domenica 14 settembre 2008

Oggi si parla di cinema…

O meglio di libri che poi sono stati portati sullo schermo, con rese di molto diverse. E si potrebbe anche aprire un bel dibattito sulle trasposizioni cinematografiche. Di tutti ho visto prima il film: ovvio per l’americano, un film molto vecchio e che mi rimase molto impresso per le vicende di rapporto con il diverso e per il senso di giustizia (che ora dove sarà…). Meno ovvio per gli italiani, ma qui la resa è diversa: una prende proprio uno spunto e costruisce un film tutto suo, l’altro cerca di essere più fedele (giudizio a posteriori), ma anche qui sono due prodotti diversi.

Cominciamo dal libro più discutibile

Ermanno Rea “La dismissione” BUR euro 9,20 (in realtà, scontato 6,44)

Il film di Amelio mi era piaciuto. Rea mi ha stracciato i cabasisi, anche se il libro è interessante. Ma non è il film (o viceversa). Smontare l'impianto dell'Ilva prima che giungano gli acquirenti cinesi che si porteranno via «la fabbrica» a pezzi, è il pensiero che ossessiona Vincenzo Bonocore, operaio elevato a tecnico, chiamato a realizzare lo smantellamento dell'acciaieria. Per Bonocore è impossibile condurre a termine il compito con professionalità: mettendo mano a quelle macchine egli è costretto a rileggere episodi di vita, ritrova volti e nomi di chi ha condiviso con lui l'amore per l'acciaieria. Il suo resoconto dettagliatissimo rivela un'impresa che è prima di tutto interiore, e così l'io narrante, l'interlocutore che raccoglie la confessione di Bonocore, traccia la storia della vita di un uomo che non può disgiungere il proprio destino da quello della fabbrica in cui ha lavorato. Certo c’è tutta la storia di Bagnoli, dell’Ilva, della nascita e della morte del sogno siderurgico italiano. C’è l’uomo che ama e sa fare il suo lavoro, con i suoi dubbi, i suoi tic, le sue cadute (vere o immaginate). Non c’è quello che c’era nel film del rapporto con l’altro, con un mondo diverso. Oppure c’è ma rimane all’interno di Bagnoli, della fabbrica, e non se ne esce. Mentre nel film tutto lo spazio dedicato alla Cina, faceva vedere anche il contraltare: i cinesi sono diversi per noi e noi siamo diversi per i cinesi. Qui invece c’è soprattutto la scrittura, lenta, pesante, a passi felpati. L’idea (e la sua costruzione) meritavano forse una verve maggiore.

“appartengo a quella categoria di uomini capaci di un amore soltanto: un accanito monogamo (almeno rispetto al lavoro)”

Lo scrittore certo non è alle prime armi: Ermanno Rea è, infatti, nato a Napoli nel 1927. Ha lavorato come giornalista, per numerose testate - quotidiani e settimanali. Ha vissuto a Milano e a Roma. Il mestiere di giornalista ha consentito a Rea di avvicinarsi alla realtà non solo con la curiosità del cronista, ma soprattutto con la concretezza di chi parte dal caso specifico umano, documentato. I suoi libri sono prevalentemente inchieste su casi personali (la militante comunista Francesca Spada, suicida, in “Mistero napoletano”, il docente di economia Federico Caffè, scomparso misteriosamente, in “L'ultima lezione”) che permettono di raccontare la realtà circostante. Per "La dismissione", Rea è tornato a Napoli per seguire la storia dello smantellamento dell'acciaieria Ilva di Bagnoli, simbolo di una città che cercava nell'industrializzazione la via per uscire dal sottosviluppo. Ermanno Rea è presidente delegato del prestigioso Premio Napoli di letteratura, istituito nel 2003.

Proseguiamo con l’Italia, e con la fatidica domanda: meglio il film o il libro?

Sandro Veronesi “Caos calmo” Bompiani 6 (gratis Feltrinelli +)

Come giudicare in questo caso, due cose diverse, seppur parenti? Come ho detto, ho visto prima il film, per lasciarmi sorprendere dalla trama. Un film gradevole, tutto sommato, con qualche parte forse superflua (le scene d’amore con Moretti hanno del sano ridicolo). Ora leggendo libro, altre cose si scoprono, ed il libro è, appunto diverso. Anche se Pietro avrà sempre le sembianze di Nanni. E non ci si stupisce che passi giorni e giorni seduto ad una panchina davanti alla scuola della figlia, dopo la morte della moglie, a girare intorno alla sua vita, ed a trovarne un senso. Un senso che alla fine accumunerà tanti, forse non tutti. Ma sicuramente il down che gioca con la sua auto, la bella con il cane a spasso, la figlia che mostrerà di crescere più in fretta. Ed anche il sesso avrà un suo perché. Alla fine si faranno delle scelte, ma soprattutto, farà un passo verso la propria consapevolezza. Anche se la parte finale sembra un po’ melo. (Una nota al film, capisco che la presenza del giovane Gasmann abbia imposto un ruolo maggior al fratello di Pietro, ma forse era inutile).

“stai molto attenta con me, perché io sono buono!”

“c’è sempre un padre dietro le soddisfazioni che gli uomini si prendono nella vita”

“io l’inglese lo so abbastanza bene, ma … se mi chiedi cosa dice una canzone … non ci capisco nulla”

“appena senti che non ce la fai, molla. Sempre, in qualsiasi situazione, molla”

“perché sta dedicando la sua vita a… ? perché lo amo”

“quelli che si accorgono di essere stati stronzi un secondo dopo esserlo stati sono i più stronzi”

“era meglio se stavo zitta! – no … le cose vanno dette. Hai fatto bene. Fallo sempre. Dille sempre, le cose”

Sandro Veronesi (Firenze, 1959) è fratello del regista Giovanni Veronesi. Nel 1985 si laurea in architettura a Firenze con una tesi su Victor Hugo e la cultura del restauro moderno. Il suo romanzo d'esordio è del 1988, il grottesco e visionario “Per dove parte questo treno allegro”, mentre con “Gli sfiorati” (1990) Veronesi si afferma come scrittore capace e brillante. Nel 1995 esce “Venite, venite B52”. Nel 2000 pubblica “La forza del passato”, vincitore del Premio Campiello e del Premio Viareggio e tradotto in 15 lingue. Nel 1997 fino ai primi mesi del 1998 collabora con Rai Tre ed è autore e conduttore del programma televisivo "Magazzini Einstein - cibo per la mente". Nel 2003 pubblica la riduzione teatrale di “No Man's Land” e nel 2006 vince il Premio Strega grazie al romanzo “Caos calmo”, uscito l'anno precedente. Nel 2007 esce, presso Bompiani, il nuovo romanzo “Brucia Troia”. Collabora con numerosi quotidiani e riviste letterarie; insieme a Domenico Procacci ha fondato la casa editrice Fandango Libri. Risiede a Prato (ah, lì ci sono stato…) con i suoi tre figli. Ed è tra i fondatori della radio web Radiogas.

E finiamo con il bello e solitario

Harper Lee “Il buio oltre la siepe” Feltrinelli euro 8 (in realtà, scontato 6)

Un libro pieno di sorpresa, o almeno tre: la prima è che Harper Lee è una donna, mi ero sempre fissato fosse un uomo. La seconda è la dura gradevolezza. La terza è che Atticus Fintch anche nella scrittura ha sempre la faccia di Gregory Peck. Unico libro degno di nota della Harper, anche ora, a quasi 50 anni dall’uscita, mantiene la sua forza, la sua freschezza, la sua dolente attualità. Un libro in fondo pieno di diversi, con i quali fare i conti. E sarà proprio uno tra i più bistrattati a salvare da una sordida fine i fratellini Fintch. Vogliamo parlare del nero accusato solo perché nero? Dei benpensanti che vanno in giro a fare le ronde? Dei padri padroni? Forse sarebbe giusto, come sarebbe giusto proiettare nelle scuole lo stupendo film. A Maycomb, Jem e Scout (figli di Atticus Fintch) un'estate conoscono un altro bambino, Dill, e fanno amicizia. I tre sono attirati da Arthur Radley detto Boo, considerato un uomo pericoloso e violento, rinchiuso nella casa accanto alla loro. Ma, col passare del tempo, si accorgono che Boo, senza farsi vedere, si preoccupa dei tre. Atticus spiega che è stato nominato d'ufficio per difendere un uomo nero, Tom Robinson, accusato di violenza carnale su una bianca, anche se sapeva che avrebbe perso. Al processo, Atticus dimostra, senza ombra di dubbi l’innocenza del nero e la colpevolezza di Bob il padre della violentata. Ma Tom viene condannato ugualmente da una giuria di bianchi. Durante una festa di Halloween Scout e Jem stanno andando verso casa, dopo la recita, quando vengono assaliti da un adulto. Nel luogo della lotta, alla fine viene ritrovato il corpo di Bob pugnalato al petto. Ho detto quasi tutto, ma lascio un po’ di buio, infondo alla siepe. Note di merito alla traduttrice (se è merito suo) che ha reso nel titolo molto dell’atmosfera. Infatti, in italiano, il titolo è una metafora: il buio oltre la siepe è ciò che è sconosciuto pur essendo vicino. Nel romanzo, è la figura di Boo, il vicino di casa dei Fintch che loro non hanno mai visto e che, per questo, non conoscono. E, infatti, anche Scout afferma che, col tempo, la casa di Boo non la spaventava più, ma non le appariva meno buia. Nel testo, invece, ci sono diversi riferimenti al titolo originale (“To kill a mockingbird” che significa: Uccidere un usignolo). L’usignolo è un uccello innocuo, che delizia con il suo cinguettio. Ucciderlo è quindi un peccato doppiamente grave.

Nelle Harper Lee nasce il 28 aprile 1926 (toro!) a Monroeville, Alabama, da padre avvocato (come nel suo libro), ma segregazionista, e da una madre costantemente invalida per una persistente depressione. Ultima di due sorelle e un fratello, Nelle Harper Lee frequentò la scuola pubblica del suo paese e l’Huntington College, una scuola privata solo per donne. Si iscrisse poi dal 1944 al 1949 all’University dell’Alabama, dove fece parte della “sorority” Chi Omega e dove tenne su “Rammer-Jammer”, il giornale umoristico degli studenti, da lei diretto, una rubrica intitolata "Commento Caustico". Seguì un corso alla Oxford University con il progetto di laurearsi in legge, ma lo interruppe sei mesi prima della laurea. Nel 1949 si trasferì a New York, raggiungendo il suo amico d'infanzia Truman Capote (da lei ritratto nel personaggio di Dill). Qui lavorò come impiegata per la Eastern Air Lines e la British Overseas Airways; e, nel frattempo, scrisse vari racconti e sviluppò "Il buio oltre la siepe", più volte rifiutato dagli editori. I suoi amici, nel 1956, le regalarono un anno di libertà economica per dedicarsi esclusivamente alla scrittura e lei si licenziò dall’impiego. Dopo la pubblicazione presso le edizioni Lippincott del suo unico e celebre libro, che in un anno vendette mezzo milione di copie, Lee collaborò con Capote alla ricerca su un episodio di cronaca in Kansas che ha fornito la base per il romanzo dello scrittore "A sangue freddo" (1965). Il lavoro di Lee fu determinante per la stesura di questo testo; tuttavia Capote non lo riconobbe adeguatamente, limitandosi ad una dedica, per di più condivisa con il proprio amante gay Jack Dunphy. Harper Lee, che nel frattempo aveva pubblicato soltanto gli articoli “Love – In Other Words” nella rivista “Vogue”, “Christmas To Me” e “When Children Discover America” in “McCalls”, si dedicò poi alla stesura di un secondo romanzo, "The Reverend”, ma non lo diede mai alle stampe, per motivi che restano ignoti e che lei non chiarì. La chiave dell'enigma legato al suo ritiro e alla sua decisione di smettere di pubblicare, rinunciando a sfruttare la propria notorietà e l'ondata di successo, sta nella sua "personalità paradossale". Secondo sua sorella, il manoscritto di “The Reverend” le venne rubato subito dopo il completamento e lei, semplicemente, lo prese come un segno del destino. Quanto alla sua scelta esistenziale di eterna “single”, Harper lo ha sinteticamente spiegato così: “Prima di poter vivere con altra gente, devo riuscire a vivere con me stessa”. Il resto è silenzio.

Invitando alla riflessione su quest’ultima frase della Lee, auguro una buona settimana a tutti.

Giovanni

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