Mi dispiace per chi si aspetta,
da questo roboante titolo, una qualche dissertazione artistica sui quadri del
grande pittore fiammingo. Certo parliamo di Hieronymus Bosch, ma nel senso
utilizzato dal grande scrittore americano Michael Connelly, che di questo nome
eponimo, fa il protagonista di una lunga serie di thriller. Questa sarà quindi
una puntata tutta dedicata allo scrittore ex-giornalista di nera a Los Angeles,
con alcune puntate della serie di Harry Bosch, ed un romanzo e mezzo con altri
protagonisti. Tutti, comunque, ad un buon livello di intreccio e di gradibilità
di thriller e di romanzi.
Michael Connelly “Musica dura” Piemme euro 11 (in realtà, scontato 8,80
euro)
[A: 19/01/2012 – I:
22/11/2012 – T: 26/11/2012]
[tit. or.: Trunk Music; ling. or.: inglese; pagine: 441; anno 1997]
Un
altro ottimo capitolo della storia di Hieronymus “Harry” Bosch. Ben costruito,
ben scritto. Con un’indubbia capacità di Connelly non solo di mettere insieme
delle storie interessanti, ma anche di calarle, in qualche modo, nella realtà
americana. Attraverso un diverso intento, raggiunge alcuni risultati (di
fotografia della realtà, piuttosto che del sociale) simili alle storie che lo
precedono di vent’anni di Sjöwall e Wahlöö. Ho detto, fatte le debite
proporzioni. Ma Connelly riesce comunque a farci vedere alcuni guasti del
sistema americano. E riesce a dipingere con sufficiente realismo città, squarci
di città e momenti di vita. Certo, non conosco Las Vegas, ma da quello che ho
sentito, nelle parti che colà si svolgono, ne dà l’immagine giusta: una città
“inventata”, nata dal sogno di qualche bandito che cercava di fare soldi, e,
con molta cautela, alla ricerca di una ripulitura dai malviventi e dai
malaffari. Anche se rimane città del gioco, dell’alcool, della prostituzione
(alta e bassa), nonché esimia capitale del cattivo gusto. La vicenda parte dal
ritrovamento di un morto nel bagagliaio di una Rolls, nella mitica Mulholland
Drive (omaggio a David Lynch). Bosch, reintegrato finalmente nei ranghi, se ne
occupa con la sua nuova squadra: Edgar e Kiz, uomo e donna di colore, agli
ordini del tenente Grace Billets. Il morto è italo-americano, quindi Bosch
pensa che ci possa essere dietro la Mafia. Ma è una pista che svanisce presto.
Comincia allora a ricostruire la vita di Tony Aliso, e dei suoi frequenti
viaggi a Las Vegas. Perché gli piace il gioco, si dice. In trasferta, Bosch
scopre: a) che è vero, Tony gioca; b) che si dedica a conquiste femminili, di
cui l’ultima pare molto seria da mettere in pericolo il suo matrimonio; c) che
ricicla denaro sporco di diversi banditastri, tra cui uno dei potenti di Las
Vegas, tal Giuseppe Marconi detto Joey Marks; d) che a Las Vegas vivacchia la
sua prima fiamma del primo libro della serie, dopo aver scontato una lieve
condanna. Mettendo mattone su mattone, mette alla luce una trama che pare
incastrare tale Lucky, uno dei bracci destri di Joey. Sembra tutto chiaro
quando torna a Los Angeles: Joey ha scoperto che Tony si vuole smarcare e lo ha
fatto eliminare da Lucky. Peccato che Lucky sia invece un poliziotto infiltrato,
ed il castello si rivolta su Bosch, indagato come corrotto incastratore di un
infiltrato che doveva incastrare il cattivo. Anche perché si è rimesso con
Eleanor, ed un poliziotto non può frequentare ex-criminali. Esautorato da
tutto, l’unica persona che crede in lui è il tenente Grace, che gli fa usare la
squadra per un ultimo giro di valzer sulla vicenda. Bosch allora tira fuori la
massima che le soluzioni sono sempre nei dettagli. E ripercorre tuta la
vicenda, da quando un poliziotto antipatico assai scopre il cadavere. Mettendo
tutto in discussione, trova un filo logico per ricostruire la vicenda. I suoi
aiutanti trovano le prove a corredo. Ci si avvia per il primo finale. Ma tutti
i sospettati o sospettabili si dileguano per convergere su Las Vegas, dove pare
Tony avesse qualche denaro ben nascosto. Grande movimento poliziottesco con
appostamenti, sparatorie, morti qua e là, per arrivare alla chiarificazione
finale, tutta a vantaggio di Bosch. Che trova il modo di scagionarsi da tutto e
di fare in modo di poter frequentare, sfruttando cavilli procedurali, anche la bella Eleanor. Non
manca anca un sotto finale che aggiunge qualche ciliegina, ad una torta già di
per sé gustosa. Questa la
storia. Ma sono anche i dettagli che la fanno lievitare come
una torta ben fatta (magari una caprese …). La descrizione della corruzione
della polizia, dove ci sono mele buone e mele marce. Quella della vita nei
grandi alberghi di Las Vegas, e nelle bettole di secondo o terzo ordine. La
pittura di questa umanità varia, ben americana, che beve, gioca, e poco altro.
Peccato che Bosch abbia lasciato da parte da qualche tempo l’amata musica.
Quello un po’ ci manca. Per il resto, bene così.
“Si era sempre mosso, nella vita, fidando
nella convinzione che la verità trionfasse, ma questa volta capiva chiaramente
quanto poco la verità avrebbe pesato sul risultato finale.” (279)
Michael Connelly “Il ragno” Piemme euro 11,50
[A: 15/07/2012 – I: 26/11/2012 – T: 02/12/2012]
[tit. or.: Angel Flights; ling. or.: inglese; pagine: 425;
anno 1999]
Una prova caleidoscopica che
conferma il talento di Connelly e la sua abilità (forse sta diventando una
mania) di ribaltare le situazioni una volta che sembrano avviarsi verso delle
conclusioni possibili. Anche in questa quinta prova delle avventure di Harry
Bosch, ci si aspetta un paio di finti finali prima di arrivare alla conclusione
vera e propria. Non è un Connelly al top, come nel precedente “Musica dura”,
che univa sociale e personale. Qui c’è molto sociale, mentre il personale
scivola via, lasciandoci un po’ amareggiati e/o perplessi. Ci eravamo appena
abituati all’idea della presenza della bella Eleanor, per la quale Harry aveva
rischiato di mettere in difficoltà se stesso e la sua carriera, che qui la
nostra si eclissa, palesando un disagio che non sembrava prevedibile. D’altra
parte, difficile è portare avanti le storie di un detective con famiglia a
carico. Quindi si pone l’amore “serio” in un angolo. E ci si concentra su di
un’altra vicenda tutta sociale. Scritta, o almeno pensata, nell’alveo delle
grandi turbe americane tra polizia e opinione pubblica. C’è stato Rodney King
(il pestaggio immotivato di un nero da parte della polizia) e c’è stato O. J.
Simpson (omicida salvato da cavilli giuridici). Qui si comincia con un
avvocato, nero, che viene ucciso alla vigilia di un grande processo che aveva
intentato alle forze di polizia, ree di aver “malmenato” un possibile omicida
di una bimba di 10 anni. L’avvocato campa su queste storie, chiamando in causa
poliziotti che non sempre si comportano secondo i regolamenti. Chiede in genere
rimborsi “cauti”, e generalmente vince le cause. Ma il pubblico non sa che, in
questo caso, l’onorario dell’avvocato vincente viene pagato dal perdente.
Quindi, i suoi assistiti hanno rimborsi di poche centinaia di dollari, e lui
chiede alla polizia stipendi da migliaia di dollari. Per questo non è ben
visto, anzi è molto odiato, dai poliziotti. Per questo la polizia non sembra
dannarsi particolarmente nella ricerca dei colpevoli. E qui entra in scena
Bosch e la sua squadra. Che invece sono come paladini senza macchia e paura.
Mettono in discussione tutto, soprattutto l’apparato burocratico che cerca di
frenarne l’azione. Togliendo potere alla squadra. Mettendogli tutti i legacci
possibili. Insomma, il solito Bosch contro tutti. Ovviamente si trova ben
presto un capro espiatorio della vicenda. Perché l’avvocato viene ucciso sulla
funicolare denominata “Angel Flight” (il volo dell’angelo) mentre si preparava
al processo intentato per conto di tal Harris accusato dell’omicidio della
piccola Sid, e per questo malmenato da poliziotti brutali. Ma poi assolto. Ed
il capro espiatorio è uno dei poliziotti malmenanti, un tempo sodale di Harry.
Che non crede a questa possibilità, e continua a scavare, in questo aiutato da
lettere anonime che sembrano indirizzare verso una diversa pista. Che Harry,
aiutato dai suoi due assistenti di colore, trova. Trova le prove che scagionano
l’Harris di cui sopra. E la pista che porta ad una rete di pedofilia che aveva
nella sua tela la piccola
Sid. Ma qui si vola troppo in alto. Si toccano interessi di
potenti della città, che con bustarelle e consigli, mettono tutto a tacere.
Aiutati soprattutto dal suicidio dell’amico di Harry. Suicidio che mette in
difficoltà il nostro che aveva spinto per far uscire Frankie dagli arresti,
visto che aveva le prove della vera rete che portava all’uccisione di Sid. Ma
non dell’avvocato. Sono già due scenari completi che si sono sovrapposti. E con
l’aiuto di qualche poliziotto meno corrotto, si arriva
anche al terzo e definitivo. Che mostra il vero colpevole come realmente un
poliziotto, ma non vi dico chi, come e perché. C’è molto sociale dei contrasti
razziali tra neri e poliziotti bianchi. C’è molto della pedofilia che sembra
ben più diffuso, almeno in America, di quanto si possa pensare. Manca quel lato
personale che mi aveva interessato. Anche se torna un bel giro di sassofono,
per le strade di una Los Angeles sotto la pioggia. Complessivamente
una buona prova. Meno che per gli editor italiani che cambiano il titolo
originale che faceva riferimento alla funicolare della morte, con quella del
“ragno” che tesse la tela per irretire bambine nei suoi torbidi disegni. Al
solito, sono poco convinto di queste iniziative. Speriamo meglio nel futuro.
Michael Connelly “Vuoto di luna” Piemme euro 11 (in realtà, scontato a
5,72 euro con Feltrinelli +)
[A: 01/12/2012 – I:
07/12/2012 – T: 09/12/2012]
[tit. or.: Void of moon; ling. or.: inglese; pagine: 396; anno 2000]
Dopo tanto Bosch e tanti libri
con protagonisti poliziotti, ecco che al nono libro, Connelly si smarca un po’,
e ci imbastisce una storia con alcuni intenti un po’ più noir, ma che tuttavia
convince meno. È un capitolo isolato, che si presenta al volgere del secolo,
come se l’autore avesse voluto prendersi una pausa di scrittura dalle paure e
fobie dei poliziotti di Los Angeles. Anche se qualche rimando c’è pur sempre.
L’azione principale, intanto, si svolge a Las Vegas, che rimane capitale di
vizi e corruzione. Ed anche se non ci sono protagonisti che tornano, si fanno
collegamenti con la presenza (ora eliminata) di alcuni duri e malavitosi
presenti in quel “Musica dura” sempre di teatro nel Nevada. Qui, il personaggio
principale è un topo d’albergo. Anzi una topolina: Cassidy detta Cassie Black.
Fa i suoi grandi colpi insieme all’amante Max nei grandi alberghi del deserto,
quelli che ospitano tanti tavoli da gioco. L’ultimo colpo però va male.
Qualcuno al Cleopatra li ha traditi. Max per non farsi arrestare si getta dal
20° piano e muore. Cassie viene condannata a lunga detenzione, che nella
legislazione americana se una rapina finisce col morto, il co-reo (anche se stava
solo a fare il palo) è accusato di omicidio. Bah! Comunque Cassie esce per
buona condotta, ma l’unico suo scopo è quello di riprendersi la figlia, di cui
era incinta durante l’ultima rapina. Dopo averla finalmente trovata, per
bisogno di soldi accetta un ultimo ingaggio. Peccato che sia proprio al
Cleopatra. Peccato che si debba fare durante il cambio di luna, quel vuoto di
luna del titolo (“Il vuoto di luna si verifica quando la luna finisce il suo
ultimo aspetto importante, in un determinato segno, prima di entrare nel
prossimo segno. Nel periodo di Vuoto di Luna è meglio evitare di compiere fatti
a scelte importanti, dedicare questo tempo al riordino dei propri pensieri, al
relax, o al compimento di affari di poca importanza fino a transizione
avvenuta.”, così dicono gli astrologi e così non fanno i nostri protagonisti).
Peccato che la persona da derubare abbia più soldi del previsto, in quanto è un
corriere della mafia di Miami che cerca di entrare nel gioco d’azzardo di Las
Vegas. Peccato che Cassie finisca così nei guai grossi. Peccato che il derubato
venga ucciso (da chi?). Peccato che come “investigatore” i cattivi di Las Vegas
chiamino Jack Karch, colui che fu l’artefice della morte di Max sei anni prima.
Tutto questo accumulo di eventi nefasti si addensa nella prima metà del libro.
Poi assistiamo alle bravate del perfido Jack che ammazza gente a destra e
sinistra. E alle improvvide fortune di Cassie che riesce sempre (o quasi) a
svicolare. Certo che le nubi su di lei si addensano. Perché per fare il colpo
ha violato la libertà vigilata. Perché molte persone che le sono intorno
muoiono come mosche, certo per mano di Jack. Ma la polizia non lo sa e comincia
anche lei a ricercare Cassie. Lei abilmente sfugge a quasi tutto. Ma Jack
scopre anche la figlia di lei, e la rapisce. Ci si avvia così all’ultimo quarto di
luna, sempre ritornando al Cleopatra. Uno scambio bambina – soldi, e una
presumibile carneficina. Qui ci vuole qualche bel trucco da scrivano come è
Connelly (tra l’altro Jack è anche un prestigiatore e lo scrittore ha modo di
farci gustare anche dei bei trucchi da palcoscenico, che rivelano la natura del
personaggio, e che neanche questo vi svelo) e ci riesce ad imbastirlo, con il
filo conduttore interno di Cassie che per tutta l’ultima parte del libro si
interroga se sia meglio, nel caso si salvasse, fuggire con la figlia che non sa
di essere adottata, o restituirla alla famiglia adottiva. Vi lascio un po’ di
margine alla curiosità, che la scrittura è piacevole. Anche se non affonda
troppo nel personale, come nelle storie di Harry Bosch. Ci sono anche bei
momenti tecnologici di descrizione degli ultimi ritrovati della tecnica delle
rapine. Forse alcuni un po’ lunghi, ma istruttivi di come si possa usare la
tecnologia per fare tutto. Bene e male. Comunque, alla fine un Connelly minore,
da inizio di nuovo secolo, in attesa di un ritorno a trame ed atmosfere più
consone alla sua penna.
Michael Connelly “Il buio oltre la notte” Piemme euro 11 (in realtà,
scontato a 8,25 euro)
[A: 01/09/2012 – I:
05/01/2013 – T: 09/01/2013]
[tit. or.: A Darkness More Than Night; ling. or.: inglese; pagine: 393; anno 2001]
Le trame di Connelly si
infittiscono, facendo confluire diversi personaggi di precedenti romanzi, quasi
si fosse ad un “procedural thriller” alla Ed McBain. Purtroppo, questo
infittimento è andato a scapito della fluidità, almeno nella prima parte dello
scritto. Là dove vediamo confluire Terry McCaleb ed Harry Bosch sulla scena,
ognuno occupato con un qualche mistero da risolvere, ma che (però ci vorrà metà
romanzo per arrivarci) confluiranno in un unico problema la cui soluzione
seppur semplice come filo logico, è complicata, e di molto, dal complesso
evolversi delle vicende. Terry era comparso tre anni prima in “Debito di
sangue”, mentre per Harry siamo al “settimo sigillo”. I testi sacri riportano
anche che si deve inserire anche Jack McEvoy, il giornalista comparso ne “Il
poeta”, ma che qui ha una piccola parte (come tempo di presenza, non come
possibile “peso” sulla vicenda). Harry lo conosciamo bene, ormai, è un paladino
della giustizia, sempre dentro la legge, ma sempre con un occhio (o un piede)
sul bordo, che non sempre i malvagi pagano per le loro colpe (ne abbiamo visto
nei passati episodi). Qui è alle prese con un ricco magnate dell’industria
cine-porno, accusato di un omicidio. Bosch è il principale teste dell’accusa
nel processo in corso, e seguiamo appunto il dibattimento, con tutte le magagne
che i film americani ci hanno insegnato sull’andamento dei processi americani
(e che ci hanno fatto capire meglio gli andamenti di processi tipo quello di O.
J. Simpson). Questa è la vicenda di sfondo, su cui Connelly torna, di tanto in
tanto, mentre seguiamo il filone principale del romanzo. Filone dedicato invece
a Terry McCaleb, un ex-profiler costretto alla pensione dopo un intervento
cardiaco. Ma è uno dalla capacità molto spiccate, tanto che (informalmente) gli
viene richiesto di analizzare l’uccisione di un malavitoso di mezza tacca,
trovato in una strana posizione mortuaria. Terry comincia la sua indagine
“cartacea”, e si accorge che la scena del delitto sembra riprodurre un
particolare di un quadro (ovviamente impiega pagine su pagine prima di arrivare
a questa importante tappa). E di chi è il quadro? Guarda caso del grande
pittore cinquecentesco fiammingo (immaginifico e terribile) Jeron von Aken, che
però è meglio conosciuto con lo pseudonimo Hieronymus Bosch (!!). E poiché il
morto era uscito senza condanne da un’accusa del nostro poliziotto Harry
(accusa fondata ma senza prove), il nostro malato comincia a fare tutta una
serie di collegamenti tra il Bosch attuale ed il pittore. Arrivando a trovare
idee di possibili coinvolgimenti dell’agente come angelo sterminatore. Questa è
la parte più ostica, che noi (malgrado tutto) vogliamo bene ad Harry, e ci
sentiamo a disagio nel suo possibile scivolamento verso la giustizia fai da te.
Ma sia Terry che Harry sono dei campioni dell’analisi e dei collegamenti.
Soprattutto quando l’indagine viene tolta a McCaleb dall’FBI (che non vede
l’ora di incastrare il nostro poliziotto di punta, diverse volte già sull’orlo
del baratro). A valle di un chiarimento tra i due, Harry si dedica anima e
corpo al processo, dove una sua incriminazione farebbe saltare tutto il
castello di prove messo in atto. E Terry ripercorre tutta la trafila dei
documenti, analizza, scruta, collega, ipotizza. E trova una chiave di lettura,
altrettanto valida, che spiega anch’essa tutti gli accadimenti. E che,
soprattutto, vede ilo nostro Harry non più angelo vendicatore, ma diavolo
punito (o punibile). È una corsa contra il tempo e contro i potenti ed i
potentati. Quale sarà il bandolo finale? Riuscirà Terry a provare l’innocenza
di Bosch e salvare il processo? Oppure Bosch è realmente compromesso nella trama
oscura (che tutte le morti sono riprese da particolari del “Trittico delle
Delizie” del grande pittore)? Si legge, meglio la seconda parte della prima,
dove la necessità di mettere tutto su binari traballanti fa traballare anche il
romanzo. Ci sono anche tanti sotto testi che tralascio (la vicenda famigliare
di Terry, il divorzio di Harry, e via discorrendo), e soprattutto ci sono le immagini
di Los Angeles, di Catalina, del molo, delle isolette. Insomma di tutto un po’.
Un’indagine interessante, anche se l’idea di partenza era un po’ scontata.
Discreto, via, non molto di più.
Qualcosa
si muove alfine, anche se non sappiamo se si raggiungerà