Rimediamo,
fino ad un certo punto, con la collana dei gialli italiani dei Fratelli Frilli,
con tre opere da brutte a molto brutte e due al contrario di sufficienza, anche
se risicata. Tutti di autori non molto noti al grande pubblico, e per questo,
forse, con maggior interesse da parte mia ad esplorarne il buono ed il brutto.
Ippolito Edmondo Ferrario “Il banchiere di
Milano” Corriere Gazzetta 43 euro 7,99
[A: 27/03/2024 – I: 02/03/2025 – T: 03/03/2025]
&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 280; anno:
2021]
Eccoci ad un nuovo romanzo noir italiano
uscito in prima battuta presso i Fratelli Frilli editore e poi ripubblicato in
questa collana edita da RCS media. Non conoscevo l’autore, Ippolito Edmondo Ferrario,
che risulta essere un “cinquantino” milanese con all’attivo un discreto numero
di libri e romanzi a fumetti. Che io non conoscevo né alla luce di questa
prova, penso di essere interessato a conoscere.
Certo, la scrittura è di buon livello, ed
anche la trama ha degli aspetti interessanti. Ma nel complesso non riesce a
prendere, non si riesce ad empatizzare con un personaggio della trama.
Essendoci poi alcuni punti che rimangono in un certo senso oscuri o quanto meno
poco interpretabili razionalmente.
È un affresco, in fondo, di un Milano quasi
come potrebbe essere. Ed è di sicuro un affresco di come possono intrecciarsi
finanza e malavita nell’intricato mondo contemporaneo.
Alla vigilia delle elezioni per il sindaco
di Milano, che saranno vinte inaspettatamente dall’outsider Villa (ricalcato
marginalmente da figure assimilabili a “5 stelle” verso destra), pare possa
venire alla luce un qualche scandalo edilizio. Cui potrebbero venir coinvolti
Paolo Fumagalli, esperto commercialista, e Matteo, imprenditore edile e suo
sodale. Per sventare il colpo Paolo va in Svizzera, fa strane operazioni
finanziarie, ma al ritorno viene rapito e accidentalmente muore. L’operazione
finanziaria di Paolo è comunque andata a buon fine, estromettendo Matteo da
tutte le risorse economiche.
Matteo è anche legato alla mafia locale dei
potenti fratelli Surace, che stanno modificando le loro attività spostandole
dallo spaccio di droga verso investimenti finanziari nella moda e nel mattone.
Ovvio che in questa operazione sia coinvolto il Villa di cui sopra. E occhio
vigile dei Surace è anche Giorgio, ex-servizi segreti ed ora a capo di una
società di security. Giorgio aveva anche l’occhio lungo, avendo capito il ruolo
di mago della contabilità di Paolo, riuscendo a diventare l’amante di
Elisabetta, la moglie di Paolo.
A questo punto, il nostro autore (e siamo
già ad un quarto del libro) introduce quello che deve diventare il centro della
trama (e che poi verrà riproposto in altri tre romanzi) Raoul Sforza, detto “il
banchiere nero”. Ferrario ne tratteggia il personaggio con forti chiaroscuri.
Banchiere con profonde radici nella finanza, viene da una gioventù
probabilmente eversiva e legata alla parte più nera della politica. Implicato
in molti processi politici ne viene sempre fuori pagando fior di avvocati. Ora
è un maturo signore (tra i cinquanta e i sessanta direi), grande appassionato
di arte (possiede fior di collezioni di quadri) ma soprattutto di musica
(fanatico dei Rolling Stones, grande conoscitore della musica degli anni ’70,
suonatore di chitarre d’autore, ma anche intenditore di musica classica).
Sforza viene coinvolto nella trama da Viola,
la figlia di Paolo, che le aveva scritto di rivolgersi al banchiere in caso di
morte. Da lì parte uno strano rapporto tra i due, anche perché Viola ricorda a
Raoul un suo amore di gioventù. Il banchiere, una vera potenza nel campo delle
manovre “ai limiti”, fa in modo che Viola riscatti la polizza a suo favore
frutto del furto finanziario di Paolo verso Matteo e soci, che i soldi
spariscano nei meandri dei paradisi finanziari, trovando anche il modo di farli
tornare alla luce tramite fittizie vendite di quadri d’autore.
Tutto ciò sarebbe ben fuori un noir classico
se non che: Elisabetta Fumagalli circuisce eroticamente un banchiere svizzero
per sapere dove siano finiti i soldi, Matteo, da lei edotto, fa confessare il
banchiere e lo uccide, Giorgio, che li ha seguiti, capisce tutto ed uccide
Matteo. Quindi Giorgio rapisce Viola per ricattare Raoul ed avere i soldi, ma
Raoul con un passaggio che è dei meno riusciti all’interno della trama, riesce
ad avere la meglio su tutti. Il libro finisce con una bella visione di Raoul e Viola,
solo amici per via dell’età, nel buon retiro di Bonassola (cui l’autore regala
un paio di cammei turistici molto ben costruiti).
Molti però rimangono gli interrogativi
sospesi. Cosa c’è scritto nelle carte di Paolo che può mettere nei guai il
Villa delle prime pagine? E come si lega ciò ai Surace? Inoltre, le ragioni che
adduce il memo di Paolo per convincere Viola ad affidarsi a Raoul sono di una
disarmante labilità. Infine il modo in cui Raoul risolve il tutto implica un
salto quantico nella logica dello scritto che non sono riuscito a capire.
Insomma, ci sono morti, agguati, trame
intricate, ma senza essere né un hard boiled né un thriller puro e duro. Ci
sono allusioni ed inizi di storie che rimangono sospese qua e là. C’è la
richiesta dell’autore di una “suspension of belief” che è esattamente il
contrario di quanti si aspetta il lettore di un romanzo. Inoltre,
personalmente, il personaggio di Raoul Sforza non mi suscita un etto di
empatia, anche se confesso di aver seguito con interesse i suoi passaggi rock.
Ma è un po’ poco per risollevare le sorti di un libro poco convincente. Tanto
che ve ne ho parlato più del lecito, visto non credo abbiate intenzione di
leggerlo.
Roberto Negro “Bocca di rosa” Corriere
Gazzetta 42 euro 7,99
[A: 20/03/2024 – I: 21/04/2025 – T: 23/04/2025]
&&
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 173; anno:
2010]
Roberto Negro, astigiano del ’60, dopo una
lunga e buona carriera negli organi di polizia, ha affrontato alcune decisioni
fondamentali: è andato a vivere a Perinaldo, in provincia di Imperia, ha
gestito per alcuni anni un ristorante, ma soprattutto ha cominciato il suo
percorso di scrittura, che lo ha presto portato sul lato “noir” della vita.
D’altra parte, qualcosa del suo lavoro non poteva non rimanergli.
Nasce così il personaggio del commissario
Scichilone, di cui non viene mai detto il nome, con la prima indagine che si
intitola, guarda caso, “Il tesoro di Perinaldo”. Qui siamo già alla sesta
indagine del commissario, motivo per cui alcune cose rimangono non dette (forse
erano nei primi libri, forse vanno proprio ignorate). Ne conosciamo solo la
passione per il rum, e la tenacia nel perseguire le idee che prima o poi
sfoceranno in qualche rivelazione o agnizione per la soluzione del caso. Che
spesso, poi, ha un epilogo “alla Maigret”, dove un conto è la verità ed un
conto è la giustizia.
Qui abbiamo una storia che ha un inizio
trent’anni addietro. Ci sono dei “passatori” che, visto che siamo a Villatella,
non lontano dal confine, si adoperano per far passare clandestinamente persone
verso la vicina Francia. Luigi ed Ernesto da anni fanno il mestiere, ma non
sanno che la polizia li tiene d’occhio. Quando però fanno irruzione per
arrestarli non trovano né loro né Maria, la moglie di Ernesto, ma solo tanto
sangue. Per terra in cucina, solo la piccola Matilde. Un mistero che la polizia
non riesce a risolvere.
Nel tempo presente, in quel di Ventimiglia
(di cui Villatella ora è una frazione) si aggirano nuovi problemi e nuovi
misteri. Legati soprattutto all’affascinante presenza di una avvenente
signorina del mestiere che (visto che siamo in Liguria e che De André era molto
amato) pensa bene di prendere il nome d’arte di “Bocca di Rosa”. Quando però
viene trovato il suo cadavere è il momento che Scichilone deve entrare in
campo.
Nelle pieghe del racconto, prima di andare
avanti, vengono ricavati momenti esotici, per cui ci impegnano a seguire anche
le vicende di un ormai anziano signore, che da molto tempo si è ritirato a
vivere nel lontano e bucolico mondo dello Sri Lanka. E lo seguiamo anche nel
suo viaggio di ritorno verso l’Italia.
Intanto il nostro commissario comincia a
scoprire gli altarini che giravano intorno alla giovane morta. Si scopre un
giro di escort di alto livello, gestito da tal Rita. Si scopre un assiduo
cliente di tale giro, il commercialista Renato, in odore di diventare sindaco
del luogo. Peccato che sia stato ripreso in scene molto hard dalla giovane poi
morta. Giovane che ha chiesto per il suo silenzio delle somme spropositate a
tutti e due i personaggi.
Che hanno tutte le carte in regola per
desiderare la morte di Bocca di Rosa. Nel corso delle indagini, tuttavia, anche
Renato muore, questa volta palesemente suicida. Cosa che farebbe pendere quindi
per un omicidio, un pentimento ed un suicidio. Ovviamente, e nonostante abbia
tutta la questura contro, Scichilone sente odore di bruciato in questa
ricostruzione. Un bruciato che diventa fumo denso quando, scoperta nei suoi
giri “irregolari”, la signora Rita decide di confessare tutte le sue malefatte.
Da cui però esclude il suo coinvolgimento nelle morti. Non solo, fornendo prove
che neanche Renato poteva farne parte. Il commercialista aveva solo paura di
scandali ed altro, in particolare per il terrore che gli incuteva il terribile
suocero. Tanto che se non è suicidio, di certo il suocero ci ha messo lo
zampino.
La soluzione arriva, anche un po’ banale,
come banale si trova ad essere lo svelamento della figura dell’emigrato
asiatico. C’è di tutto un po’. Ma la trama nera, alla fine, risulta un po’
banalotta. Meglio ci si ritrova in qualche passaggio descrittivo dei monti
franco-italiani. Ed un po’ nel vissuto cittadino dei paesi frontalieri.
Tuttavia, la soluzione finale viene un po’ “a muzzo”, ed i vari personaggi
indagatori, Scichilone in primis, non fanno un’eccelsa figura.
È molto probabile che, in fondo, lo scrivere
di Negro, dopo tanta polizia, pur muovendosi nell’ambito poliziesco, sia più
rivolto alle persone coinvolte ed alle loro storie. Cui, con un piccolo
autocompiacimento, il nostro aggiunge un tocco alla Hitchcock. Non nel senso
del giallo, ma per quel vezzo che il regista aveva di fare un piccolo cammeo in
ogni suo film. Così, ad un bar in cui un cameriere lo serve con accuratezza, il
nostro commissario chiede come ti chiami. E lui risponde “Roberto Negro”…
“Nei singhiozzi dell’uomo c’era tutta la
solitudine ed il senso di abbandono di chi, nella pensione, aveva scoperto solo
l’inutilità della propria esistenza.” (78)
Armando D’Amaro “Nero Dominante. Genova,
1938” Corriere Gazzetta 38 euro 7,99
[A: 21/02/2024 – I: 25/04/2025 – T: 27/04/2025]
&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 176; anno:
2017]
Armando D’Amaro, laureato in giurisprudenza
e dedito all’attività forense, ad un certo punto rivolge la sua attenzione
verso la scrittura, ed in particolare alle trame poliziesche. Genovese doc, per
questa attività, e per il respiro più calmo che si ottiene in riva al mare, si
sposta a vivere a Calice Ligure, dove sapremmo poi vivono anche i genitori del
suo personaggio più longevo, il commissario Boccadoro, di cui qui abbiamo la
prima indagine. Se poi andate a spulciare l’ottimo catalogo dei Fratelli
Frilli, ne troverete un buon numero.
Il marchio distintivo della sua scrittura è
quella di utilizzare molto la mescolanza tra finzione e realtà, inserendo
anche, nel corso del testo, note esplicative e rimandi, quasi che si fosse
davanti ad un saggio piuttosto che ad un’opera di fantasia. Un elemento
divertente e, tutto sommato, utile ad una maggiore comprensione del testo. Così
come utili sono le note finali sui personaggi del testo, dove, con abile
perizia, ci dà conto dei veri e dei falsi, ma con lo stesso tono declaratorio,
così che (a parte quelli noti) si fa fatica a separare i due livelli.
L’altro tentativo che l’autore fa con questo
testo è di descrivere “dal di dentro”, modi quotidiani della vita nell’era
fascista. Soprattutto sui due livelli estremi. Il modo in cui si enfatizzava il
regime, in special modo nei momenti pubblici. E la vita scolastica, dove,
esaltandone le passioni in mille subdoli modi, si operava il tentativo di
fidelizzare i giovani al fascio. Con momenti collettivi, di sport, di marce, di
esibizioni teatrali, e simili eventi corali. Il tutto sotto l’attenta regia
dell’ideatore di tutto ciò, Achille Starace.
Così da un lato abbiamo la vita privata
della famiglia Boccadoro, dove oltre al nostro commissario (che tra l’altro è
il principale narratore delle storie di questo libro), abbiamo la moglie Elena,
angelo del focolare, le figlie Gina, seria e posata, e Irma, terremoto di
attività ed insofferente alle regole. Ci sarebbe anche Umberto, l’ultimo nato,
ma è ancora troppo piccolo. Nella vita familiare vediamo in particolare i
momenti di convergenza e di scontro tra Irma e le rigide strutture scolastiche.
Sul fronte esterno e più generale, abbiamo
davanti un ben preciso momento della storia del fascismo italiano, ed anche dei
componenti della famiglia Mussolini. Siamo a maggio del 1938, e Mussolini si
appresta ad effettuare una visita officiale a Genova. Che ha come soprannome
“La Superba”, ma che a volte viene anche chiamata “La Dominante (dei mari)”. Ecco
così spiegato il titolo. Siamo a Genova, ed una serie di iniziative propagandistiche
fasciste, giustificano il titolo di “Nero Dominante”, con un gioco di parole
leggibile a veri livelli di profondità.
In particolare, ci stiamo avvicinando al 14
maggio 1938, giorno in cui Mussolini sbarca nel porto di Genova, per effettuare
una visita officiale di quattro giorni.
La storia prende quindi il via da un
condannato a morte (che verrà fucilato poche settimane dopo la fine del libro)
che avverte Boccadoro di un possibile attentato ai danni del DUCE. Boccadoro
non è uomo d’azione, ma di sicuro è uomo di riflessione, con un atteggiamento
pronto a recepire anche piccoli segnali discrepanti, cosa che gli consente una
discreta libertà d’azione (ha ottenuto molti successi e le autorità ne terrà
conto).
Quindi, abbiamo Boccadoro che da un lato si
mette sulle tracce di tal Ippolito, cui pare si debba la millanteria
dell’attentato e della protezione in alte sfere che ha (o avrebbe). Dall’altro
deve organizzare la messa in sicurezza dei quattro giorni genovesi del Duce. In
tutto ciò dovendosi anche rapportare ai Servizi Segreti italiani, i cui
interventi sono dall’autore dipinti con parole che si addicono grandemente ad
atteggiamenti mafiosi. C’è una piccola trama laterale coinvolgente una statua
di marmo che il Duce deve inaugurare, che serve solo a dare altre pennellate al
fine di verosimigliare il romanzo.
Il tentativo di attentare al Duce è
facilmente sventato, ma alla ricerca dei retroscena che subito si palesano,
Boccadoro comincia ad intravedere la possibile complessità di tutta la vicenda.
È un momento difficile per Mussolini ed il fascismo. L’autarchia rende sempre
più insofferente il popolo italiano medio. Così come il progressivo
avvicinamento tra Italia e Germania. Ci sono elementi di governo (o ad esso
vicino) che vedrebbero meglio un avvicinarsi invece a paesi democratici, Regno
Unito in particolare. Esemplare precipuo, Galeazzo Ciano.
Ma ce ne sono altri, invece, che sono sempre
più convinti della necessità di avere l’alleato tedesco al fianco. Spingendosi
inoltre ad introdurre momenti ed espressioni peculiari atti a tipicizzare il
fascista italico. In particolare, si distingue in quest’opera il non eccelso
Achille Starace, che introduce il saluto romano, il sabato fascista, l’utilizzo
del “voi” e della lana autoctona sarda detta “orbace”.
Boccadoro entra nei meccanismi
dell’attentato e, con le sue riflessioni a volte quasi miracolose, comprende
che è tutta una cortina di fumo. Il mandante facilmente indicato in Galeazzo
Ciano è probabilmente un tentativo (di chi? Lo scoprirete solo leggendo) si
dare una scossa a Ciano che si stava avvicinando troppo agli inglesi, ma soprattutto
di dimostrare che il Partito Nazionale Fascista era guidato da incapaci che
andrebbero rimossi. Ovviamente il segretario del PNF al tempo è proprio Achille
Starace.
Insomma, i meccanismi gialli sono abbozzati
senza riuscire a coinvolgere il lettore nella ricerca della verità. I frequenti
passaggi di prospettiva tra varie situazioni e momenti diversi, in particolare
quando Boccadoro non è presente, non rendono agevole seguire tutta la vicenda
in modo più compatto. Ed anche la non-fiction fascista è solo filologicamente
interessante, mentre per il filo della trama, è abbastanza poco congrua con
tutto il resto. Forse troppe attività legali sono rimaste nella penna dell’autore.
Antonio Caron “Il gatto con il numero di
telefono” Corriere Gazzetta 54 euro 7,99
[A: 12/06/2024 – I: 29/04/2025 – T: 30/04/2025]
&&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 177; anno:
2006]
Nella
prima indagine, il piemontese non ancora sessantenne Caron, mette in scena al
centro dell’azione il buon Vitale, meridionale con moglie molto simpatica e
collaborativa, che risulta essere ancora brigadiere. Per poi essere presto
promosso maresciallo, ruolo che ricoprirà per quasi tutti i romanzi della
serie. Laddove solo nel penultimo, se non vado errato, viene promosso
luogotenente. Mentre nell’ultimo, che è stato pure il precedente da me letto,
sta strenuamente cercando di andare in pensione.
Purtroppo,
sarà prima Caron che Vitale a lasciarci.
Qui,
nella lodevole collana per lungo tempo pubblicata per i tipi del Corriere,
venendo a riprendere il folto e ben fornito catalogo dei Fratelli Frilli, si
continua con quell’andar per vati luoghi italici. Che era una delle
caratteristiche, anche se molto concentrata su Roma, che aveva molti anni fa
un’altra degna nonché minore casa editrice; per l’appunto la romana Round
Robin.
In
questo girovagare, per motivi non inerenti alla professione, Vitale si ritrova
in quel di Mantova (comunque una delle tante sedi del Caron giornalista). In
visita parentale, laddove con la moglie doveva fare una visita ai parenti di
lei. Ma Vitale, ormai lo sappiamo, ha la dote sopraffina di incappare sempre in
qualche mistero. Dove sfoggia un po’ di doti intellettive per arrivare alla
soluzione (non a caso Caron era un grande ammiratore di Simenon), ma
soprattutto, ci dà modo di passeggiare, con lui e la moglie Marisa, per le
strade e le bellezze della cittadina lombarda (di cui ricordo una bellissima
visita che facemmo al Palazzo Te ed al Palazzo Ducale).
Il
gancio dell’azione è di una casualità disarmante. Amanti degli animali, la
nostra coppia in vacanza incontra un gatto sperduto. Che però ha collare con
numero di telefono ed indirizzo. Provano a chiamare, e, a risposta mancante, si
recano sul posto. Constatando l’assenza della padrona di casa. Ma anche uno
strano messaggio lasciato in segreteria, riguardante dei numeri da giocare a
lotto, messaggio lasciato da una voce che Vitale riconosce: un cieco che vende
biglietti fortunati davanti alla Cattedrale.
Da
qui si susseguono tante ed improbabili vicende. I biglietti vincenti, stampati
su foglietti di carta, venivano dati al cieco da tal Melissa Monfort di
Villarosa, ricca ereditiera americana, vedova del defunto signore di Villarosa.
Ed era il cieco che li dava, inconsapevole tramite, a Elide, la padrona del
gatto con il telefono. Le cose si complicano quando Elide viene trovata morta
in un canale. Mentre pochi giorni dopo, Melissa, invischiata in una delle tante
sette religiose americane, nonché in lite con la cognata per questioni
ereditarie, viene anch’essa rinvenuta senza vita, per un colpo d’arma da fuoco.
L’improbabile
storia messa in piedi da Caron, vede il nostro Vitale scoprire tanti altarini,
uno dopo l’altro. I numeri vincenti erano stampati su fogli di carta che
contenevano informazioni militari segrete. Elide, ex donna di mondo, nonché a
sua volta invischiata in strane speculazioni, spediva i numeri via posta, in
modo che potessero arrivare a terroristi nazionali e internazionali, che pare
avessero intenzione di organizzare un feroce attentato in America (nella
scrittura siamo solo cinque anni dopo l’undici settembre).
Compaiono
sulla scena, allora, gli strani rappresentanti della setta religiosa, un
terrorista internazionale di grosso calibro, che da tempo si accompagnava a
Melissa, nonché agenti della CIA da tempo sulle tracce del possibile attentato
e dei loro organizzatori.
Insomma,
ci sono tutta una serie di concatenazioni che porteranno Vitale, con la sua
solita intuitività a volte quasi da sensi paranormali, a trovare l’omicida di
Elide ed a ruota, a sventare gli attentati, ad arrestare il terrorista per
omicidio, ed a trovare una spiegazione coerente per tutto quello che succede.
Peccato che il gatto del titolo, pur avendo dato il via alla sarabanda di
azioni che portano alla soluzione del caso, non entri nella vicenda, se non nel
finale, dove viene giustamente affidato alla vicina di casa di Elide.
Pur
rimanendo il piglio giornalistico di buona fattura (che tra l’altro evita quei
fastidiosi meccanismi di flash-back ora tanto in voga), la storia rimane troppo
casualmente collegata non solo per essere avvincente, ma anche solo per essere
godibile. Rimangono a tener su il morale di noi avidi lettori, le passeggiate
mantovane, le digressioni culinarie. Nonché un elemento, questo si casuale, che
ad un certo punto viene detto l’Elide sia nata il 7 febbraio. Cosa che fa
balzare subito in testa l’invio di fervidi auguri al mio amico Emilio.
Maria Masella “Il dubbio” Corriere Gazzetta
49 euro 7,99
[A: 09/05/2024 – I: 18/06/2025 – T: 19/06/2025]
&&
e ½
[titolo: originale; lingua: italiano; pagine: 211; anno:
2004]
Seconda avventura del commissario Antonio
Mariani, ed in sottordine poi vedremo perché, della moglie Francesca Lucas
iniziati ad uscire dalla penna di Maria Masella nel 2002. Ne avevo tramato dopo
aver letto il primo, e devo dire che non ne avevo parlato benissimo. Non tanto
per l’intreccio, che aveva una sua ragion d’essere, quanto per i personaggi (i
due di cui sopra) nonché la fatica di leggere un libro di più di 200 pagine
suddiviso in soli 5 capitoli.
Qui devo dire abbiamo recepito alcune
critiche, per cui i capitoli sono diventati 21 per 210 pagine, e soprattutto,
visto che c’è un andamento temporale, ogni capitolo si occupa di un giorno (o
di una notte). Sono leggermente migliorati i personaggi, anche se, per il mio
gusto letterario, Francesca acquista dei punti, Antonio un po’ meno. Forse
anche per una mia inveterata antipatia per i traditori seriali. Sappiamo dal
pregresso che Antonio ha spesso e volentieri intrapreso incontri sessuali fuori
del matrimonio. Magari mentendo (?) a sé stesso dicendo di amare sempre la
moglie. Fatto sta che, e con ragione, Francesca l’ha mandato via.
Peccato che ci sia una figlia di mezzo, la
piccola Manu. Antonio, anche in queste pagine, mostra attaccamento verso la
figlia, mentre ha un atteggiamento che non condivido neanche in una virgola
verso la moglie. Certo, qui non ci sono tradimenti, anzi ci sono momenti in cui
i due sembrano avvicinarsi (forse anche troppo). Tuttavia, Antonio non smette
mai i panni del marito geloso e sospettoso. Un modo di essere che può essere
foriero solo di brutte conseguenze. Che forse non vedremo qui, ma immagino
potranno riempire la ventina di titoli dedicati al commissario.
Peccato, che dal punto di vista
dell’indagine e della scrittura è di sicuro una degna confezione, con un
qualche tocco di mistero e di suspence che non guastano. Ma il risultato
complessivo è comunque appesantito dall’insopportabilità del modo di affrontare
la vita privata da parte del nostro.
La trama inizia con molta lentezza. Andando
a trovare un collega ferito in quel di Cuneo, questi gli confessa che, in
un’indagine per il suicidio di Gualtiero Airoldi, traduttore dal tedesco, ha
visto, in un album di foto, quella di Francesca. Il suicidio pare proprio
assodato, ma Antonio comincia ad essere roso dalla gelosia. Che rapporto
c’erano tra Airoldi e sua moglie?
L’unica cosa che scopre è la presenza di un
soldato di leva, laureando in tedesco, che frequentava l’Airoldi. E forse
potrebbe avere notizie sulla possibile tresca. Ma il ragazzo viene trovato
morto, con le mani legate dietro la schiena, e la faccia affogato nel fango. Il
mistero si infittisce, che sia a Genova che nei dintorni delle zone
liguro-piemontesi, vengono trovati altri corpi uccisi con modalità analoga al
soldato di Cuneo.
Le uniche sostanziali differenze sono che al
soldato pare le mani siano state legate post-mortem, e che le altre persone
morte sembrerebbero essere gay o comunque legate al mondo omosessuale. Il tutto
poi sembra collegarsi alla morte in un incidente stradale di due persone, una
gay dichiarata ed una gay nascosta, con moglie e figli. Uno scandalo che ha
colpito una zona che comunque è di competenza di Mariani. Che, nel corso degli
avvicinamenti a Francesca, ne parla e ne ragiona con lei, arrivando, con i suggerimenti
della moglie, a tracciare una possibile trama.
Trama che però non giustifica né la morte
del soldato né il suicidio di Airoldi. Il commissario Mariani troverà anche il
modo di capire il perché ed i modi di queste due morti, andando anche alla
radice degli omicidi seriali dei cripto-gay. E rimanendo anche ferito nel
concitato finale. Finale che gli porta una notizia aggiuntiva della vita di
Francesca, che, nelle intenzioni della moglie, dovrebbe portare ad una
distensione dei rapporti, mentre nella contorta mente del commissario porta
ancora acqua al mulino dei sospetti.
Maria Masella ha un’indubbia capacità nella
gestione dei dialoghi, nonché nel tirare fuori elementi di riflessione. I
rapporti tra le persone, al di qua ed al di là del sesso, la gelosia personale
e professionale, la frustrazione di essere un uomo mediocre in un mondo di
persone che, invece, sembrano realizzarsi e portare avanti la vita verso i
propri obiettivi e i pubblici riconoscimenti. Tra questi, il ragionamento
colpisce proprio il tasto della gelosia professionale: fino a dove può far
spingere un uomo?
Una domanda che in me ha ovviamente una
risposta ben diversa da quella ipotizzata da Masella. Come diversa è anche la
posizione sulla gelosia personale, che trova poco spazio nel mio orizzonte:
quando si ama, si ama in modo totale. Se nascono crepe, non si ama più.
Anche se in ritardo, è pur sempre la prima
trama del mese, motivo per cui vi sorbite anche le classifiche delle letture
del mese di aprile. Sedici letture che non si elevano sopra la media, senza
nessun acuto, e con l’unico tonfo nel nero di Genova di cui parlo anche sopra.
# |
Autore |
Titolo |
Editore |
Euro |
J |
1 |
Elda Lanza |
La cliente
sconosciuta |
Repubblica Anima
Noir |
8,90 |
2,5 |
2 |
Haruki Murakami |
Prima persona
singolare |
Corriere |
9,90 |
3 |
3 |
Jessica Fellowes |
Scandalo in casa
Mitford |
Repubblica Anima
Noir |
8,90 |
2 |
4 |
Clive
Cussler & Justin Scott |
Il Cecchino |
TEA |
9,90 |
2 |
5 |
Gaspare
Grammatico |
Le
Spine Del Ficodindia |
Repubblica
Mistero Noir |
8,9 |
3 |
6 |
Haruki Murakami |
La città e le
sue mura incerte |
Einaudi |
s.p. |
3 |
7 |
Isaka
Kotaro |
La
vendetta del professor Suzuki |
Repubblica
Profondo Noir |
8,90 |
3 |
8 |
Massimo Pigliucci |
Come essere
stoici |
Repubblica
Filosofia Viva |
9,90 |
2 |
9 |
Romano De Marco |
Se la notte ti
cerca |
Repubblica Noir |
8,90 |
2 |
10 |
Andrea Pomella |
Vite nell’oro e
nel blu |
Einaudi |
21 |
3 |
11 |
Paolo Di Paolo |
Lontano dagli
occhi |
Feltrinelli |
12 |
2,5 |
12 |
Roberto Negro |
Bocca di rosa |
Corriere Gazzetta |
7,99 |
2 |
13 |
Emi Yagi |
Il diario
geniale della signorina Shibata |
Repubblica
Giappone |
8,90 |
3 |
14 |
Armando D'Amaro |
Nero dominante.
Genova, 1938 |
Corriere Gazzetta |
7,99 |
1,5 |
15 |
Barry Gifford |
Cuore selvaggio |
Corriere
Americana |
8,90 |
3 |
16 |
Antonio Caron |
Il gatto col
numero di telefono |
Corriere Gazzetta |
7,99 |
2,5 |
Confesso di essere ancora un po’ stanco, tra viaggio e fuso, per cui niente citazioni, e solo un ricordo, sempre presente, della forza della natura islandese. Geyser, cascate, ghiacci e rocce, tutte da vedere (e questa volta con un clima fantastico). E comunque, anche in ritardo, vi invio queste trame, che anche la settimana prossima non ci sarò. Un abbraccio pieno della natura del Nord.
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