si erano scambiate in giovinezza. Attraverso le lettere, lette prima
controvoglia, poi sempre con più febbrile passione, Tito risale alla verità che
c’è dietro tutta la vicenda familiare. Verità che gli darà quella serenità che
non aveva raggiunto per cinquanta anni e che gli farà dire “zia Rachele è la
donna più trasgressiva che abbia mai conosciuto”.
Se
tuttavia questa “ricerca del Santo Graal” pervade tutto il libro, molto altro è
presente. Oltre le descrizioni, di case e di paesaggi, belle come ho già detto
all’inizio, c’è tutta una sequela di amori declinati in mille modi diversi.
L’amore-passione concupito tra Tito e la badante rumena. L’amore ritrovato, con
pacato affetto, tra Tito e la moglie. L’amore burrascoso di una delle figlie di
Tito. L’amore opaco dell’altra figlia. L’amore immenso di padre Gaspare verso
la madre di Tito. L’amore senza se e senza ma di Rachele, che così si aggiunge
alle donne dei due romanzi precedenti ricostruendo, ora sì, quella trilogia
ideale di cui si parlava.
Un
elemento che vorrei ancora sottolineare è l’uso, qui come in pochi altri
scritti che sto leggendo negli ultimi tempi, di dare un titolo ad ogni
capitolo. Un titolo che introduce l’atmosfera, ne anticipa il soggetto, ci
indirizza la mente verso il contenuto delle pagine che seguono.
Tuttavia,
il risultato è un filo sotto rispetto agli altri scritti della scrittrice, con
una prima parte un po’ lenta, che stenta a decollare. Certo, migliora nel
proseguo del testo, come se, superati gli scogli iniziali, la penna avesse
preso a fluire in modo autonomo, trascinando con sé Simonetta, Tito, Rachele e
noi lettori.
Rimango
anche questa settimana sull’autrice della trama scorsa, la molisana Renata Di Martino che sempre ne “La bambola cinese” parla
di multi-letture (e sono d’accordo): “Aveva scelto uno dei quattro libri
che aveva cominciato a leggere e che teneva in sospeso. Diceva spesso che la
lettura è un piacere. Se non dovesse procurarne, dipenderebbe dal libro; in
quel caso è consigliabile accantonarlo definitivamente. … A che gli diceva:
‘Come fai a leggere un libro se non hai finito l’altro?’ lui rispondeva che è
come vedere in televisione due o tre sceneggiati a puntate…” (67-68).
Continua il riposo nelle campagne viterbesi, tra castelli ritrovati, boschi ombrosi ed una biblioteca finalmente ordinata così come io e la mia famiglia abbiamo concordato. Ora una settimana di riposo totale ci aspetta, in attesa di un autunno che siamo sicuri sarà mirabolante. Per questo non vi affatico e vi lascio con un caldo abbraccio.
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