Non nel senso dell’ottima eroina
della Tautou, ma della ormai ben nota archeologa Amelia Peabody-Emerson, uscita
dalla fertile penna di Elizabeth Peters. Comincia intanto con una nota di
rimpianto, che ho scoperto ora, facendo alcune ricerche bibliografiche, che
durante il viaggio marocchino, la più che novantenne inglese ci ha lasciato.
Non avremo più altre indagini sparse tra tombe e piramidi, purtroppo. Ed allora
godiamoci questi ulteriori episodi della saga, anche se non tutti alla stessa
altezza.
Elizabeth Peters “Il segreto della tomba d’oro” TEA euro 8,60 (in
realtà, scontato 7,31 euro)
[A: 01/01/2013 – I: 05/03/2013
– T: 09/03/2013]
[tit. or.: The Hippopotamus Pool; ling. or.: inglese; pagine: 461; anno 1996]
Ancora
una volta cominciamo con il grido di dolore dei traduttori di titoli: dall’originale
piscina degli ippopotami al segreto della tomba d’oro! E con poca lungimiranza,
che la piscina ha un senso legato ad una storia trasversale a tutto il romanzo.
Mentre la tomba d’oro serve solo ad attirare i “lettori da stazione
ferroviaria”. Comunque, e per fortuna, siamo tornati sul versante alto della
scrittura della Peters. Tornano tutti i personaggi centrali della famiglia
Peabody-Emerson. Non solo la nostra simpatica Amelia, io narrante e motore
delle vicende, insieme al marito Radcliffe (che però tutti chiamano Emerson o
Padre delle Imprecazioni, per il suo colorito modo di esprimersi). Ma anche il
figlio Ramses, che sta crescendo e presto (credo) incapperà nei dolci problemi
dell’infanzia maschile, e la pupilla Nefret, invece già sbocciata e per questo
attirante i primi “mosconi” maschili. E verranno in Egitto anche lo zio Walter
e la zia Evelyn, in crisi di rapporto, ma che nel lavoro archeologico e
nell’affrontare i pericoli, ritroveranno il feeling perduto. Come nelle ultime
storie, il filo conduttore è dato da una storia che Amelia traduce dalla
scrittura geroglifica, storia che riguarda liberazione da nemici, nonché amore,
nonché una piscina di ippopotami (come da titolo), con questo animale devoto
alla protezione dei nascituri. E la storia ci conduce anche alla lotta che ben
presto vediamo scaturire tra due fazioni “nemiche”: l’una da ricondurre
all’avventuriero italiano Riccetti e l’altra a qualcuno che trama nell’ombra.
Fazioni che si stanno contendendo l’eredità del (ormai, forse, ma non è sicuro)
morto Sethos, la famosa Mente Criminale dei primi romanzi della saga. Fazioni
che si contendono anche la benevolenza del baldo Emerson. Il quale, in base a
sue conoscenze a noi non note, sembra aver trovato le tracce di una tomba non ancora
violata. Il tutto complicato al solito dagli imprevisti che introduce la nostra
sapiente scrittrice: la morte improvvisa, per avvelenamento, di uno strano
personaggio che aveva avvicinato Amelia a Luxor, sostenendo di conoscere il
luogo esatto del sepolcro della regina, e poi caldo infernale, pipistrelli inquietanti,
ladri e manigoldi assortiti, turisti rompiscatole, giornalisti ficcanaso... Certo
il tutto era nato anche per festeggiare l’inizio del nuovo secolo, con una
sontuosa festa all’Hotel Shepheard. Ma ben presto il turbinare degli eventi,
porta i nostri a Tebe, sulle orme della tomba della regina Tetisheri. Ci sarà
anche una governante che sembra con la testa tra le nuvole, ma che è segretamente
innamorata dei misteri dell’antico Egitto. Il cattivo ippopotamo italiano avrà
la sua punizione, anche perché, meschino, decide di rapire il giovane Ramses. E
questo Emerson certo non glielo perdonerà. L’altra fazione si butta invece su
Nefret, ma anche qui avrà corta vita, anche se la nostra Wonder-Amelia alla
fine troverà il modo di non punire (troppo) la quasi cattiva Bertha. Che poi ci
rimanda alla favola dell’inizio, visto che ha un bel pancione. Alla fine, tutto
si aggiusta ed i nostri archeologici fanno anche un gran spolvero delle nuove
scoperte, che ben presto verranno mostrate al museo del Cairo (a quanti bei
ricordi legati alle passeggiate in piazza Tahir…). Insomma un bel condimento
per questo ottavo titolo della serie, dove la Peters sapientemente mescola
esotismo (storico e geografico), un po’ di giallo, e tanta ironia, soprattutto
nei siparietti (a volte un po’ insistiti) tra la femminista Amelia ed il
burbero Radcliffe. Un romanzetto lieve, ma sui toni delle prime uscite, con qualche
speranza che si continui verso il meglio.
Elizabeth Peters “Pericolo nella Valle dei Re” TEA euro 8,60 (in
realtà, scontato 7,31 euro)
[A: 28/04/2012 – I: 03/04/2013
– T: 07/04/2013]
[tit. or.: Seeing the large cat; ling. or.: inglese; pagine: 447; anno 1997]
E
verso il meglio si è continuato ad andare. Arrivata alla nona storia, la nostra
autrice decide di rinnovare un po’ la scrittura, anche se non cambia le
caratteristiche tipiche della serie. Certo, da un lato l’eroina Amelia si avvia
verso i cinquanta, e non ha (non può avere) gli stessi slanci e le stesse capacità
“palestrate” dei primi anni. Inoltre i figli crescono. Sia Ramses, che ormai si
avvia ai sedici anni, sia l’adottata Nefret (forse uno in più?). Il primo perde
un po’ l’aria saccente del bambino colto ma rompino, per acquistare in
profondità, anche se tace più del dovuto (e non credo sia aliena l’idea che
stia sbocciando qualcosa verso la bella). Nefret aggiunge un tocco di femminile
gioventù, scevra da condizionamenti anglosassoni, che ricorda la giovane
Amelia. Certo, si introduce anche un elemento di possibile disturbo, con
l’altrettanto giovane David, arabo, anch’esso quasi-adottato. I tre fanno un
bel trio, ma ci sarà da vederne delle belle nelle successive storie. Intanto,
per bilanciare l’onnipresente Amelia, la scrittrice introduce in queste che dovrebbero
essere le memorie dell’archeologa, la presenza di un manoscritto apocrifo,
chiamato “Manoscritto H”, che serve a spiegare passi di storia dove, non essendo
presente Amelia, vengono a mancare elementi di narrazione. Con questo nuovo
impianto (rinnovare per non perire) la storia lievita un po’, assurgendo un
andamento più piacevole delle ultime prove e risultando gradevole, anche se non
ai livelli delle prime due prove. La nostra famiglia allargata si trova così ad
affrontare una situazione non complessa, ma ben articolata. Si va a scavare
nelle tombe della Valle dei Re, per consolidare ritrovamenti precedenti. E ci
si imbatte in un nuovo mistero. In una tomba non segnalata viene ritrovato il
corpo di una signora inglese scomparsa alcuni anni prima, fuggita con l’amante
e lasciando il marito americano con tanto di palmo di naso. Marito che
ritroviamo anch’esso in Egitto, con figlia diciottenne a carico. La morta
risulta essere stata uccisa con un’arma da taglio, e, da indizi vari, capiamo
che l’amante è ancora in circolazione. Ha attirato il maturo americano in
Egitto. Per vendicarsi? Per fare stragi varie? C’è forse anche il ritorno dello
scomparso Sethos? Il tutto si complica dalla presenza di una comparsa di
qualche libro precedente (ricordate la bella Enid?), con marito fuori di testa
e signora inglese che sfrutta la situazione per suoi tornaconti personali.
Amelia ed i tre giovani riescono ad arginare questa storia collaterale (ma la
signorina inglese forse tornerà nel futuro). Facendo molta confusione, ma
permettendo alla storia di svilupparsi e di arrivare alla conclusione
dell’altra. Dove scopriamo, sempre a valle di pericoli che corre la nostra
Amelia, i motivi della scomparsa della morta, della comparsa dell’amante. E di
come sia andata la vicenda. Questa è la parte forse più debole del romanzo, ma
il risultato finale è comunque di gradevole lettura. Anche perché foriero di
possibili anticipazioni verso storie future. O almeno foriero nella mia
immaginazione, che penso all’intreccio dei tre giovani ed a come verrà risolto.
Manca soltanto il ritorno di quelle parti leggere che vedevano Amelia
scagliarsi contro i malcostumi della patria natia. Speriamo tornino. E speriamo
che, prima o poi, i titolatori della serie riescano a riprodurre anche i titoli
stessi, senza alterarne commercialmente il senso. Vero è che nel romanzo i
nostri affrontano pericoli nella Valle dei Re, ma se il titolo originale era
“Vedendo il grande gatto” forse c’era un motivo. Di cui non parlo, lasciando le
storie dei gatti di famiglia (Anubi, Bashtet e Sekhmet) all’agile lettura del
libro.
“Aveva l’allegra abitudine maschile di
lasciare tutto dove lo lasciava cadere… indumenti, libri, giornali.” (241)
Elizabeth Peters “Il papiro insanguinato”
TEA euro 9
[A: 15/04/2012 – I: 22/06/2013 – T: 24/06/2013]
[tit. or.: The Ape Who Guards
The Balance; ling. or.: inglese; pagine: 463; anno 1998]
Non capisco l’ostinata pervicacia dei curatori
dell’altrimenti ottime collane della TEA nel proporre, come lanci dei libri di
Elizabeth Peters, sempre e comunque dei titoli che fanno riferimento a misteri,
gialli, ed altre invenzioni ad effetto. Ormai, chi decide di continuare a
comperare i libri dell’archeologa inglese sa bene che si parla di Egitto, e,
seppur ci sono elementi riconducibili a situazioni “di pericolo”, non è quello
il reale motore delle storie. E non è un caso che in tutti gli ultimi libri che
ne ho letto, nel titolo originale si faccia riferimento ad animali. C’erano
coccodrilli, cammelli, ippopotami, gatti, o, come in questo, scimmie. Anzi,
visto che si fa sempre riferimento a geroglifici, ed a loro significati (spesso
riconducibili a quello che viene chiamato “Libro dei morti” e che andrebbe
analizzato meglio in altra sede), qui si tratta di babbuini posti a controllo
della bilancia. I babbuini sono sempre animali sacri, reincarnazioni o
guardiani del complesso pantheon egizio, e sono posti a guardia della bilancia,
su cui viene posto sopra un piatto il cuore del morto e sull’altro una piuma.
Se il morto è leggero, avrà pace nella vita al di là, altrimenti verrà dato in
pasto ai divoratori di morti. Ecco tutto questo si perde con l’insulso titolo
del papiro insanguinato, anche se un papiro è al centro della vicenda (come
elemento scatenante), collegato (e poi si scoprirà come) al vecchio furfante
gentiluomo Sethos ed alla sua banda. Sethos è sempre quella mente criminale,
innamorato di Amelia dall’inizio, che traffica in reperti rubati, anche se ha
giurato di non recar danno a nessun componente della banda Peabody – Emerson.
Peccato che il suo luogotenente, la famigerata Bertha, rosa dalla gelosia verso
Amelia, rubi papiro ed altro a Sethos e poi fugga in Egitto. Dove, pur se in
ritardo con le loro scadenza, si reca la banda dei nostri beniamini, quelli per
cui continuo a leggere queste storie. Amelia e Radcliffe, ironici ed
innamorati, il figlio Ramses, cresciuto e come sospettavo innamorato, la figlia
“quasi adottiva” Nefret, il giovane David, egiziano copto abilissimo nelle
riproduzioni delle pitture antiche (e dei manufatti). Avevo il sospetto che il
triangolo dei tre giovani necessitasse di un’uscita per non deflagrare, e la
nostra scrittrice l’ha ben presto trovata, introducendo la giovane Lia
(diminutivo di Amelia, e nipote della nostra Sitt Hakim), che ho subito (e con
ragione) pensato avesse un debole per David. Intanto i nostri si riportano a
Luxor, e scavano in quel miracolo di bellezza che è la Valle dei Re e delle Regine,
piena all’inverosimile di tombe illustri (da Ramses II ad Hatshepsut, ed altre
che ancora non sono state scoperte, viste che siamo nel 1907) o meno
(architetti, spose neglette, e simili). Qui la Peters ha buon gioco nel mandare
i suoi strali contro gli scempi che archeologi d’accatto hanno perpetrato per
anni in Egitto e nel Medio Oriente. Tombe violate, reperti trafugati, ma anche
incuria nel preservare dipinti murali. Il più delle volte con la complicità
anche dei curatori dei musei egizi, come il famigerato francese Maspero.
Intanto si dipana la storia. Bertha (camuffata) cerca di prendere in trappola
Amelia e Sethos (anche lui sotto mentite spoglie) cerca di pararne i danni e di
recuperare i reperti che Bertha gli ha rubato. Non entro nello specifico delle
vicende, che sono forse la parte più debole della storia, data la loro prevedibilità.
Si capiscono ben presto quali siano i travestimenti usati. E, attraverso
pericoli, fughe, rapimenti e salvataggi, si arriverà alla giusta conclusione
(almeno di questa storia): Bertha paga il fio, Sethos recupera quello che può,
ed i nostri ne escono sani e salvi. Quello che più prende (anche a livello di
ironia che qui è più marcata di altre volte) è l’ambiente e lo scontro
ambientale: Amelia che vuole incatenarsi a Downing Street per essere solidale
alla causa delle suffragette, le donne egiziane che cercano di studiare per
aver più posto al sole, Nefret che si scontra con gli ottusi ambienti maschili
(lei che tutto sommato è già una valente archeologa e si appresta a diventare
anche un buon medico), Ramses che vediamo di pagina in pagina sempre più innamorato
di Nefret. C’è tempo anche per sollevare una bella contraddizione in seno alla
tribù: quando si scopre l’amore tra David e Lia, la nostra Amelia sembra
schierarsi con i più retrogradi perché David è egiziano e figlio di genitori
poco raccomandabili (benché morti). Qui si prefigura un bello scontro quando la
banda tornerà in Inghilterra, con Emerson e Nefret schierati con i giovani
mentre Amelia e Ramses problematici verso l’interrazzialità (ma penso che la
scrittrice troverà modo di aggiustare il tutto). E tutto sommato continua a mostrarsi
valida l’idea dell’autrice di intercalare la scrittura in prima persona di
Amelia, con controcanti vuoi di Ramses vuoi di Nefret. Insomma, e per finire,
non un romanzo di mistero, ma delle pennellate per chi ama la scrittura piana,
e soprattutto non vede l’ora di tornare al Cairo, a Luxor, alle sabbie
sahariane, ai felafel ed alla shesha. In fondo, è sempre una questione di amore
quello che ci muove.
“Il
segreto della felicità sta nel godere del momento, senza permettere a ricordi
dolorosi o alla paura del futuro di oscurare il radioso presente.” (310)
Elizabeth Peters “Il flagello di Horus” TEA euro 8,90
[A: 15/04/2012 – I: 30/08/2013 – T: 31/08/2013]
[tit. or.: The Falcon at the Portal; ling. or.: inglese; pagine: 465; anno 1999]
Forse sto diventando noioso e ripetitivo, ma
non posso che cominciare anche qui con il solito grido di dolore. Va bene
citare Horus nel titolo (Egitto à attira), ma il falco che si libera attraverso il portale della notte
per portarci ad una nuova alba (questo il senso del titolo inglese, ovviamente
legato ala cosmogonia egizia) dava un senso, una finalizzazione a tutto il
romanzo che, in quanto a misteri ed intrecci, risulta invece un po’ debolino.
Non che non siano presenti, ma stanno diventando un po’ di routine, e
facilmente deducibili dal contesto del racconto. Racconto invece che sembra
ormai vertere su tre piani intersecantesi ma ben delineati. L’intreccio
misterioso, l’intreccio amoroso e l’intreccio sociale. Ben delineati anche
perché la nostra beneamata scrittrice ha deciso da qualche libro a questa parte
di alternare al soggettivo dell’eroina Amelia, un soggettivo in minore della
bella Nefret ed un oggettivo sempre più lungo che fa capo a Ramses. Prima di
entrare nello specifico bisogna evidenziare che sono passati 4 anni dal
precedente libro, che si svolgeva nella stagione 1906-07. Quelli richiesti a
Lia e David per maturare la loro decisione. Ovvio che i due non demordono e si
sposano. Siamo quindi nella stagione 1911-1912. Tra l’altro, facendo i calcoli
con i primi libri, Amelia dovrebbe avviarsi alla sessantina (risulterebbe nata
nel 1852). Ma immutato rimane il suo amore e l’ardore verso l’aitante
Radcliffe. E non mancano alcuni intermezzi “amorosi” tra i due (bello e potente
l’amore sui 60, vero?). Il sociale, quindi, prende le mosse proprio dal
matrimonio tra l’egiziano David e Lia, la nipote di Amelia. A questo si
uniscono le pennellate sul dominio inglese nella regione e sugli afflati di
libertà che serpeggiano tra i locali. E l’arrivo di lord Kirchner (l’eroe di
Khartoum) come comandante in capo. Si possono rintracciare i primi semi che
porteranno una ventina d’anni dopo alla nascita dei Fratelli Mussulmani, ma
questa è una storia diversa (anche se altamente interessante). Qui se ne
riparla che, al seguito delle truppe, arriva in Egitto anche il perfido Percy,
nipote della parte Peabody della storia. Percy che avevamo trovato ragazzo e
perfido nel quinto episodio. E che qui troviamo adulto ed ugualmente perfido.
Autore di un libercolo pieno di idiozie sulla superiorità occidentale verso gli
orientali (ma che ben riflette molti sentimenti dell’epoca). Percy che anche
qui si comporta in modo subdolo per cercare di mettere in cattiva luce il
cugino Ramses. Ben riuscendoci, facendo in modo di far credere che l’onesto
figlio della nostra coppia regina abbia messo in cinta una prostituta egiziana.
Colpa che invece ricade su di lui, interamente. Ma questo qui pro quo riesce a
sconquassare il menage che, libro dopo libro, stava conducendoci verso la
possibile storia d’amore tra Ramses e Nefret. Infatti, mentre mi aspettavo che
finalmente volgesse al bello, le perfide armi di Percy fanno si che Nefret
fugga dall’ala protettiva degli Emerson, e non trovi di meglio che sposarsi
l’adorante Geoffrey. Adorante ma già dall’inizio un pochino subdolo. Entriamo
così nel bel mezzo della prima parte dell’intreccio. Vengono smerciati a
mercanti poco onesti tutta una serie di manufatti, in parte veri ed in parte
falsificati. E vengono fatti circolare come se ne fosse autore David (che
sappiamo avere un passato, ormai rinnegato, di falsario). Questo stratagemma
serve al cattivo di turno per: mettere in cattiva luce la combriccola degli
Emerson e dare una patina di legittimità alla parte “vera” del bottino. Parte
vera che facilmente si intuisce venga dagli scavi di un sito poco distante da
Giza, dove l’anno precedente avevano lavorato Geoffrey e l’americano Jack.
Accompagnati dalla fatua sorella di questi, la bella Maude, che come tutte le
donne occidentali in Egitto nel periodo, almeno sapeva dipingere e scolpire. Ma
che soprattutto si innamora di Ramses e gli fa una corte spietata, suscitando
la sotterranea gelosia di Nefret. Amelia svolge indagini su tutti i possibili implicati
nella vicenda (dove ogni tanto ritroviamo il buon Howard Carter, da cui mi
aspetto qualcosa nel futuro). Ma è ovviamente Ramses che riesce, con le sue
arti di travestimento, ad eliminare tutte le false possibilità. Arriveremo così
alla resa dei conti: con Percy, con Geoffrey, con Jack, con Nefret. Anche se i
cattivi pagheranno il fio delle loro colpe, alla fine non tutti i conti vengono
saldati. Mi aspetto di meglio alla prossima puntata, anche se questa, rispetto
ad altre, riporta in alto il livello della scrittura e della tensione interna
al racconto.
Per ora
altre avventure tacciono (beh, dopo tre intensi mesi sarebbe ora), anche se le
pentole bollono sempre. E mentre ci si avvia a mettere un po’ d’ordine, non
possiamo non rivolgere un pensiero allo scrittore e matematico francese Raymond
Queneau, che, se vivo, compirebbe 110 anni. Forse non c’entra Queneau ma forse
c’entrano gli anni.
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