domenica 21 agosto 2022

Signore in giallo - 21 agosto 2022

Essendo una “pacifica” estate, cosa meglio di un giallo per distendersi serenamente all’ombra di una magnolia? Eccoci allora a cinque signore pubblicate in una delle tante collane edite dal gruppo GEDI, la “Passione Noir”. Abbiamo quattro anglofone ed una tedesca, ma tutte scrittrici seriali. Una lettura ben avviata dalla canadese Louise Penny, con il suo ispettore capo Armand Gamache, e discretamente chiusa dalla tedesca Brigitte Glaser, con la sua cuoca detective Katharina Schweitzer. In mezzo, anche se poco convincenti, l’americana Faye Kellerman, con i suoi investigatori ebrei l’ispettore Pete Dexter e sua moglie Rina Lazarus, e le due inglesi, Jessica Followes, con la serie intitolata alle sorelle Mitford, e Katarina Diamond, con altri due investigatori, Adrian Miles e Imogen Grey.

Louise Penny “L’inganno della luce” Repubblica Passione Noir 31 euro 7,90

[A: 14/01/2019 – I: 13/03/2022 – T: 14/03/2022] - &&&

[tit. or.: A Trick of the light; ling. or.: inglese; pagine: 458; anno 2011]

Cominciamo, con questo libro, a leggere le storie create dalla scrittrice canadese Louise Penny, imperniate sulle indagini dell’ispettore capo Armand Gamache (francofono in un ambiente anglofono). Andate sul sito della Penny e troverete un divertente menu per guidare i parlanti inglesi alla pronuncia delle parole francesi, o meglio “franco quebecchesi”.

La Penny è ben nota oltreoceano, mentre da noi sono pochi anni che viene tradotta, tanto che questo è il primo libro presente sul mercato italiano ma è già il settimo della produzione seriale dell’ispettore Gamache. Serie che, tra l’altro, è già arrivata al diciassettesimo volume.

Per questo, è bene fare una piccola introduzione. Allora Gamache vive a Québec, la provincia francofona del Canada. Ma le storie “gialle” che lo coinvolgono si svolgono principalmente nel villaggio di Three Pines, situato quasi al confine con il Vermont. L’impianto giallo è molto simile, con tutte le differenze del caso, con Agatha Christie e le ambientazioni di Miss Marple nella cittadina di St. Mary Mead. Non a caso, la Penny ha vinto per quattro anni consecutivi l’Agatha Award (vincendolo in totale otto volte ed arrivando altre sei volte in finale).

Si tratta di gialli definiti “whodunit”, cioè “chi l’ha fatto?”, tradotto in italiano con il termine “giallo classico”. Si seguono le tracce del giallo insieme al previsto risolutore, cercando di arrivare alla soluzione prima di lui. Ovvio che il ritmo sia più lento dei gialli d’azione, e qui si dilata ancor di più. Che la Penny usa il villaggio come cartina di tornasole di comportamenti umani. Ed usa Gamache ed il suo entourage per investigare sui motivi, sui perché, sugli ambienti, qui in particolare ricalcando l’altro grande riferimento, il Maigret di Simenon. Cui, tra l’altro, Gamache sembra assomigliare un po’.

Un ultimo passo, per l’ambiente, Gamache è spesso preda di riflessioni, che in genere condivide con la sua squadra. Come questo, che ripete dal primo libro. Riflettendo sui suoi quattro pilastri della saggezza: "Mi sbagliavo. Mi dispiace. Non lo so. Ho bisogno di aiuto".

Per venire alla storia, l’ambiente generale è quello artistico di Three Pines. Ci sono i coniugi Morrow, da sempre dediti all’arte, senza grandi successi. Ma il libro si apre con una mostra al MAC (il Musée d’Art Contemporain) dedicato a Clara, ed alle sue strane sculture. In particolare, i critici e Gamache (presente in quanto amico della pittrice) si soffermano su un ritratto (basato sulla comune ed anziana amica Ruth) che mostra tutta la sofferenza di una Maria madre di Dio al termine della propria esistenza terrena. Con, tuttavia, un punto di luce in fondo all’occhio.

Dopo i fasti le feste, si scopre il corpo senza vita di Lilian nel giardino dei Morrow. Da qui cominciano le indagini. Si scava nel passato di Lilian, che nessuno aveva visto alla festa. Se ne trovano tracce varie. Lilian era la più cara amica di Clara in gioventù. Poi, Clara si dedica all’arte mentre Lilian alla critica d’arte. Per una serie di motivi, le due si allontaneranno. E Lilian intraprende un percorso strano, sempre cercando di primeggiare.

È famosa per le sue stroncature, poi per scomparire per anni in Europa, tornando depressa e alcolizzata. Gamache trova il circolo degli Alcolisti Anonimi che la sta facendo smettere. E scopre che Lilian cerca di chiedere scusa a tutti quelli cui ha fatto male. Ovvio, che chi ha impostato la propria vita sul primato verso gli altri, anche nelle scuse non sia sempre capace di rapportarsi allo scusato.

Ed a Three Pines, durante e dopo la trionfale mostra di Clara, c’è molta gente, molti artisti che hanno subito gli strali di Lilian. Gamache, con il suo fare maigrettiano, scava, parla, legge, ed alla fine risolve. Il bello della lentezza è che, di contorno, altre storie nascono e proliferano. Storie di anziani che aspettano le anitre, di giudici pentiti, di capelloni redenti (o quasi). Insomma, un bel bestiario umano che ci giunge dai francesi del Canada.

La domanda finale, che si collega al quadro sopra analizzato, e che riporta al titolo, è poi legata alla luce. La luce che s’intravede nell’occhio di Maria-Ruth è una luce che ancora inganna chi la vede o serve a portare speranza di un diverso futuro? Bella domanda, e bella costruzione intorno ad essa. Vediamo se gli altri libri della Penny ne manterranno la gradevolezza.

“Da qualche parte c’è la persona giusta … per me. E stare attaccati a una storia sbagliata non servirà a nulla. Non potrà mai essere giusto.” (329)

Faye Kellerman “A mosca cieca” Repubblica Passione Noir 12 euro 7,90

[A: 03/09/2018 – I: 22/03/2022 – T: 25/03/2022] - && e ½

[tit. or.: Blindman’s Bluff; ling. or.: inglese; pagine: 474; anno 2009]

Dopo ben quattro anni, torniamo a leggere la lunga serie della scrittrice Faye Kellerman dedicata ad una strana coppia di (quasi) investigatori: l’ispettore Pete Dexter e sua moglie Rina Lazarus. Al tempo lessi il primo ed il quarto libro della serie, ed ora (che in Italia non è molto tradotta) passiamo direttamente al … diciottesimo volume.

Immaginate, com’è ovvio, quanta acqua sia passata sotto i ponti della scrittura. Ricapitolo brevemente quanto ne so personalmente. Dexter fa parte del LAPD, e comincia la sua storia indagando per un omicidio avvenuto nell’ambiente ebraico di Los Angeles. Lui è separato, con a carico una figlia, Cindy. Nel corso dei primi romanzi, conosce l’ebrea ortodossa Rina, vedova con due figli a carico. Nasce una storia d’amore, Pete scopre di essere stato adottato e di avere origini ebraiche. Niente di strano, quindi, che i due si sposino. Ora, passati circa 25 anni dal primo volume, scopriamo che: Cindy ora ha 30 anni, è sposata, ed è entrata anche lei in polizia; i due figli di Rina sono ormai fuori di casa; i due hanno avuto una figlia, Hannah, che si avvia all’ultimo anno delle superiori facendo i test per entrare in qualche Università.

La Kellerman è un’ebrea ortodossa essa stessa, come si intuisce dal sunto della vita di Pete e Rina. Inoltre, nei suoi romanzi cerca sempre di agganciarsi a qualche tematica ebraica, più o meno palese. Ricordo che nei primi romanzi c’era il bagno rituale, poi il Kippur, e poi immagino altro nei libri non arrivati in Italia. Credo anche che, andando avanti questa caratteristica, pur presente, sia a volte più sfumata, o di più difficile interpretazione. Come in questo, che ha un impianto giallo assai corposo, ma dove, nelle pieghe della trama, viene fuori una domanda biblica: i due fratelli (quasi) al centro della trama sono fratelli come Caino e Abele o come Mosè e Aronne?

Il romanzo si incentra su di una strage perpetrata all’interno di un grande ranche californiano, dove vengono uccisi i due genitori Kaffey, Guy e Gilliam, una cameriera e una guardia, e viene gravemente ferito il figlio maggiore dei due, Gil. I Kaffey sono una grande potenza industriale, piena di dollari, che investono in attività varie. Specialmente in speculazioni edilizie. Tanto è che mentre i morti gestivano l’impero e le attività californiane, nella costa ovest si erano trasferiti lo zio Mace ed il fratello minore Grant.

Dexter, a capo delle indagini, cerca di capire chi possa essere l’autore della strage, ed anche il mandante. Con i suoi collaboratori analizza il “mondo Kaffey”, notando subito delle divergenze e dei possibili rancori, sia tra Gil e Grant, sia tra Guy e Mace. Il tutto complicato dall’anima caritatevole e risparmiosa di Guy che, per il personale del ranch e delle sue attività spesso pescava tra disadattati, emarginati, nonché membri potenzialmente pentiti delle gang americane.

Seguiamo per lungo tempo tutte le indagini della squadra di Pete, senza che si riesca a fare sostanziosi passi avanti. Passi che invece arrivano in modo laterale. Infatti, Rina viene impegnata in una giuria popolare per una rissa tra ispanici, dove viene utilizzato un non vedente molto abile nella traduzione simultanea. Sarà lui che sentirà per caso una conversazione relativa al massacro, e farà in modo di aiutare Pete nell’individuazione di qualche bandolo della matassa.

Ovviamente succedono tante cose nel frattempo. Gil esce dall’ospedale, dove però viene assalito a colpi di fucile, insieme a Grant e Mace. Qui si consuma il tutti contro tutti: Gil ha paura del fratello, Grant è succube delle iniziative dello zio, ed insieme a lui sembra portare avanti investimenti sballati, Mace teme che Gil decida di trasformare il ranch in un’azienda vinicola, privando la compagnia Kaffey di soldi freschi. Insomma, un guazzabuglio, dove però Dexter mette tutti i puntini a posto. Anche se, la parte finale, è forse troppo veloce rispetto all’andamento lento di tutto il libro.

Due elementi peculiari vorrei sottolineare in finale. Rina viene inclusa nella giuria attraverso un processo legale detto “voir dire”. Ora, se non si è esperti di legislazione americana, si rimane abbastanza spiazzati dalla locuzione, derivante dal latino “verum dicere” e non dal francese, e che serve ad indicare l’escussione dei giurati da parte degli avvocati per accettarli o meno in giuria. Qualche riga di spiegazione forse non avrebbe guastato.

Infine, il titolo. Ora, il titolo inglese (“Blindman’s Bluff”) indica esattamente il gioco che noi chiamiamo “Mosca cieca”. Ovviamente con riferimento all’attività di scoperta che pratica il non vedente per aiutare i poliziotti. Ma ho due domande: all’autrice, che il “Blindman” non è il personaggio centrale nella trama, pur essendolo nella risoluzione di una parte del problema. Ed ai traduttori, che aggiungono quella “A”, dove avrebbe avuto più pertinenza il titolo secco “Mosca cieca”, tout court.

Inciso semantico finale: il termine “bluff” viene usato in America, come corruzione dell’inglese classico che recita “buff”, proveniente dall’antico “piccola spinta” (e per chi fosse interessato alla linguistica, per quello che so, in Francia il gioco si chiama “colin-maillard” e negli altri paesi latini è sostituito da altri animali: in Spagna, infatti, si chiama “gallina ciega” ed in Portogallo “cabra-cega”).

“Non capirò mai niente dei figli. Persino con …, che ha oltre trent’anni, mi domando per quanto tempo ancora dovrò fare di tutto per dimostrarle che le voglio bene.” (75)

“Non sempre il legame tra fratelli è profondo come ci si aspetta … ma quando accade, è un’esperienza meravigliosa.” (474)

Jessica Fellowes “L’assassinio di Florence Nightingale Shore” Repubblica Passione Noir 33 euro 7,90

[A: 28/01/2019 – I: 31/03/2022 – T: 01/04/2022] - && +

[tit. or.: The Mitford Murders; ling. or.: inglese; pagine: 428; anno 2017]

La non ancora cinquantenne Jessica, giornalista, nonché nipote di Julian Fellowes, produttore della mitica “Downton Abbey”, inizia nel ’17 una serie di libri ambientati nel mondo della famiglia Mitford. Famiglia veramente emblematica dei tempi d’oro dell’aristocrazia e dell’alta borghesia inglese tra le due guerre. Tra l’altro, della co-protagonista di questo primo romanzo, ho letto e tramato ben due libri (considero di buon successo il suo “Inseguendo l’amore”). Dopo aver detto che la “serie Mitford” è arrivata alla quinta uscita, veniamo a questo libro.

Cominciando, come mio pallino, dal titolo italiano. Ora, è di certo vero che il tema centrale del libro è l’assassinio dell’infermiera Florence Nightingale Shore, ma il titolo inglese recita “I delitti Mitford”, che in italiano viene solo relegato in sottotitolo, e solo nelle pagine interne dell’edizione di Repubblica. Continuo ad essere perplesso delle scelte editoriali del mondo italiano della carta stampata.

Tornando alle cose scritte, è bene fare una premessa per inquadrare la serie “Mitford”, per inquadrare il contesto. I genitori erano David Bertram Ogilvy Freeman-Mitford, II barone Redesdale, e Sydney Bowles, figlia del fondatore della rivista “Vanity Fair”. I due ebbero sette figli: un maschio Thomas, che morirà nella Seconda guerra mondiale, e sei femmine, le famigerate “Mitford Sisters”. La maggiore, Nancy, è la futura scrittrice. Poi c’è Pamela, che si dedicherà alla campagna, come l’ultima nata, Deborah. In mezzo, le due “fascistone”: Diana, che fuggirà con il capo dei fascisti britannici, Oswald Mosley, e sarà la madre di Max Mosley, uno dei “grandi patron” dell’automobilismo, e Unity, che si disse amante di Hitler e morì dopo otto anni di agonia per essersi sparata una pallottola in testa allo scoppio della guerra. Infine, c’è Jessica, che partecipa alla guerra civile spagnola, per poi riparare in America, dove divenne membro del Partito Comunista Americano.

Ora, ciò serve per inquadrare il contesto, dato che molta parte del romanzo si svolge ad Asthall Manor, la magione dei Mitford. Anche se poi i personaggi centrali sono Louisa Cannon, cameriera in casa Mitford, e Guy Sullivan, della Polizia Ferroviaria britannica.

Il punto centrale e d’avvio del romanzo è comunque l’assassinio della signorina del titolo, realmente avvenuto. Florence era nipote della più famosa Nightingale, ed anch’essa infermiera. Il 12 gennaio 1920, la signorina Florence viene aggredita sul treno da Londra in direzione Brighton, e muore pochi giorni dopo per le ferite, senza aver ripreso conoscenza.

Da questa situazione, l’autrice immagina tutto il suo castello, facendo convergere le vicende di Guy, della polizia ferroviaria, che si trova coinvolto nelle indagini, dopo aver soccorso la simpatica Louisa, anche lei sul treno, ma in fuga dal cattivo e manesco zio, nonché alla ricerca di un passaggio per raggiungere casa Mitford dove deve prendere servizio per accudire le sorelle Mitford. Da qui nasce la sarabanda delle invenzioni dell’autrice.

C’è Mabel, amante di Florence con cui però litiga per lasciarsi animosamente. C’è Roland, ex-soldato in Francia, curato da Florence, che cerca di entrare nelle grazie di Nancy, anche se sappiamo aver avuto una storia torbida con tal Alexander, soprattutto per ottenere crediti dal barone Redesdale in virtù di comuni trascorsi militari. Tutte storie di cui Florence ci narra in alcune lettere postume. Insomma, un guazzabuglio cui metterà ordine la spaesata Louisa, dando tuttavia il bandolo finale a Guy, che ne otterrà meriti e promozioni.

Le parti migliori, tuttavia, sono le descrizioni della vita quotidiana di casa Mitford, reminiscenze del lavoro di backstage fatto da Jessica con lo zio per la famosa serie tv sopra citata. Meno convincente la soluzione proposta, anche perché, nella realtà, il delitto non fu mai risolto. Alla fine, comunque, un onesto prodotto, forse leggermente un po’ dispersivo laddove troppe trame vengono adombrate, mentre riesce ad essere veloce ed efficace solo nelle ultime cento pagine, quando ci si concentra sulla parte gialla della vicenda. Forse, si vedrà meglio se e quando si leggeranno i successivi volumi.

Katerina Diamond “Lo studente modello” Repubblica Passione Noir 29 euro 7,90

[A: 02/01/2019 – I: 03/04/2022 – T: 04/04/2022] - && -

[tit. or.: The Teacher; ling. or.: inglese; pagine: 365; anno 2016]

All’inizio della seconda metà dello scorso decennio, la giovane Katerina, nata a Salonicco da genitori inglesi, tornata in patria, decide di dedicarsi alla scrittura. Frequenta un corso di scrittura creativa, produce un capitolo ben accolto e da quello, un libro, questo. Ne lodiamo quindi lo sforzo e la tenace volontà. Tuttavia, prima di addentrarci nel libro vero e proprio, cominciamo con qualche grosso punto di domanda.

Non è certo colpa di GEDI, che pubblica direttamente testi scelti e già pubblicati da altri editori. Ma sicuramente è un demerito delle Edizioni Nord, primo editor in Italia della scrittrice, di aver inventato un titolo e deviato l’attenzione del lettore. Come è facile vedere, l’originale fa riferimento a “l’insegnante” (o il maestro, e vogliamo allargare il concetto al di fuori della didattica). In italiano viene proposto questo “studente modello”. Che forse potrebbe indicare chi segue, impara e migliora la lezione del maestro. Ma cosa c’entra? E chi di grazia sarebbe il tal studente, che, così etichettato, darebbe soluzioni premature ad un giallo pur discreto?

Il secondo elemento che, personalmente, rilevo dalla lettura del libro (e che mi ha portato ad abbassare un giudizio che tenderebbe alla sufficienza piena) è la sensazione personale che una buona storia possa essere drogata e mal interpretata se viene fornita a corredo una lezione di cattiva morale, forse comprensibile, certo non auspicabile.

Di buon impatto, invece, è la concezione della storia, con i vari capitoli che si srotolano quasi fossero dei mini-racconti. Certo, io non prediligo l’andar su e giù nel tempo, anche se ci può stare. Anche se, nei capitoli in flash back, c’è l’indicazione “prima” in testa al capitolo stesso che secondo me andava premessa al titolo e non post-messa.

Il nocciolo è di sicuro la vendetta che qualcuno sta portando avanti uccidendo barbaramente, uno dopo l’altro, personaggi che avevano nel passato avuto qualche sordido sodalizio. Capitoli duri, che avranno senso alla fine, anche se, personalmente, mi aspettavo un finale leggermente diverso. Scelte della scrittrice, rispettiamolo pur non condividendole.

Per il resto seguiamo due filoni paralleli. La storia di Abbey, delle sue vicende scolastiche, compreso uno stupro che la segnerà per la vita. Ma poi si tira su, pian pianino, con il dedicarsi alla tassidermia in un museo di animali impagliati. Museo dove converge Parker, un tipo che lascia perplesso fin dalle prime battute, con un misto di tenerezza e di sfuggente mistero. Niente di sorprendente che i due riescano a trovare sollievo reciproco nelle loro pene.

L’altro filone sono le indagini, con la figura dei due detectives problematici. Adrian che era stato messo a riposo dopo aver combinato casini vari, essendo dedito all’alcool oltre misure. E Imogen, trasferita da Plymouth a Exeter (che è il centro dell’azione) e ne sapremo solo alla fine i motivi, dura, ma piena di intuizioni complementari ad Adrian. I due si muovono bene, e ne seguiamo volentieri i battibecchi, ma anche le scoperte. Anche se, qui, non c’è richiamo sessuale tra i due.

Tutto graduale, e tutto convergente verso la scuola di cui vediamo muoversi il primo morto nel primo capitolo. Certo, ogni tanto c’è qualche elemento che va fuori fuoco. Un ragazzo che deve portare un messaggio e non si capisce se lo recapita. Un prete spretato che viene ucciso a Parigi, e non capiamo come l’assassino, che ad un certo punto ne capiamo la provenienza, si sia potuto muovere in così breve tempo. Ed altre piccole sbavature di poco conto.

Il centro nevralgico dell’attenzione della scrittrice ritorna, comunque, sempre al punto centrale: il nonnismo inglese, che si erge a diritto anche di torturare ed uccidere per “raddrizzare” gli elementi che “escono dalla retta via”. Con il facile contorno di scene splatter. Ma anche il perdono, che dovrebbe essere cristianamente perseguito, e non sempre è così.

Un elemento finale: da come si muovono per tutto il romanzo, ho da subito pensato che i due detective, Adrian Miles e Imogen Grey, potessero costituire una base per una produzione seriale. Povera di notizie, la terza di copertina non mi ha illuminato. Ma una ricerca accurata, mi ha mostrato che avevo ragione: dall’uscita di questo volume ad oggi, sono quattro i romanzi che vedono protagonisti i due investigatori. Facile profezia.

Brigitte Glaser “Morte sotto spirito” Repubblica Passione Noir 14 euro 7,90

[A: 17/09/2018 – I: 11/06/2022 – T: 13/06/2022] - && e ½

[tit. or.: Kirschtote; ling. or.: tedesco; pagine: 411; anno 2004]

Come previsto dopo la lettura della prima avventura di Katharina Schweitzer, eccoci, seppur dopo due anni, al secondo capitolo. Ricordo a chi non lesse la prima trama, che Brigitte Glaser è una scrittrice alsaziana nata non lontano da Strasburgo, ha studiato pedagogia, ed oltre a scrivere è impegnata nell’insegnamento alle persone adulte. Inoltre, dalla natia Offenburg, ora vive nell’interessante città di Colonia, di cui parlai nel primo libro.

Ora, queste notizie geografiche non sono peregrine in quanto la nostra eroina, dopo le vicende delittuose del primo romanzo, si trova a tornare nei paeselli natii, tra Archen e Sasbachwalden (cercateli sulla mappa), non disdegnando puntate sia a Baden-Baden che nell’originaria Köln.

Prima di entrare nel merito, tuttavia, facciamo il solito salto sulla sedia, dove il titolo che ci parla di “Torta alla Ciliegia” si trasforma in uno che parla di assassinio (“morte”) legato a liquore (“sotto spirito”). Che tutti si pensa subito all’Amarena Fabbri (e non aggiungo altro). Ed in secondo luogo a qualche omicidio perpetrato con l’uso dell’acquavite di ciliegie, che per l’appunto nella Foresta Nera, è chiamato “Kirsch” (e vi rimando al finale per una digressione).

Tornando a noi, e saltando i rimandi inutili, oltre al personaggio principale, Katharina, una costante è la sua amica-aiutante Adela Mohnlein, ostetrica in pensione, che ha un debole per le investigazioni, e per gli investigatori, come in questo libro, lo svevo Kuno. C’è poi la famiglia della nostra cuoca, presente ovunque, anche se defilata, in genere. Qui un po’ meno, che la partenza dell’azione è appunto il ritorno di Katharina nel ristorante di famiglia, dato che, primo è senza lavoro (dopo la morte del suo chef nel primo libro), e secondo, la madre è infortunata, così che lei deve sostituirla in cucina. La presenza del ristorante di famiglia, nonché quello del fratello Bernhard, dà modo a Brigitte di divertirsi spandendo qua e là ricette e consigli vari. O “sconsigli”, come quello di evitare la pizza che prepara Carlo, l’aiuto di Katharina, il cui nome già dice tutto: pizza con barbabietole rosse e rafano! Non dico altro.

Ma a dispetto della presenza di cuochi e cucine, il fulcro dell’azione e delle morti è altro. In particolare, due sembrano i motivi dominanti: la controversa costruzione di un impianto di sci al chiuso (con conseguente disboscamento della Foresta Nera per favorire un turismo “di tutto l’anno”) e la produzione, palese o clandestina, di acquavite, principalmente da ciliegie, ma, se capita, da qualsiasi frutto si voglia far macerare in alcool.

Insomma, Katharina, tornata a casa, oltre a cucinare e litigare con la madre, trova vecchie conoscenze della sua gioventù. Teresa, ora fioraia, sposata con Konrad, attivista anti-impianto. Maxi, belloccia, rampante, gestrice di un albergo-spa. FK, giornalista di basso profilo, che diventerà la sua seconda spalla nelle indagini. E poi i nuovi personaggi, tra cui spiccano, oltre vari faccendieri i cui nomi vanno scordati immediatamente, Bohnert, magnate della distilleria locale con il suo braccio destro Achim, Anna Galli, unica donna distillatrice, nonché innamorata di Edith Piaf, e Vladimir, immigrato russo, sempre vicino a Konrad.

Il primo a morire sarà proprio Konrad, guarda caso nel momento apicale della vicenda degli impianti. Morte che quasi trascina con sé anche Katharina, travolta da una caduta di massi in una cava. Konrad aveva trovato di sicuro (anche se non se ne trova traccia) qualche magagna nei finanziamenti degli impianti. Magagne che scoprirà anche Katharina, con l’aiuto, obtorto collo, di FK e del commissario Kuno. Seguendo il filo del denaro, si troverà a scoperchiare l’altro filone sopraccennato. Che spavaldi imprenditori importano clandestinamente acquavite di scarto dai paesi dell’Est (in particolare dall’Ucraina, e non dico altro), e tramite ricatti ai piccoli produttori locali, la trasformano in prodotto vendibile. Il problema sarebbe riciclare il denaro risultante, che potrebbe fare un giro semi-clandestino prima di entrare, sparendo, in qualche banca del Lichtenstein.

Non vi sto a tediare sui giri di denaro, sulle corruzioni ed altro. Sottolineo soltanto che, oltre al denaro, non può non esserci la passione dietro a questi delitti alcolici. Passione che Katharina, con l’aiuto dei suoi anche involontari assistenti, porta allo scoperto, e, nel solito purtroppo veloce finale, viene anche descritto noi poveri lettori.

La trama gialla non è che sia un gran che, ed il libro galleggia sulla sufficienza per la simpatia dei personaggi, Katharina in primis. Poi, c’è un mezzo punto in più per le sei ricette “al liquore di ciliegia” che ci vengono descritte in appendice. Tra cui, quella di una versione “veloce” della torta dedicata alla Foresta Nera: la Schwarzwälder Kirschtorte.

“L’unica cosa che escludo è un omicidio … basato sulla massima che se si fa fuori un avversario si raggiunge prima l’obiettivo.” (148) [guerra russo-ucraina docet]

“Amore e dolore fanno rima. Se voglio l’uno, devo accettare anche l’altro.” (265) [e chi l’ha detto?]

“A dispetto di tutte le cose strane che capitano, staremo sempre bene insieme.” (324) [questo mi suona meglio]

Anche se parliamo di gialli, restando nella buona tradizione delle citazioni rimaste nella mia memoria, viene a fagiolo questa tratta dal libro “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury: “I libri sono odiati e temuti … perché rivelano ... la vita. La gente comoda vuole solo facce di luna piena, … inespressive. Viviamo un tempo in cui i fiori tentano di vivere sui fiori invece di nutrirsi di buona pioggia” (98)

Forse troppe parole per un agosto in cui si deve soltanto ricaricare le batterie in vista di un non facile autunno. Quindi, torno sotto la magnolia e vi abbraccio.

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