Nel senso di polizieschi che
tramo dopo la bella settimana trascorsa in Marocco (con un mini-gruppo
simpatico che saluto). Ed allora dopo l’Africa, torniamo in Italia con un ampio
spettro di valori: dal poco avvincente giallo-storico di ambiente antica romana
di Danila Comastri Montanari, pur con un altrove simpatico Publio Aurelio
Stazio “detective”, salendo alla terza puntata del commissario Igor Attila di
Paolo Foschi, fermandosi un attimo nella Liguria di Nadia Morbelli, e finendo
con un libro bello e pieno di ritmo dell’ottimo Massimo Carlotto (aspettando
sempre il ritorno dell’Alligatore…).
Paolo Foschi “Il killer delle maratone” E/O euro 15 (in realtà,
scontato a 12 euro)
[A: 23/05/2013– I: 25/09/2013 – T: 27/09/2013] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 171;
anno 2013]
Terza
prova di scrittura del buon Foschi, al solito gradevole, anche se un po’
altalenante. Diciamo che sulla struttura poliziesca si torna un po’ dietro,
verso il primo libro, mentre il contesto rimane di un buon livello, forse anche
migliore del secondo. Qui, infatti, il giallo è molto pretesto per parlare di
altro, tanto che, se i poliziotti fossero meno “ottusi” potrebbero risolverlo
ben presto. Non c’è gran che di misterioso in questo serial killer che uccide
maratoneti quando passano vicino a significativi monumenti risorgimentali.
Senza mettere in mezzo tutto quello sproloquio di ricerche, di psicologia, di
balestre, di Afghanistan, di servizi segreti. E via talmente incasinando che
quando tutto si risolve (come io avevo previsto già al secondo morto) ci si
domanda: ma c’era bisogno di scrivere tanto per tutto ciò? Mentre le vicende
umane e politiche sono più importanti e meglio tratteggiate e descritte.
L’angoscia di Igor per il coma (forse irreversibile) di Titta, in attesa che il
comitato etico dell’ospedale decida quali decisioni prendere, se staccare la
spina – rischiando l’eutanasia – o continuare con le cure – rischiando
l’accanimento terapeutico. Il rapporto tra il poliziotto Attila ed il potere costituito
(tra questore e procuratore) dove appunto Igor ha tutte le ragioni, ma il
potere riesce sempre a metterlo in un angolo, ed a premiare quelli che a lui
sono asserviti. La domanda che ci pone Foschi con questa parte di racconto è
quanto sia più forte l’amore della fedeltà. C’è, infatti, un triangolo di
iniziative e schermaglie che coinvolge da un lato Igor ed il suo sottoposto
Palmiro nella ricerca della verità, dall’altra Palmiro e Chiara, agenti
fidanzati ma su due opposte sponde di potere. Igor Attila è senz’altro un
personaggio scomodo, poco benvoluto dai suoi superiori, simpatico come un
sassolino nella scarpa, tanto che gli vogliono togliere il caso, visto che
brancola nel buio fra tanti indizi, tutti poco utili. Ma mentre lo vorrebbero
relegare all’indagine sul furto di alcune magliette (che lui risolve con la
mano sinistra), con la sua caparbietà e l’assenza di rispetto delle regole,
riesce a condurre un’indagine parallela che lo porterà a scoprire la verità. Abbiamo di nuovo in campo la strana squadra
di Igor della Sezione Crimini Sportivi, con tutti quei pur simpatici poliziotti
che hanno dirazzato dallo sport “per bene” e che ora cercano il riscatto se non
nell’onestà, quanto meno nella giustizia (e non è un ossimoro). Poi c’è il
cattivo camorrista che abbiamo conosciuto nel precedente romanzo e le sue
vendette che qui proseguono e raggiungono un loro punto di non ritorno. Ci sono
gli immigrati del furto di magliette, dove seguiamo la semplice e simpatica
storia del giovane Boris. Ma sempre e soprattutto c’è Igor vs. il mondo: Titta,
la tristezza, le chitarre, Capracotta, la moto. Ed una fine tanto aperta da essere
chiusa. Questi finali sono ormai una cifra dello stile di Foschi, che sulla
fine ci lascia con quella domanda: finisce qui o ci sono le premesse per una
nuova avventura? Altri e più prolifici autori, ci facevano balenare le stesse
domande ad ogni fine di capitolo (e non parlo di giganti alla Hugo o alla
Dickens, ma anche di buoni carneadi alla Kathy Reichs). Vedremo cosa deciderà l’autore,
se si è stancato delle sue storie oppure no. Intanto, pur rimanendo sotto tono
per la parte poliziesca, qui Foschi ha messo il dito sulla piaga della Sanità
italiana, dove regolamenti monchi ed una società di facciata retrograda e
puritana, impediscono a chi è vicino ai malati di avere notizie, consentendo al
fratello di Titta, con cui non aveva rapporti da oltre dieci anni, di assurgere
a giudice della contesa. Quand’è che riusciremo a consentire di avere il giusto
peso alle giuste persone? Dibattito aperto.
Danila Comastri Montanari “Tabula Rasa” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 15/07/2013– I: 03/10/2013 – T: 04/10/2013] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 322;
anno 2011]
Mi
ricordo che lessi tanti e tanti anni fa, uno dei primi libri di Danila, credo
sia stato “Cui prodest?”, incuriosito dall’idea della trama e della sua
collocazione. Un mistery storico, come si etichetterebbe ora questo tipo di
scrittura. Cioè un giallo ambientato in altra epoca. E Danila ha inventato
tutta una cosmogonia per la sua scrittura, collocando le vicende di cui narra
nel I secolo d.c., durante il regno dell’imperatore Claudio. E ponendo al
centro della sua scrittura l’eccentrico senatore romano Publio Aurelio Stazio, amante
delle belle donne e coinvolto (spesso suo malgrado, ma a volte no) in morti
misteriose e ricerche altrettanto misteriose di soluzioni. Una scrittura con
qualche interesse, ma non tale da convincermi poi a seguire le peripezie di
Stazio durante gli anni (e credo siano usciti ormai 17 libri su di lui). Ora,
l’esimia collana di Repubblica ne pubblica l’ultimo reperibile (anche in vista
di nuove uscite) convincendomi a ritentare la lettura, soprattutto perché la
collana si rifà a “Noir nella Storia”, vicende investigative sparse nel tempo
passato. Devo dire però, che seppur la collana ha elementi di interesse, per la
scrittura di Danila gli anni passano ma il giudizio resta immutato: leggibile,
ma con scarso godimento. Questa volta, tra l’altro, dall’amata Roma (che ben si
conosceva) Danila sposta l’azione nell’altrettanto amata Alessandria, che c’è
da risolvere (per Claudio) il problema dei rapporti con i Parti. Quindi, cosa
di meglio che inviare colà il nostro Stazio (e così magari ce lo togliamo di
torno per un po’). E Stazio va ad Alessandria sotto copertura, come un nobile romano
convertitosi al culto del dio Sobek, tanto da costruirsi una villa con tanto di
coccodrillo. L’accompagnano la sua solita coorte (il furbo segretario Castore,
che essendo di Alessandria, va alla ricerca delle sue radici, l’abile
massaggiatrice Nefer), cui si aggiunge un nuovo segretario, l'ebreo Efraim Ben
Baruk, che si rivelerà prezioso nel fornirgli puntuali informazioni (anche se
pure lui farà una brutta fine). Ma Stazio non sa stare lontano dai misteri, e
ben due cadaveri di donne vengono trovati nel giardino, entrambe devote alla
dea Bast, la dea gatta (anche se dai libri della Peters, mi sembrava si
chiamasse Bastet). Mentre indaga su queste morti, il nostro deve anche
adempiere la sua missione, omaggiando il viceprefetto Caio Greganio Merenda,
dove conosce la sua eccentrica moglie Candida. Devota alla dea gatta, con la
quale Stazio incomincia una possibile relazione, presto troncata dalla morte
della stessa Candida. Inoltre, durante le manovre militari per il funzionamento
di una macchina da guerra progettata dal militare Nicomaco, questa rischia di
fare una strage, se non fosse per l’intervento dello stesso Stazio. È ovvio che
una spia si aggira in Alessandria, facendo aumentare l’entropia della trama.
Arriva anche una delegazione dei Parti, ma non è con il codardo principe Orote
che Stazio dovrà trattare, ma con la sua vecchia conoscenza Arsace. Alla fine,
sarà con Arsace che Stazio stabilirà una tregua onorevole, tesa al risanamento
delle relazioni commerciali nel Mediterraneo (obiettivo principe). Rimane il
problema della spia, che continua ad uccidere, visto che muore anche Antef, uno
schiavo di Greganio, e la bella etera Crisotemi rischia anch’essa una brutta
fine. Chi sarà il cattivo? Il progettista Nicomaco? Il capo militare messo in
secondo piano dagli avvenimenti? Lo stesso viceprefetto Greganio? In un finale
convulso, Stazio, con l’aiuto di Crisotemi, attira il malvagio nella sua villa,
dove questi muore divorato dal coccodrillo (giusta fine del cattivo, che si
scopre essere l’autore di tutti i delitti). Unico slancio di intrattenimento,
il sottile gioco con il termine del titolo. Il cattivo cerca di fare “tabula
rasa” di chi potrebbe incriminarlo (nel senso moderno di uccidere tutti quelli
che di lui sanno). Ma anche si gioca sul termine originario della locuzione,
quelle tavolette di cera riusabili, dove si scrivono messaggi, e poi si
cancellano, facendo appunto “tabula rasa”. E questo servirà a scoprire dei
codici di comunicazione tra la spia ed i Parti. Ma è tutto molto ingarbugliato,
con pochi slanci ironici. Di cui alcuni veramente stonati, come la frase sotto
riportata, che Castore pronuncia nelle prime pagine, senza che l’autrice abbia
tema di confrontarsi con il Totò di quasi duemila anni dopo. Insomma, un plot
ben inserito nella storia, ma debole sia sull’intreccio che sul versante
mistery. Meglio senz’altro sono le ricerche storiche e filosofiche del
detective Aristotele della canadese Doody.
“La civiltà si respira nell’aria: greci si
nasce e, modestamente, io vi nacqui!” [cioè citare Totò poco meno di duemila
anni prima della sua nascita!!!] (13)
Massimo Carlotto “Respiro corto” Einaudi euro 13 (in realtà, scontato a
9,75 euro)
[A: 15/07/2013– I: 12/10/2013 – T: 15/10/2013] - &&&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 201;
anno 2012]
Ogni
volta che riapro un libro di Massimo Carlotto mi aspetto che, prima o poi,
sbuchi l’Alligatore. E purtroppo non è
così. Anche qui. Ma in compenso esce fuori un noir di buon ritmo, confermerei
(come dice De Cataldo) quasi alla Tarantino (almeno in termini di morti e
schizzi di sangue per quasi tutte le pagine). Ed invece decisamente “alla
Carlotto” la mancanza di eroi positivi. Forse c’è qualcuno meno cattivo di
altri, ma certo non c’è nessuno con cui identificarsi, per cui fare il tifo. La
maestria dello scrittore si svolge per le duecento pagine, portandoci per mano
da diversi angoli del mondo, fino ad una convergenza nel crocevia di
Marsiglia, città ormai eponimo di
(quasi) tutte le male attività mondiali. Città dove arriva la droga dal Sud
America o dal Nord Africa, dove si precipitano mafiosi italiani e russi, dove
circolano prostitute provenienti da tutto il mondo e dove la polizia si divide
anch’essa tra cattivi e cattivissimi. Carlotto fa precipitare in questo
crogiolo le attività di quattro giovanotti (tre uomini e una donna)
conosciutisi studenti in quel di Leeds, e decisi a sfruttare al meglio le loro
doti criminali per … Questo è uno dei misteri che non ho decifrato. Fare soldi,
ottenere potere per poi fare cosa? Rimanere nel crimine è una sfida dal respiro
molto corto, uscirne te lo toglie del tutto. Intanto ci sono questi quattro: il
russo, l’indiano, la svizzera e l’italiano. Zosim è affiliato ad una banda
della mafia russa, ma si è anche venduto all’ex-KGB per ottenere una sua
libertà d’azione. La banda russa viene distrutta e lui inviato a Marsiglia per
una nuova operazione sotto copertura. Sunil gestisce per il padre lavori al
nero di indiani e sub-asiatici vari, soprattutto nello smantellamento di navi
depredate. Dove questi si ammalano, e con tutta la famiglia diventano
(non-)volontari donatori di organi. Giuseppe si laurea in medicina e metterà a
disposizione una clinica per le operazioni che arrivano dall’India. E la bella
Inez sfrutta il suo genio finanziario per far girare i loro soldi, e creare
quel deposito sicuro che permetterà loro… Su questa vicenda si innesta la
perturbazione del colombiano Josè che dopo aver venduto il suo capo in patria,
si trova abbandonato da amici e nemici, riesce a fuggire come corriere della
droga verso Marsiglia. Dove però viene intercettato e costretto a collaborare
dall’ispettrice Bourdet che gestisce il lato nero della polizia marsigliese.
Quello che è in contatto con i corsi vecchio stampo che gestiscono la città da
decine e decine di anni. Che non tollerano intrusioni. E che quindi preferiscono
piccole collusioni con il potere per cercare di sopravvivere. Tutte queste
vicende convergono su di un traffico di armi dal Marocco verso la Cecenia. Traffico
gestito da una coppia della Transnistria (regione in lotta di indipendenza con
tutti, russi, rumeni, moldavi) protetti dai corsi di cui sopra. Il KGB, che
controlla Zosim, intercetta il traffico e trucida tutti. Bourdet, aiutato dai
corsi, intercetta il comando del KGB trucidandolo a sua volta. Il gruppo di
Zosim, che per affrancarsi dai russi, aveva cercato di colludere con dei
potenti politici locali viene intercettato da Bourdet che da anni cerca di
incastrarli. Ma il colombiano José che aveva fornito le indicazioni dei vari
punti di smistamento, si allea con Zosim e quindi viene mollato da Bourdet e rispedito
in patria dove verrà a sua volta trucidato. Tra un morto e l’altro, i nostri
salvano la pelle, ma sono ormai fuori gioco dal grande giro che avevano messo
in piedi. Ed anche l’amore tra Inez e Zosim arriva ad un punto di non ritorno:
o si mettono insieme o si lasciano. Non dico la fine o le fini o i fini o …
Ecco che rimetto i puntini, non perché manchino le parole ma perché qui, come
sopra, vorrei lasciare delle zone d’ombra, che i lettori attenti degli scritti
di Carlotto riempiranno con le loro considerazioni e deduzioni. Io termino qui
la trama, dando appuntamento a Massimo ai prossimi romanzi. Per ora non leggerò
(non sono convinto) la serie delle Vendicatrici che sta pubblicando con
Videtta. Aspetterò sperando il passaggio di un nuovo alligatore…
Nadia Morbelli “Hanno ammazzato la Marinin” Giunti euro 6,90 (in
realtà, scontato a 5,87 euro)
[A: 01/07/2013– I: 18/10/2013 – T: 22/10/2013] - &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 216;
anno 2012]
Un
giallo discretamente intelligente, scritto con cura, umoristicheggiante ma non
troppo. Sicuramente, con una pittura intrigante di Genova e dell’entroterra
liguro-piemontese. Certo, non parliamo né di capolavori, né di opera
imperdibile. Parliamo di una degna lettura e di un’autrice che sembra
promettere successivi godibili libri. Intanto, non ci stupiremo certo che la
Morbelli sia una lettrice e, da buona paleografa, anche con capacità di
razionalizzare le letture degli stilemi del giallo classico. Che qui, appunto,
applica con diligenza la scrittura “alla Ellery Queen”, mettendo in campo in
soggettiva il sé stesso narrante. Nadia che lavora in una casa editrice (idem),
piccola e sempre sull’orlo di (idem), che ha una famiglia alle spalle di
genitori pensionati e ritiratisi nelle campagne avite, che ha un’amica del
cuore (Carla) con la quale passa la maggior parte del tempo libero, che ha una
specie di fidanzato lontano che non compare in tutto il libro ma di cui
sappiamo l’esistente incombenza. Su questo plot, si instaura la morte della
madre di una coinquilina di Nadia, la Marinin appunto. Morte che sembra essere
avvenuta a seguito di un tentativo di rapina, quando Nadia era sola nel palazzo
(stiamo intorno a Pasqua). Ma parte anche tutto un susseguirsi di mini-racconti
che allargano a poco a poco l’orizzonte dell’uccisione, coinvolgendo nella
mente della nostra Nadia-Ellery persone e cose del “natio borgo selvaggio”.
Dato che la famiglia della morta era per l’appunto degli stessi lidi natii. E
ben conosciuta dalla madre, da Carla e da tutte le persone amiche e frequentate
da Nadia. Così scopriamo che pochi mesi prima anche il marito della Marinin, lo
Scianca era morto, dubbiosamente travolto dal suo trattore. Scianca che si era
comperato la cascina campagnola con dei soldi probabilmente provenienti da un
risarcimento avuto dall’avvocato Bruzzo al posto del quale si era fatto un po’
di carcere per un traffico d’armi. Un traffico d’armi che l’avvocato fascistone
intratteneva con i croati di Tuzla. Croati che, discretamente ma con flusso
costante, da un certo anno in poi (e sicuramente alla fine delle ostilità)
cominciano a comparire nelle campagne dell’avvocato. Ma tutto sembrava essersi
messo nei solchi della quasi normalità, se non che la morte del marito della
Rosina e l’insopportabilità della Marinin, non avessero fatto presagire un
ritorno nelle campagne della suddetta. Tutto questo, Nadia lo tira fuori tra
discussioni, visite a casa, scatenamento della madre pettegola, cena con Carla
e i suoi amici. Ed anche chiacchiere vivaci ed un po’ complici con il
vice-questore Prini, “brutto”, secondo la stessa Nadia, ma anche affascinante
di conversazioni su film e libri. Per vie traverse Prini e Nadia arrivano ad
individuare il colpevole della morte, … (e mica ve lo posso dire chi è!!).
Quello su cui divergono sono i modi e le motivazioni del reato. Noi ovviamente,
siamo dalla parte di Nadia. Che però non le illustra al “celerino”, dopo che
alcune sue avances erano state bloccate dal Prini stesso con motivazioni che
fanno supporre la presenza di una più o meno fidanzata anche per lui (e qui scopriamo
l’esistenza del lontano Valerio). Su questo impasse si blocca la vicenda quasi
amorosa della storia. Lasciandoci il giallo, la sua risoluzione, nonché una
serie di cene ed aperitivi in giro tra Genova e la campagna. Un mangiare da far
venire acquolina in bocca, e voglia di esplorare ancora queste terre a me poco
note. Magari mangiando un piatto di funghi crudi tagliati sottili conditi con
scaglie di grana ed olio appena uscito dal frantoio. Il tutto bagnato da uno
Sciacchetrà originale del contadino. Certo queste sono le parti migliori
(secondo me), con anche tutto il contorno delle frequentazioni cittadine e
campagnole di Nadia. La parte gialla rimane un po’ un pretesto, e, come detto,
non tanto complicata da prenderci. Tuttavia la lettura è risultata piacevole e
foriera di pensieri viaggianti.
“Quante volte nella vita va tutto a carte
quarantotto esattamente quando ogni cosa sembra prendere la giusta piega e
risolversi per il meglio.” (189)
Accenno brevemente per i nuovi ed
i dimentichi che ogni libro riporta titolo, prezzo reale, prezzo pagato, data
di acquisto (A), data di inizio (I) e fine (T) lettura, numeri di gradimento
(tra 1 e 6), eventuale titolo originale, pagine e anno di scrittura. Per il
resto, come detto, una bella settimana marocchina, rovinata solo da una mezza
giornata di pioggia a Marrakech, una ricerca di nuovi viaggi, e di (speriamo
finalmente) sistemazione definitiva della casa e delle sue carte.
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