mercoledì 3 aprile 2013

Yellow Ice - 16 marzo 2013


O quasi. Nel senso che parliamo eminentemente di autori nordici, con l’aggiunta di una piccola chicca americana, di un autore che ha di certo origini scandinave (Hansen, tanto per intenderci). Tutti di buona fattura, ben leggibili. E perché no, continuando a fare piccoli squarci della vita dei popoli freddi. L’Islanda di Indriðason, la Norvegia di Nesbø, la Svezia della Läckenberg. E l’America omofobica e d’annata di Hansen. Una spedizione leggermente anticipata a causa della pomeridiana partenza per Bangkok. Motivo che poi mi costringerà a sospendere le nostre trame fino a Pasqua. Vi mancherò moltissimo, vero?
Arnaldur Indriðason “Un caso archiviato” TEA euro 9
[A: 23/02/2012 – I: 09/11/2012 – T: 11/11/2012]
[tit. or.: Harðskafi; ling. or.: islandese; pagine: 304; anno 2007]
Sempre più rarefatti i gialli islandesi del nostro commissario Erlendur, ormai arrivato alla sesta avventura (almeno in economica). Quasi una rivisitazione di algide atmosfere mutuate dal miglior Dürrenmatt. I contorni si muovono sempre per darci il perimetro della vicenda, nell’ambito della vicenda socio-familiare del commissario: l’andirivieni dei due figli sbandati, ora in via di possibili redenzioni (soprattutto Eva Lind), la figura dell’ex-moglie Halldóra (ma perché si sono lasciati?), la presenza (qui più assenza che presenza) della buona Valgerður, i due aiutanti che si defilano un po’ (in particolare Sigurður Óli che scopriamo essersi lasciato dalla materna BergÞóra, quasi avessimo saltato qualche puntata), ma soprattutto e sempre la presenza del fratello morto, che torna in ogni momento di solitudine di Erlendur. Non solo, la cui storia il commissario narra più volte alla figlia, quasi che con questa volesse spiegare la sua ombrosità. Sappiamo che ne è ossessionato, che ritorna in ogni romanzo, ma qui diventa un’ulteriore componente della vicenda. Non a caso, poi, con facili agganci verso sedute spiritiche, morti e rapporto tra vivi e mondo “di là del bianco tunnel”. Perché la vicenda, e direi vicenda più che giallo, si incentra sul suicidio di una donna. In parallelo e flash-back ricostruiamo la storia della nostra Maria (ancora?). Che assiste in gioventù alla morte del padre per affogamento (ma poi non si riesce a capire se per casualità o perché qualcuno lo spinge, visto che aveva appena detto alla madre di Maria che la voleva lasciare) e ne rimane ossessionata, tanto da legarsi morbosamente alla madre. Ritrovandosi sola alla morte di questa. Una madre che all’inizio sembra una figura forte e positiva, poi si scopre piena di rancore, autoritaria, e soprattutto, inculcante nella figlia timori e tremori insensati. E promettendole di darle un segnale dall’aldilà, utilizzando qualcosa legato a Proust. Poi scopriamo che Maria è sposata ad un medico, che in gioventù aveva effettuato esperimenti sulla morte apparente tramite congelamento. Che scopriamo avere debiti di gioco ed un’amante. Che immaginiamo parli di quella sospensione della vita all’esaltata Maria. Magari inducendola a provarla. Magari portandola da chiaroveggenti e spiritisti (veri e/o falsi). Insomma costruendole intorno un castello, condito dal rotolare dalla libreria i volumi alla ricerca di Swann, tale che sia comprensibile il gesto suicida di Maria. Per tornare verso padre e madre. Vicenda nella vicenda, Erlendur (visto che non può indagare su di un suicidio dichiarato caso chiuso), riprende in mano la scomparsa di due giovani coeva alla morte del sopradetto padre. Scomparsa mai spiegata e mai collegata tra loro. Scomparsa che i genitori di David hanno continuato a seguire, ed ora ne stanno abbandonando le tracce solo perché anche loro stanno morendo. Da solo, Erlendur gira, scava, fa domande, riesce a risalire ai parenti del padre di Maria, che gli danno qualche indizio. Mette in mezzo i suoi amici e/o collaboratori che per restituirgli favori gli raccontano episodi, indagini, nonché si immergono nelle acque di un lago, all’inseguimento di una sua timida idea. Alla fine, come nei gialli dello svizzero, arriveranno conclusioni. Ma, e qui il parallelo si fa forte, non saranno consolatorie. I genitori di Davið muoiono senza sapere la fine del figlio. La scomparsa dei due giovani finalmente si collega anche se tragicamente conclusasi. Ed anche la vicenda di Maria arriva alla sua conclusione, dove si scoprono tutte le possibili attività, che siano criminose o solamente moralmente riprovevoli, di ognuno. Erlendur sembra sempre più stanco, ed alla fine stacca da tutto e tutti, e va verso la montagna che sovrasta il lago dove c’è la casa dove si è impiccata Maria. Perché è Harðskafi, la montagna dove morì il fratello. Ed è anche il titolo islandese del libro. Che nessuna ha voluto utilizzare, tanto che da noi si titola “Un caso archiviato” (ma a quale si fa riferimento? Alla scomparsa dei giovani? Alla morte del padre di Maria? Al suicidio di Maria?), mentre ad esempio in inglese lo hanno titolato “Hypotermia”, cioè ipotermia, riferendosi alla modalità di induzione dell’arresto cardiaco per la morte apparente. Con il che si dimostra, che gli editor sono malsani in qualsiasi paese! Speriamo però che Erlendur torni ad indagare in maniera meno tristanzuola, e si liberi di qualche fantasma.
“Veniva diffusa una musica rilassante … Moon River. Aveva il disco a casa. Si era dimenticato il titolo, ma ricordò di aver visto un film al cinema in cui una bella attrice cantava la stessa canzone.” [àcioè Audrey Hepburn in ‘Colazione da Tiffany’, un po’ di memoria, Arnaldur!] (97)
Joseph Hansen “Scomparso” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 17/09/2012 – I: 23/11/2012 – T: 25/11/2012]
[tit. or.: Fadeout; ling. or.: inglese; pagine: 199; anno 1970]
Una scoperta tardiva, diciamo interessante, anche se con alcuni limiti. Hansen è stato uno strano tipo di scrittore americano, morto ottantenne meno di dieci anni fa. È, infatti, sempre stato in prima linea per la battaglia dei diritti degli omosessuali, e del loro riconoscimento. Sposa ventenne una signorina lesbica con la quale ha una figlia, ed insieme alla quale rimarrà fino alla di lei morte nel ’94. I suoi libri non sono molto diffusi in Italia, ne sono usciti 8 titoli su una quarantina pubblicati. E solo 3 ripubblicati dopo il 2000. Certamente, soprattutto agli inizi, non risulta un autore “facile”, anche se fa di tutto per inserire le sue storie in contesti “appealing” come direbbero i pubblicitari nostrani. Ed un autore che parla di queste cose negli anni ’70 in Italia non credo avesse molto spazio. E proprio nel ’70 invece, Hansen pubblica il primo libro delle avventure di Dave Brandstetter, un agente assicurativo apertamente omosessuale (continuo ad usare questo termine, per rispetto all’autore che aveva in odio il termine “gay”). Una quindicina saranno poi i romanzi dedicati a Dave, ed alle sue indagini. Perché l’altro lato della vicenda è inserire il contesto normale in un altro contesto “normale”: la vita violenta di tutti i giorni. In questo primo libro, non raggiunge i toni della violenza alla Dashiell Hammett ed amici investigatori vari, ma ci si avvicina. Da un lato conosciamo Dave ed i suoi tormenti (gli è appena morto di cancro il compagno ventennale Rod, ed ogni tanto ha colloqui tormentati con la sua amica Madge, ricalcata sulla figura della moglie). Dall’altro Dave viene immerso nella vicenda della scomparsa di Fox, un popolare conduttore di spettacoli radiofonici di una piccola cittadina americana, candidato a sindaco contro il potente del posto. Dave inizia le sue indagini, cercando di scoprire chi sia lo scomparso, anche perché se morto l’assicurazione deve pagare (e tanto). E lui vuole scoprire invece se sia vivo. Entrando in collisione con tutti. Con la moglie di Fox, che da tempo ha una relazione con il capo di Fox. Con il capo di Fox, che si vede finalmente la strada libera. Con il vecchio padre di lei, uno dei potenti della cittadina di Pima. Con la segretaria di Fox, che lo adora, e con il di lei ragazzo, che è geloso. Con la figlia di Fox e soprattutto il di lei marito, speranzoso costruttore rampante. Infine, last but not least, con il sindaco uscente, che vedeva in Fox una concreta minaccia al suo potere. Fox che era stato sempre un perdente, sostenuto solo dalla moglie. Ma Dave non demorde, scava che ti scava, scopre al fine che il nostro Fox era depresso da 20 anni per aver perso il suo amore di gioventù. Che inaspettatamente ritorna. Ovviamente è anche lui un uomo. E quindi, nella benpensante Pima si scatenano (o potrebbero) elementi dirompenti: nessuno, neanche il suocero o la figlia, avrebbero accettato lo “scandalo” di un illustre cittadino omosessuale. Fox allora fugge (inscenando il teatro della scomparsa, che dal titolo inglese vien più come dissolvenza in termini cinematografici, che un’immagine si muta impercettibilmente in un’altra). Da qui Dave ipotizza una buona serie di possibili finali, che in realtà poi Fox muore davvero. È stato Doug con cui ha litigato? È stato il sindaco pauroso di perdere posto e soldi? È stato il genero in cerca dei soldi dell’eredità? È stato il suocero timoroso degli scandali? È stato il geloso fidanzato della segretaria? Solo uno sarà alla fine quello vincente di finale. Nel complesso quindi una vicenda ben congeniata, anche se datata (in fondo il romanzo ha più di 40 anni). Ma gradevole che tutti i temi trattati non sono affrontati con voglia di scandali alla Busi, ma con la normale e giusta penna di uno scrittore.
“In venti anni puoi dire e fare cose che vorresti non aver detto e non aver fatto. In vent’anni puoi accumulare rimpianti a non finire. E poi, quando è troppo tardi, quando non c’è più nessuno a cui dire mi dispiace o non volevo, allora il rimpianto ti toglie il sonno, l’appetito, la facoltà di parlare, di lavorare. Vorresti smettere di vivere.” (52)
Jo Nesbø “Nemesi” Piemme euro 11,50
[A: 15/04/2012 – I: 13/12/2012 – T: 16/12/2012]
[titolo: Sorgenfri; lingua: norvegese; pagine: 492; anno: 2002]
E così una via di Oslo (Sorgenfrigata) diventa altro, un altro che potrebbe aiutare a capire la trama. Ma perché? Fatto questo grido di dolore verso l’editor della Piemme, eccoci al secondo appuntamento (italiano, che in patria sarebbe il quarto) con Harry Hole. Non di dirompente impatto come fu il primo che ci immetteva nelle atmosfere norvegesi, e nei mondi nordici di solitudini e rapporti umani. Tuttavia con aspetti interessanti sulle fisionomie dei personaggi, e con un plauso deciso all’inventiva del nostro autore, che riesce a presentare una serie di possibili e verosimili finali, prima di arrivare a quello ultimo ed inattaccabile. Come nella realtà poi, le storie della polizia di Oslo e del gruppo che gravita intorno ad Hole, sono molteplici. Fatto sta che credo ci siano almeno 2 grandi filoni in primo piano (che scorrono paralleli ed intersecantesi) e 2 sotto storie in secondo, anche se altrettanto se non più importanti. Perché le due sotto storie sono la personale vicenda di Harry e del suo rapporto con Rakel ed il di lei figlio Oleg, che per quasi tutto il romanzo sono a Mosca per il divorzio della donna e l’affidamento del piccolo. Storia che Harry non potrà che vivere con angoscia, aspettando un possibile mesto ritorno. E l’altra è quella che si collega al primo libro uscito in Italia, con la ricerca che Harry non cessa del vero assassino e dei moventi della morte della sua collega Ellen. L’andamento globale a volte risulta un po’ lento, e si ingarbuglia molto per la massa sconsiderata di personaggi che sono coinvolti, tanto che ad un certo punto rischio di confondere un buono con un cattivo (e per qualche pagina non capisco più nulla). E con Harry che, lontano da Rakel, con sorprendente facilità da un lato si prende delle colossali ubriacature (ed aveva promesso di non bere più) e dall’altro indulge in serate di sesso di cui si pente immediatamente. E che non avranno conseguenze nel suo rapporto con Rakel, ma tante nel suo rapporto con le indagini. Indagini che si sviluppano sulla ricerca di un misterioso rapinatore, con uno strano stile di rapina: dà dei tempi di consegna dei soldi, e, non rispettati, uccide un ostaggio (come nella prima rapina dove muore la cassiera). Poi scompare inspiegabilmente. E le indagini alla ricerca delle cause della morte della bella Anna, avvenuta dopo quella famosa scopata con Harry (Anna era una sua fiamma giovanile, ora artista, che lavora ad una grande scultura che si intitola “Nemesi”, quella del titolo). Harry fa coppia con la neo entrata Beate, una poliziotta malata di uno strano male per cui ricorda tutte le facce che incontra, anche se non il resto del corpo. Le indagini sui due eventi procedono in parallelo, facendo perno sulla squadra di Harry. Ma poi si intersecano intorno alla strana figura del gitano Raskol, rapinatore in prigione, ma con contatti ovunque. È il parente più stretto di Anna, per la quale medita vendetta, ma era anche sodale di un rapinatore, da tempo fuggito in Brasile, con il quale ebbe diverbi ai tempi di una rapina. E che guarda caso è anche il cognato della donna morta nella rapina di inizio libro. Intanto, per merito di una foto scovata nella scarpa di Anna, si scopre anche l’amante della stessa. Che Harry sospetta essere l’omicida, a causa di tutta una serie di indizi ben circostanziati. Ma veri? La giustizia tentenna, il gitano no. Poi salta fuori anche una storia di droga, sempre legata ad Anna. E lo spacciatore è in contatto con una talpa della polizia che potrebbe collegarsi all’omicidio del primo libro. E Harry viene messe in mezzo da tutti questi falsi indizi, anche se con l’aiuto del gitano, scopre il fuggiasco brasiliano, ahimè morto anche lui. Quando tutto sembra impantanarsi, un’osservazione della fisionomista Beate rimette in moto Hole, che risolve la morte di Anna, le rapine, gli assassini, il suo scagionarsi. Insomma un finale ben congeniato. Anche se la morte di Ellen è ancora irrisolta. Ci saranno altri libri. Un’osservazione finale: pur nell’andamento medio del gradimento, continua ad ammirare la capacità di descrizione ambientale di Nesbø, che ti porta per mano in giro per Oslo, e ti fa entrare in contatto con questi ostici seppur simpatici norvegesi.
“Non chiedere scusa per aver fatto una domanda, ma per non averla fatta.” (171)
“Quello che vince la guerra non è necessariamente il vincitore.” (234)
“Una persona con una morale è una persona che affronta le conseguenze della propria morale… Non quelle di altri.” (412)
Camilla Läckenberg “Il predicatore” Marsilio euro 14
[A: 13/05/2012 – I: 20/02/2013 – T: 22/02/2013]
[titolo: Predikanten; lingua: svedese; pagine: 462; anno: 2004]
Secondo scritto della giovane svedese campione di incassi. Con alcune punte meglio del primo e con altre meno. Intanto, ci si smarca da un po’ di sentimentalismi con cuoricini e sospiri, che erano forse le parti meno riuscite della prima storia ambientata nella cittadina di Fjällbacka (cittadina reale, a metà strada tra Göteborg e Oslo, nota per essere la residenza svedese di Ingrid Bergman). Operando inoltre una piccola virata di centro, che dalla bella Erica del primo libro passa abbastanza saldamente nelle mani del suo compagno, il giovane Patrick della polizia locale. Le parti meno riuscite sono quelle dedicate a rivoli laterali, che non aggiungono nulla alla storia principale, se non con l’intento di dare carattere ai personaggi. Ma sono un po’ appiccicate (i parenti serpenti di Erica, l’amico noioso di Patrick, il ritorno di Dan ex di Erica, il travagliato percorso di Anna la sorella di Erica che immagino uscirà fuori più centrato nei prossimi romanzi di Camilla). Dopo la felice conclusione dei misteri della principessa nel ghiaccio, Erica rimane incinta del bel Patrick, ed anche per questo avrà un ruolo marginale, più che altro di supporto e di attesa del parto che avverrà solo alla fine del libro e della calda (ma quanto sarà vero?) estate svedese. Il mistero questa volta nasce dalla scoperta del cadavere di una ragazza, con fratture multiple e poi strangolata, e, nella terra sotto di lei, quello di due altre ragazze, con le stesse tipologie di fratture, ma morte da almeno venti anni. Dopo ricerche e storielle varie, si arriva ad isolare il nucleo della vicenda, che ruota intorno alle storie della famiglia Hult, una delle potenze locali. Abbiamo il capostipite, Ephraim, morto da 15 anni, un predicatore evangelico che sa molto di imbonitore (un po’ alla stregua dei ben noti “doc” di ambiente western). Predica e vanta “prodigiose guarigioni”, soprattutto per mano dei suoi due figli, il tristo Gabriel ed il frizzante Johannes. Ricevuta una grossa donazione con annessa grande villa e case varie, il Predicatore (che questo era il nomignolo del vecchio Hult), si ritira. Facendo contento Gabriel, che non ne poteva più, e che si fidanza con Solveig. Ma non Johannes, che si sente menomato nel suo “tocco magico”, e ruba la fidanzata e si sposa con Solveig. Gabriel si sposa con Laine, e nasce un figlio, Jacob, che soffre di leucemia, e viene salvato solo dal midollo del nonno. Cui rimane legato da profondo affetto, quasi venerazione. Anche Johannes ha figli, Robert e Johan. Poi spariscono le due donne di cui all’inizio, non vengono trovate, e Gabriel accusa Johannes. Che viene trovato appeso ad una corda. Da qui la separazione dei due rami. La famiglia di Gabriel vive la vita ricca, hanno anche una figlia, Linda, spirito ribelle. La famiglia di Johannes vive la vita povera, ed i due ragazzi si trovano spesso sul filo della legge (ma dalla parte sbagliata). Jacob, guarito, dedica anche lui la vita al Signore, fondando una comunità di recupero di disadattati. In questo scenario, arriva la prima ragazza morta, che si scopre poi essere la figlia di una delle due prime ragazze. Il tutto precipita quando viene rapita una nuova ragazza di diciassette anni. Patrick, con “il coltello fra i denti”, si dedica alla soluzione del caso. E trova e scopre molteplici altarini. Che Johannes non si è impiccato, ma è morto per un colpo alla testa, che Jacob non è figlio di Gabriel ma di Johannes, e che ha di nuovo un attacco tumorale, che Linda se la intende con il cugino Johan. E soprattutto che il sentimento religioso un po’ misticheggiante è pervasivo delle realtà scandinave. Già ne avevamo avuto dei begli esempi con gli scritti della Larsson su Kiruna. E qui si ripete, con tutte le ovvie varianti del caso. Patrick arriverà fino in fondo, alla scoperta del bunker antiaereo dove vengono sequestrate le donne, alla scoperta di chi perpetra tutti questi misfatti e del perché. Salverà la ragazza? Ci saranno punizioni? Non posso certo dirvi tutto, altrimenti l’editore mi chiede i soldi per le mancate vendite. È comunque un giallo onesto, che si legge bene, che ha alcuni punti che prendono e che ti legano alla pagina. E non è poco. Ritengo soltanto che il traduttore avrebbe fatto meglio a fare un piccolo sforzo per tradurre lo svedese “baseboll” con il termine usato comunemente anche in Italia di “”baseball” e non con il desueto “pallabase”.
Allora chiudiamo in fretta, che l’organizzazione del viaggio mi ha un po’ stressato a causa di continui cambiamenti, non dovuti alla mia volontà. Ed anche casetta ne ha risentito. Comunque, una buona Pasqua a tutti

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