domenica 13 ottobre 2013

Ameliade - 13 ottobre 2013

Non nel senso dell’ottima eroina della Tautou, ma della ormai ben nota archeologa Amelia Peabody-Emerson, uscita dalla fertile penna di Elizabeth Peters. Comincia intanto con una nota di rimpianto, che ho scoperto ora, facendo alcune ricerche bibliografiche, che durante il viaggio marocchino, la più che novantenne inglese ci ha lasciato. Non avremo più altre indagini sparse tra tombe e piramidi, purtroppo. Ed allora godiamoci questi ulteriori episodi della saga, anche se non tutti alla stessa altezza.
Elizabeth Peters “Il segreto della tomba d’oro” TEA euro 8,60 (in realtà, scontato 7,31 euro)
[A: 01/01/2013 – I: 05/03/2013 – T: 09/03/2013]
[tit. or.: The Hippopotamus Pool; ling. or.: inglese; pagine: 461; anno 1996]
Ancora una volta cominciamo con il grido di dolore dei traduttori di titoli: dall’originale piscina degli ippopotami al segreto della tomba d’oro! E con poca lungimiranza, che la piscina ha un senso legato ad una storia trasversale a tutto il romanzo. Mentre la tomba d’oro serve solo ad attirare i “lettori da stazione ferroviaria”. Comunque, e per fortuna, siamo tornati sul versante alto della scrittura della Peters. Tornano tutti i personaggi centrali della famiglia Peabody-Emerson. Non solo la nostra simpatica Amelia, io narrante e motore delle vicende, insieme al marito Radcliffe (che però tutti chiamano Emerson o Padre delle Imprecazioni, per il suo colorito modo di esprimersi). Ma anche il figlio Ramses, che sta crescendo e presto (credo) incapperà nei dolci problemi dell’infanzia maschile, e la pupilla Nefret, invece già sbocciata e per questo attirante i primi “mosconi” maschili. E verranno in Egitto anche lo zio Walter e la zia Evelyn, in crisi di rapporto, ma che nel lavoro archeologico e nell’affrontare i pericoli, ritroveranno il feeling perduto. Come nelle ultime storie, il filo conduttore è dato da una storia che Amelia traduce dalla scrittura geroglifica, storia che riguarda liberazione da nemici, nonché amore, nonché una piscina di ippopotami (come da titolo), con questo animale devoto alla protezione dei nascituri. E la storia ci conduce anche alla lotta che ben presto vediamo scaturire tra due fazioni “nemiche”: l’una da ricondurre all’avventuriero italiano Riccetti e l’altra a qualcuno che trama nell’ombra. Fazioni che si stanno contendendo l’eredità del (ormai, forse, ma non è sicuro) morto Sethos, la famosa Mente Criminale dei primi romanzi della saga. Fazioni che si contendono anche la benevolenza del baldo Emerson. Il quale, in base a sue conoscenze a noi non note, sembra aver trovato le tracce di una tomba non ancora violata. Il tutto complicato al solito dagli imprevisti che introduce la nostra sapiente scrittrice: la morte improvvisa, per avvelenamento, di uno strano personaggio che aveva avvicinato Amelia a Luxor, sostenendo di conoscere il luogo esatto del sepolcro della regina, e poi caldo infernale, pipistrelli inquietanti, ladri e manigoldi assortiti, turisti rompiscatole, giornalisti ficcanaso... Certo il tutto era nato anche per festeggiare l’inizio del nuovo secolo, con una sontuosa festa all’Hotel Shepheard. Ma ben presto il turbinare degli eventi, porta i nostri a Tebe, sulle orme della tomba della regina Tetisheri. Ci sarà anche una governante che sembra con la testa tra le nuvole, ma che è segretamente innamorata dei misteri dell’antico Egitto. Il cattivo ippopotamo italiano avrà la sua punizione, anche perché, meschino, decide di rapire il giovane Ramses. E questo Emerson certo non glielo perdonerà. L’altra fazione si butta invece su Nefret, ma anche qui avrà corta vita, anche se la nostra Wonder-Amelia alla fine troverà il modo di non punire (troppo) la quasi cattiva Bertha. Che poi ci rimanda alla favola dell’inizio, visto che ha un bel pancione. Alla fine, tutto si aggiusta ed i nostri archeologici fanno anche un gran spolvero delle nuove scoperte, che ben presto verranno mostrate al museo del Cairo (a quanti bei ricordi legati alle passeggiate in piazza Tahir…). Insomma un bel condimento per questo ottavo titolo della serie, dove la Peters sapientemente mescola esotismo (storico e geografico), un po’ di giallo, e tanta ironia, soprattutto nei siparietti (a volte un po’ insistiti) tra la femminista Amelia ed il burbero Radcliffe. Un romanzetto lieve, ma sui toni delle prime uscite, con qualche speranza che si continui verso il meglio.
Elizabeth Peters “Pericolo nella Valle dei Re” TEA euro 8,60 (in realtà, scontato 7,31 euro)
[A: 28/04/2012 – I: 03/04/2013 – T: 07/04/2013]
[tit. or.: Seeing the large cat; ling. or.: inglese; pagine: 447; anno 1997]
E verso il meglio si è continuato ad andare. Arrivata alla nona storia, la nostra autrice decide di rinnovare un po’ la scrittura, anche se non cambia le caratteristiche tipiche della serie. Certo, da un lato l’eroina Amelia si avvia verso i cinquanta, e non ha (non può avere) gli stessi slanci e le stesse capacità “palestrate” dei primi anni. Inoltre i figli crescono. Sia Ramses, che ormai si avvia ai sedici anni, sia l’adottata Nefret (forse uno in più?). Il primo perde un po’ l’aria saccente del bambino colto ma rompino, per acquistare in profondità, anche se tace più del dovuto (e non credo sia aliena l’idea che stia sbocciando qualcosa verso la bella). Nefret aggiunge un tocco di femminile gioventù, scevra da condizionamenti anglosassoni, che ricorda la giovane Amelia. Certo, si introduce anche un elemento di possibile disturbo, con l’altrettanto giovane David, arabo, anch’esso quasi-adottato. I tre fanno un bel trio, ma ci sarà da vederne delle belle nelle successive storie. Intanto, per bilanciare l’onnipresente Amelia, la scrittrice introduce in queste che dovrebbero essere le memorie dell’archeologa, la presenza di un manoscritto apocrifo, chiamato “Manoscritto H”, che serve a spiegare passi di storia dove, non essendo presente Amelia, vengono a mancare elementi di narrazione. Con questo nuovo impianto (rinnovare per non perire) la storia lievita un po’, assurgendo un andamento più piacevole delle ultime prove e risultando gradevole, anche se non ai livelli delle prime due prove. La nostra famiglia allargata si trova così ad affrontare una situazione non complessa, ma ben articolata. Si va a scavare nelle tombe della Valle dei Re, per consolidare ritrovamenti precedenti. E ci si imbatte in un nuovo mistero. In una tomba non segnalata viene ritrovato il corpo di una signora inglese scomparsa alcuni anni prima, fuggita con l’amante e lasciando il marito americano con tanto di palmo di naso. Marito che ritroviamo anch’esso in Egitto, con figlia diciottenne a carico. La morta risulta essere stata uccisa con un’arma da taglio, e, da indizi vari, capiamo che l’amante è ancora in circolazione. Ha attirato il maturo americano in Egitto. Per vendicarsi? Per fare stragi varie? C’è forse anche il ritorno dello scomparso Sethos? Il tutto si complica dalla presenza di una comparsa di qualche libro precedente (ricordate la bella Enid?), con marito fuori di testa e signora inglese che sfrutta la situazione per suoi tornaconti personali. Amelia ed i tre giovani riescono ad arginare questa storia collaterale (ma la signorina inglese forse tornerà nel futuro). Facendo molta confusione, ma permettendo alla storia di svilupparsi e di arrivare alla conclusione dell’altra. Dove scopriamo, sempre a valle di pericoli che corre la nostra Amelia, i motivi della scomparsa della morta, della comparsa dell’amante. E di come sia andata la vicenda. Questa è la parte forse più debole del romanzo, ma il risultato finale è comunque di gradevole lettura. Anche perché foriero di possibili anticipazioni verso storie future. O almeno foriero nella mia immaginazione, che penso all’intreccio dei tre giovani ed a come verrà risolto. Manca soltanto il ritorno di quelle parti leggere che vedevano Amelia scagliarsi contro i malcostumi della patria natia. Speriamo tornino. E speriamo che, prima o poi, i titolatori della serie riescano a riprodurre anche i titoli stessi, senza alterarne commercialmente il senso. Vero è che nel romanzo i nostri affrontano pericoli nella Valle dei Re, ma se il titolo originale era “Vedendo il grande gatto” forse c’era un motivo. Di cui non parlo, lasciando le storie dei gatti di famiglia (Anubi, Bashtet e Sekhmet) all’agile lettura del libro.
“Aveva l’allegra abitudine maschile di lasciare tutto dove lo lasciava cadere… indumenti, libri, giornali.” (241)
Elizabeth Peters “Il papiro insanguinato” TEA euro 9
[A: 15/04/2012 – I: 22/06/2013 – T: 24/06/2013]
[tit. or.: The Ape Who Guards The Balance; ling. or.: inglese; pagine: 463; anno 1998]
Non capisco l’ostinata pervicacia dei curatori dell’altrimenti ottime collane della TEA nel proporre, come lanci dei libri di Elizabeth Peters, sempre e comunque dei titoli che fanno riferimento a misteri, gialli, ed altre invenzioni ad effetto. Ormai, chi decide di continuare a comperare i libri dell’archeologa inglese sa bene che si parla di Egitto, e, seppur ci sono elementi riconducibili a situazioni “di pericolo”, non è quello il reale motore delle storie. E non è un caso che in tutti gli ultimi libri che ne ho letto, nel titolo originale si faccia riferimento ad animali. C’erano coccodrilli, cammelli, ippopotami, gatti, o, come in questo, scimmie. Anzi, visto che si fa sempre riferimento a geroglifici, ed a loro significati (spesso riconducibili a quello che viene chiamato “Libro dei morti” e che andrebbe analizzato meglio in altra sede), qui si tratta di babbuini posti a controllo della bilancia. I babbuini sono sempre animali sacri, reincarnazioni o guardiani del complesso pantheon egizio, e sono posti a guardia della bilancia, su cui viene posto sopra un piatto il cuore del morto e sull’altro una piuma. Se il morto è leggero, avrà pace nella vita al di là, altrimenti verrà dato in pasto ai divoratori di morti. Ecco tutto questo si perde con l’insulso titolo del papiro insanguinato, anche se un papiro è al centro della vicenda (come elemento scatenante), collegato (e poi si scoprirà come) al vecchio furfante gentiluomo Sethos ed alla sua banda. Sethos è sempre quella mente criminale, innamorato di Amelia dall’inizio, che traffica in reperti rubati, anche se ha giurato di non recar danno a nessun componente della banda Peabody – Emerson. Peccato che il suo luogotenente, la famigerata Bertha, rosa dalla gelosia verso Amelia, rubi papiro ed altro a Sethos e poi fugga in Egitto. Dove, pur se in ritardo con le loro scadenza, si reca la banda dei nostri beniamini, quelli per cui continuo a leggere queste storie. Amelia e Radcliffe, ironici ed innamorati, il figlio Ramses, cresciuto e come sospettavo innamorato, la figlia “quasi adottiva” Nefret, il giovane David, egiziano copto abilissimo nelle riproduzioni delle pitture antiche (e dei manufatti). Avevo il sospetto che il triangolo dei tre giovani necessitasse di un’uscita per non deflagrare, e la nostra scrittrice l’ha ben presto trovata, introducendo la giovane Lia (diminutivo di Amelia, e nipote della nostra Sitt Hakim), che ho subito (e con ragione) pensato avesse un debole per David. Intanto i nostri si riportano a Luxor, e scavano in quel miracolo di bellezza che è la Valle dei Re e delle Regine, piena all’inverosimile di tombe illustri (da Ramses II ad Hatshepsut, ed altre che ancora non sono state scoperte, viste che siamo nel 1907) o meno (architetti, spose neglette, e simili). Qui la Peters ha buon gioco nel mandare i suoi strali contro gli scempi che archeologi d’accatto hanno perpetrato per anni in Egitto e nel Medio Oriente. Tombe violate, reperti trafugati, ma anche incuria nel preservare dipinti murali. Il più delle volte con la complicità anche dei curatori dei musei egizi, come il famigerato francese Maspero. Intanto si dipana la storia. Bertha (camuffata) cerca di prendere in trappola Amelia e Sethos (anche lui sotto mentite spoglie) cerca di pararne i danni e di recuperare i reperti che Bertha gli ha rubato. Non entro nello specifico delle vicende, che sono forse la parte più debole della storia, data la loro prevedibilità. Si capiscono ben presto quali siano i travestimenti usati. E, attraverso pericoli, fughe, rapimenti e salvataggi, si arriverà alla giusta conclusione (almeno di questa storia): Bertha paga il fio, Sethos recupera quello che può, ed i nostri ne escono sani e salvi. Quello che più prende (anche a livello di ironia che qui è più marcata di altre volte) è l’ambiente e lo scontro ambientale: Amelia che vuole incatenarsi a Downing Street per essere solidale alla causa delle suffragette, le donne egiziane che cercano di studiare per aver più posto al sole, Nefret che si scontra con gli ottusi ambienti maschili (lei che tutto sommato è già una valente archeologa e si appresta a diventare anche un buon medico), Ramses che vediamo di pagina in pagina sempre più innamorato di Nefret. C’è tempo anche per sollevare una bella contraddizione in seno alla tribù: quando si scopre l’amore tra David e Lia, la nostra Amelia sembra schierarsi con i più retrogradi perché David è egiziano e figlio di genitori poco raccomandabili (benché morti). Qui si prefigura un bello scontro quando la banda tornerà in Inghilterra, con Emerson e Nefret schierati con i giovani mentre Amelia e Ramses problematici verso l’interrazzialità (ma penso che la scrittrice troverà modo di aggiustare il tutto). E tutto sommato continua a mostrarsi valida l’idea dell’autrice di intercalare la scrittura in prima persona di Amelia, con controcanti vuoi di Ramses vuoi di Nefret. Insomma, e per finire, non un romanzo di mistero, ma delle pennellate per chi ama la scrittura piana, e soprattutto non vede l’ora di tornare al Cairo, a Luxor, alle sabbie sahariane, ai felafel ed alla shesha. In fondo, è sempre una questione di amore quello che ci muove.
“Il segreto della felicità sta nel godere del momento, senza permettere a ricordi dolorosi o alla paura del futuro di oscurare il radioso presente.” (310)
Elizabeth Peters “Il flagello di Horus” TEA euro 8,90
[A: 15/04/2012 – I: 30/08/2013 – T: 31/08/2013]
[tit. or.: The Falcon at the Portal; ling. or.: inglese; pagine: 465; anno 1999]
Forse sto diventando noioso e ripetitivo, ma non posso che cominciare anche qui con il solito grido di dolore. Va bene citare Horus nel titolo (Egitto à attira), ma il falco che si libera attraverso il portale della notte per portarci ad una nuova alba (questo il senso del titolo inglese, ovviamente legato ala cosmogonia egizia) dava un senso, una finalizzazione a tutto il romanzo che, in quanto a misteri ed intrecci, risulta invece un po’ debolino. Non che non siano presenti, ma stanno diventando un po’ di routine, e facilmente deducibili dal contesto del racconto. Racconto invece che sembra ormai vertere su tre piani intersecantesi ma ben delineati. L’intreccio misterioso, l’intreccio amoroso e l’intreccio sociale. Ben delineati anche perché la nostra beneamata scrittrice ha deciso da qualche libro a questa parte di alternare al soggettivo dell’eroina Amelia, un soggettivo in minore della bella Nefret ed un oggettivo sempre più lungo che fa capo a Ramses. Prima di entrare nello specifico bisogna evidenziare che sono passati 4 anni dal precedente libro, che si svolgeva nella stagione 1906-07. Quelli richiesti a Lia e David per maturare la loro decisione. Ovvio che i due non demordono e si sposano. Siamo quindi nella stagione 1911-1912. Tra l’altro, facendo i calcoli con i primi libri, Amelia dovrebbe avviarsi alla sessantina (risulterebbe nata nel 1852). Ma immutato rimane il suo amore e l’ardore verso l’aitante Radcliffe. E non mancano alcuni intermezzi “amorosi” tra i due (bello e potente l’amore sui 60, vero?). Il sociale, quindi, prende le mosse proprio dal matrimonio tra l’egiziano David e Lia, la nipote di Amelia. A questo si uniscono le pennellate sul dominio inglese nella regione e sugli afflati di libertà che serpeggiano tra i locali. E l’arrivo di lord Kirchner (l’eroe di Khartoum) come comandante in capo. Si possono rintracciare i primi semi che porteranno una ventina d’anni dopo alla nascita dei Fratelli Mussulmani, ma questa è una storia diversa (anche se altamente interessante). Qui se ne riparla che, al seguito delle truppe, arriva in Egitto anche il perfido Percy, nipote della parte Peabody della storia. Percy che avevamo trovato ragazzo e perfido nel quinto episodio. E che qui troviamo adulto ed ugualmente perfido. Autore di un libercolo pieno di idiozie sulla superiorità occidentale verso gli orientali (ma che ben riflette molti sentimenti dell’epoca). Percy che anche qui si comporta in modo subdolo per cercare di mettere in cattiva luce il cugino Ramses. Ben riuscendoci, facendo in modo di far credere che l’onesto figlio della nostra coppia regina abbia messo in cinta una prostituta egiziana. Colpa che invece ricade su di lui, interamente. Ma questo qui pro quo riesce a sconquassare il menage che, libro dopo libro, stava conducendoci verso la possibile storia d’amore tra Ramses e Nefret. Infatti, mentre mi aspettavo che finalmente volgesse al bello, le perfide armi di Percy fanno si che Nefret fugga dall’ala protettiva degli Emerson, e non trovi di meglio che sposarsi l’adorante Geoffrey. Adorante ma già dall’inizio un pochino subdolo. Entriamo così nel bel mezzo della prima parte dell’intreccio. Vengono smerciati a mercanti poco onesti tutta una serie di manufatti, in parte veri ed in parte falsificati. E vengono fatti circolare come se ne fosse autore David (che sappiamo avere un passato, ormai rinnegato, di falsario). Questo stratagemma serve al cattivo di turno per: mettere in cattiva luce la combriccola degli Emerson e dare una patina di legittimità alla parte “vera” del bottino. Parte vera che facilmente si intuisce venga dagli scavi di un sito poco distante da Giza, dove l’anno precedente avevano lavorato Geoffrey e l’americano Jack. Accompagnati dalla fatua sorella di questi, la bella Maude, che come tutte le donne occidentali in Egitto nel periodo, almeno sapeva dipingere e scolpire. Ma che soprattutto si innamora di Ramses e gli fa una corte spietata, suscitando la sotterranea gelosia di Nefret. Amelia svolge indagini su tutti i possibili implicati nella vicenda (dove ogni tanto ritroviamo il buon Howard Carter, da cui mi aspetto qualcosa nel futuro). Ma è ovviamente Ramses che riesce, con le sue arti di travestimento, ad eliminare tutte le false possibilità. Arriveremo così alla resa dei conti: con Percy, con Geoffrey, con Jack, con Nefret. Anche se i cattivi pagheranno il fio delle loro colpe, alla fine non tutti i conti vengono saldati. Mi aspetto di meglio alla prossima puntata, anche se questa, rispetto ad altre, riporta in alto il livello della scrittura e della tensione interna al racconto.
Per ora altre avventure tacciono (beh, dopo tre intensi mesi sarebbe ora), anche se le pentole bollono sempre. E mentre ci si avvia a mettere un po’ d’ordine, non possiamo non rivolgere un pensiero allo scrittore e matematico francese Raymond Queneau, che, se vivo, compirebbe 110 anni. Forse non c’entra Queneau ma forse c’entrano gli anni.

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