domenica 19 gennaio 2014

Gialli dopo Marrakech - 19 gennaio 2014

Nel senso di polizieschi che tramo dopo la bella settimana trascorsa in Marocco (con un mini-gruppo simpatico che saluto). Ed allora dopo l’Africa, torniamo in Italia con un ampio spettro di valori: dal poco avvincente giallo-storico di ambiente antica romana di Danila Comastri Montanari, pur con un altrove simpatico Publio Aurelio Stazio “detective”, salendo alla terza puntata del commissario Igor Attila di Paolo Foschi, fermandosi un attimo nella Liguria di Nadia Morbelli, e finendo con un libro bello e pieno di ritmo dell’ottimo Massimo Carlotto (aspettando sempre il ritorno dell’Alligatore…).
Paolo Foschi “Il killer delle maratone” E/O euro 15 (in realtà, scontato a 12 euro)
[A: 23/05/2013– I: 25/09/2013 – T: 27/09/2013] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 171; anno 2013]
Terza prova di scrittura del buon Foschi, al solito gradevole, anche se un po’ altalenante. Diciamo che sulla struttura poliziesca si torna un po’ dietro, verso il primo libro, mentre il contesto rimane di un buon livello, forse anche migliore del secondo. Qui, infatti, il giallo è molto pretesto per parlare di altro, tanto che, se i poliziotti fossero meno “ottusi” potrebbero risolverlo ben presto. Non c’è gran che di misterioso in questo serial killer che uccide maratoneti quando passano vicino a significativi monumenti risorgimentali. Senza mettere in mezzo tutto quello sproloquio di ricerche, di psicologia, di balestre, di Afghanistan, di servizi segreti. E via talmente incasinando che quando tutto si risolve (come io avevo previsto già al secondo morto) ci si domanda: ma c’era bisogno di scrivere tanto per tutto ciò? Mentre le vicende umane e politiche sono più importanti e meglio tratteggiate e descritte. L’angoscia di Igor per il coma (forse irreversibile) di Titta, in attesa che il comitato etico dell’ospedale decida quali decisioni prendere, se staccare la spina – rischiando l’eutanasia – o continuare con le cure – rischiando l’accanimento terapeutico. Il rapporto tra il poliziotto Attila ed il potere costituito (tra questore e procuratore) dove appunto Igor ha tutte le ragioni, ma il potere riesce sempre a metterlo in un angolo, ed a premiare quelli che a lui sono asserviti. La domanda che ci pone Foschi con questa parte di racconto è quanto sia più forte l’amore della fedeltà. C’è, infatti, un triangolo di iniziative e schermaglie che coinvolge da un lato Igor ed il suo sottoposto Palmiro nella ricerca della verità, dall’altra Palmiro e Chiara, agenti fidanzati ma su due opposte sponde di potere. Igor Attila è senz’altro un personaggio scomodo, poco benvoluto dai suoi superiori, simpatico come un sassolino nella scarpa, tanto che gli vogliono togliere il caso, visto che brancola nel buio fra tanti indizi, tutti poco utili. Ma mentre lo vorrebbero relegare all’indagine sul furto di alcune magliette (che lui risolve con la mano sinistra), con la sua caparbietà e l’assenza di rispetto delle regole, riesce a condurre un’indagine parallela che lo porterà a scoprire la verità.  Abbiamo di nuovo in campo la strana squadra di Igor della Sezione Crimini Sportivi, con tutti quei pur simpatici poliziotti che hanno dirazzato dallo sport “per bene” e che ora cercano il riscatto se non nell’onestà, quanto meno nella giustizia (e non è un ossimoro). Poi c’è il cattivo camorrista che abbiamo conosciuto nel precedente romanzo e le sue vendette che qui proseguono e raggiungono un loro punto di non ritorno. Ci sono gli immigrati del furto di magliette, dove seguiamo la semplice e simpatica storia del giovane Boris. Ma sempre e soprattutto c’è Igor vs. il mondo: Titta, la tristezza, le chitarre, Capracotta, la moto. Ed una fine tanto aperta da essere chiusa. Questi finali sono ormai una cifra dello stile di Foschi, che sulla fine ci lascia con quella domanda: finisce qui o ci sono le premesse per una nuova avventura? Altri e più prolifici autori, ci facevano balenare le stesse domande ad ogni fine di capitolo (e non parlo di giganti alla Hugo o alla Dickens, ma anche di buoni carneadi alla Kathy Reichs). Vedremo cosa deciderà l’autore, se si è stancato delle sue storie oppure no. Intanto, pur rimanendo sotto tono per la parte poliziesca, qui Foschi ha messo il dito sulla piaga della Sanità italiana, dove regolamenti monchi ed una società di facciata retrograda e puritana, impediscono a chi è vicino ai malati di avere notizie, consentendo al fratello di Titta, con cui non aveva rapporti da oltre dieci anni, di assurgere a giudice della contesa. Quand’è che riusciremo a consentire di avere il giusto peso alle giuste persone? Dibattito aperto.
Danila Comastri Montanari “Tabula Rasa” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 15/07/2013– I: 03/10/2013 – T: 04/10/2013] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 322; anno 2011]
Mi ricordo che lessi tanti e tanti anni fa, uno dei primi libri di Danila, credo sia stato “Cui prodest?”, incuriosito dall’idea della trama e della sua collocazione. Un mistery storico, come si etichetterebbe ora questo tipo di scrittura. Cioè un giallo ambientato in altra epoca. E Danila ha inventato tutta una cosmogonia per la sua scrittura, collocando le vicende di cui narra nel I secolo d.c., durante il regno dell’imperatore Claudio. E ponendo al centro della sua scrittura l’eccentrico  senatore romano Publio Aurelio Stazio, amante delle belle donne e coinvolto (spesso suo malgrado, ma a volte no) in morti misteriose e ricerche altrettanto misteriose di soluzioni. Una scrittura con qualche interesse, ma non tale da convincermi poi a seguire le peripezie di Stazio durante gli anni (e credo siano usciti ormai 17 libri su di lui). Ora, l’esimia collana di Repubblica ne pubblica l’ultimo reperibile (anche in vista di nuove uscite) convincendomi a ritentare la lettura, soprattutto perché la collana si rifà a “Noir nella Storia”, vicende investigative sparse nel tempo passato. Devo dire però, che seppur la collana ha elementi di interesse, per la scrittura di Danila gli anni passano ma il giudizio resta immutato: leggibile, ma con scarso godimento. Questa volta, tra l’altro, dall’amata Roma (che ben si conosceva) Danila sposta l’azione nell’altrettanto amata Alessandria, che c’è da risolvere (per Claudio) il problema dei rapporti con i Parti. Quindi, cosa di meglio che inviare colà il nostro Stazio (e così magari ce lo togliamo di torno per un po’). E Stazio va ad Alessandria sotto copertura, come un nobile romano convertitosi al culto del dio Sobek, tanto da costruirsi una villa con tanto di coccodrillo. L’accompagnano la sua solita coorte (il furbo segretario Castore, che essendo di Alessandria, va alla ricerca delle sue radici, l’abile massaggiatrice Nefer), cui si aggiunge un nuovo segretario, l'ebreo Efraim Ben Baruk, che si rivelerà prezioso nel fornirgli puntuali informazioni (anche se pure lui farà una brutta fine). Ma Stazio non sa stare lontano dai misteri, e ben due cadaveri di donne vengono trovati nel giardino, entrambe devote alla dea Bast, la dea gatta (anche se dai libri della Peters, mi sembrava si chiamasse Bastet). Mentre indaga su queste morti, il nostro deve anche adempiere la sua missione, omaggiando il viceprefetto Caio Greganio Merenda, dove conosce la sua eccentrica moglie Candida. Devota alla dea gatta, con la quale Stazio incomincia una possibile relazione, presto troncata dalla morte della stessa Candida. Inoltre, durante le manovre militari per il funzionamento di una macchina da guerra progettata dal militare Nicomaco, questa rischia di fare una strage, se non fosse per l’intervento dello stesso Stazio. È ovvio che una spia si aggira in Alessandria, facendo aumentare l’entropia della trama. Arriva anche una delegazione dei Parti, ma non è con il codardo principe Orote che Stazio dovrà trattare, ma con la sua vecchia conoscenza Arsace. Alla fine, sarà con Arsace che Stazio stabilirà una tregua onorevole, tesa al risanamento delle relazioni commerciali nel Mediterraneo (obiettivo principe). Rimane il problema della spia, che continua ad uccidere, visto che muore anche Antef, uno schiavo di Greganio, e la bella etera Crisotemi rischia anch’essa una brutta fine. Chi sarà il cattivo? Il progettista Nicomaco? Il capo militare messo in secondo piano dagli avvenimenti? Lo stesso viceprefetto Greganio? In un finale convulso, Stazio, con l’aiuto di Crisotemi, attira il malvagio nella sua villa, dove questi muore divorato dal coccodrillo (giusta fine del cattivo, che si scopre essere l’autore di tutti i delitti). Unico slancio di intrattenimento, il sottile gioco con il termine del titolo. Il cattivo cerca di fare “tabula rasa” di chi potrebbe incriminarlo (nel senso moderno di uccidere tutti quelli che di lui sanno). Ma anche si gioca sul termine originario della locuzione, quelle tavolette di cera riusabili, dove si scrivono messaggi, e poi si cancellano, facendo appunto “tabula rasa”. E questo servirà a scoprire dei codici di comunicazione tra la spia ed i Parti. Ma è tutto molto ingarbugliato, con pochi slanci ironici. Di cui alcuni veramente stonati, come la frase sotto riportata, che Castore pronuncia nelle prime pagine, senza che l’autrice abbia tema di confrontarsi con il Totò di quasi duemila anni dopo. Insomma, un plot ben inserito nella storia, ma debole sia sull’intreccio che sul versante mistery. Meglio senz’altro sono le ricerche storiche e filosofiche del detective Aristotele della canadese Doody.
“La civiltà si respira nell’aria: greci si nasce e, modestamente, io vi nacqui!” [cioè citare Totò poco meno di duemila anni prima della sua nascita!!!] (13)
Massimo Carlotto “Respiro corto” Einaudi euro 13 (in realtà, scontato a 9,75 euro)
[A: 15/07/2013– I: 12/10/2013 – T: 15/10/2013] - &&&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201; anno 2012]
Ogni volta che riapro un libro di Massimo Carlotto mi aspetto che, prima o poi, sbuchi  l’Alligatore. E purtroppo non è così. Anche qui. Ma in compenso esce fuori un noir di buon ritmo, confermerei (come dice De Cataldo) quasi alla Tarantino (almeno in termini di morti e schizzi di sangue per quasi tutte le pagine). Ed invece decisamente “alla Carlotto” la mancanza di eroi positivi. Forse c’è qualcuno meno cattivo di altri, ma certo non c’è nessuno con cui identificarsi, per cui fare il tifo. La maestria dello scrittore si svolge per le duecento pagine, portandoci per mano da diversi angoli del mondo, fino ad una convergenza nel crocevia di Marsiglia,  città ormai eponimo di (quasi) tutte le male attività mondiali. Città dove arriva la droga dal Sud America o dal Nord Africa, dove si precipitano mafiosi italiani e russi, dove circolano prostitute provenienti da tutto il mondo e dove la polizia si divide anch’essa tra cattivi e cattivissimi. Carlotto fa precipitare in questo crogiolo le attività di quattro giovanotti (tre uomini e una donna) conosciutisi studenti in quel di Leeds, e decisi a sfruttare al meglio le loro doti criminali per … Questo è uno dei misteri che non ho decifrato. Fare soldi, ottenere potere per poi fare cosa? Rimanere nel crimine è una sfida dal respiro molto corto, uscirne te lo toglie del tutto. Intanto ci sono questi quattro: il russo, l’indiano, la svizzera e l’italiano. Zosim è affiliato ad una banda della mafia russa, ma si è anche venduto all’ex-KGB per ottenere una sua libertà d’azione. La banda russa viene distrutta e lui inviato a Marsiglia per una nuova operazione sotto copertura. Sunil gestisce per il padre lavori al nero di indiani e sub-asiatici vari, soprattutto nello smantellamento di navi depredate. Dove questi si ammalano, e con tutta la famiglia diventano (non-)volontari donatori di organi. Giuseppe si laurea in medicina e metterà a disposizione una clinica per le operazioni che arrivano dall’India. E la bella Inez sfrutta il suo genio finanziario per far girare i loro soldi, e creare quel deposito sicuro che permetterà loro… Su questa vicenda si innesta la perturbazione del colombiano Josè che dopo aver venduto il suo capo in patria, si trova abbandonato da amici e nemici, riesce a fuggire come corriere della droga verso Marsiglia. Dove però viene intercettato e costretto a collaborare dall’ispettrice Bourdet che gestisce il lato nero della polizia marsigliese. Quello che è in contatto con i corsi vecchio stampo che gestiscono la città da decine e decine di anni. Che non tollerano intrusioni. E che quindi preferiscono piccole collusioni con il potere per cercare di sopravvivere. Tutte queste vicende convergono su di un traffico di armi dal Marocco verso la Cecenia. Traffico gestito da una coppia della Transnistria (regione in lotta di indipendenza con tutti, russi, rumeni, moldavi) protetti dai corsi di cui sopra. Il KGB, che controlla Zosim, intercetta il traffico e trucida tutti. Bourdet, aiutato dai corsi, intercetta il comando del KGB trucidandolo a sua volta. Il gruppo di Zosim, che per affrancarsi dai russi, aveva cercato di colludere con dei potenti politici locali viene intercettato da Bourdet che da anni cerca di incastrarli. Ma il colombiano José che aveva fornito le indicazioni dei vari punti di smistamento, si allea con Zosim e quindi viene mollato da Bourdet e rispedito in patria dove verrà a sua volta trucidato. Tra un morto e l’altro, i nostri salvano la pelle, ma sono ormai fuori gioco dal grande giro che avevano messo in piedi. Ed anche l’amore tra Inez e Zosim arriva ad un punto di non ritorno: o si mettono insieme o si lasciano. Non dico la fine o le fini o i fini o … Ecco che rimetto i puntini, non perché manchino le parole ma perché qui, come sopra, vorrei lasciare delle zone d’ombra, che i lettori attenti degli scritti di Carlotto riempiranno con le loro considerazioni e deduzioni. Io termino qui la trama, dando appuntamento a Massimo ai prossimi romanzi. Per ora non leggerò (non sono convinto) la serie delle Vendicatrici che sta pubblicando con Videtta. Aspetterò sperando il passaggio di un nuovo alligatore…
Nadia Morbelli “Hanno ammazzato la Marinin” Giunti euro 6,90 (in realtà, scontato a 5,87 euro)
[A: 01/07/2013– I: 18/10/2013 – T: 22/10/2013] - &&& e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 216; anno 2012]
Un giallo discretamente intelligente, scritto con cura, umoristicheggiante ma non troppo. Sicuramente, con una pittura intrigante di Genova e dell’entroterra liguro-piemontese. Certo, non parliamo né di capolavori, né di opera imperdibile. Parliamo di una degna lettura e di un’autrice che sembra promettere successivi godibili libri. Intanto, non ci stupiremo certo che la Morbelli sia una lettrice e, da buona paleografa, anche con capacità di razionalizzare le letture degli stilemi del giallo classico. Che qui, appunto, applica con diligenza la scrittura “alla Ellery Queen”, mettendo in campo in soggettiva il sé stesso narrante. Nadia che lavora in una casa editrice (idem), piccola e sempre sull’orlo di (idem), che ha una famiglia alle spalle di genitori pensionati e ritiratisi nelle campagne avite, che ha un’amica del cuore (Carla) con la quale passa la maggior parte del tempo libero, che ha una specie di fidanzato lontano che non compare in tutto il libro ma di cui sappiamo l’esistente incombenza. Su questo plot, si instaura la morte della madre di una coinquilina di Nadia, la Marinin appunto. Morte che sembra essere avvenuta a seguito di un tentativo di rapina, quando Nadia era sola nel palazzo (stiamo intorno a Pasqua). Ma parte anche tutto un susseguirsi di mini-racconti che allargano a poco a poco l’orizzonte dell’uccisione, coinvolgendo nella mente della nostra Nadia-Ellery persone e cose del “natio borgo selvaggio”. Dato che la famiglia della morta era per l’appunto degli stessi lidi natii. E ben conosciuta dalla madre, da Carla e da tutte le persone amiche e frequentate da Nadia. Così scopriamo che pochi mesi prima anche il marito della Marinin, lo Scianca era morto, dubbiosamente travolto dal suo trattore. Scianca che si era comperato la cascina campagnola con dei soldi probabilmente provenienti da un risarcimento avuto dall’avvocato Bruzzo al posto del quale si era fatto un po’ di carcere per un traffico d’armi. Un traffico d’armi che l’avvocato fascistone intratteneva con i croati di Tuzla. Croati che, discretamente ma con flusso costante, da un certo anno in poi (e sicuramente alla fine delle ostilità) cominciano a comparire nelle campagne dell’avvocato. Ma tutto sembrava essersi messo nei solchi della quasi normalità, se non che la morte del marito della Rosina e l’insopportabilità della Marinin, non avessero fatto presagire un ritorno nelle campagne della suddetta. Tutto questo, Nadia lo tira fuori tra discussioni, visite a casa, scatenamento della madre pettegola, cena con Carla e i suoi amici. Ed anche chiacchiere vivaci ed un po’ complici con il vice-questore Prini, “brutto”, secondo la stessa Nadia, ma anche affascinante di conversazioni su film e libri. Per vie traverse Prini e Nadia arrivano ad individuare il colpevole della morte, … (e mica ve lo posso dire chi è!!). Quello su cui divergono sono i modi e le motivazioni del reato. Noi ovviamente, siamo dalla parte di Nadia. Che però non le illustra al “celerino”, dopo che alcune sue avances erano state bloccate dal Prini stesso con motivazioni che fanno supporre la presenza di una più o meno fidanzata anche per lui (e qui scopriamo l’esistenza del lontano Valerio). Su questo impasse si blocca la vicenda quasi amorosa della storia. Lasciandoci il giallo, la sua risoluzione, nonché una serie di cene ed aperitivi in giro tra Genova e la campagna. Un mangiare da far venire acquolina in bocca, e voglia di esplorare ancora queste terre a me poco note. Magari mangiando un piatto di funghi crudi tagliati sottili conditi con scaglie di grana ed olio appena uscito dal frantoio. Il tutto bagnato da uno Sciacchetrà originale del contadino. Certo queste sono le parti migliori (secondo me), con anche tutto il contorno delle frequentazioni cittadine e campagnole di Nadia. La parte gialla rimane un po’ un pretesto, e, come detto, non tanto complicata da prenderci. Tuttavia la lettura è risultata piacevole e foriera di pensieri viaggianti.
“Quante volte nella vita va tutto a carte quarantotto esattamente quando ogni cosa sembra prendere la giusta piega e risolversi per il meglio.” (189)

Accenno brevemente per i nuovi ed i dimentichi che ogni libro riporta titolo, prezzo reale, prezzo pagato, data di acquisto (A), data di inizio (I) e fine (T) lettura, numeri di gradimento (tra 1 e 6), eventuale titolo originale, pagine e anno di scrittura. Per il resto, come detto, una bella settimana marocchina, rovinata solo da una mezza giornata di pioggia a Marrakech, una ricerca di nuovi viaggi, e di (speriamo finalmente) sistemazione definitiva della casa e delle sue carte.

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