Eccoci allora alla prima trama
piena del 2014, con quelle piccole novità che avevo accennato. La prima, e ben
visibile, è la presenza di un simbolo &
accanto al libro. È il mio personale grado di gradimento (da 1 a 6) del
libro, così che potete subito collocarlo in un’ideale graduatoria di lettura. La
seconda sta nel file allegato, che sarà presente (possibilmente) alla seconda
trama del mese, e di cui spiegherò meglio in coda. Intanto dedichiamoci a belle
signore e autori d’oltralpe. Da un lato, infatti, abbiamo la bella che viene
dall’Argentina dove indaga il nostro amato Carvalho e dall’altra le belle
signorine di Shangai, dove invece il protagonista è l’ispettore Chen. Da
Lugano, invece, ecco due storie con al centro Elia Contini, non si sa se come
detective o come persona interessata ai fatti. Comunque delle buone letture.
Manuel Vazquez Montalban “La bella di Buenos Aires” Feltrinelli euro 10
(in realtà, scontato a 8,50 euro)
[A: 06/02/2013– I: 30/06/2013 – T: 02/07/2013] - &&&
e ½
[tit. or.: La muchacha que
pudo ser Emmanuelle; ling. or.: spagnolo; pagine: 156; anno 1997]
Sono
passati dieci anni dalla morte di Vazquez Montalban. E sono dieci anni che non
riesco a leggere nulla di lui. È stato uno di quei dolori strani, che ti lascia
stordito, anche perché non mi aspettavo di averne così grande contraccolpo. Non
è poi neanche una persona che ho frequentato, se non nelle letture appassionate
di Pepe Carvalho, un detective che mi fece innamorare di un modo diverso di
affrontare il poliziesco. E che non mi ha più abbandonato. Il fatto è che avevo
incontrato lo scrittore, non molto tempo prima della sua morte, all’appena nato
Festival delle Letterature alla Basilica di Massenzio (sarà stato il 2002 o il
2003). Si era in pochi allora. Ed alla fine della serata, io mi avvicinai con
la copia originale (che conservo ancora) del primo libro di Pepe, quello
strambo e sperimentale “Yo maté a Kennedy”. Mi fece un autografo, e parlai con
lui, che si meravigliò che qualcuno conoscesse questo libro veramente inusuale,
anche nella sua produzione. Certo, da lì nasce il Pepe che conosciamo. Ma è
ancora in nuce. Scambiammo parole, piccole divagazioni. Ma lui parlava con
tutti, con quel grande cuore che affronta tutte le cose, e che di lì a non
molto, l’avrebbe tradito. Ora, passati anni e tanta acqua sotto i ponti della
vita, escono in Italia alcune opere della serie, al tempo no tradotte. Mi sono
fatto forse, glielo dovevo in fondo, che nelle trame non era mai entrato. Ed
eccoci qui, quasi a sfogliare un diario di un amico che ci ha lasciato. E
seppur nel breve romanzo ci sono tutti gli elementi tipici dello scrittore, la
resa finale, saranno gli anni, sarà la voglia di aspettarsi di più, non è
elevatissima. Un buon libro, con alcuni spunti, anche se la storia, anch’essa
breve, tocca i classici dell’autore. C’è una bellissima ragazza argentina, che
doveva girare la versione locale di Emmanuelle, che, probabilmente anche per
cause politiche, fugge in Spagna, dove anni e anni dopo verrà trovata, morta in
veste di barbona. La sua ricerca viene commissionata a Pepe ed al suo oramai
socio Biscuter (a proposito, questo è il soprannome dell’aiutante – segretario
– cuoco – tuttofare, che gli è rimasto da quando faceva il ladro di auto nella
Barcellona degli anni Cinquanta, rubando appunto le utilitarie chiamate
Biscuter) dall’anziana Dorotea. Veniamo così a sapere la storia della ragazza,
gli intrecci con i militari, matrimoni, tradimenti. Pepe capisce abbastanza
presto che è un crimine altro, che sono coinvolte strutture che qualcuno vuole
rimangano nascoste. Sì, lo sapremo chi ha ucciso la bella di Buenos Aires, sia
chi l’ha fatto materialmente, sia il vero colpevole che ha voluto che la sua
morte chiudesse un capitolo della Storia. Compromessi, muti accordi, rassegnate
scuse faranno sì che la giustizia non trovi né spazio né voce, il prefetto
accetta, la polizia dispone, Carvalho osserva dolorosamente consapevole e le ultime parole saranno concesse
all’assassino, all’unico che avrà parole di tenerezza e di rispetto per la
sfortunata Palita, vittima predestinata, innocente tra assassini. Come hanno
osservato critici più sagaci di me, è una specie di prologo per il seguente
“Quintetto di Buenos Aires”, anche se il titolo originale (ahi quanto più
calzante; ma lasciamo stare le tiritere contro questo malcostume) era di altro
tenore. Troviamo come detto il Pepe di sempre, quello che non si tira indietro
davanti ad una cena, che sta a suo agio nel Barrio Chino, e che continua a bruciare
libri. Ma troviamo anche il nostro Manolo, che riempie anche di altro le
pagine, che cita scrittori e solo con sagacia se ne ritrovano le tracce. Come
quando dice “il passato si aggiorna, invade il presente, il presente come
inquisizione” (da Sciascia), o “apparteniamo al paese della nostra infanzia”
(da Saint-Exupery), o una poesia di Wordsworth, o un tango dolente come lo sono
i tanghi migliori. È stata una lettura della memoria, forse poco classificabile
per questo. Un giorno tornerò su Pepe. Per finire, una menzione: sapete che
Camilleri ha chiamato così il suo commissario proprio in onore dell’amico
spagnolo?
"Chi è l'assassino? La Storia, la
guerra sporca. Il passato. Il passato è il luogo dove si trovano le cause, vale
a dire, i colpevoli. Per questo i colpevoli insistono tanto sull’inutilità del
passato. Vogliono un mondo senza colpevoli ma quando questo diventa
impossibile, quando il passato risuscita la colpa, i colpevoli uccidono di
nuovo, ridiventano quello che erano sempre stati. Assassini". (150)
Andrea Fazioli “Come rapinare una banca svizzera” TEA euro 9
[A: 10/11/2012– I: 28/07/2013 – T: 29/07/2013] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 341;
anno 2009]
Ecco
un libro interessante, con alcune caratteristiche di gradimento, e qualche
suggerimento di lettura. Intanto non è un libro italiano, anche se è in
italiano. In effetti, l’autore è svizzero. Di lingua italiana, ma pur sempre
svizzero. E per questo lo consiglierei ai miei amici italiani che lavorano di
là dal confine. Vero Andrea e Alessia? Molta parte del gradimento viene,
infatti, da quel narrare e descrivere Bellinzona ed altre zone e vallate (tipo
Vignanello o la Val Bavona) che non conosco, ma che Fazioli rende
discretamente. Secondo punto, discretamente favorevole, è il seguirsi dei
personaggi. Che questa è una nuova puntata delle gesta dell’investigatore Elia
Contini, che abbiamo imparato a conoscere nel precedente “L’uomo senza casa”.
Elia, investigatore triste, che ama seguire le volpi nei boschi, che ha una
fidanzata milanese, la bella Francesca. E come molti investigatori conosce
personaggi di qua e di là della legge. Il titolo accattivante, poi, ci fa immediatamente
entrare in un plot narrativo interessante. Che ben sappiamo la rigida sicurezza
che gli svizzeri pongono al sistema bancario. Eppure bisognerà imbastire una
rapina. E sarà proprio Contini, insieme ad altri, che darà mano all’impresa.
Elia ne viene coinvolto da Jean Salviati, ladro ormai a riposo e riciclatosi
come giardiniere in Provenza. Ma che deve riprendere i ferri del mestiere per
salvare la figlia in pericolo. Inguaribile giocatrice d’azzardo, infatti, la
figlia è scivolata nella rete di un losco avventuriero che ha messo gli occhi
su una favolosa transazione di denaro, aiutato da un ex-bancario esperto
d’informatica. Da qui si dipana tutta la prima, e forse un po’ lunga, parte del
libro. La preparazione della rapina, che, vedendo coinvolti persone
insospettabili (Elia, la fidanzata, due suoi amici borghesi un po’ annoiati, i
coniugi Corti), richiede lunghi momenti di scrittura. Che non è facile, andare
oltre la legge, anche se per salvare un amico. Salviati, tra l’altro, non ha
mai fatto uso di armi, nelle rapine di gioventù. Ovviamente le cose sono
complicate dalla polizia, che subodora qualcosa, dalla figlia di Salvati che
(forse) è connivente con l’ex-bancario, dalle debolezze di Filippo ed Anna
Corti, nonché (e non è poco) dalla dubbia provenienza dei soldi che devono
essere trafugati. Poi il ritmo accelera, ed in poco meno di quaranta pagine, si
svolge, con successo, la rapina. Per poi dedicarsi, nell’ultima parte del
romanzo, ad escogitare una serie di sottofinali in cascata, come tutti i
classici gialli che si rispettino. Qui, al fine, ci sono le migliori invenzioni
narrative, che riscattano l’andamento a volte piatto del resto (o forse, più
che piatto, scontato). Fazioli riesce a sorprenderci con qualche tradimento
inaspettato, e con un triplo piano di salvataggio, escogitato da Contini per
permettere ai buoni che hanno varcato il confine della legge di tornarne al di
qua senza pagarne conseguenze. Almeno giudiziarie, che le conseguenze morali
infergono ferite che sono più difficili da rimarginare. E, sebbene un po’
arzigogolate, queste soluzioni intrecciate permettono a quasi tutti di uscirne.
Anche ai loschi figuri ed ai trafficanti. La debolezza sta a volte nel
dilungarsi troppo su alcuni aspetti, nel tirar tardi guardando volpi o parlando
a gatti. Ma Elia, nonostante tutto, mi sta simpatico. Così come la bella
Francesca (e speriamo che i due riescano ad avvicinarsi sempre più). Magistrale
il personaggio di Salviati, il ladro gentiluomo uscito dal giro (un po’ Cary
Grant, no?). Meno la figlia, che un po’ antipatichella mi sta. Il puzzle riesce
bene, e forse sarà per la scarsa circolazione fuori dai monti ticinesi, la provenienza
svizzera mi stuzzica (e se ne prenderanno altri di Fazioli).
“Pur essendo un tecnico informatico … si
considerava soprattutto un creativo. Un poeta, quasi. Quasi, perché i poeti,
come i matematici, amano le cose inutili.” (99)
Qiu Xiaolong “Di seta e di sangue” Repubblica – Noir euro 7,90
[A: 16/07/2012– I: 09/10/2013
– T: 11/10/2013] - &&&
[tit. or.: Red Mandarin Dress; ling. or.: inglese; pagine: 349; anno 2007]
Ed
eccoci ad un altro capitolo della storia cinese rivista con uso di giallo da
Qiu Xiaolong. È ormai il quinto caso dell’ispettore Chen Cao che seguiamo, e
siamo già ben abituati alle sue storie di andamento parallelo. C’è la parte da
“procedural thriller” americano, dove seguiamo le indagini su qualche morte
misteriosa al seguito della polizia di Shangai. C’è la figura dell’ispettore
poeta, che sappiamo Chen (come l’autore) studioso di inglese, che finisce a
fare il poliziotto in quanto all’epoca la professione veniva imposta e non
scelta (come non era possibile avere relazioni amorose, e neppure innamorarsi o
parlare di matrimonio d’amore – e questo lo impariamo in corso di lettura). Al
solito, come già ho rilevato, ci sono un po’ troppe citazioni poetiche per noi
misteriose (viste che sono anche poco spiegate). Intanto mentre indaga, finisce
anche una tesi sulla figura femminile in letteratura, che gli serve anche per
risolvere il caso. Ma soprattutto, dentro ed intorno c’è la Cina di oggi, come
ben introdotta nella prima parte, prima che si arrivi alla scoperta della prima
donna uccisa. E c’è stata la Rivoluzione Culturale (errore in buona fede, come
disse Deng Xiaoping), che permea di sé tutto il romanzo, anche se in Cina
rimane un argomento tabù. Qiu ne scrive, perché ormai vive in America (e
questo, l’ho già detto, un po’ si sente), anche se riesce a darci sensazioni di
Cina senza troppi filtri di occhiali occidentali. Infatti, e scusate se mi
dilungo, ma è forse uno dei momenti migliori del romanzo, la scrittura inizia
mentre seguiamo il Maestro Operaio Huang che fa jogging in un’invernale alba di
Shanghai. Tutto cambia, sparite le biciclette simbolo dell’uguaglianza, si
alzano alte nel cielo le gru che costruiscono gli ennesimi complessi residenziali.
Huang ha appena lasciato la sua vecchia casa in stile shikumen, ora da radere
al suolo per far posto a grattacieli. Sono gli anni Novanta, tempi
trasformazione, nei chioschi si vendono bibite dai nomi stranieri Coca cola,
Pepsi cola, Sprite. C’è forse bisogno di sottolineare la crescita capitalistica
in Cina? E Huang ormai settantenne anche se ancora in buona salute è un rudere,
un sopravvissuto. Non è più, non si può più vantare di essere un Lavoratore
Modello, o un membro autorevole di una Squadra di Propaganda del Pensiero di
Mao Zedong durante la Rivoluzione Culturale. Ora è soltanto un pensionato di
un’acciaieria statale in rovina. Mentre assistiamo alla corsa di Huang (e
giriamo intorno ai suoi e ai nostri pensieri), scopriamo insieme il cadavere
abbandonato di una ragazza che indossa un abito in stile mandarino: un qipao
rosso simbolo un tempo di borghese decadenza e ora di gran moda tra i ricchi
della città (come sottolinea argutamente anche il titolo originale). Huang non
ha dubbi non può che essere l’opera di un maniaco sessuale. Il primo indizio
sarà proprio nella stranezza del tessuto di seta rossa del qipao indossato
dalle donne assassinate e ritrovate, una dopo l’altra, puntualmente, una
settimana dopo l’altra, abbandonate in strada. Così come del fatto che le
spaccature laterali del vestito siano stracciate, i bottoncini slacciati, che
le donne non indossino biancheria intima e abbiano i piedi nudi. E tuttavia non
hanno subito violenza. Il caso sarà affidato, anche se contro voglia, al nostro
ispettore, l’unico in grado di ricostruire la psicologia di un serial killer.
Ed indagando in un crimine che ha le sue radici proprio nella Rivoluzione
Culturale, l’autore ha modo di affrontare alcuni nodi irrisolti di quel
periodo, e di dimostrare come la Cina stessa si avvii a grandi passi anzi sia
già dentro il mondo occidentalizzato (e corrotto). Ne è la prova il processo in
corso contro il Riccone Numero Uno di Shanghai, un ex venditore ambulante che
si è arricchito con le speculazioni immobiliari. Aveva appoggi al governo,
naturalmente - il caso scotta, anche i servizi segreti sono all’opera. Nel
tumultuoso finale, Chen mette in fila tutte le possibilità e trova il
colpevole, collegando anche fatti in apparenza distanti. Ma, come al solito,
non è questo quello che maggiormente interessa Qiu. La suspense non è di sua
pertinenza. Ed il caso, dal punto di vista giallo, è, come detto, labile.
Meglio le immagini della Cina, anche con tutti i distinguo già detti. Ed ancor
meglio era il libro precedente che parlava molto anche di emigrazione,
argomento caldo da noi in salsa pratese, ma forse meno 6 anni fa. Meno poesie e
più ritmo farebbero uscire un prodotto migliore.
Andrea Fazioli “La sparizione” TEA euro 9
[A: 10/11/2012– I: 29/12/2013 – T: 02/01/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 347;
anno 2010]
Se non fosse per un finale un po’
monco, stava volando verso stelle interessanti. Alla fine rimane un libro
medio, anche se con tendenze verso l’alto. Nuova prova del nostro amico
narratore svizzero (per questo lo metto tra gli autori stranieri, anche se è
Ticinese), e nuovo (forse ultimo) capitolo della vita e delle opere di Elia
Contini. Perché Elia, dopo varie e deludenti prove personali, ha abbandonato
(ufficialmente) la professione di investigatore. Si ricicla tipografo, ma si
troverà alla fine anche senza lavoro. E con un sempre più tormentato rapporto
con Francesca. Lei vuole di più dal rapporto, lui è sempre indolente, si
trascina a parlare con i gatti, a scrivere lettere che non si sa a che
spedisce, a fotografare volpi nella notte. Solitario e solipsista, lo troveremo
alla fine davanti alla porta di Francesca, ma non sapremo (almeno non sapremo
qui) come andrà a finire. Peccato. Ma sappiamo come è progredita e come finirà
la storia principale, quella che vede al centro la giovane Natalia Rocchi. Il
padre medico muore d’infarto. La madre riprende le ricerche che il marito stava
facendo negli ambienti della prostituzione e dei maltrattamenti sulle donne. E
filo dopo filo, risale all’origine dei pensieri del marito. Che gravitano
intorno al night-club Tucano, dove c’è un bel giro di donnine allegre (tra
l’altro legale in Svizzera). Ed intorno al suo proprietario Luciano, figura un
po’ losca “sul limitar della malavita”. Dopo una colluttazione con Luciano, la
madre muore. Natalia assiste alla scena, e fugge nei boschi. Dove vaga per
giorni, ed una volta trovata, dal giovane Giovanni, suo coetaneo, si trova
completamente afasica. Shock post-traumatico, decretano i medici. Contini abita
lì vicino, e viene coinvolto quasi involontariamente nella trama. Perché è un
buono, e i buoni si sentono tra loro. Natalia riesce a comunicare (forse) solo
con lui. Non certo con la polizia, che non sa che pesci pigliare. Contini,
nolente, si trova a portare avanti indagini, che ben presto lo riportano al
Tucano, ed allo studio medico che certifica la salute delle donnine. Che guarda
caso è quello di Rocchi. Noi onniscienti lettori, sappiamo molto della trama
ormai. Vediamo il Savi complottare con il Muller (il socio di Rocchi). E
vediamo Natalia riprendere le parole ad una ad una (alcune delle pagine
migliori sono proprio quelle in cui la giovane riporta a galla parole e
sensazioni perdute). Ma mentre Muller è da Natalia, la quale sta parlando con
Contini aspettando tutti il Bonetti, il giudice della tutela minorile, Muller,
dicevo, viene ucciso con un colpo di pistola. E benché siano tutti lì,
dell’assassino non c’è traccia. Foglietti ed ammissioni stringono il cerchio
intorno a Savi, che tutti (e noi con loro) vediamo al centro di ogni morte. Contini,
nonostante il parere contrario della polizia, vuole un confronto con lui. Ma prima
di trovarlo, muore anche Savi. Suicidio? Sembra, ma né Contini né l’ispettore
sono convinti. Il nostro Elia allora si ritira in buon ordine a pensare, a
parlare con il suo amico montanaro, a guardare le volpi. Una catena di
intuizioni che lo porta a vedere chiaro il quadro. C’è sempre qualcun altro, un
passo prima o un passo dopo, che organizza le morti, che sfrutta abilmente le
situazioni. Non è facile trovare le prove, ma inconsapevolmente Contini spinge
Natalia e Giovanni a fare da cavie. In una scena che è tra le meno riuscite del
libro quindi, l’assassino viene allo scoperto, ed un po’ ne siamo meravigliati
anche noi. Ma il contro-schock riporta le parole alla giovane. Certo come detto
questo finale è un po’ in sospensione. Speriamo che Natalia e Giovanni si
riavvicinino (e questo è probabile). Sappiamo che il cattivo pagherà le colpe.
Cerchiamo di immaginare come andrà a finire tra Elia e Francesca. Fazioli
costruisce una bella trama per il 75% del libro, mostrando di aver appreso bene
e di saper usare “i ferri del mestiere”. Con uno sguardo, e forse più di uno,
al maestro svizzero dell’altra valle. C’è molto, infatti, delle atmosfere e
delle maestrie di Dürrenmatt in queste pagine, anche se (ed è ovvio) “La
promessa” si colloca su versanti inarrivabili. Ma ripeto è sempre piacevole
leggere di Fazioli (e ripensare ai miei amici luganesi).
“Ho lasciato che … se ne andasse, ho rifiutato la pace che avevo
costruito … forse una vita senza drammi è già un dramma.” (270)
Si diceva dell’allegato.
Quest’anno, tra i doni natalizi, è comparso (per opera di Otto ed Alessandra)
un libro dal titolo accattivante “Come curarsi con i libri”. Non ne farò la
trama (è forse più un libro da consultazione che da lettura), ma è pieno di
piccoli capitoli ove, a fronte di malattie fisiche o morali o stati d’animo
vari, vengono proposti libri da leggere per curarsi o alleviare i “dolori”.
Sono citati circa 800 libri, di cui un quarto (più o meno) è transitato nella
mia biblioteca. Allora, cercherò, rovistando con pazienza certosina, di fare un
collegamento tra quanto viene detto, e quanto e come ne parlai io (o quanto ne
pensai, visto che molti son libri letti prima delle trame). Insomma, una nuova
sfida. Ovviamente cerchiamo poi insieme di aggiustarne il tiro, sperando di
avere un vostro ritorno sul suo gradimento. Intanto si avvicina la possibile partenza
marocchina. Vedremo anche questa nuova avventura come si svolgerà. Intanto Buona
Epifania a tutti .
ALLEGATO
CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan
Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
GENNAIO 2014
Affrontiamo queste cure, così
come ci vengono proposte, in ordine alfabetico. Mettendo le cure “ufficiali”
derivanti dal libro in evidenza, e ponendo in coda le mie personale
considerazioni sui libri che ho letto e tramato.
ADOLESCENTI, ESSERE
Gli ormoni impazzano. Peli spuntano
dove prima era tutto liscio …
Ecco allora una cura omeopatica
I DIECI MIGLIORI ROMANZI PER
ADOLESCENTI
Italo Calvino Il sentiero dei nidi di ragno
Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi
Elsa Morante L'isola di Arturo
Robert Musil I turbamenti del giovane
Törless
Raymond Queneau Il diario intimo di Sally Mara
Joào Guimaraes Rosa Miguilim
J. D. Salinger Il giovane Holden
Robert Louis Stevenson L'isola del tesoro
Boris Vian La schiuma dei giorni
Alice Walker Il colore viola
Bugiardino
Sull’essere adolescente, ovvio,
c’è poca “cura”, ma solo qualche aiuto. È un argomento grande, tanto che ci si
tornerà su anche il prossimo mese.
Intanto, di questi dieci libri,
ne ho letti 6 (una buona media, direi).
Il più antico è ovviamente “Il
giovane Holden”, letto più volte tra gli anni Settanta ed Ottanta, che è
talmente connesso con la problematica, che ne riparleremo più ampiamente la
prossima volta. Sparsi invece tra i primi anni Novanta ed i primi anni di
questo secolo vengono i seguenti. Calvino, prima di tutti, di cui ricordo il
sentimento di comunità che mi faceva riavvicinare alle vicende della guerra
nella narrazione di mio padre. Analogamente Stevenson, sulla cui Isola del
tesoro, e sulle vicende dei pirati, cercai sfogo nelle mie ore liceali, ma che
poi ho riletto (e con altrettanto piacere) una decina di anni fa. Tanto che
ancora sento con un misto di piacere e di paura, il ticchettio della gamba di
legno sul ponte della nave.
Musil è sempre stato ostico, ma
anche qui, cercando in rete notizie varie sull’uomo senza qualità, mi sono
imbattuto sul giovane Törless.
Incuriosito dallo strano rapporto tra lo scrittore e la matematica
(esplicito nel grande romanzo, e qui reso dal rapporto tra Törless, il Principe H ed i
numeri immaginari), ne ho letto. Ma non mi ha preso, rimanendo distante dalle
pulsioni omosessuali, e restandomi solo quel rapporto intellettuale sul
discernimento tra il bene ed il male, che forse solo in tarda età si riesce ad
approfondire.
Ma veniamo invece, e con più
profusione, ai due libri presenti nelle mie trame. Scoprite così come funziona
la parte diagnostica del bugiardino. Laddove presente, riporto la mia trama. Così
potrete giudicare se, anche nelle mie parole, la cura è adatta. Oppure trovarne
le contro-indicazioni.
Boris Vian “La schiuma dei giorni” Marcos Y
Marcos
[trama pubblicata il 18 aprile 2010]
Troppo di testa. Non ha la
serietà del Disertore o la spensieratezza di Fammi Male Johnny. Pieno di
invenzioni, giochi di parole (tradotti benissimo ma a volte intraducibili). E
come tutte le cose di testa, a volte rischia di stancare. Ci si può stancare
anche di un idolo come Vian, benché prefato da Fossati e postfato da Pennac. Il
libro è un fuoco di fila di invenzioni, sulla scia un po’ dei dadaisti degli
anni Venti, cercando da un lato di tirar fuori il paradosso della vita,
dall’altro (cadendo in pieno nel tormento esistenzialista) sostenendo a spada
tratta la bruttezza ed inutilità del vivere odierno. La prima parte poi è
quanto mai solare, c’è un cuoco che inventa e reinventa piatti favolosi sulla
scia di ricettari ottocenteschi. E c’è il protagonista che si circonda di
invenzioni favolose, come quella di un piano che suonando mescola gli
ingredienti alcolici e produce alla fine del pezzo una bevanda non solo
favolosa ma adatta allo spirito della sonata (e qui non mancano i rilanci
all’esperienza jazz di Vian). E come detto giuochi di parole, come quella sul
protagonista Colin che mangia merluzzo (per i meno adusi, Colin, oltre al
essere diminutivo di Nicole, significa nasello). Come se si traslasse dalle
nostre parti con quel diminutivo paesano di Cola e dei suoi collegamenti
pescatori, di cui mi insegnava la mia amica Rosa. Fino all’apice dei grandi
innamoramenti: Colin e Chloé, Chick e Alise, Nicolas e Isis. Poi si va giù per
la china dell’imbarbarimento. Chloé si ammala e nessuno riesce a trovare
soluzioni al suo male. Chick diventa sempre più maniaco del suo idolo (Jean-Sol
Partre, vi dice qualcosa?) fino a cercare i suoi vestiti smessi dai più
improbabili antiquari. Solo Nicolas sembra “salvarsi” dalla barbarie, ma solo
perché si tira fuori dalla mischia e se ne va altrove. Dove non sarà felice
come prima ma forse sarà. E via distruggendo, pezzo dopo pezzo, il bel castello
della nostra vita, con tocchi di una cattiveria bellissima, come il suicidio
del topo che chiede al gatto di tagliarli la testa! Ma sì, certo, grande opera,
forse capolavoro nel suo genere. Ma anche no, perché Vian sarebbe il primo a
rivoltarsi di questo incensamento. Lui appunto che era l’epigono e l’esaltatore
dell’effimero e del momento, ma con la sagacia che ogni momento, se ben
vissuto, porta sapienza e quindi, alla fine gioia. Come con gli altri suoi
libri, a volte di una brutalità sessuale ma che servivano a far saltare in aria
sepolcri imbiancati. Come il suo disertore che rifiuta di andare alla guerra.
Come la ragazza che cerca l’amore forte, ma quando lo trova si spaventa. Come
le sue serate pazze, nelle cantine parigine dando fiato alla tromba
(fisicamente) e sfiancandosi di alcool e sigarette. Fino all’infarto che lo
prende a soli 39 anni, durante la prima del film tratto dal suo “Sputerò sulle
vostre tombe”. Infarto che gli prese appunto vedendo il film fatto dagli
americani e sussultando dalla prima all’’ultima battuta. “Non avete capito niente”
e se ne andò, dal cinema e dalla vita. Amo e amerò sempre Vian, anche dopo questo
libro. Ma non per questo libro.
Paolo Giordano “La solitudine dei numeri primi” Mondadori
[trama pubblicata il 25 dicembre 2011]
Ecco
un altro premiato dove lo Strega lo vince il 26enne Giordano con questo libro
d’esordio, che solo ora, lasciatolo decantare come un bel vino di corpo, ho
letto e, devo dire, discretamente gustato. Ci sono degli spunti interessanti.
C’è una scrittura sapiente ed accattivante. C‘è tanta tristezza (leggendolo mi
veniva in mente il titolo di uno dei libri di Peter Handke “Infelicità senza
desideri”). Ci sono anche situazioni irrisolte ed una visione globalmente
funerea della vita adulta che un po’ mo lascia perplesso. Lo spunto
interessante è quello che fa da filo conduttore e materia prima della nascita
del libro. Giordano è un fisico, e quindi sa maneggiare anche i numeri (non
come un matematico, certo) e ci presenta le storie dei due protagonisti come fossero
numeri primi gemelli. Ora, penso (spero) che tutti sappiano cosa siano i numeri
primi. Quelli gemelli sono i numeri primi separati solo da un numero (tipo 5 e
7, 11 e 13 o che so 1997 e 1999). Numeri primi già di per sé singolari, perché
isolati, come Mattia e Alice. I gemelli poi sono vicini, ma non si toccano mai.
E Mattia ed Alice sono singolari. Lei, vittima di un incidente di sci a 7 anni,
rimane un po’ claudicante, e quel suo passo mancante la fa rimanere sempre un
po’ in ritardo. Con le compagne di scuola sicure di sé e ben tronfie. Con le decisioni
della vita, il lavoro, lo studio, l’amore. Sarà sempre in cerca di non pesare
mai sulla terra, tanto da viverla anoressicamente (e non solo in senso
metaforico). Lui che vede scomparire la sorella gemella nel nulla. Morta?
Rapita? Chissà? Ma il suo interno senso di colpa di averla lasciata sola non lo
abbandonerà. E dovrà rivolgersi alle cose materiali, ferme, della vita stessa,
per continuare a vivere. Per questo studia (i libri non tradiscono, dice). Per
questo si dedica ai numeri, e farà il matematico in un’Università del Nord
Europa. Giordano segue le loro vite parallele dai sette ai trentadue anni. Che
si incrociano, si mescolano, forse trovano dei sensi. Ma sono loro stessi
gemelli e non usciranno mai dalle loro singolarità in questo scarsamente
aiutati dagli adulti. In primo luogo, dai genitori che non li capiscono, che
non li aiutano, che rimangono figure sterili come a dire che si possono avere
sprazzi di lucidità e di gioia da adolescenti, ma arrivati all’età adulta non
si può far altro che mettersi in un angolo, magari leggere il giornale e
guardare la tv. Ecco, questa visione della vita è quella che meno mi convince,
che meno mi prende. Possibile che non ci sia nessuno che si rimbocchi le
maniche e si sporchi le mani in questa storia che sta sempre lì lì per
diventare altro, per svoltare verso altipiani sereni. E non lo fa mai. Anche
quando sembra che Alice ritrovi la Michela scomparsa. Sarà vero? Non lo sapremo
mai, che Alice stessa si tira indietro. E Mattia non trova la forza di uscire
dal suo bozzolo per fare una domanda cruciale. La domanda che ci aspettiamo
dalle prime pagine. E quindi tutto scorre, con una dolenza di fondo che lascia
molti amari in bocca. Ma la scrittura è buona, coinvolgente, tanto che dopo le
prime cinquanta pagine un po’ direi normali, mi ha preso nella morsa di seguire
le loro vicende. E sono andato avanti tutta la notte, senza riuscire a staccarmi.
Ecco, questo è senz’altro un merito dell’autore. E chiuso il libro, mi frullano
ancora nella testa loro due, e quello che faranno poi. Anche questo, un merito
dei buoni libri. Non so, vedremo poi, se Giordano riuscirà a produrre nuove
cose, o rimarrà chiuso nel limbo degli autori “primi” e premiati, come Piperno
per capirci. Aspettiamo fiduciosi.
Conclusioni
Non sono convinto che tutti
suggerimenti siano “coerenti” non tanto con la malattia (che essere
adolescenti, fortunatamente, non lo è) ma anche con lo stato d’animo. Musil è
troppo orientato a problemi omosessuali, e Vian è troppo onirico. Ed anche
Stevenson forse, è per persone leggermente pre-adolescenziali. Mi manca, per
dare un impulso verso l’accettazione del passaggio esistenziale, qualcosa di più
vicino ad una pulsione sentimentale, ad un’educazione sentimentale. Forse avrei
visto anche qualcosa in più sul rapporto genitori – figli, del tipo del primo
libro di Di Paolo. Usciamo certo dall’adolescenza (tutti lo abbiamo fatto,
arrivando alla mia età), ma non proprio ancora in forma.
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