Così si traslittera il suo nome,
anzi il suo pseudonimo che dice di aver scelto perché le piacevano i fiori del
frutto. Ed è una settimana tutta giapponese, tutta dedicata a questa scrittrice
non sempre di mio gradimento (ha i suoi alti e bassi, come tutti). Tuttavia è
una scrittura che mi rimanda il senso del bel viaggio novembrino. Non è un
caso, poi, che quello che più mi è piaciuto di questi scritti riguardi i
viaggi. Suoi, ma che faccio anche miei.
Banana Yoshimoto “High & Dry Primo Amore” Feltrinelli euro 6,50 (in
realtà, scontato a 5,52 euro)
[A: 19/06/2013– I:
23/06/2013 – T: 25/06/2013] - &&&
[tit. or.: High and Dry (Hatsukoi); ling. or.: giapponese; pagine: 108; anno 2011]
Dopo
un inizio, molti anni fa, che mi lasciò perplesso nei confronti della
scrittrice giapponese, da qualche anno, ogni tanto ne prendo in mano un libro,
e devo dire ne apprezzo meglio i pregi, pur notandone ancora difetti
(ovviamente per il mio modo di interpretare la scrittura). Banana scrive sempre
in punta di penna, con quelle pennellate che mi riportano ad acquerelli visti
anni fa ad una mostra a Roma: tocchi delicati di sensazioni fuggevoli. Questo
pregio a volte si tramuta in difetto, nel corso della stessa scrittura, quando
mi aspetterei un movimento, un’azione, qualcosa, insomma, che ogni tanto tocchi
la terra. E spesso, non succedendo, come in questo che non direi essere né
romanzo né racconto, uno scritto forse, un flusso di parole, un tentativo di
descrizione di uno dei tanti riti di passaggio. Qui il passaggio attraverso
l’adolescenza, di Yuko una ragazza quattordicenne, molto sensibile, molto
attenta anche ai colori delle cose che la circondano, con un padre lontano, in
America, a cercare oggetti antiquari da vendere nella sua bottega di Tokyo, ed
una madre che lavora in libreria, che si appassiona di momenti ecologici, che
mangerebbe solo gelato, e che se si mette a leggere un libro, è capace di
scordarsi tutto, anche di portare la figlia a scuola. E Yuko esterna questa
sensibilità disegnando (e già qui ricordi si affastellano), e trova una
scintilla di comprensione verso Kyu il maestro di disegno, che capisce al volo
i suoi stati d’animo, che corregge i suoi colori interpretandoli e che, insieme
a lei, vede starni fenomeni visivi. Ma Kyu ha il doppio degli anni di Yuko, è
già un artista, e già ha avuto donne e fidanzate. Potrà nascere qualcosa?
Banana ci porta a vedere che la sensibilità non ha età, che le affinità
elettive vanno oltre ed al di là di momenti temporali. E poi anche il “grande”
Kyu ha (o ha avuto) i suoi problemi, il padre è morto, anche la madre è
un’artista, anzi una scultrice, e Kyu soffre ancora di un abbandono infantile
che non si è mai spiegato. Yuko e Kyu parlando di tutto e scambiandosi
sensazioni attraversano le non molte pagine del libro, dandomi, in ogni caso,
sensazioni fresche. E sempre, proprio per quei tocchi lievi, pieno anche di
frasi, elementi di scrittura che facilmente rimangono nel fondo dell’occhio,
per poi penetrare a poco a poco nei labirinti cerebrali, e lì germogliare in
pensieri, spesso e volentieri fecondi. Non è importante se la loro storia andrà
avanti, non è questo il nocciolo. Il cuore di questo primo amore, di una
delicatezza che quasi non si può ri-raccontare sta nella presa di coscienza dei
personaggi. In Yuko che si accorge di poter sopravvivere anche se i genitori possono
avere problemi, che rinsalda il forte legame con la madre, che capisce le potenzialità
del rapporto con Kyu, ma ne capisce tutti i possibili limiti, che verranno a
breve, ma che saranno oggetto di secondi, terzi, altri amori. E Kyu cresce, con
la forza di Yuko affronta i suoi lati oscuri, e finalmente e con soddisfazione
si chiarisce con la madre. A volte mi aspettavo uno scatto. A volte un colore
in più. Ma non sarebbe Banana se fosse così. Rimane una piacevole lettura, che
forse sarebbe indicata a qualche giovane in crescita. E che mi fa ribadire un
concetto che espressi alla lettura di un libro di Colette, ripetendo con lei,
più che un primo amore, mi piacerebbe essere l’ultimo di qualcuno, per andare
avanti da ora fino a …
“Non sapevo che quando ci si innamora di
qualcuno si versano così tante lacrime, un po’ per la tristezza e un po’ per la
felicità.” (25)
“Come tutti i maschi, una volta che bacio …
finisco per pensare a cosa verrà dopo.” (36)
“In fondo credo che sia una mamma normale.
Del tutto normale. Così tanto da sembrare speciale.” (37)
“Se questa è la vita, bisogna stare attenti
a non sprecarne neanche un po’, in mezzo alla desolazione ed alla fretta.” (50)
“A questa distanza tu e la mamma mi sembrate
ancora più belle che nella realtà.” (64)
“Quando si è direttamente coinvolti, è
difficile accorgersi di qualcosa.” (70)
“Ho la sensazione che ci siano cose che a
parlarne svaniscono, e altre che invece crescono. Quello che c’era tra noi
apparteneva alla prima categoria.” (75)
“Il tempo passa… Lo si percepisce con
estrema precisione quando si torna dopo tanto in un luogo rimasto uguale a com’era.”
(87)
Banana Yoshimoto “Lucertola” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato
a 5,52 euro)
[A: 08/10/2013– I: 29/10/2013 – T: 30/10/2013] - &&
e ½
[tit. or.: Tokage; ling. or.: giapponese; pagine: 117;
anno 1993]
Avevo
deciso che il mio primo viaggio giapponese (oltre le immancabili guide) avrebbe
toccato un altro po’ di letteratura giapponese. Per questo (ma anche per non
caricare troppo il bagaglio) ho optato di portarmi dietro due libretti di
Banana Yoshimoto. In quanto la sua scrittura mi sa molto di Tōkyō (lo scrivo
qui, per l’unica volta, come andrebbe scritto in traslitterazione, con le due vocali
lunghe, e con le due sillabe distinte ed accentate; in fondo una settimana in
Giappone sarà servita a qualcosa) ed i suoi romanzi e racconti sono brevi e
poco ingombranti. Delle due letture, questa (affrontata per prima, all’arrivo)
è quella che mi ha preso di meno. Soprattutto che si tratta di racconti (genere
che come tutti sanno, io non sempre apprezzo). E quando Banana scrive racconti,
il suo periodare etereo si fa ancora più rarefatto. Dove si arriva al romanzo,
la scrittura a poco a poco, prende colore; qui si ferma un passo prima. Si dice
qualcosa, si narra, ma tutto rimane lì, un po’ sospeso. Forse un po’ troppo
sospeso per i miei gusti. D’altra parte, sono comunque racconti delle prime
scritture di Banana, composti prima dei suoi 30 anni. Lei stessa confessa di
trovarli in parte immaturi. Ma fatte salve queste critiche un po’ formali,
seppur non compiuti, affrontano tutti una variazione sullo stesso tema: la formazione
dell’io, la costruzione della propria personalità, il riconoscere del proprio
agire inseriti nel mondo. I protagonisti di queste sei pennellate sono messi di
fronte ad un problema, di fronte a qualcosa che li deve mettere in moto. E
quando questo accade, c’è sempre e prima di tutto il disagio (di non saper
fare, di essere inadeguati, di sbagliare) e poi il sollievo (di aver fatto, di
aver affrontato, spesso non risolto, ma…). Banana ci fa capire che questo è uno
dei modi in cui si costruisce la nostra personalità. Non il carattere (che ben
sappiamo viene da lontano), ma il modo di usare il proprio carattere nella
vita. È la paura del marito di Atsuko ad affrontare la quotidianità del
matrimonio. È la storia di Lucertola (il miglior racconto) e del suo amore per
il medico che la portano a rivivere (e superare) traumi adolescenziali (con
quella bellissima immagine del mattino al tempio scintoista di Narita). È il
rapporto tra i due innamorati, nell’attesa che lei affronti un percorso
psicologico difficile (ma quant’è bella l’immagine che lui ci dà del suo amore,
quando questo chiude gli occhi per trovare una parola che le sfugge). È la
storia di una relazione extraconiugale che si trasforma poi in un matrimonio, e
delle paure di lei di poter (dover?) rivivere momenti simili a quelli che lei
ha fatto vivere alla prima moglie del marito. È la storia della ragazza i cui
genitori decidono di aderire ad una setta New Age, e del suo difficile recupero
di un rapporto con loro (difficile ma non impossibile). È la storia della
escort che esce dal giro, che trova l’amore, e che riesce a ripercorrere tutta
la propria infanzia guardando il fiume della sua giovinezza, ed affrontando sia
gli ex-clienti che le vorrebbero male, sia lo strano rapporto che aveva con la
madre nei suoi primi anni di vita (quando il padre si era allontanato con
un'altra donna, anche se poi era tornato). Pur tuttavia, se le intenzioni della
scrittrice sono intuizioni interessanti, la resa finale è un po’ sottotono. I
racconti scorrono, infatti, come l’acqua di un ruscello in pianura. Non
impetuosa, ma placida, avvolgente, spesso quasi ferma. E ciò nonostante,
continuo a ritenere la lettura dei libri di Banana un buon viatico per comprendere
il Giappone. Finisco con un pensiero “laterale”: ho da poco letto anche un
racconto di De Silva (del 2013) dove compare un’immagine assolutamente omologa
ad una di questo racconto di venti anni prima. La comprensione della fine di un
amore collegata ad un preciso istante temporale: le dieci e un quarto. Potenza
della narrativa.
Banana Yoshimoto “Sly” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato a 4,88
euro)
[A: 03/08/2013– I: 31/10/2013 – T: 04/11/2013] - &&&&
[tit. or.: Sly Sekai no tabi; ling. or.: giapponese; pagine: 129;
anno 1996]
Come
trasformare un bel reportage di viaggio in un buon libro, ecco l’impegno che si
è assunta Banana con questo romanzo. E vi è riuscita. Intanto, il titolo
giapponese (Sekai no tabi) vuol dire “In giro per il mondo”. Già questo mi
piace di più che quello “Sly” (furbo? scaltro?) appiccicato lì. Poi, la
scoperta che in giro significa Egitto, paese a me sempre e comunque caro, ha
aumentato l’empatia verso questo testo veloce. Che in realtà, nasce proprio
come reportage. Banana si reca in Egitto con degli amici, e vede e scopre cose
di una travolgente bellezza. Le città (Il Cairo, Assuan, Luxor), le atmosfere
(i mercati, Khan el-Khalili) e soprattutto i monumenti (le piramidi, la Valle
dei Re, e tanti altri). Leggendo poi queste descrizioni, le sensazioni che
prova, mi sono sentito proiettato immediatamente negli stessi luoghi, che tante
volte ho visto e tante rivedrei. La bellezza della scoperta delle pitture
murali nella Valle dei Re. L’incanto delle isolette sul Nilo. La maestosità
della diga Nasser. La crociera sul Nilo, con i suoi tempi, il modo di
contrattare dalla nave alla riva, il cibo, il karkadè. Le strade affollate di
Muski. Le strette stradine del suq. Le piramidi di Giza, soprattutto da quella
prospettiva unica e straniante che ho avuto dalla piscina dell’Hotel Oberoi. La
discesa, faticosa, improba, dentro la piramide di Cheope. Il quartiere copto.
Il Museo Egizio e la sua piazza. Il traffico della città. Il caffè con i
giocatori di scacchi. La pizza egiziana. In definitiva, la somma di tutte
quelle cose che fanno unico l’Egitto per ognuno in generale, e per me in
particolare. Ma sto divagando. Perché Banana vede tutte queste cose, ma le
restituisce in un quadro mutato, suo, diverso anch’esso da tutto il resto.
Costruendovi intorno la storia di Kiyose e dei suoi due amici, Takashi e Hideo.
Amici, compagni, amanti direbbe la Munro. Kiyose è stata la prima donna di Takashi,
più omo che etero. E quando si lasceranno, Takashi si mette con Hideo,
aiutandolo con la sua sensibilità a mettere in piedi uno studio. Per poi
lasciarsi anche loro, con Hideo che diventa l’amico del cuore di Kiyose, e
Takashi che si mette con Mimi. Anche Kiyose ha una sua strana sensibilità verso
le cose, gli oggetti inanimati. Tanto che diventerà una disegnatrice di
gioielli, utilizzando le pietre come veicolo di comunicazione. Ed avrà tanto di
ritorno di sensazioni dalle pietre egiziane (ed anche dal deserto, che non ci
si può dimenticare delle oasi sahariane). La storia ha il suo punto di svolta
quando Takashi scopre di essere sieropositivo. Ecco che chiede agli amici di
fare anche loro i test. Ecco che passiamo per tutti i loro stati d’animo, di
attesa, di paura, di immaginazione. Ecco allora che partono per quella vacanza
in Egitto di cui avevano sempre favoleggiato senza realizzarla. Così che la
finzione si raccorda alla realtà, e Banana ce la racconta, con gli occhi, le
sensazioni e le paure di Kiyose. Con gli incontri che i tre avranno nel paese
arabo. Con l’altalenarsi delle condizioni di salute di Takashi, con il suo modo
di pensare (non direi affrontare) la malattia. Ed i discorsi dei due
omosessuali intorno agli amici che muoiono o sono morti. Una complessa attesa.
Di quello che vedono. Di quello che succede ai loro corpi ed alle loro menti,
inserite in una così estrema situazione. Non risolve nulla Banana, non serve.
Non importa sapere se e quando Takashi muore, se Kiyose è positiva o meno.
L’esperienza della malattia, e la condivisione del viaggio, portano ad
accettare quello che viene, incasellandolo nei momenti di felicità che ognuno
di noi prova, ha provato e proverà. Un ultimo tocco di lettura straniante: ho
letto della partenza di Kiyose per l’Egitto dall’aeroporto di Narita, quando
anch’io stavo a Narita, aspettando l’aereo per tornare in Italia. Ed è stato
magico.
“Al mondo ci sono un’infinità di cose che si
capiscono solo se si provano sulla propria pelle.” (46)
“In un modo o nell’altro, le cose che
creiamo parlano di noi con più precisione di ogni altra.” (58)
“A volte penso a quanto era bello guardare
il mercato mangiando pancake egiziano e bevendo il tè con dentro le foglie di
menta fresca.” (126)
Banana Yoshimoto “Un viaggio chiamato vita”
Feltrinelli euro 7
[A: 09/11/2013 – I: 26/12/2013 – T: 28/12/2013] - &&&
e ½
[tit. or.: Jinsei no tabi wo
yuku; ling. or.: giapponese; pagine: 181; anno 2006]
Diciamo
un saggio, piuttosto che un romanzo, o una raccolta di mini racconti. In
realtà, prendendo spunto da viaggi (e da situazioni varie), Banana ci racconta
un po’ di se stessa. Di quel viaggio intrapreso ormai son cinquanta anni, e che
l’ha portata ad essere quello che è. Non un’autobiografia ma l’utilizzo di
spunti personali, per dirci qualcosa. Per darci qualche sensazione, al solito
con la leggerezza che contraddistingue l’autrice sia in quanto scrittrice sia
in quanto giapponese. E molto, dell’essenza di questo lontano popolo traspare
delle sue righe. Tanto che, al solito, piena di citazioni e rimandi è il fondo
di questa trama. E prendo spunto proprio dall’ultimo, quel viaggio che ci
accompagna ogni giorno, per seguire i viaggi, fisici e mentali di Banana. La
prima parte ci porta con lei verso alcuni luoghi altri. Torniamo all’Egitto del
libro precedentemente tramato. Ma ci spostiamo poi verso una fattoria a
Brisbane, o in Argentina a bere mate. Fino ai frequenti e pieni di sensazioni
viaggi in Italia. Con quel potente profumo di rosmarino che ci rimanda la
Sicilia. E con tutte quelle micro-sensazioni che accompagnano Banana in vari
luoghi italiani (la stessa Sicilia, le città, Saturnia e le sue terme).
Chiosate con elementi di discussione da dove si potrebbe partire per un
dibattito. A volte, le cose che colpiscono in positivo Banana sono proprio
quelle che a me fanno della mia terra un luogo di dolente stare. E quando lei
le contrappone al suo Giappone, trovando fascinoso l’arrangiarsi italico
rispetto all’ordine di casa sua, a me viene di contrapporle il contrario. Come io
trovi intrigante proprio quell’ordine che lei neglige. Ritengo non tanto che
“l’erba del vicino è sempre più verde” (frase troppo banale), ma che la quotidianità
del luogo in cui stiamo, a volte, ne esalta le qualità negative, per cui
vediamo meglio e con piacere l’altrove. Dove però non staremo a lungo, tanto da
vederne la decadenza. E dai “grandi” viaggi, Banana poi torna ai piccoli (si fa
per dire), ma solo in senso di spostamento fisico. Che grande (e ben lo sappiamo)
è il viaggio di avere e di crescere un figlio. Ma altrettanto grande è il
rivedere i luoghi del sé passati gli anni. Quando lei faceva la cameriera, o
altri mestieri, o girava con le amiche, o trovava fuori luogo i comodi sandali
della sorella. Sensazioni che, facendone la tara, risento camminando e vivendo
nei miei luoghi. Se ripasso per Piazza dei Sanniti, se passo vicino a via degli
Anamari, quando mi affaccio al Bar Olivetti di via Salaria, fermandomi davanti
all’ex-Teatro delle Arti, girando per luoghi ove un dì c’erano librerie (l’Asterisco
di via Silla, tanto per dirne una), anche solo ricordando (ed è uno dei ricordi
più recenti) le frappe di Frabotta. Ma qui non si parla di me, e si ritorna al
libro. Anche alle parti dolenti dell’andare via. Sia solo come amici che si
perdono di vista, ma sia, e con più forza, di chi ci lascia per sempre. Anche
la morte del cane è di una delicatezza unica, riuscendo a trasmettere dalla
pagina la sensazione di carezzarne il pelo. O la morte solitaria ma non triste
dell’amico barista. Ma tutti questi viaggi, ci dice Banana, finiscono e ne
rimane il ricordo. E tutti, rovesciandone la percorrenza visto che ho citato
per prima l’ultima pagina, ritornano ad essere meravigliosi, come ci consiglia
di pensare nella prima. Sono in perfetto accordo, come nel ricordo del
terribile ritorno in treno da Parigi, senza soldi e senza dormire. Sono sicuro
che allora ne soffrii in modo mirabile (oltre al fatto di aver lasciato un mio
giovanile amore). Ed ora che ne ripenso e quando ne racconto, me ne rivengono
solo le sensazioni positive. Come se il cervello facesse un’opera di filtro,
per cui, seppur ricordiamo momenti brutti, le cose che ne vengono a galla, sono
gli aspetti (piccoli, insignificanti, marginali) che ne permettono la fruizione
anche ora. Altrimenti li avremmo sepolti sotto montagne di sassi e lì
dimenticati. Grazie per questo nuovo viaggio Banana. Non sempre mi piace la tua
scrittura, non sempre gradisco il tuo tocco troppo lieve (a volte servirebbe
più grinta, penso). Ma sempre mi culla il pensiero di chi riesce a guardare intorno
a se. E ad emozionarsi.
“Un viaggio, per quanto terribile possa
essere, nel ricordo si trasforma in qualcosa di meraviglioso.” (9)
“Penso che siano molte le persone che,
studiando all’estero, sono ingrassate senza più riuscire a tornare come prima.”
(16)
“Le cose sono più buone quando si bevono nel
luogo da cui provengono … però il fatto che i sapori restino legati al corpo
come ricordi ha dell’incredibile.” (23)
“[L’Italia] è un paese in cui niente va come
deve andare, e si deve spesso cedere a qualche compromesso, ma è proprio questo
che mi piace.” (41)
“Però è difficile che, indolente come sono,
riesca … a concentrarmi su qualcosa e portarla avanti.” (44)
“La tavola [del pranzo, con i cibi] è come
una tela dipinta che ci insegna che ‘oggi’ è una volta sola.” (93)
“I libri non servono a niente se poi si
manca di spirito di osservazione.” (102)
“Sono certa che tutti hanno qualcosa … per la
quale le altre persone pensano ‘per fortuna che ci sei’.” (116)
“Grazie di cuore per essere stato sempre
gentile con me.” (171)
“Ogni giorno è un viaggio.” (179)
Di altri
viaggi non si vede una grande prospettiva, anche se, forse, qualcosa par si
muova. E prima di attendere altre avventure, io penso ai viaggi in prima
persona. Si sta procedendo a ritmo serrato allo studio della possibile
Transiberiana. Ma anche ai miei voli agostani.
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