Diamo un caloroso benvenuto ai nuovi
adepti delle mie ricorrenti trame, sperando che anche voi diventiate assidui
lettori dei miei scritti. Visto il numero considerevole di nuove mail, ricordo
che potete visitare la mia biblioteca su http://www.anobii.com/gio53/books
e ritrovare tutte le trame passate su http://giogio53.blogspot.it/.
Intanto, come da titolo, questa è una settimana dove si torna in Norvegia, con
due dei migliori esponenti del filone giallo – sociale: Anne Holt e Jo Nesbø.
Due libri a testa, uno buono ed uno meno per ciascuno, per “par condicio” come
si direbbe ora.
Anne Holt “La dea cieca” Einaudi euro 13 (in realtà, scontato 9,75
euro)
[A: 01/09/2012– I: 12/04/2013
– T: 13/04/2013]
[tit. or.: Blind Gudinne; ling. or.: norvegese; pagine: 379; anno 1993]
Perché
gli estensori delle note di quarta non leggono quello che scrivono? O se lo
leggono, lo capiscono? Perché questo è, in realtà, il primo romanzo scritto
dalla Holt. Ed ha veramente vinto il premio come miglio romanzo norvegese
dell’anno. Ma nel 1993, cioè venti anni fa. E l’ispettrice Hanne Wilhelmsen è
una specie di io trasposto dell’autrice, che collaborò con la Polizia, e, come
Hanne, vive ad Oslo con la sua compagna. Detto quindi che il romanzo ha appunto
venti anni sulle spalle (e qua e là affiorano elementi del tempo), rimane
intatta la sua scrittura ed il piacere di leggerlo. E dalla lettura non
sorprende che abbia vinto un premio, né che la Holt, iniziata la sua carriera
di scrittrice, abbia fatto anche molti mestieri, compresi due anni come Ministro
della Giustizia (1996-97). Qui intanto cominciamo a vedere la nascita del suo
personaggio base, Hanne Wilhelmsen. Poliziotta, con una netta separazione tra
vita pubblica e privata (nessuno oltre noi sa che vive con la dottoressa
Cecilie). E con una propensione ad osservare molto, ragionare alquanto, agire
spesso (ma non senza criterio). La trama, anche un po’ complicata, dà comunque
modo all’autrice di gettare sguardi sul mondo della giustizia norvegese (e non
sorprende dato quello che ho detto prima), ma anche a trame oscure che attraversano
il paese. Un paese che qui da lontano è sempre sembrato un’oasi di noia
(scusate l’ossimoro). Se poi andiamo a leggere degli scrittori norvegesi (la
Holt ma poi anche Nesbø) non ci sorprende quello che è accaduto pochi anni fa.
Il punto di avvio è la morte di uno spacciatore per mano di un reo confesso
ragazzo olandese. E la parallela morte di un avvocato equivoco, anche se mai
indagato realmente. Le due morti convergono sul tavolo di Hanne, e su quello di
Håkon, una specie di avvocato ministeriale. Viene coinvolta anche un secondo
avvocato, Karen, amica d’infanzia di Håkon. I tre scavano, anche se non sempre
di concerto, tra le varie vicende. E sembra che nascano fili che unificano
almeno i sospetti. Ma appena sembra che ci siano nuovi elementi, altri ne
spariscono. Il ragazzo olandese fa una confessione a Karen, e poi “si suicida”.
Uno spacciatore sembra avere dei cifrari clandestini, ma muore subito dopo di
overdose. La costante è la presenza, latente ma insistente, di avvocati. Che cercano
prove, che ne inquinano, che si agitano nell’ombra. I sospetti di Hanne e Håkon
si incentrano su un insospettabile avvocato che pare anch’esso aver contatti
con le morti (impronte digitali a casa di un morto). Ed anche affari con la
Thailandia. Vuoi vedere… La nostra poliziotta però viene anche aggredita in
ufficio, riportando danni agli occhi (anche se sembrano riparabili). Ma vengono
trafugate prove. In parallelo poi Håkon si innamora di Karen, benché questa sia
sposata. E mentre i nostri cercano di incastrare gli avvocati usciti alla luce
del sole, Karen si rifugia in un fiordo isolato (beh, questo fa tornare alla
mente bei ricordi di viaggio, almeno). Ovviamente le prove spariscono prima di
poter essere giudicate. Noi capiamo dall’esterno che c’è qualche cosa in più,
che c’è qualche trama strana che coinvolge servizi segreti (altrimenti non si
capiscono i bastoni tra le ruote). Pare che questi ricevano fondi neri
finanziati dal traffico di stupefacenti. Ma va? Questa parte è un po’ debolina,
ricalca stereotipi (anche se discretamente veri) dalla CIA ai servizi europei. Quando
tutto sembra andare a carte quarantotto, gli avvocati cattivi (perché poi in questo
si riduce il tutto, una lotta tra avvocati buoni ed avvocati cattivi) cercano
di uccidere Karen. Che viene salvata dall’intervento congiunto degli avvocati
buoni, di Hanne e di Håkon. La trama alla fine viene rivelata, e ve la lascio
in sospeso. Come vi lascio in sospeso sulla risposta di Karen ad Håkon. Vi dico
solo che la Holt continuerà a scrivere di Hanne, tanto che siamo credo ad otto
o nove romanzi, farà nascere una coppia di investigatori che le darà fama fuori
della Norvegia. Ed in uno degli ultimi romanzi ci sarà anche una convergenza
tra Vik, Stubø ed Hanne. Buona lettura (e andateci in Norvegia, ne vale la
pena).
Anne Holt “L’unico figlio” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 15/08/2012– I: 06/05/2013
– T: 07/05/2013]
[tit. or.: Demonens død; ling. or.: norvegese; pagine: 270; anno 1995]
Anche
questa volta cominciamo con le solite domande ai traduttori: perché la morte dei
demoni diventa l’unico figlio? Quali connessioni hanno visto le persone del
marketing per modificare le indicazioni dell’autrice? Siamo al terzo episodio
delle storie imperniate sulla figura dell’ispettrice Wilhelmsen, dopo il primo
che ci ha aiutato a conoscerla ed il secondo (ma per me primo, letto più di
dieci anni fa) dove si chiariscono alcuni caratteri dei personaggi, e compare
Billy T., un poliziotto che in questo romanzo diventa l’alter ego della
Wilhelmsen, ora diventata capo sezione. Ma Hanne non sa stare dietro la
scrivania, e comincerà ad indagare, motivo che credo porterà futuri problemi.
Intanto seguiamo questa storia, al solito su di un doppio binario. Da un lato
seguiamo lo sviluppo del “giallo”, l’uccisione della responsabile di una casa
famiglia, dove sono inseriti una decina di ragazzi “problematici”. Tra cui
Olav, quello grasso ma grasso, e con evidenti problemi relazionali. Dall’altro
seguiamo la soggettiva della madre di Olav, con i suoi problemi di gestione
dell’iperattivo figlio e le sue sconfitte con l’alcool. La storia in sé se
vogliamo è ancora più semplice e lineare delle precedenti. Agnes, la
responsabile viene uccisa in una serata in cui nessuno sembrava transitare per
la casa famiglia. Poi scopriamo che Agnes ha forse una storia con un tizio, che
le ruba un libretto di assegni. Che ha problemi con il marito. Che ci sono guai
nella casa famiglia perché Terje il tesoriere si è appropriato di alcune somme
indebitamente e Maren la vice, pur brava psicologa, ha falsificato i documenti
di studio e non risulta essere in possesso di alcun documento ufficiale. E poi
c’è Olav il grasso che odia tutti, ma ha subito in simpatia Maren. Hanne,
aiutata da Billy T. (l’unico poliziotto che conosce la sua vita privata di
lesbica felicemente convivente con la bella Cecile), monta e smonta i pezzi del
problema, elimina i sospettati che hanno alibi sostenibili. Riducendo i
possibili colpevoli a tre: Terje, Maren e Olav. In drammatici momenti di finali
e sottofinali, due dei tre moriranno, e chi rimane espierà le sue colpe. Ma
questa debole trama, al solito, è un pretesto per la Holt, al fine di mettere
in luce alcuni problemi della società norvegese. L’aveva fatto con il primo
romanzo con i servizi segreti deviati. Aveva seguitato nel secondo con la
violenza sulle donne. Ora se la prende con i servizi sociali ed i loro modi di
affrontare ragazzi problematici. La casa famiglia ne è un campionario, con
alcuni esempi tendenti al positivo, spesso aiutati dalla compassionevole Maren
ed osteggiati dall’inflessibile Agnes. Ma è soprattutto su Olav che si
appuntano gli interessi della scrittrice. La madre è una sbandata, che perde il
marito durante la gravidanza. Sembra anche di intelligenza limitata. E certo
non ha la capacità di gestire il brutto gigante Olav, che cresce a dismisura,
che ha sempre fame, che non si sa rapportare agli altri. Perché i ragazzi sono
cattivi è ovvio, ed infieriscono su chi si scosta dalla norma. E Olav, pur
intelligente, non viene mai preso per il verso giusto. Perché lui si pone in
contrapposizione con il mondo, odia chi gli impone di fare qualcosa, e deve
sempre dire la sua, anche se ha solo dodici anni. Qui si innesta la critica
verso i servizi sociali che, per stanchezza o per incapacità, non riescono a
prendersi cura di lui. Tiranneggiando e colpevolizzando la madre, non capendo
che le scarse capacità di quest’ultima non le permettono certo di essere un
punto di riferimento per nessuno. Tutto questo esce fuori dalle soggettive del
secondo piano del racconto, che, in fondo e pensandoci bene, sono la cosa che
più mi rimane di un libro, interessante forse, ma di certo non riuscito. La
Holt continua a porre problemi sul tavolo della discussione, criticando molto,
ma senza ancora pensare a proporre soluzioni. Lo farà qualche anno dopo la
scrittura di questi primi libri, durante i due anni da Ministro della
Giustizia. E se ne vedranno le (positive) conseguenze nei libri successivi.
“Secondo lei non esisteva niente di più
stupido che affermazioni tipo ‘adoro i bambini’. I bambini erano come gli
adulti, alcuni incantevoli, altri affascinanti, altri ancora erano degli
stronzi.” (31)
Jo Nesbø “La stella del diavolo” Piemme s.p. (regalo 2012 di
Rosa&Emilio)
[A: 07/05/2012– I: 30/05/2013 – T: 02/06/2013]
[tit. or.: Marekors; ling. or.: norvegese; pagine: 471;
anno 2003]
Devo
assolutamente confessare subito che Nesbø mi piace. Ed ho trovato avvincente
questa terza prova che ho letto delle imprese del commissario Harry Hole. Tanto
che ho passato metà della notte per arrivare alla fine. Mi aspettavo che
succedesse quello che poi avviene, ma come per quei serial televisivi ben fatti
e ben congeniati, non sono riuscito a staccarmene prima di arrivare all’ultima
pagina. E per una volta concordo con il commento di quarta, fatto dal maestro
Connelly. Anche per me Hole è il mio nuovo eroe. Ho già espresso alcuni
commenti sulla sopravalutazione che in genere si è fatta dei nuovi maestri
nordici del giallo. Ma Nesbø si stacca dalla massa, e prende un suo posto ben
evidente tra i primi della classe. Qui poi la maestria di Nesbø si estrinseca
su molteplici piani: il contorno, i personaggi fissi, la trama. Dalla pagina
veniamo presi e portati ad Oslo, e ce ne sentiamo immersi, in questo romanzo
ambientato nella calda estate nordica. Certo ci domandiamo quanto possa essere
calda, che ricordo bene il tempo trovato lì in estate, una primavera calorosa e
niente di più. Ovvio che chi è abituato a meno 10 di inverno, quando il termometro
sale sui 20° comincia a soffrire. Ed il contorno si avvale anche di piccole
descrizioni, di piccole divagazioni (sull’architettura norvegese, sui quartieri,
Grunerløkka in primis, sul traffico, sulle biciclette) che non stancano. Si
approfondisce il carattere del nostro commissario, sia sul versante “dannato”,
sulla sua propensione (a me di difficile comprensione) alla bottiglia. Ma anche
alla spiegazione che comincia a trapelarne sul versante di traumi giovanili che
prima o poi usciranno fuori. Sul suo rapporto con le donne in genere e con
Rakel in particolare. E poco a poco, comincia a delinearsi anche Beate,
diventata ormai il mago della scientifica, con il suo carattere metodico e la
sua capacità di ricordare i volti. Ed ovviamente la trama. Cominciano a
fioccare le morti. O le morte. Che una dopo l’altra, vediamo vengono uccise
delle donne. Sembra con molto sangue freddo, un colpo di pistola e via. Ma con
qualcosa che sembra indicare la via di un serial killer. Ad ognuna viene
amputato un dito (indice, medio, anulare) e viene messo sul cadavere un
diamante rosso a cinque punte. Diamante rosso che veniamo a sapere provenire da
contrabbandi della Sierra Leone, per sovvenzionare la colà guerra civile. E le
pistole sono tutte di fabbricazione cecoslovacca e senza identificativi. Tutta
la storia poi, si innesta sulle macerie dei romanzi precedenti, dove Hole cercava
(senza riuscirci) di trovare elementi di colpevolezza verso il suo alter-ego,
il commissario Waaler, la stella nascente della polizia norvegese. Ma che sappiamo
(o abbiamo tutti gli indizi per sospettare) essere più sul versante dei cattivi
che su quello dei buoni. Forse solo perché vuole fare giustizia da se. Tuttavia
vediamo che ci può essere altro. Ed Harry lo sospetta: di essere il mandante
della morte della sua amica Eilen, di aver ucciso il probabile assassino Sten,
di aver fatto sparire altre prove incriminanti. E tutto viene costruito con
dovizia di particolari. La prima donna trovata uccisa, scoperta da una coppia
molto male assortita, con lui che puzza un po’ (troppo manicheamente
religioso). La seconda, moglie di un produttore teatrale, con Willy, il
produttore, molto sopra le righe. Solo la terza sembra non avere spiegazioni
plausibili. Ma Harry, tra una bottiglia e l’altra, con Rakel che lo manda a
ramengo proprio per la sua inaffidabilità, comincia a costruire un possibile
scenario, collegando i diamanti ai pentagrammi che vengono trovati vicino alle
morte. Ed utilizzando una piantina di Oslo e la sua intuizione, trova il come
ed il quando. Il chi sembra convergere verso Sten, uno svedese emigrato a
Praga, e coinvolto in qualche strano contrabbando. Ma quando Waaler tenta di
uccidere Sten prima dell’arresto, Hole si fa un quadro completo e diverso della
vicenda. Rischia di suo, mette in pericolo se stesso, Sten, il figlio di Rakel,
ma trova il vero colpevole e delle più solide prove verso Waaler, anche con
l’aiuto dell’unica persona che crede in lui, appunto Beate della scientifica.
Servirà a risolvere il tutto? Tutto no, ma molto sì. Quello che non riuscirà a
salvare (almeno credo) è il rapporto con Rakel, ormai troppo compromesso dalla
deriva alcolica. Anche se per metà libro non tocca più neanche una birra. I
colpi di scena dei finali e sottofinali sono degni delle migliori penne
poliziesche. Per ora ti lasciamo, Harry, ed andiamo a dormire contenti di aver
trovato un libro, ben scritto, ben congeniato, e ben tradotto da Giorgio Puleo.
Jo Nesbø “La ragazza senza volto” Piemme 12 (in realtà, scontato a
10,20 euro)
[A: 29/06/2012– I:
03/06/2013 – T: 05/06/2013]
[tit. or.: Frelseren; ling. or.: norvegese; pagine: 524; anno 2005]
Come
farsi smentire subito! Avevo finito la trama precedente ringraziando il
traduttore Puleo, e qui cominciamo subito con il grosso inganno del titolo.
Spero per le mie conoscenze editoriali, non sia colpa del povero traduttore che
avrebbe volentieri lasciato che “frelseren” venisse indicato con “Il salvatore”
e non con l’insulso “Ragazza senza volto”, un titolo buono solo come
“attivatore” di ignari lettori. Inoltre c’è tutto un rimando interno alla
costruzione della trama, dove il killer senza volto (questo sì, ma è un uomo!),
proviene dalla guerra serbo – croata, dove si era guadagnato un nome come
assaltatore di carri armati; ed essendo un ragazzo veniva chiamato “mali spasitelj”,
cioè, in croato, “il piccolo salvatore”. E tutto un percorso che fa per le più
di 500 pagine del libro il nostro commissario Hole è un percorso in bilico tra
salvezza e dannazione, anche perché il nocciolo del romanzo è imperniato
all’interno dell’Esercito della Salvezza (in norvegese, appunto,
“frelsesarmeen”). Tralasciato questo grido di dolore, veniamo al romanzo, che comunque
è un mezzo Nesbø: alcune parti eccelse, altre un po’ trascinate e sicuramente
non ai livelli delle precedenti prove. Motivo per cui, lo classifico buono, ma
non ottimo o imperdibile. Sicuramente riesce anche qui a maneggiare gli
intrecci di trame e personaggi, con il solito tocco molto “giallo classico”, di
farci credere di volta in volta che il cattivo sia questo o quello o l’altro
ancora. E solo il finale vero riesce a mettere tutte le azioni nella loro
giusta prospettiva. Altro punto dolente, prima di entrare nel vivo, è sempre
l’alternarsi di Harry tra la bottiglia e le donne. Speravamo, nel finale
precedente, che avesse messo il cuore in pace, nel rapporto con Rakel. Ma non è
così. Giustamente, lei non ce la fa a reggere i suoi ciclotimici tempi di
bevuta. E lui non può che allontanarsi. Certo, prova a staccarsi dall’alcool.
Ma nel momento topico, quando a Zagabria si illumina della soluzione (lui, che
noi aspetteremo altre cento pagine prima di arrivarci), si ributta nel bourbon
a capo fitto. Tuttavia le storielle che percorrono il testo, le sue avventure
vere o presunte, lasceranno un segno nel suo pensiero, e finirà a passare il
Natale con Rakel e Oleg. Vedremo. Torniamo però a capofitto nella trama, che
appunto si svolge nell’imminenza del Natale. E che vede al centro, come detto,
l’Esercito della Salvezza, che pensavo fosse solo un movimento caritatevole, ma
che scopro essere invero un vero e proprio ramo cristiano – metodista, dove
invece di chierici e preti ci sono soldati e ufficiali. E dove ci sono, come in
tute le chiese, religiose o laiche, tensioni sessuali, represse o esplicitate.
C’è uno stupro iniziale (direi una dozzina di anni prima dello sviluppo del romanzo).
Ci sono tre persone possibili indiziate dell’avvenimento. Il ricco Mads ed i
fratelli Robert e Jon. Mads che è ricco e stupido, che sposa la determinata
Reghnild, che si innamora poi di Jon, che però non ci fa sesso, in quanto
ufficiale della Salvezza, e poi è preso da Thea, sopratutto perché questa è la
figlia del direttore amministrativo, posto cui Jon ambisce, in competizione con
Rikard, fratello della stuprata di cui sopra. Mentre Robert è lo scapestrato
del gruppo, sempre un po’ fuori le righe, sempre troppo allegro, troppo
esuberante. Ma lo sarà veramente? Tutto precipita quando il famoso killer
croato uccide Robert e sparisce. Ma era Robert il vero bersaglio? O piuttosto
Jon, che Robert aveva sostituito in quanto Jon decide di andare a cena con
Thea. E chi è che violenta la piccola Sofia, profuga di Vukovar, come il killer
croato? Hole cerca di proteggere Jon dal ritorno del killer che accortosi
dell’errore cerca di rimediare. E lo fa con il suo aiutante Halvorsen, che si
scopre avere una relazione con l’ottima “scopritrice di volti” Beate. Il finale
(cioè le ultime 150 pagine invero) sono del puro Nesbø di livello. Il killer si
aggira sperduto per una Oslo innevata, aiutato dalla stuprata che, scoperto il
vero stupratore, aiuta il killer. Qualcuno uccide Halvorsen, Jon sparisce,
Beate è incinta. Harry va a Zagabria, parla con la madre del “mali spasitelj”,
e decide una sua salvezza, una sua redenzione personale per tutta la vicenda.
Motivo che in un certo senso lo riavvicina idealmente alle prime mosse di quel
Waaler alter-ego cattivo dei primi romanzi e ucciso nel precedente. Ed alla
fine, in attesa di quel Natale di cui sopra, tutte le caselle vanno al loro
posto: qualcuno sarà punito, qualcuno si punirà, qualcuno continuerà a vivere
per espiare le sue colpe. Insomma, un buon finale, anche problematico, che
riporta il romanzo ad un buon livello di giudizio. Lasciandomi ritornare con il
pensiero ai tiepidi giorni norvegesi dello scorso anno. Ed alle renne che
ancora mi aspettano a Capo Nord.
“Forse stava diventando adulto, forse si era
stufato di essere l’idiota che abbassava le corna e attaccava appena qualcuno
agitava un panno rosso.” (189)
Come
i miei più assidui lettori sanno, la prima trama di un nuovo mese dedica un
piccolo spazio ai (pochi) libri letti in luglio, laddove i viaggi hanno avuto
una preponderanza ineguagliabile. Un mese di transizione, con un’ottima lettura
islandese ed una conferma del simpatico scrittore svizzero. Da dimenticare il
giallo italiano di Luceri.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Kathy Reichs
|
Skeleton
|
BUR
|
9,90
|
3
|
2
|
Manuel Vazquez Montalban
|
La bella di Buenos Aires
|
Feltrinelli
|
10
|
3
|
3
|
Andrea Vitali
|
Un amore di zitella
|
Garzanti
|
9,90
|
2
|
4
|
Paola Mastrocola
|
Più lontana della luna
|
Guanda
|
s.p.
|
3
|
5
|
Auður Ava Ólafsdóttir
|
Rosa candida
|
Einaudi
|
11,50
|
4
|
6
|
Vanni Santoni
|
Se fossi foco, arderei Firenze
|
Laterza
|
10
|
3
|
7
|
Andrea Fazioli
|
Come rapinare una banca svizzera
|
TEA
|
9
|
4
|
8
|
Enrico Luceri
|
Buio come una cantina chiusa
|
Mondadori
|
4,90
|
1
|
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