lunedì 14 luglio 2025

Ritardi noti - 14 luglio 2025

Come molti hanno saputo, ho passato un’intensa settimana nel grande Nord islandese, per cui mi scuso dei ritardi nelle spedizioni, dovute anche ad un po’ di fuso orario.

Rimediamo, fino ad un certo punto, con la collana dei gialli italiani dei Fratelli Frilli, con tre opere da brutte a molto brutte e due al contrario di sufficienza, anche se risicata. Tutti di autori non molto noti al grande pubblico, e per questo, forse, con maggior interesse da parte mia ad esplorarne il buono ed il brutto.

Ippolito Edmondo Ferrario “Il banchiere di Milano” Corriere Gazzetta 43 euro 7,99

[A: 27/03/2024 – I: 02/03/2025 – T: 03/03/2025] &      

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 280; anno: 2021]

Eccoci ad un nuovo romanzo noir italiano uscito in prima battuta presso i Fratelli Frilli editore e poi ripubblicato in questa collana edita da RCS media. Non conoscevo l’autore, Ippolito Edmondo Ferrario, che risulta essere un “cinquantino” milanese con all’attivo un discreto numero di libri e romanzi a fumetti. Che io non conoscevo né alla luce di questa prova, penso di essere interessato a conoscere.

Certo, la scrittura è di buon livello, ed anche la trama ha degli aspetti interessanti. Ma nel complesso non riesce a prendere, non si riesce ad empatizzare con un personaggio della trama. Essendoci poi alcuni punti che rimangono in un certo senso oscuri o quanto meno poco interpretabili razionalmente.

È un affresco, in fondo, di un Milano quasi come potrebbe essere. Ed è di sicuro un affresco di come possono intrecciarsi finanza e malavita nell’intricato mondo contemporaneo.

Alla vigilia delle elezioni per il sindaco di Milano, che saranno vinte inaspettatamente dall’outsider Villa (ricalcato marginalmente da figure assimilabili a “5 stelle” verso destra), pare possa venire alla luce un qualche scandalo edilizio. Cui potrebbero venir coinvolti Paolo Fumagalli, esperto commercialista, e Matteo, imprenditore edile e suo sodale. Per sventare il colpo Paolo va in Svizzera, fa strane operazioni finanziarie, ma al ritorno viene rapito e accidentalmente muore. L’operazione finanziaria di Paolo è comunque andata a buon fine, estromettendo Matteo da tutte le risorse economiche.

Matteo è anche legato alla mafia locale dei potenti fratelli Surace, che stanno modificando le loro attività spostandole dallo spaccio di droga verso investimenti finanziari nella moda e nel mattone. Ovvio che in questa operazione sia coinvolto il Villa di cui sopra. E occhio vigile dei Surace è anche Giorgio, ex-servizi segreti ed ora a capo di una società di security. Giorgio aveva anche l’occhio lungo, avendo capito il ruolo di mago della contabilità di Paolo, riuscendo a diventare l’amante di Elisabetta, la moglie di Paolo.

A questo punto, il nostro autore (e siamo già ad un quarto del libro) introduce quello che deve diventare il centro della trama (e che poi verrà riproposto in altri tre romanzi) Raoul Sforza, detto “il banchiere nero”. Ferrario ne tratteggia il personaggio con forti chiaroscuri. Banchiere con profonde radici nella finanza, viene da una gioventù probabilmente eversiva e legata alla parte più nera della politica. Implicato in molti processi politici ne viene sempre fuori pagando fior di avvocati. Ora è un maturo signore (tra i cinquanta e i sessanta direi), grande appassionato di arte (possiede fior di collezioni di quadri) ma soprattutto di musica (fanatico dei Rolling Stones, grande conoscitore della musica degli anni ’70, suonatore di chitarre d’autore, ma anche intenditore di musica classica).

Sforza viene coinvolto nella trama da Viola, la figlia di Paolo, che le aveva scritto di rivolgersi al banchiere in caso di morte. Da lì parte uno strano rapporto tra i due, anche perché Viola ricorda a Raoul un suo amore di gioventù. Il banchiere, una vera potenza nel campo delle manovre “ai limiti”, fa in modo che Viola riscatti la polizza a suo favore frutto del furto finanziario di Paolo verso Matteo e soci, che i soldi spariscano nei meandri dei paradisi finanziari, trovando anche il modo di farli tornare alla luce tramite fittizie vendite di quadri d’autore.

Tutto ciò sarebbe ben fuori un noir classico se non che: Elisabetta Fumagalli circuisce eroticamente un banchiere svizzero per sapere dove siano finiti i soldi, Matteo, da lei edotto, fa confessare il banchiere e lo uccide, Giorgio, che li ha seguiti, capisce tutto ed uccide Matteo. Quindi Giorgio rapisce Viola per ricattare Raoul ed avere i soldi, ma Raoul con un passaggio che è dei meno riusciti all’interno della trama, riesce ad avere la meglio su tutti. Il libro finisce con una bella visione di Raoul e Viola, solo amici per via dell’età, nel buon retiro di Bonassola (cui l’autore regala un paio di cammei turistici molto ben costruiti).

Molti però rimangono gli interrogativi sospesi. Cosa c’è scritto nelle carte di Paolo che può mettere nei guai il Villa delle prime pagine? E come si lega ciò ai Surace? Inoltre, le ragioni che adduce il memo di Paolo per convincere Viola ad affidarsi a Raoul sono di una disarmante labilità. Infine il modo in cui Raoul risolve il tutto implica un salto quantico nella logica dello scritto che non sono riuscito a capire.

Insomma, ci sono morti, agguati, trame intricate, ma senza essere né un hard boiled né un thriller puro e duro. Ci sono allusioni ed inizi di storie che rimangono sospese qua e là. C’è la richiesta dell’autore di una “suspension of belief” che è esattamente il contrario di quanti si aspetta il lettore di un romanzo. Inoltre, personalmente, il personaggio di Raoul Sforza non mi suscita un etto di empatia, anche se confesso di aver seguito con interesse i suoi passaggi rock. Ma è un po’ poco per risollevare le sorti di un libro poco convincente. Tanto che ve ne ho parlato più del lecito, visto non credo abbiate intenzione di leggerlo.

Roberto Negro “Bocca di rosa” Corriere Gazzetta 42 euro 7,99

[A: 20/03/2024 – I: 21/04/2025 – T: 23/04/2025] &&       

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 173; anno: 2010]

Roberto Negro, astigiano del ’60, dopo una lunga e buona carriera negli organi di polizia, ha affrontato alcune decisioni fondamentali: è andato a vivere a Perinaldo, in provincia di Imperia, ha gestito per alcuni anni un ristorante, ma soprattutto ha cominciato il suo percorso di scrittura, che lo ha presto portato sul lato “noir” della vita. D’altra parte, qualcosa del suo lavoro non poteva non rimanergli.

Nasce così il personaggio del commissario Scichilone, di cui non viene mai detto il nome, con la prima indagine che si intitola, guarda caso, “Il tesoro di Perinaldo”. Qui siamo già alla sesta indagine del commissario, motivo per cui alcune cose rimangono non dette (forse erano nei primi libri, forse vanno proprio ignorate). Ne conosciamo solo la passione per il rum, e la tenacia nel perseguire le idee che prima o poi sfoceranno in qualche rivelazione o agnizione per la soluzione del caso. Che spesso, poi, ha un epilogo “alla Maigret”, dove un conto è la verità ed un conto è la giustizia.

Qui abbiamo una storia che ha un inizio trent’anni addietro. Ci sono dei “passatori” che, visto che siamo a Villatella, non lontano dal confine, si adoperano per far passare clandestinamente persone verso la vicina Francia. Luigi ed Ernesto da anni fanno il mestiere, ma non sanno che la polizia li tiene d’occhio. Quando però fanno irruzione per arrestarli non trovano né loro né Maria, la moglie di Ernesto, ma solo tanto sangue. Per terra in cucina, solo la piccola Matilde. Un mistero che la polizia non riesce a risolvere.

Nel tempo presente, in quel di Ventimiglia (di cui Villatella ora è una frazione) si aggirano nuovi problemi e nuovi misteri. Legati soprattutto all’affascinante presenza di una avvenente signorina del mestiere che (visto che siamo in Liguria e che De André era molto amato) pensa bene di prendere il nome d’arte di “Bocca di Rosa”. Quando però viene trovato il suo cadavere è il momento che Scichilone deve entrare in campo.

Nelle pieghe del racconto, prima di andare avanti, vengono ricavati momenti esotici, per cui ci impegnano a seguire anche le vicende di un ormai anziano signore, che da molto tempo si è ritirato a vivere nel lontano e bucolico mondo dello Sri Lanka. E lo seguiamo anche nel suo viaggio di ritorno verso l’Italia.

Intanto il nostro commissario comincia a scoprire gli altarini che giravano intorno alla giovane morta. Si scopre un giro di escort di alto livello, gestito da tal Rita. Si scopre un assiduo cliente di tale giro, il commercialista Renato, in odore di diventare sindaco del luogo. Peccato che sia stato ripreso in scene molto hard dalla giovane poi morta. Giovane che ha chiesto per il suo silenzio delle somme spropositate a tutti e due i personaggi.

Che hanno tutte le carte in regola per desiderare la morte di Bocca di Rosa. Nel corso delle indagini, tuttavia, anche Renato muore, questa volta palesemente suicida. Cosa che farebbe pendere quindi per un omicidio, un pentimento ed un suicidio. Ovviamente, e nonostante abbia tutta la questura contro, Scichilone sente odore di bruciato in questa ricostruzione. Un bruciato che diventa fumo denso quando, scoperta nei suoi giri “irregolari”, la signora Rita decide di confessare tutte le sue malefatte. Da cui però esclude il suo coinvolgimento nelle morti. Non solo, fornendo prove che neanche Renato poteva farne parte. Il commercialista aveva solo paura di scandali ed altro, in particolare per il terrore che gli incuteva il terribile suocero. Tanto che se non è suicidio, di certo il suocero ci ha messo lo zampino.

La soluzione arriva, anche un po’ banale, come banale si trova ad essere lo svelamento della figura dell’emigrato asiatico. C’è di tutto un po’. Ma la trama nera, alla fine, risulta un po’ banalotta. Meglio ci si ritrova in qualche passaggio descrittivo dei monti franco-italiani. Ed un po’ nel vissuto cittadino dei paesi frontalieri. Tuttavia, la soluzione finale viene un po’ “a muzzo”, ed i vari personaggi indagatori, Scichilone in primis, non fanno un’eccelsa figura.

È molto probabile che, in fondo, lo scrivere di Negro, dopo tanta polizia, pur muovendosi nell’ambito poliziesco, sia più rivolto alle persone coinvolte ed alle loro storie. Cui, con un piccolo autocompiacimento, il nostro aggiunge un tocco alla Hitchcock. Non nel senso del giallo, ma per quel vezzo che il regista aveva di fare un piccolo cammeo in ogni suo film. Così, ad un bar in cui un cameriere lo serve con accuratezza, il nostro commissario chiede come ti chiami. E lui risponde “Roberto Negro”…

“Nei singhiozzi dell’uomo c’era tutta la solitudine ed il senso di abbandono di chi, nella pensione, aveva scoperto solo l’inutilità della propria esistenza.” (78)

Armando D’Amaro “Nero Dominante. Genova, 1938” Corriere Gazzetta 38 euro 7,99

[A: 21/02/2024 – I: 25/04/2025 – T: 27/04/2025] & e ½       

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 176; anno: 2017]

Armando D’Amaro, laureato in giurisprudenza e dedito all’attività forense, ad un certo punto rivolge la sua attenzione verso la scrittura, ed in particolare alle trame poliziesche. Genovese doc, per questa attività, e per il respiro più calmo che si ottiene in riva al mare, si sposta a vivere a Calice Ligure, dove sapremmo poi vivono anche i genitori del suo personaggio più longevo, il commissario Boccadoro, di cui qui abbiamo la prima indagine. Se poi andate a spulciare l’ottimo catalogo dei Fratelli Frilli, ne troverete un buon numero.

Il marchio distintivo della sua scrittura è quella di utilizzare molto la mescolanza tra finzione e realtà, inserendo anche, nel corso del testo, note esplicative e rimandi, quasi che si fosse davanti ad un saggio piuttosto che ad un’opera di fantasia. Un elemento divertente e, tutto sommato, utile ad una maggiore comprensione del testo. Così come utili sono le note finali sui personaggi del testo, dove, con abile perizia, ci dà conto dei veri e dei falsi, ma con lo stesso tono declaratorio, così che (a parte quelli noti) si fa fatica a separare i due livelli.

L’altro tentativo che l’autore fa con questo testo è di descrivere “dal di dentro”, modi quotidiani della vita nell’era fascista. Soprattutto sui due livelli estremi. Il modo in cui si enfatizzava il regime, in special modo nei momenti pubblici. E la vita scolastica, dove, esaltandone le passioni in mille subdoli modi, si operava il tentativo di fidelizzare i giovani al fascio. Con momenti collettivi, di sport, di marce, di esibizioni teatrali, e simili eventi corali. Il tutto sotto l’attenta regia dell’ideatore di tutto ciò, Achille Starace.

Così da un lato abbiamo la vita privata della famiglia Boccadoro, dove oltre al nostro commissario (che tra l’altro è il principale narratore delle storie di questo libro), abbiamo la moglie Elena, angelo del focolare, le figlie Gina, seria e posata, e Irma, terremoto di attività ed insofferente alle regole. Ci sarebbe anche Umberto, l’ultimo nato, ma è ancora troppo piccolo. Nella vita familiare vediamo in particolare i momenti di convergenza e di scontro tra Irma e le rigide strutture scolastiche.

Sul fronte esterno e più generale, abbiamo davanti un ben preciso momento della storia del fascismo italiano, ed anche dei componenti della famiglia Mussolini. Siamo a maggio del 1938, e Mussolini si appresta ad effettuare una visita officiale a Genova. Che ha come soprannome “La Superba”, ma che a volte viene anche chiamata “La Dominante (dei mari)”. Ecco così spiegato il titolo. Siamo a Genova, ed una serie di iniziative propagandistiche fasciste, giustificano il titolo di “Nero Dominante”, con un gioco di parole leggibile a veri livelli di profondità.

In particolare, ci stiamo avvicinando al 14 maggio 1938, giorno in cui Mussolini sbarca nel porto di Genova, per effettuare una visita officiale di quattro giorni.

La storia prende quindi il via da un condannato a morte (che verrà fucilato poche settimane dopo la fine del libro) che avverte Boccadoro di un possibile attentato ai danni del DUCE. Boccadoro non è uomo d’azione, ma di sicuro è uomo di riflessione, con un atteggiamento pronto a recepire anche piccoli segnali discrepanti, cosa che gli consente una discreta libertà d’azione (ha ottenuto molti successi e le autorità ne terrà conto).

Quindi, abbiamo Boccadoro che da un lato si mette sulle tracce di tal Ippolito, cui pare si debba la millanteria dell’attentato e della protezione in alte sfere che ha (o avrebbe). Dall’altro deve organizzare la messa in sicurezza dei quattro giorni genovesi del Duce. In tutto ciò dovendosi anche rapportare ai Servizi Segreti italiani, i cui interventi sono dall’autore dipinti con parole che si addicono grandemente ad atteggiamenti mafiosi. C’è una piccola trama laterale coinvolgente una statua di marmo che il Duce deve inaugurare, che serve solo a dare altre pennellate al fine di verosimigliare il romanzo.

Il tentativo di attentare al Duce è facilmente sventato, ma alla ricerca dei retroscena che subito si palesano, Boccadoro comincia ad intravedere la possibile complessità di tutta la vicenda. È un momento difficile per Mussolini ed il fascismo. L’autarchia rende sempre più insofferente il popolo italiano medio. Così come il progressivo avvicinamento tra Italia e Germania. Ci sono elementi di governo (o ad esso vicino) che vedrebbero meglio un avvicinarsi invece a paesi democratici, Regno Unito in particolare. Esemplare precipuo, Galeazzo Ciano.

Ma ce ne sono altri, invece, che sono sempre più convinti della necessità di avere l’alleato tedesco al fianco. Spingendosi inoltre ad introdurre momenti ed espressioni peculiari atti a tipicizzare il fascista italico. In particolare, si distingue in quest’opera il non eccelso Achille Starace, che introduce il saluto romano, il sabato fascista, l’utilizzo del “voi” e della lana autoctona sarda detta “orbace”.

Boccadoro entra nei meccanismi dell’attentato e, con le sue riflessioni a volte quasi miracolose, comprende che è tutta una cortina di fumo. Il mandante facilmente indicato in Galeazzo Ciano è probabilmente un tentativo (di chi? Lo scoprirete solo leggendo) si dare una scossa a Ciano che si stava avvicinando troppo agli inglesi, ma soprattutto di dimostrare che il Partito Nazionale Fascista era guidato da incapaci che andrebbero rimossi. Ovviamente il segretario del PNF al tempo è proprio Achille Starace.

Insomma, i meccanismi gialli sono abbozzati senza riuscire a coinvolgere il lettore nella ricerca della verità. I frequenti passaggi di prospettiva tra varie situazioni e momenti diversi, in particolare quando Boccadoro non è presente, non rendono agevole seguire tutta la vicenda in modo più compatto. Ed anche la non-fiction fascista è solo filologicamente interessante, mentre per il filo della trama, è abbastanza poco congrua con tutto il resto. Forse troppe attività legali sono rimaste nella penna dell’autore.

Antonio Caron “Il gatto con il numero di telefono” Corriere Gazzetta 54 euro 7,99

[A: 12/06/2024 – I: 29/04/2025 – T: 30/04/2025] && e ½       

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 177; anno: 2006]

Antonio Caron, come ho scritto in una precedente trama, ci ha lasciato solla soglia dei suoi ottant’anni. Giornalista di buon piglio, sballottato in varie sedi norditaliane, comincia a scrivere di gusto e di buon rendimento quando al fine si stabilisce in quel di Bogliasco, a metà strada tra Genova e Portofino. È qui che riesce a canalizzare la sua scrittura (anche se da buon giornalista sa ben trattare le parole), dando alla fine vita al suo personaggio principale, Sebastiano Vitale.

Nella prima indagine, il piemontese non ancora sessantenne Caron, mette in scena al centro dell’azione il buon Vitale, meridionale con moglie molto simpatica e collaborativa, che risulta essere ancora brigadiere. Per poi essere presto promosso maresciallo, ruolo che ricoprirà per quasi tutti i romanzi della serie. Laddove solo nel penultimo, se non vado errato, viene promosso luogotenente. Mentre nell’ultimo, che è stato pure il precedente da me letto, sta strenuamente cercando di andare in pensione.

Purtroppo, sarà prima Caron che Vitale a lasciarci.

Qui, nella lodevole collana per lungo tempo pubblicata per i tipi del Corriere, venendo a riprendere il folto e ben fornito catalogo dei Fratelli Frilli, si continua con quell’andar per vati luoghi italici. Che era una delle caratteristiche, anche se molto concentrata su Roma, che aveva molti anni fa un’altra degna nonché minore casa editrice; per l’appunto la romana Round Robin.

In questo girovagare, per motivi non inerenti alla professione, Vitale si ritrova in quel di Mantova (comunque una delle tante sedi del Caron giornalista). In visita parentale, laddove con la moglie doveva fare una visita ai parenti di lei. Ma Vitale, ormai lo sappiamo, ha la dote sopraffina di incappare sempre in qualche mistero. Dove sfoggia un po’ di doti intellettive per arrivare alla soluzione (non a caso Caron era un grande ammiratore di Simenon), ma soprattutto, ci dà modo di passeggiare, con lui e la moglie Marisa, per le strade e le bellezze della cittadina lombarda (di cui ricordo una bellissima visita che facemmo al Palazzo Te ed al Palazzo Ducale).

Il gancio dell’azione è di una casualità disarmante. Amanti degli animali, la nostra coppia in vacanza incontra un gatto sperduto. Che però ha collare con numero di telefono ed indirizzo. Provano a chiamare, e, a risposta mancante, si recano sul posto. Constatando l’assenza della padrona di casa. Ma anche uno strano messaggio lasciato in segreteria, riguardante dei numeri da giocare a lotto, messaggio lasciato da una voce che Vitale riconosce: un cieco che vende biglietti fortunati davanti alla Cattedrale.

Da qui si susseguono tante ed improbabili vicende. I biglietti vincenti, stampati su foglietti di carta, venivano dati al cieco da tal Melissa Monfort di Villarosa, ricca ereditiera americana, vedova del defunto signore di Villarosa. Ed era il cieco che li dava, inconsapevole tramite, a Elide, la padrona del gatto con il telefono. Le cose si complicano quando Elide viene trovata morta in un canale. Mentre pochi giorni dopo, Melissa, invischiata in una delle tante sette religiose americane, nonché in lite con la cognata per questioni ereditarie, viene anch’essa rinvenuta senza vita, per un colpo d’arma da fuoco.

L’improbabile storia messa in piedi da Caron, vede il nostro Vitale scoprire tanti altarini, uno dopo l’altro. I numeri vincenti erano stampati su fogli di carta che contenevano informazioni militari segrete. Elide, ex donna di mondo, nonché a sua volta invischiata in strane speculazioni, spediva i numeri via posta, in modo che potessero arrivare a terroristi nazionali e internazionali, che pare avessero intenzione di organizzare un feroce attentato in America (nella scrittura siamo solo cinque anni dopo l’undici settembre).

Compaiono sulla scena, allora, gli strani rappresentanti della setta religiosa, un terrorista internazionale di grosso calibro, che da tempo si accompagnava a Melissa, nonché agenti della CIA da tempo sulle tracce del possibile attentato e dei loro organizzatori.

Insomma, ci sono tutta una serie di concatenazioni che porteranno Vitale, con la sua solita intuitività a volte quasi da sensi paranormali, a trovare l’omicida di Elide ed a ruota, a sventare gli attentati, ad arrestare il terrorista per omicidio, ed a trovare una spiegazione coerente per tutto quello che succede. Peccato che il gatto del titolo, pur avendo dato il via alla sarabanda di azioni che portano alla soluzione del caso, non entri nella vicenda, se non nel finale, dove viene giustamente affidato alla vicina di casa di Elide.

Pur rimanendo il piglio giornalistico di buona fattura (che tra l’altro evita quei fastidiosi meccanismi di flash-back ora tanto in voga), la storia rimane troppo casualmente collegata non solo per essere avvincente, ma anche solo per essere godibile. Rimangono a tener su il morale di noi avidi lettori, le passeggiate mantovane, le digressioni culinarie. Nonché un elemento, questo si casuale, che ad un certo punto viene detto l’Elide sia nata il 7 febbraio. Cosa che fa balzare subito in testa l’invio di fervidi auguri al mio amico Emilio.

Maria Masella “Il dubbio” Corriere Gazzetta 49 euro 7,99

[A: 09/05/2024 – I: 18/06/2025 – T: 19/06/2025] && e ½       

[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 211; anno: 2004]

Seconda avventura del commissario Antonio Mariani, ed in sottordine poi vedremo perché, della moglie Francesca Lucas iniziati ad uscire dalla penna di Maria Masella nel 2002. Ne avevo tramato dopo aver letto il primo, e devo dire che non ne avevo parlato benissimo. Non tanto per l’intreccio, che aveva una sua ragion d’essere, quanto per i personaggi (i due di cui sopra) nonché la fatica di leggere un libro di più di 200 pagine suddiviso in soli 5 capitoli.

Qui devo dire abbiamo recepito alcune critiche, per cui i capitoli sono diventati 21 per 210 pagine, e soprattutto, visto che c’è un andamento temporale, ogni capitolo si occupa di un giorno (o di una notte). Sono leggermente migliorati i personaggi, anche se, per il mio gusto letterario, Francesca acquista dei punti, Antonio un po’ meno. Forse anche per una mia inveterata antipatia per i traditori seriali. Sappiamo dal pregresso che Antonio ha spesso e volentieri intrapreso incontri sessuali fuori del matrimonio. Magari mentendo (?) a sé stesso dicendo di amare sempre la moglie. Fatto sta che, e con ragione, Francesca l’ha mandato via.

Peccato che ci sia una figlia di mezzo, la piccola Manu. Antonio, anche in queste pagine, mostra attaccamento verso la figlia, mentre ha un atteggiamento che non condivido neanche in una virgola verso la moglie. Certo, qui non ci sono tradimenti, anzi ci sono momenti in cui i due sembrano avvicinarsi (forse anche troppo). Tuttavia, Antonio non smette mai i panni del marito geloso e sospettoso. Un modo di essere che può essere foriero solo di brutte conseguenze. Che forse non vedremo qui, ma immagino potranno riempire la ventina di titoli dedicati al commissario.

Peccato, che dal punto di vista dell’indagine e della scrittura è di sicuro una degna confezione, con un qualche tocco di mistero e di suspence che non guastano. Ma il risultato complessivo è comunque appesantito dall’insopportabilità del modo di affrontare la vita privata da parte del nostro.

La trama inizia con molta lentezza. Andando a trovare un collega ferito in quel di Cuneo, questi gli confessa che, in un’indagine per il suicidio di Gualtiero Airoldi, traduttore dal tedesco, ha visto, in un album di foto, quella di Francesca. Il suicidio pare proprio assodato, ma Antonio comincia ad essere roso dalla gelosia. Che rapporto c’erano tra Airoldi e sua moglie?

L’unica cosa che scopre è la presenza di un soldato di leva, laureando in tedesco, che frequentava l’Airoldi. E forse potrebbe avere notizie sulla possibile tresca. Ma il ragazzo viene trovato morto, con le mani legate dietro la schiena, e la faccia affogato nel fango. Il mistero si infittisce, che sia a Genova che nei dintorni delle zone liguro-piemontesi, vengono trovati altri corpi uccisi con modalità analoga al soldato di Cuneo.

Le uniche sostanziali differenze sono che al soldato pare le mani siano state legate post-mortem, e che le altre persone morte sembrerebbero essere gay o comunque legate al mondo omosessuale. Il tutto poi sembra collegarsi alla morte in un incidente stradale di due persone, una gay dichiarata ed una gay nascosta, con moglie e figli. Uno scandalo che ha colpito una zona che comunque è di competenza di Mariani. Che, nel corso degli avvicinamenti a Francesca, ne parla e ne ragiona con lei, arrivando, con i suggerimenti della moglie, a tracciare una possibile trama.

Trama che però non giustifica né la morte del soldato né il suicidio di Airoldi. Il commissario Mariani troverà anche il modo di capire il perché ed i modi di queste due morti, andando anche alla radice degli omicidi seriali dei cripto-gay. E rimanendo anche ferito nel concitato finale. Finale che gli porta una notizia aggiuntiva della vita di Francesca, che, nelle intenzioni della moglie, dovrebbe portare ad una distensione dei rapporti, mentre nella contorta mente del commissario porta ancora acqua al mulino dei sospetti.

Maria Masella ha un’indubbia capacità nella gestione dei dialoghi, nonché nel tirare fuori elementi di riflessione. I rapporti tra le persone, al di qua ed al di là del sesso, la gelosia personale e professionale, la frustrazione di essere un uomo mediocre in un mondo di persone che, invece, sembrano realizzarsi e portare avanti la vita verso i propri obiettivi e i pubblici riconoscimenti. Tra questi, il ragionamento colpisce proprio il tasto della gelosia professionale: fino a dove può far spingere un uomo?

Una domanda che in me ha ovviamente una risposta ben diversa da quella ipotizzata da Masella. Come diversa è anche la posizione sulla gelosia personale, che trova poco spazio nel mio orizzonte: quando si ama, si ama in modo totale. Se nascono crepe, non si ama più.

Anche se in ritardo, è pur sempre la prima trama del mese, motivo per cui vi sorbite anche le classifiche delle letture del mese di aprile. Sedici letture che non si elevano sopra la media, senza nessun acuto, e con l’unico tonfo nel nero di Genova di cui parlo anche sopra.

#

Autore

Titolo

Editore

Euro

J

1

Elda Lanza

La cliente sconosciuta

Repubblica Anima Noir

8,90

2,5

2

Haruki Murakami

Prima persona singolare

Corriere

9,90

3

3

Jessica Fellowes

Scandalo in casa Mitford

Repubblica Anima Noir

8,90

2

4

Clive Cussler & Justin Scott

Il Cecchino

TEA

9,90

2

5

Gaspare Grammatico

Le Spine Del Ficodindia

Repubblica Mistero Noir

8,9

3

6

Haruki Murakami

La città e le sue mura incerte

Einaudi

s.p.

3

7

Isaka Kotaro

La vendetta del professor Suzuki

Repubblica Profondo Noir

8,90

3

8

Massimo Pigliucci

Come essere stoici

Repubblica Filosofia Viva

9,90

2

9

Romano De Marco

Se la notte ti cerca

Repubblica Noir

8,90

2

10

Andrea Pomella

Vite nell’oro e nel blu

Einaudi

21

3

11

Paolo Di Paolo

Lontano dagli occhi

Feltrinelli

12

2,5

12

Roberto Negro

Bocca di rosa

Corriere Gazzetta

7,99

2

13

Emi Yagi

Il diario geniale della signorina Shibata

Repubblica Giappone

8,90

3

14

Armando D'Amaro

Nero dominante. Genova, 1938

Corriere Gazzetta

7,99

1,5

15

Barry Gifford

Cuore selvaggio

Corriere Americana

8,90

3

16

Antonio Caron

Il gatto col numero di telefono

Corriere Gazzetta

7,99

2,5

 

Confesso di essere ancora un po’ stanco, tra viaggio e fuso, per cui niente citazioni, e solo un ricordo, sempre presente, della forza della natura islandese. Geyser, cascate, ghiacci e rocce, tutte da vedere (e questa volta con un clima fantastico). E comunque, anche in ritardo, vi invio queste trame, che anche la settimana prossima non ci sarò. Un abbraccio pieno della natura del Nord.

 

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