domenica 6 ottobre 2013

Oslo e dintorni - 06 ottobre 2013

Diamo un caloroso benvenuto ai nuovi adepti delle mie ricorrenti trame, sperando che anche voi diventiate assidui lettori dei miei scritti. Visto il numero considerevole di nuove mail, ricordo che potete visitare la mia biblioteca su http://www.anobii.com/gio53/books e ritrovare tutte le trame passate su http://giogio53.blogspot.it/. Intanto, come da titolo, questa è una settimana dove si torna in Norvegia, con due dei migliori esponenti del filone giallo – sociale: Anne Holt e Jo Nesbø. Due libri a testa, uno buono ed uno meno per ciascuno, per “par condicio” come si direbbe ora.
Anne Holt “La dea cieca” Einaudi euro 13 (in realtà, scontato 9,75 euro)
[A: 01/09/2012– I: 12/04/2013 – T: 13/04/2013]
[tit. or.: Blind Gudinne; ling. or.: norvegese; pagine: 379; anno 1993]
Perché gli estensori delle note di quarta non leggono quello che scrivono? O se lo leggono, lo capiscono? Perché questo è, in realtà, il primo romanzo scritto dalla Holt. Ed ha veramente vinto il premio come miglio romanzo norvegese dell’anno. Ma nel 1993, cioè venti anni fa. E l’ispettrice Hanne Wilhelmsen è una specie di io trasposto dell’autrice, che collaborò con la Polizia, e, come Hanne, vive ad Oslo con la sua compagna. Detto quindi che il romanzo ha appunto venti anni sulle spalle (e qua e là affiorano elementi del tempo), rimane intatta la sua scrittura ed il piacere di leggerlo. E dalla lettura non sorprende che abbia vinto un premio, né che la Holt, iniziata la sua carriera di scrittrice, abbia fatto anche molti mestieri, compresi due anni come Ministro della Giustizia (1996-97). Qui intanto cominciamo a vedere la nascita del suo personaggio base, Hanne Wilhelmsen. Poliziotta, con una netta separazione tra vita pubblica e privata (nessuno oltre noi sa che vive con la dottoressa Cecilie). E con una propensione ad osservare molto, ragionare alquanto, agire spesso (ma non senza criterio). La trama, anche un po’ complicata, dà comunque modo all’autrice di gettare sguardi sul mondo della giustizia norvegese (e non sorprende dato quello che ho detto prima), ma anche a trame oscure che attraversano il paese. Un paese che qui da lontano è sempre sembrato un’oasi di noia (scusate l’ossimoro). Se poi andiamo a leggere degli scrittori norvegesi (la Holt ma poi anche Nesbø) non ci sorprende quello che è accaduto pochi anni fa. Il punto di avvio è la morte di uno spacciatore per mano di un reo confesso ragazzo olandese. E la parallela morte di un avvocato equivoco, anche se mai indagato realmente. Le due morti convergono sul tavolo di Hanne, e su quello di Håkon, una specie di avvocato ministeriale. Viene coinvolta anche un secondo avvocato, Karen, amica d’infanzia di Håkon. I tre scavano, anche se non sempre di concerto, tra le varie vicende. E sembra che nascano fili che unificano almeno i sospetti. Ma appena sembra che ci siano nuovi elementi, altri ne spariscono. Il ragazzo olandese fa una confessione a Karen, e poi “si suicida”. Uno spacciatore sembra avere dei cifrari clandestini, ma muore subito dopo di overdose. La costante è la presenza, latente ma insistente, di avvocati. Che cercano prove, che ne inquinano, che si agitano nell’ombra. I sospetti di Hanne e Håkon si incentrano su un insospettabile avvocato che pare anch’esso aver contatti con le morti (impronte digitali a casa di un morto). Ed anche affari con la Thailandia. Vuoi vedere… La nostra poliziotta però viene anche aggredita in ufficio, riportando danni agli occhi (anche se sembrano riparabili). Ma vengono trafugate prove. In parallelo poi Håkon si innamora di Karen, benché questa sia sposata. E mentre i nostri cercano di incastrare gli avvocati usciti alla luce del sole, Karen si rifugia in un fiordo isolato (beh, questo fa tornare alla mente bei ricordi di viaggio, almeno). Ovviamente le prove spariscono prima di poter essere giudicate. Noi capiamo dall’esterno che c’è qualche cosa in più, che c’è qualche trama strana che coinvolge servizi segreti (altrimenti non si capiscono i bastoni tra le ruote). Pare che questi ricevano fondi neri finanziati dal traffico di stupefacenti. Ma va? Questa parte è un po’ debolina, ricalca stereotipi (anche se discretamente veri) dalla CIA ai servizi europei. Quando tutto sembra andare a carte quarantotto, gli avvocati cattivi (perché poi in questo si riduce il tutto, una lotta tra avvocati buoni ed avvocati cattivi) cercano di uccidere Karen. Che viene salvata dall’intervento congiunto degli avvocati buoni, di Hanne e di Håkon. La trama alla fine viene rivelata, e ve la lascio in sospeso. Come vi lascio in sospeso sulla risposta di Karen ad Håkon. Vi dico solo che la Holt continuerà a scrivere di Hanne, tanto che siamo credo ad otto o nove romanzi, farà nascere una coppia di investigatori che le darà fama fuori della Norvegia. Ed in uno degli ultimi romanzi ci sarà anche una convergenza tra Vik, Stubø ed Hanne. Buona lettura (e andateci in Norvegia, ne vale la pena).
Anne Holt “L’unico figlio” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 15/08/2012– I: 06/05/2013 – T: 07/05/2013]
[tit. or.: Demonens død; ling. or.: norvegese; pagine: 270; anno 1995]
Anche questa volta cominciamo con le solite domande ai traduttori: perché la morte dei demoni diventa l’unico figlio? Quali connessioni hanno visto le persone del marketing per modificare le indicazioni dell’autrice? Siamo al terzo episodio delle storie imperniate sulla figura dell’ispettrice Wilhelmsen, dopo il primo che ci ha aiutato a conoscerla ed il secondo (ma per me primo, letto più di dieci anni fa) dove si chiariscono alcuni caratteri dei personaggi, e compare Billy T., un poliziotto che in questo romanzo diventa l’alter ego della Wilhelmsen, ora diventata capo sezione. Ma Hanne non sa stare dietro la scrivania, e comincerà ad indagare, motivo che credo porterà futuri problemi. Intanto seguiamo questa storia, al solito su di un doppio binario. Da un lato seguiamo lo sviluppo del “giallo”, l’uccisione della responsabile di una casa famiglia, dove sono inseriti una decina di ragazzi “problematici”. Tra cui Olav, quello grasso ma grasso, e con evidenti problemi relazionali. Dall’altro seguiamo la soggettiva della madre di Olav, con i suoi problemi di gestione dell’iperattivo figlio e le sue sconfitte con l’alcool. La storia in sé se vogliamo è ancora più semplice e lineare delle precedenti. Agnes, la responsabile viene uccisa in una serata in cui nessuno sembrava transitare per la casa famiglia. Poi scopriamo che Agnes ha forse una storia con un tizio, che le ruba un libretto di assegni. Che ha problemi con il marito. Che ci sono guai nella casa famiglia perché Terje il tesoriere si è appropriato di alcune somme indebitamente e Maren la vice, pur brava psicologa, ha falsificato i documenti di studio e non risulta essere in possesso di alcun documento ufficiale. E poi c’è Olav il grasso che odia tutti, ma ha subito in simpatia Maren. Hanne, aiutata da Billy T. (l’unico poliziotto che conosce la sua vita privata di lesbica felicemente convivente con la bella Cecile), monta e smonta i pezzi del problema, elimina i sospettati che hanno alibi sostenibili. Riducendo i possibili colpevoli a tre: Terje, Maren e Olav. In drammatici momenti di finali e sottofinali, due dei tre moriranno, e chi rimane espierà le sue colpe. Ma questa debole trama, al solito, è un pretesto per la Holt, al fine di mettere in luce alcuni problemi della società norvegese. L’aveva fatto con il primo romanzo con i servizi segreti deviati. Aveva seguitato nel secondo con la violenza sulle donne. Ora se la prende con i servizi sociali ed i loro modi di affrontare ragazzi problematici. La casa famiglia ne è un campionario, con alcuni esempi tendenti al positivo, spesso aiutati dalla compassionevole Maren ed osteggiati dall’inflessibile Agnes. Ma è soprattutto su Olav che si appuntano gli interessi della scrittrice. La madre è una sbandata, che perde il marito durante la gravidanza. Sembra anche di intelligenza limitata. E certo non ha la capacità di gestire il brutto gigante Olav, che cresce a dismisura, che ha sempre fame, che non si sa rapportare agli altri. Perché i ragazzi sono cattivi è ovvio, ed infieriscono su chi si scosta dalla norma. E Olav, pur intelligente, non viene mai preso per il verso giusto. Perché lui si pone in contrapposizione con il mondo, odia chi gli impone di fare qualcosa, e deve sempre dire la sua, anche se ha solo dodici anni. Qui si innesta la critica verso i servizi sociali che, per stanchezza o per incapacità, non riescono a prendersi cura di lui. Tiranneggiando e colpevolizzando la madre, non capendo che le scarse capacità di quest’ultima non le permettono certo di essere un punto di riferimento per nessuno. Tutto questo esce fuori dalle soggettive del secondo piano del racconto, che, in fondo e pensandoci bene, sono la cosa che più mi rimane di un libro, interessante forse, ma di certo non riuscito. La Holt continua a porre problemi sul tavolo della discussione, criticando molto, ma senza ancora pensare a proporre soluzioni. Lo farà qualche anno dopo la scrittura di questi primi libri, durante i due anni da Ministro della Giustizia. E se ne vedranno le (positive) conseguenze nei libri successivi.
“Secondo lei non esisteva niente di più stupido che affermazioni tipo ‘adoro i bambini’. I bambini erano come gli adulti, alcuni incantevoli, altri affascinanti, altri ancora erano degli stronzi.” (31)
Jo Nesbø “La stella del diavolo” Piemme s.p. (regalo 2012 di Rosa&Emilio)
[A: 07/05/2012– I: 30/05/2013 – T: 02/06/2013]
[tit. or.: Marekors; ling. or.: norvegese; pagine: 471; anno 2003]
Devo assolutamente confessare subito che Nesbø mi piace. Ed ho trovato avvincente questa terza prova che ho letto delle imprese del commissario Harry Hole. Tanto che ho passato metà della notte per arrivare alla fine. Mi aspettavo che succedesse quello che poi avviene, ma come per quei serial televisivi ben fatti e ben congeniati, non sono riuscito a staccarmene prima di arrivare all’ultima pagina. E per una volta concordo con il commento di quarta, fatto dal maestro Connelly. Anche per me Hole è il mio nuovo eroe. Ho già espresso alcuni commenti sulla sopravalutazione che in genere si è fatta dei nuovi maestri nordici del giallo. Ma Nesbø si stacca dalla massa, e prende un suo posto ben evidente tra i primi della classe. Qui poi la maestria di Nesbø si estrinseca su molteplici piani: il contorno, i personaggi fissi, la trama. Dalla pagina veniamo presi e portati ad Oslo, e ce ne sentiamo immersi, in questo romanzo ambientato nella calda estate nordica. Certo ci domandiamo quanto possa essere calda, che ricordo bene il tempo trovato lì in estate, una primavera calorosa e niente di più. Ovvio che chi è abituato a meno 10 di inverno, quando il termometro sale sui 20° comincia a soffrire. Ed il contorno si avvale anche di piccole descrizioni, di piccole divagazioni (sull’architettura norvegese, sui quartieri, Grunerløkka in primis, sul traffico, sulle biciclette) che non stancano. Si approfondisce il carattere del nostro commissario, sia sul versante “dannato”, sulla sua propensione (a me di difficile comprensione) alla bottiglia. Ma anche alla spiegazione che comincia a trapelarne sul versante di traumi giovanili che prima o poi usciranno fuori. Sul suo rapporto con le donne in genere e con Rakel in particolare. E poco a poco, comincia a delinearsi anche Beate, diventata ormai il mago della scientifica, con il suo carattere metodico e la sua capacità di ricordare i volti. Ed ovviamente la trama. Cominciano a fioccare le morti. O le morte. Che una dopo l’altra, vediamo vengono uccise delle donne. Sembra con molto sangue freddo, un colpo di pistola e via. Ma con qualcosa che sembra indicare la via di un serial killer. Ad ognuna viene amputato un dito (indice, medio, anulare) e viene messo sul cadavere un diamante rosso a cinque punte. Diamante rosso che veniamo a sapere provenire da contrabbandi della Sierra Leone, per sovvenzionare la colà guerra civile. E le pistole sono tutte di fabbricazione cecoslovacca e senza identificativi. Tutta la storia poi, si innesta sulle macerie dei romanzi precedenti, dove Hole cercava (senza riuscirci) di trovare elementi di colpevolezza verso il suo alter-ego, il commissario Waaler, la stella nascente della polizia norvegese. Ma che sappiamo (o abbiamo tutti gli indizi per sospettare) essere più sul versante dei cattivi che su quello dei buoni. Forse solo perché vuole fare giustizia da se. Tuttavia vediamo che ci può essere altro. Ed Harry lo sospetta: di essere il mandante della morte della sua amica Eilen, di aver ucciso il probabile assassino Sten, di aver fatto sparire altre prove incriminanti. E tutto viene costruito con dovizia di particolari. La prima donna trovata uccisa, scoperta da una coppia molto male assortita, con lui che puzza un po’ (troppo manicheamente religioso). La seconda, moglie di un produttore teatrale, con Willy, il produttore, molto sopra le righe. Solo la terza sembra non avere spiegazioni plausibili. Ma Harry, tra una bottiglia e l’altra, con Rakel che lo manda a ramengo proprio per la sua inaffidabilità, comincia a costruire un possibile scenario, collegando i diamanti ai pentagrammi che vengono trovati vicino alle morte. Ed utilizzando una piantina di Oslo e la sua intuizione, trova il come ed il quando. Il chi sembra convergere verso Sten, uno svedese emigrato a Praga, e coinvolto in qualche strano contrabbando. Ma quando Waaler tenta di uccidere Sten prima dell’arresto, Hole si fa un quadro completo e diverso della vicenda. Rischia di suo, mette in pericolo se stesso, Sten, il figlio di Rakel, ma trova il vero colpevole e delle più solide prove verso Waaler, anche con l’aiuto dell’unica persona che crede in lui, appunto Beate della scientifica. Servirà a risolvere il tutto? Tutto no, ma molto sì. Quello che non riuscirà a salvare (almeno credo) è il rapporto con Rakel, ormai troppo compromesso dalla deriva alcolica. Anche se per metà libro non tocca più neanche una birra. I colpi di scena dei finali e sottofinali sono degni delle migliori penne poliziesche. Per ora ti lasciamo, Harry, ed andiamo a dormire contenti di aver trovato un libro, ben scritto, ben congeniato, e ben tradotto da Giorgio Puleo.
Jo Nesbø “La ragazza senza volto” Piemme 12 (in realtà, scontato a 10,20 euro)
[A: 29/06/2012– I: 03/06/2013 – T: 05/06/2013]
[tit. or.: Frelseren; ling. or.: norvegese; pagine: 524; anno 2005]
Come farsi smentire subito! Avevo finito la trama precedente ringraziando il traduttore Puleo, e qui cominciamo subito con il grosso inganno del titolo. Spero per le mie conoscenze editoriali, non sia colpa del povero traduttore che avrebbe volentieri lasciato che “frelseren” venisse indicato con “Il salvatore” e non con l’insulso “Ragazza senza volto”, un titolo buono solo come “attivatore” di ignari lettori. Inoltre c’è tutto un rimando interno alla costruzione della trama, dove il killer senza volto (questo sì, ma è un uomo!), proviene dalla guerra serbo – croata, dove si era guadagnato un nome come assaltatore di carri armati; ed essendo un ragazzo veniva chiamato “mali spasitelj”, cioè, in croato, “il piccolo salvatore”. E tutto un percorso che fa per le più di 500 pagine del libro il nostro commissario Hole è un percorso in bilico tra salvezza e dannazione, anche perché il nocciolo del romanzo è imperniato all’interno dell’Esercito della Salvezza (in norvegese, appunto, “frelsesarmeen”). Tralasciato questo grido di dolore, veniamo al romanzo, che comunque è un mezzo Nesbø: alcune parti eccelse, altre un po’ trascinate e sicuramente non ai livelli delle precedenti prove. Motivo per cui, lo classifico buono, ma non ottimo o imperdibile. Sicuramente riesce anche qui a maneggiare gli intrecci di trame e personaggi, con il solito tocco molto “giallo classico”, di farci credere di volta in volta che il cattivo sia questo o quello o l’altro ancora. E solo il finale vero riesce a mettere tutte le azioni nella loro giusta prospettiva. Altro punto dolente, prima di entrare nel vivo, è sempre l’alternarsi di Harry tra la bottiglia e le donne. Speravamo, nel finale precedente, che avesse messo il cuore in pace, nel rapporto con Rakel. Ma non è così. Giustamente, lei non ce la fa a reggere i suoi ciclotimici tempi di bevuta. E lui non può che allontanarsi. Certo, prova a staccarsi dall’alcool. Ma nel momento topico, quando a Zagabria si illumina della soluzione (lui, che noi aspetteremo altre cento pagine prima di arrivarci), si ributta nel bourbon a capo fitto. Tuttavia le storielle che percorrono il testo, le sue avventure vere o presunte, lasceranno un segno nel suo pensiero, e finirà a passare il Natale con Rakel e Oleg. Vedremo. Torniamo però a capofitto nella trama, che appunto si svolge nell’imminenza del Natale. E che vede al centro, come detto, l’Esercito della Salvezza, che pensavo fosse solo un movimento caritatevole, ma che scopro essere invero un vero e proprio ramo cristiano – metodista, dove invece di chierici e preti ci sono soldati e ufficiali. E dove ci sono, come in tute le chiese, religiose o laiche, tensioni sessuali, represse o esplicitate. C’è uno stupro iniziale (direi una dozzina di anni prima dello sviluppo del romanzo). Ci sono tre persone possibili indiziate dell’avvenimento. Il ricco Mads ed i fratelli Robert e Jon. Mads che è ricco e stupido, che sposa la determinata Reghnild, che si innamora poi di Jon, che però non ci fa sesso, in quanto ufficiale della Salvezza, e poi è preso da Thea, sopratutto perché questa è la figlia del direttore amministrativo, posto cui Jon ambisce, in competizione con Rikard, fratello della stuprata di cui sopra. Mentre Robert è lo scapestrato del gruppo, sempre un po’ fuori le righe, sempre troppo allegro, troppo esuberante. Ma lo sarà veramente? Tutto precipita quando il famoso killer croato uccide Robert e sparisce. Ma era Robert il vero bersaglio? O piuttosto Jon, che Robert aveva sostituito in quanto Jon decide di andare a cena con Thea. E chi è che violenta la piccola Sofia, profuga di Vukovar, come il killer croato? Hole cerca di proteggere Jon dal ritorno del killer che accortosi dell’errore cerca di rimediare. E lo fa con il suo aiutante Halvorsen, che si scopre avere una relazione con l’ottima “scopritrice di volti” Beate. Il finale (cioè le ultime 150 pagine invero) sono del puro Nesbø di livello. Il killer si aggira sperduto per una Oslo innevata, aiutato dalla stuprata che, scoperto il vero stupratore, aiuta il killer. Qualcuno uccide Halvorsen, Jon sparisce, Beate è incinta. Harry va a Zagabria, parla con la madre del “mali spasitelj”, e decide una sua salvezza, una sua redenzione personale per tutta la vicenda. Motivo che in un certo senso lo riavvicina idealmente alle prime mosse di quel Waaler alter-ego cattivo dei primi romanzi e ucciso nel precedente. Ed alla fine, in attesa di quel Natale di cui sopra, tutte le caselle vanno al loro posto: qualcuno sarà punito, qualcuno si punirà, qualcuno continuerà a vivere per espiare le sue colpe. Insomma, un buon finale, anche problematico, che riporta il romanzo ad un buon livello di giudizio. Lasciandomi ritornare con il pensiero ai tiepidi giorni norvegesi dello scorso anno. Ed alle renne che ancora mi aspettano a Capo Nord.
“Forse stava diventando adulto, forse si era stufato di essere l’idiota che abbassava le corna e attaccava appena qualcuno agitava un panno rosso.” (189)
Come i miei più assidui lettori sanno, la prima trama di un nuovo mese dedica un piccolo spazio ai (pochi) libri letti in luglio, laddove i viaggi hanno avuto una preponderanza ineguagliabile. Un mese di transizione, con un’ottima lettura islandese ed una conferma del simpatico scrittore svizzero. Da dimenticare il giallo italiano di Luceri.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Kathy Reichs
Skeleton
BUR
9,90
3
2
Manuel Vazquez Montalban
La bella di Buenos Aires
Feltrinelli
10
3
3
Andrea Vitali
Un amore di zitella
Garzanti
9,90
2
4
Paola Mastrocola
Più lontana della luna
Guanda
s.p.
3
5
Auður Ava Ólafsdóttir
Rosa candida
Einaudi
11,50
4
6
Vanni Santoni
Se fossi foco, arderei Firenze
Laterza
10
3
7
Andrea Fazioli
Come rapinare una banca svizzera
TEA
9
4
8
Enrico Luceri
Buio come una cantina chiusa
Mondadori
4,90
1

Benché più faticoso di quanto pensassi (molti i chilometri e molti gli sterrati), il viaggio in Africa australe è stato gradevole e gradito (con un’eccellente compagnia per di più). Ora abbiamo davanti alcuni mesi per rimettere a posto le mole cose lasciate in sospeso.

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