Essendo una “pacifica” estate, cosa meglio di un giallo per distendersi serenamente all’ombra di una magnolia? Eccoci allora a cinque signore pubblicate in una delle tante collane edite dal gruppo GEDI, la “Passione Noir”. Abbiamo quattro anglofone ed una tedesca, ma tutte scrittrici seriali. Una lettura ben avviata dalla canadese Louise Penny, con il suo ispettore capo Armand Gamache, e discretamente chiusa dalla tedesca Brigitte Glaser, con la sua cuoca detective Katharina Schweitzer. In mezzo, anche se poco convincenti, l’americana Faye Kellerman, con i suoi investigatori ebrei l’ispettore Pete Dexter e sua moglie Rina Lazarus, e le due inglesi, Jessica Followes, con la serie intitolata alle sorelle Mitford, e Katarina Diamond, con altri due investigatori, Adrian Miles e Imogen Grey.
Louise Penny “L’inganno della luce”
Repubblica Passione Noir 31 euro 7,90
[A: 14/01/2019 – I: 13/03/2022 – T: 14/03/2022]
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[tit. or.: A Trick of the light; ling. or.: inglese; pagine: 458; anno 2011]
Cominciamo, con questo libro, a leggere le
storie create dalla scrittrice canadese Louise Penny, imperniate sulle indagini
dell’ispettore capo Armand Gamache (francofono in un ambiente anglofono). Andate
sul sito della Penny e troverete un divertente menu per guidare i parlanti
inglesi alla pronuncia delle parole francesi, o meglio “franco quebecchesi”.
La Penny è ben nota oltreoceano, mentre da
noi sono pochi anni che viene tradotta, tanto che questo è il primo libro
presente sul mercato italiano ma è già il settimo della produzione seriale
dell’ispettore Gamache. Serie che, tra l’altro, è già arrivata al
diciassettesimo volume.
Per questo, è bene fare una piccola
introduzione. Allora Gamache vive a Québec, la provincia francofona del Canada.
Ma le storie “gialle” che lo coinvolgono si svolgono principalmente nel
villaggio di Three Pines, situato quasi al confine con il Vermont. L’impianto
giallo è molto simile, con tutte le differenze del caso, con Agatha Christie e
le ambientazioni di Miss Marple nella cittadina di St. Mary Mead. Non a caso,
la Penny ha vinto per quattro anni consecutivi l’Agatha Award (vincendolo in
totale otto volte ed arrivando altre sei volte in finale).
Si tratta di gialli definiti “whodunit”, cioè
“chi l’ha fatto?”, tradotto in italiano con il termine “giallo classico”. Si
seguono le tracce del giallo insieme al previsto risolutore, cercando di
arrivare alla soluzione prima di lui. Ovvio che il ritmo sia più lento dei
gialli d’azione, e qui si dilata ancor di più. Che la Penny usa il villaggio
come cartina di tornasole di comportamenti umani. Ed usa Gamache ed il suo
entourage per investigare sui motivi, sui perché, sugli ambienti, qui in
particolare ricalcando l’altro grande riferimento, il Maigret di Simenon. Cui,
tra l’altro, Gamache sembra assomigliare un po’.
Un ultimo passo, per l’ambiente, Gamache è
spesso preda di riflessioni, che in genere condivide con la sua squadra. Come
questo, che ripete dal primo libro. Riflettendo sui suoi quattro pilastri della
saggezza: "Mi sbagliavo. Mi dispiace. Non lo so. Ho bisogno di
aiuto".
Per venire alla storia, l’ambiente generale è
quello artistico di Three Pines. Ci sono i coniugi Morrow, da sempre dediti
all’arte, senza grandi successi. Ma il libro si apre con una mostra al MAC (il Musée
d’Art Contemporain) dedicato a Clara, ed alle sue strane sculture. In
particolare, i critici e Gamache (presente in quanto amico della pittrice) si
soffermano su un ritratto (basato sulla comune ed anziana amica Ruth) che
mostra tutta la sofferenza di una Maria madre di Dio al termine della propria
esistenza terrena. Con, tuttavia, un punto di luce in fondo all’occhio.
Dopo i fasti le feste, si scopre il corpo
senza vita di Lilian nel giardino dei Morrow. Da qui cominciano le indagini. Si
scava nel passato di Lilian, che nessuno aveva visto alla festa. Se ne trovano
tracce varie. Lilian era la più cara amica di Clara in gioventù. Poi, Clara si
dedica all’arte mentre Lilian alla critica d’arte. Per una serie di motivi, le
due si allontaneranno. E Lilian intraprende un percorso strano, sempre cercando
di primeggiare.
È famosa per le sue stroncature, poi per
scomparire per anni in Europa, tornando depressa e alcolizzata. Gamache trova
il circolo degli Alcolisti Anonimi che la sta facendo smettere. E scopre che
Lilian cerca di chiedere scusa a tutti quelli cui ha fatto male. Ovvio, che chi
ha impostato la propria vita sul primato verso gli altri, anche nelle scuse non
sia sempre capace di rapportarsi allo scusato.
Ed a Three Pines, durante e dopo la trionfale
mostra di Clara, c’è molta gente, molti artisti che hanno subito gli strali di
Lilian. Gamache, con il suo fare maigrettiano, scava, parla, legge, ed alla
fine risolve. Il bello della lentezza è che, di contorno, altre storie nascono
e proliferano. Storie di anziani che aspettano le anitre, di giudici pentiti,
di capelloni redenti (o quasi). Insomma, un bel bestiario umano che ci giunge
dai francesi del Canada.
La domanda finale, che si collega al quadro
sopra analizzato, e che riporta al titolo, è poi legata alla luce. La luce che
s’intravede nell’occhio di Maria-Ruth è una luce che ancora inganna chi la vede
o serve a portare speranza di un diverso futuro? Bella domanda, e bella
costruzione intorno ad essa. Vediamo se gli altri libri della Penny ne
manterranno la gradevolezza.
“Da qualche parte c’è la persona giusta … per
me. E stare attaccati a una storia sbagliata non servirà a nulla. Non potrà mai
essere giusto.” (329)
Faye
Kellerman “A mosca cieca” Repubblica Passione Noir 12 euro 7,90
[A:
03/09/2018 – I: 22/03/2022 – T: 25/03/2022] - &&
e ½
[tit.
or.: Blindman’s Bluff; ling. or.: inglese; pagine: 474;
anno 2009]
Dopo ben quattro anni, torniamo a leggere la
lunga serie della scrittrice Faye Kellerman dedicata ad una strana coppia di
(quasi) investigatori: l’ispettore Pete Dexter e sua moglie Rina Lazarus. Al
tempo lessi il primo ed il quarto libro della serie, ed ora (che in Italia non
è molto tradotta) passiamo direttamente al … diciottesimo volume.
Immaginate, com’è ovvio, quanta acqua sia
passata sotto i ponti della scrittura. Ricapitolo brevemente quanto ne so
personalmente. Dexter fa parte del LAPD, e comincia la sua storia indagando per
un omicidio avvenuto nell’ambiente ebraico di Los Angeles. Lui è separato, con
a carico una figlia, Cindy. Nel corso dei primi romanzi, conosce l’ebrea
ortodossa Rina, vedova con due figli a carico. Nasce una storia d’amore, Pete
scopre di essere stato adottato e di avere origini ebraiche. Niente di strano,
quindi, che i due si sposino. Ora, passati circa 25 anni dal primo volume,
scopriamo che: Cindy ora ha 30 anni, è sposata, ed è entrata anche lei in
polizia; i due figli di Rina sono ormai fuori di casa; i due hanno avuto una
figlia, Hannah, che si avvia all’ultimo anno delle superiori facendo i test per
entrare in qualche Università.
La Kellerman è un’ebrea ortodossa essa
stessa, come si intuisce dal sunto della vita di Pete e Rina. Inoltre, nei suoi
romanzi cerca sempre di agganciarsi a qualche tematica ebraica, più o meno
palese. Ricordo che nei primi romanzi c’era il bagno rituale, poi il Kippur, e
poi immagino altro nei libri non arrivati in Italia. Credo anche che, andando
avanti questa caratteristica, pur presente, sia a volte più sfumata, o di più
difficile interpretazione. Come in questo, che ha un impianto giallo assai
corposo, ma dove, nelle pieghe della trama, viene fuori una domanda biblica: i
due fratelli (quasi) al centro della trama sono fratelli come Caino e Abele o
come Mosè e Aronne?
Il romanzo si incentra su di una strage
perpetrata all’interno di un grande ranche californiano, dove vengono uccisi i
due genitori Kaffey, Guy e Gilliam, una cameriera e una guardia, e viene
gravemente ferito il figlio maggiore dei due, Gil. I Kaffey sono una grande potenza
industriale, piena di dollari, che investono in attività varie. Specialmente in
speculazioni edilizie. Tanto è che mentre i morti gestivano l’impero e le
attività californiane, nella costa ovest si erano trasferiti lo zio Mace ed il
fratello minore Grant.
Dexter, a capo delle indagini, cerca di
capire chi possa essere l’autore della strage, ed anche il mandante. Con i suoi
collaboratori analizza il “mondo Kaffey”, notando subito delle divergenze e dei
possibili rancori, sia tra Gil e Grant, sia tra Guy e Mace. Il tutto complicato
dall’anima caritatevole e risparmiosa di Guy che, per il personale del ranch e
delle sue attività spesso pescava tra disadattati, emarginati, nonché membri
potenzialmente pentiti delle gang americane.
Seguiamo per lungo tempo tutte le indagini
della squadra di Pete, senza che si riesca a fare sostanziosi passi avanti.
Passi che invece arrivano in modo laterale. Infatti, Rina viene impegnata in una
giuria popolare per una rissa tra ispanici, dove viene utilizzato un non
vedente molto abile nella traduzione simultanea. Sarà lui che sentirà per caso
una conversazione relativa al massacro, e farà in modo di aiutare Pete
nell’individuazione di qualche bandolo della matassa.
Ovviamente succedono tante cose nel
frattempo. Gil esce dall’ospedale, dove però viene assalito a colpi di fucile,
insieme a Grant e Mace. Qui si consuma il tutti contro tutti: Gil ha paura del
fratello, Grant è succube delle iniziative dello zio, ed insieme a lui sembra
portare avanti investimenti sballati, Mace teme che Gil decida di trasformare
il ranch in un’azienda vinicola, privando la compagnia Kaffey di soldi freschi.
Insomma, un guazzabuglio, dove però Dexter mette tutti i puntini a posto. Anche
se, la parte finale, è forse troppo veloce rispetto all’andamento lento di
tutto il libro.
Due elementi peculiari vorrei sottolineare in
finale. Rina viene inclusa nella giuria attraverso un processo legale detto
“voir dire”. Ora, se non si è esperti di legislazione americana, si rimane
abbastanza spiazzati dalla locuzione, derivante dal latino “verum dicere” e non
dal francese, e che serve ad indicare l’escussione dei giurati da parte degli
avvocati per accettarli o meno in giuria. Qualche riga di spiegazione forse non
avrebbe guastato.
Infine, il titolo. Ora, il titolo inglese
(“Blindman’s Bluff”) indica esattamente il gioco che noi chiamiamo “Mosca
cieca”. Ovviamente con riferimento all’attività di scoperta che pratica il non
vedente per aiutare i poliziotti. Ma ho due domande: all’autrice, che il
“Blindman” non è il personaggio centrale nella trama, pur essendolo nella
risoluzione di una parte del problema. Ed ai traduttori, che aggiungono quella
“A”, dove avrebbe avuto più pertinenza il titolo secco “Mosca cieca”, tout
court.
Inciso semantico finale: il termine “bluff”
viene usato in America, come corruzione dell’inglese classico che recita
“buff”, proveniente dall’antico “piccola spinta” (e per chi fosse interessato
alla linguistica, per quello che so, in Francia il gioco si chiama
“colin-maillard” e negli altri paesi latini è sostituito da altri animali: in
Spagna, infatti, si chiama “gallina ciega” ed in Portogallo “cabra-cega”).
“Non capirò mai niente dei figli. Persino con
…, che ha oltre trent’anni, mi domando per quanto tempo ancora dovrò fare di
tutto per dimostrarle che le voglio bene.” (75)
“Non sempre il legame tra fratelli è profondo
come ci si aspetta … ma quando accade, è un’esperienza meravigliosa.” (474)
Jessica
Fellowes “L’assassinio di Florence Nightingale Shore”
Repubblica Passione Noir 33 euro 7,90
[A: 28/01/2019 – I: 31/03/2022 – T:
01/04/2022] - && +
[tit. or.: The Mitford Murders; ling. or.: inglese; pagine: 428; anno 2017]
La
non ancora cinquantenne Jessica, giornalista, nonché nipote di Julian Fellowes,
produttore della mitica “Downton Abbey”, inizia nel ’17 una serie di libri
ambientati nel mondo della famiglia Mitford. Famiglia veramente emblematica dei
tempi d’oro dell’aristocrazia e dell’alta borghesia inglese tra le due guerre.
Tra l’altro, della co-protagonista di questo primo romanzo, ho letto e tramato
ben due libri (considero di buon successo il suo “Inseguendo l’amore”). Dopo
aver detto che la “serie Mitford” è arrivata alla quinta uscita, veniamo a
questo libro.
Cominciando,
come mio pallino, dal titolo italiano. Ora, è di certo vero che il tema
centrale del libro è l’assassinio dell’infermiera Florence Nightingale Shore,
ma il titolo inglese recita “I delitti Mitford”, che in italiano viene solo
relegato in sottotitolo, e solo nelle pagine interne dell’edizione di
Repubblica. Continuo ad essere perplesso delle scelte editoriali del mondo
italiano della carta stampata.
Tornando
alle cose scritte, è bene fare una premessa per inquadrare la serie “Mitford”,
per inquadrare il contesto. I genitori erano David Bertram Ogilvy
Freeman-Mitford, II barone Redesdale, e Sydney Bowles, figlia del fondatore
della rivista “Vanity Fair”. I due ebbero sette figli: un maschio Thomas, che
morirà nella Seconda guerra mondiale, e sei femmine, le famigerate “Mitford
Sisters”. La maggiore, Nancy, è la futura scrittrice. Poi c’è Pamela, che si
dedicherà alla campagna, come l’ultima nata, Deborah. In mezzo, le due
“fascistone”: Diana, che fuggirà con il capo dei fascisti britannici, Oswald
Mosley, e sarà la madre di Max Mosley, uno dei “grandi patron”
dell’automobilismo, e Unity, che si disse amante di Hitler e morì dopo otto
anni di agonia per essersi sparata una pallottola in testa allo scoppio della
guerra. Infine, c’è Jessica, che partecipa alla guerra civile spagnola, per poi
riparare in America, dove divenne membro del Partito Comunista Americano.
Ora,
ciò serve per inquadrare il contesto, dato che molta parte del romanzo si
svolge ad Asthall Manor, la magione dei Mitford. Anche se poi i personaggi
centrali sono Louisa Cannon, cameriera in casa Mitford, e Guy Sullivan, della
Polizia Ferroviaria britannica.
Il
punto centrale e d’avvio del romanzo è comunque l’assassinio della signorina
del titolo, realmente avvenuto. Florence era nipote della più famosa
Nightingale, ed anch’essa infermiera. Il 12 gennaio 1920, la signorina Florence
viene aggredita sul treno da Londra in direzione Brighton, e muore pochi giorni
dopo per le ferite, senza aver ripreso conoscenza.
Da
questa situazione, l’autrice immagina tutto il suo castello, facendo convergere
le vicende di Guy, della polizia ferroviaria, che si trova coinvolto nelle
indagini, dopo aver soccorso la simpatica Louisa, anche lei sul treno, ma in fuga
dal cattivo e manesco zio, nonché alla ricerca di un passaggio per raggiungere
casa Mitford dove deve prendere servizio per accudire le sorelle Mitford. Da
qui nasce la sarabanda delle invenzioni dell’autrice.
C’è
Mabel, amante di Florence con cui però litiga per lasciarsi animosamente. C’è
Roland, ex-soldato in Francia, curato da Florence, che cerca di entrare nelle
grazie di Nancy, anche se sappiamo aver avuto una storia torbida con tal
Alexander, soprattutto per ottenere crediti dal barone Redesdale in virtù di
comuni trascorsi militari. Tutte storie di cui Florence ci narra in alcune
lettere postume. Insomma, un guazzabuglio cui metterà ordine la spaesata
Louisa, dando tuttavia il bandolo finale a Guy, che ne otterrà meriti e
promozioni.
Le
parti migliori, tuttavia, sono le descrizioni della vita quotidiana di casa
Mitford, reminiscenze del lavoro di backstage fatto da Jessica con lo zio per
la famosa serie tv sopra citata. Meno convincente la soluzione proposta, anche
perché, nella realtà, il delitto non fu mai risolto. Alla fine, comunque, un
onesto prodotto, forse leggermente un po’ dispersivo laddove troppe trame
vengono adombrate, mentre riesce ad essere veloce ed efficace solo nelle ultime
cento pagine, quando ci si concentra sulla parte gialla della vicenda. Forse,
si vedrà meglio se e quando si leggeranno i successivi volumi.
Katerina
Diamond “Lo studente modello” Repubblica Passione Noir 29 euro 7,90
[A: 02/01/2019 – I: 03/04/2022 – T:
04/04/2022] - && -
[tit. or.: The Teacher; ling. or.: inglese; pagine: 365; anno 2016]
All’inizio
della seconda metà dello scorso decennio, la giovane Katerina, nata a Salonicco
da genitori inglesi, tornata in patria, decide di dedicarsi alla scrittura.
Frequenta un corso di scrittura creativa, produce un capitolo ben accolto e da
quello, un libro, questo. Ne lodiamo quindi lo sforzo e la tenace volontà.
Tuttavia, prima di addentrarci nel libro vero e proprio, cominciamo con qualche
grosso punto di domanda.
Non
è certo colpa di GEDI, che pubblica direttamente testi scelti e già pubblicati
da altri editori. Ma sicuramente è un demerito delle Edizioni Nord, primo
editor in Italia della scrittrice, di aver inventato un titolo e deviato
l’attenzione del lettore. Come è facile vedere, l’originale fa riferimento a
“l’insegnante” (o il maestro, e vogliamo allargare il concetto al di fuori
della didattica). In italiano viene proposto questo “studente modello”. Che
forse potrebbe indicare chi segue, impara e migliora la lezione del maestro. Ma
cosa c’entra? E chi di grazia sarebbe il tal studente, che, così etichettato,
darebbe soluzioni premature ad un giallo pur discreto?
Il
secondo elemento che, personalmente, rilevo dalla lettura del libro (e che mi
ha portato ad abbassare un giudizio che tenderebbe alla sufficienza piena) è la
sensazione personale che una buona storia possa essere drogata e mal
interpretata se viene fornita a corredo una lezione di cattiva morale, forse
comprensibile, certo non auspicabile.
Di
buon impatto, invece, è la concezione della storia, con i vari capitoli che si
srotolano quasi fossero dei mini-racconti. Certo, io non prediligo l’andar su e
giù nel tempo, anche se ci può stare. Anche se, nei capitoli in flash back, c’è
l’indicazione “prima” in testa al capitolo stesso che secondo me andava
premessa al titolo e non post-messa.
Il
nocciolo è di sicuro la vendetta che qualcuno sta portando avanti uccidendo
barbaramente, uno dopo l’altro, personaggi che avevano nel passato avuto
qualche sordido sodalizio. Capitoli duri, che avranno senso alla fine, anche
se, personalmente, mi aspettavo un finale leggermente diverso. Scelte della
scrittrice, rispettiamolo pur non condividendole.
Per
il resto seguiamo due filoni paralleli. La storia di Abbey, delle sue vicende
scolastiche, compreso uno stupro che la segnerà per la vita. Ma poi si tira su,
pian pianino, con il dedicarsi alla tassidermia in un museo di animali
impagliati. Museo dove converge Parker, un tipo che lascia perplesso fin dalle
prime battute, con un misto di tenerezza e di sfuggente mistero. Niente di
sorprendente che i due riescano a trovare sollievo reciproco nelle loro pene.
L’altro
filone sono le indagini, con la figura dei due detectives problematici. Adrian
che era stato messo a riposo dopo aver combinato casini vari, essendo dedito
all’alcool oltre misure. E Imogen, trasferita da Plymouth a Exeter (che è il
centro dell’azione) e ne sapremo solo alla fine i motivi, dura, ma piena di
intuizioni complementari ad Adrian. I due si muovono bene, e ne seguiamo
volentieri i battibecchi, ma anche le scoperte. Anche se, qui, non c’è richiamo
sessuale tra i due.
Tutto
graduale, e tutto convergente verso la scuola di cui vediamo muoversi il primo
morto nel primo capitolo. Certo, ogni tanto c’è qualche elemento che va fuori
fuoco. Un ragazzo che deve portare un messaggio e non si capisce se lo
recapita. Un prete spretato che viene ucciso a Parigi, e non capiamo come
l’assassino, che ad un certo punto ne capiamo la provenienza, si sia potuto
muovere in così breve tempo. Ed altre piccole sbavature di poco conto.
Il
centro nevralgico dell’attenzione della scrittrice ritorna, comunque, sempre al
punto centrale: il nonnismo inglese, che si erge a diritto anche di torturare
ed uccidere per “raddrizzare” gli elementi che “escono dalla retta via”. Con il
facile contorno di scene splatter. Ma anche il perdono, che dovrebbe essere
cristianamente perseguito, e non sempre è così.
Un
elemento finale: da come si muovono per tutto il romanzo, ho da subito pensato
che i due detective, Adrian Miles e Imogen Grey, potessero costituire una base
per una produzione seriale. Povera di notizie, la terza di copertina non mi ha
illuminato. Ma una ricerca accurata, mi ha mostrato che avevo ragione:
dall’uscita di questo volume ad oggi, sono quattro i romanzi che vedono
protagonisti i due investigatori. Facile profezia.
Brigitte
Glaser “Morte sotto spirito” Repubblica Passione Noir 14 euro 7,90
[A: 17/09/2018
– I: 11/06/2022 – T: 13/06/2022] - &&
e ½
[tit.
or.: Kirschtote; ling. or.: tedesco; pagine: 411;
anno 2004]
Come previsto dopo la lettura della prima
avventura di Katharina Schweitzer, eccoci, seppur dopo due anni, al secondo
capitolo. Ricordo a chi non lesse la prima trama, che Brigitte Glaser è una
scrittrice alsaziana nata non lontano da Strasburgo, ha studiato pedagogia, ed
oltre a scrivere è impegnata nell’insegnamento alle persone adulte. Inoltre,
dalla natia Offenburg, ora vive nell’interessante città di Colonia, di cui
parlai nel primo libro.
Ora, queste notizie geografiche non sono
peregrine in quanto la nostra eroina, dopo le vicende delittuose del primo
romanzo, si trova a tornare nei paeselli natii, tra Archen e Sasbachwalden
(cercateli sulla mappa), non disdegnando puntate sia a Baden-Baden che
nell’originaria Köln.
Prima
di entrare nel merito, tuttavia, facciamo il solito salto sulla sedia, dove il
titolo che ci parla di “Torta alla Ciliegia” si trasforma in uno che parla di
assassinio (“morte”) legato a liquore (“sotto spirito”). Che tutti si pensa
subito all’Amarena Fabbri (e non aggiungo altro). Ed in secondo luogo a qualche
omicidio perpetrato con l’uso dell’acquavite di ciliegie, che per l’appunto
nella Foresta Nera, è chiamato “Kirsch” (e vi rimando al finale per una
digressione).
Tornando
a noi, e saltando i rimandi inutili, oltre al personaggio principale,
Katharina, una costante è la sua amica-aiutante Adela Mohnlein, ostetrica in
pensione, che ha un debole per le investigazioni, e per gli investigatori, come
in questo libro, lo svevo Kuno. C’è poi la famiglia della nostra cuoca, presente
ovunque, anche se defilata, in genere. Qui un po’ meno, che la partenza
dell’azione è appunto il ritorno di Katharina nel ristorante di famiglia, dato
che, primo è senza lavoro (dopo la morte del suo chef nel primo libro), e
secondo, la madre è infortunata, così che lei deve sostituirla in cucina. La
presenza del ristorante di famiglia, nonché quello del fratello Bernhard, dà
modo a Brigitte di divertirsi spandendo qua e là ricette e consigli vari. O
“sconsigli”, come quello di evitare la pizza che prepara Carlo, l’aiuto di
Katharina, il cui nome già dice tutto: pizza con barbabietole rosse e rafano!
Non dico altro.
Ma
a dispetto della presenza di cuochi e cucine, il fulcro dell’azione e delle
morti è altro. In particolare, due sembrano i motivi dominanti: la controversa
costruzione di un impianto di sci al chiuso (con conseguente disboscamento
della Foresta Nera per favorire un turismo “di tutto l’anno”) e la produzione,
palese o clandestina, di acquavite, principalmente da ciliegie, ma, se capita,
da qualsiasi frutto si voglia far macerare in alcool.
Insomma,
Katharina, tornata a casa, oltre a cucinare e litigare con la madre, trova
vecchie conoscenze della sua gioventù. Teresa, ora fioraia, sposata con Konrad,
attivista anti-impianto. Maxi, belloccia, rampante, gestrice di un albergo-spa.
FK, giornalista di basso profilo, che diventerà la sua seconda spalla nelle
indagini. E poi i nuovi personaggi, tra cui spiccano, oltre vari faccendieri i
cui nomi vanno scordati immediatamente, Bohnert, magnate della distilleria
locale con il suo braccio destro Achim, Anna Galli, unica donna distillatrice,
nonché innamorata di Edith Piaf, e Vladimir, immigrato russo, sempre vicino a
Konrad.
Il
primo a morire sarà proprio Konrad, guarda caso nel momento apicale della
vicenda degli impianti. Morte che quasi trascina con sé anche Katharina,
travolta da una caduta di massi in una cava. Konrad aveva trovato di sicuro
(anche se non se ne trova traccia) qualche magagna nei finanziamenti degli
impianti. Magagne che scoprirà anche Katharina, con l’aiuto, obtorto collo, di
FK e del commissario Kuno. Seguendo il filo del denaro, si troverà a
scoperchiare l’altro filone sopraccennato. Che spavaldi imprenditori importano
clandestinamente acquavite di scarto dai paesi dell’Est (in particolare
dall’Ucraina, e non dico altro), e tramite ricatti ai piccoli produttori
locali, la trasformano in prodotto vendibile. Il problema sarebbe riciclare il
denaro risultante, che potrebbe fare un giro semi-clandestino prima di entrare,
sparendo, in qualche banca del Lichtenstein.
Non
vi sto a tediare sui giri di denaro, sulle corruzioni ed altro. Sottolineo
soltanto che, oltre al denaro, non può non esserci la passione dietro a questi
delitti alcolici. Passione che Katharina, con l’aiuto dei suoi anche
involontari assistenti, porta allo scoperto, e, nel solito purtroppo veloce
finale, viene anche descritto noi poveri lettori.
La
trama gialla non è che sia un gran che, ed il libro galleggia sulla sufficienza
per la simpatia dei personaggi, Katharina in primis. Poi, c’è un mezzo punto in
più per le sei ricette “al liquore di ciliegia” che ci vengono descritte in
appendice. Tra cui, quella di una versione “veloce” della torta dedicata alla Foresta Nera: la
Schwarzwälder Kirschtorte.
“L’unica cosa che escludo è un omicidio …
basato sulla massima che se si fa fuori un avversario si raggiunge prima
l’obiettivo.” (148) [guerra russo-ucraina docet]
“Amore e dolore fanno rima. Se voglio l’uno,
devo accettare anche l’altro.” (265) [e chi l’ha detto?]
“A dispetto di tutte le cose strane che
capitano, staremo sempre bene insieme.” (324) [questo mi suona meglio]
Anche se parliamo di gialli, restando nella
buona tradizione delle citazioni rimaste nella mia memoria, viene a fagiolo
questa tratta dal libro “Fahrenheit
451” di Ray Bradbury: “I libri sono odiati e temuti … perché rivelano ...
la vita. La gente comoda vuole solo facce di luna piena, … inespressive.
Viviamo un tempo in cui i fiori tentano di vivere sui fiori invece di nutrirsi
di buona pioggia” (98)
Forse troppe parole per un agosto in cui si deve soltanto ricaricare le batterie in vista di un non facile autunno. Quindi, torno sotto la magnolia e vi abbraccio.
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