domenica 26 gennaio 2014

Bānānā - 26 gennaio 2014

Così si traslittera il suo nome, anzi il suo pseudonimo che dice di aver scelto perché le piacevano i fiori del frutto. Ed è una settimana tutta giapponese, tutta dedicata a questa scrittrice non sempre di mio gradimento (ha i suoi alti e bassi, come tutti). Tuttavia è una scrittura che mi rimanda il senso del bel viaggio novembrino. Non è un caso, poi, che quello che più mi è piaciuto di questi scritti riguardi i viaggi. Suoi, ma che faccio anche miei.
Banana Yoshimoto “High & Dry Primo Amore” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato a 5,52 euro)
[A: 19/06/2013– I: 23/06/2013 – T: 25/06/2013] - &&&
[tit. or.: High and Dry (Hatsukoi); ling. or.: giapponese; pagine: 108; anno 2011]
Dopo un inizio, molti anni fa, che mi lasciò perplesso nei confronti della scrittrice giapponese, da qualche anno, ogni tanto ne prendo in mano un libro, e devo dire ne apprezzo meglio i pregi, pur notandone ancora difetti (ovviamente per il mio modo di interpretare la scrittura). Banana scrive sempre in punta di penna, con quelle pennellate che mi riportano ad acquerelli visti anni fa ad una mostra a Roma: tocchi delicati di sensazioni fuggevoli. Questo pregio a volte si tramuta in difetto, nel corso della stessa scrittura, quando mi aspetterei un movimento, un’azione, qualcosa, insomma, che ogni tanto tocchi la terra. E spesso, non succedendo, come in questo che non direi essere né romanzo né racconto, uno scritto forse, un flusso di parole, un tentativo di descrizione di uno dei tanti riti di passaggio. Qui il passaggio attraverso l’adolescenza, di Yuko una ragazza quattordicenne, molto sensibile, molto attenta anche ai colori delle cose che la circondano, con un padre lontano, in America, a cercare oggetti antiquari da vendere nella sua bottega di Tokyo, ed una madre che lavora in libreria, che si appassiona di momenti ecologici, che mangerebbe solo gelato, e che se si mette a leggere un libro, è capace di scordarsi tutto, anche di portare la figlia a scuola. E Yuko esterna questa sensibilità disegnando (e già qui ricordi si affastellano), e trova una scintilla di comprensione verso Kyu il maestro di disegno, che capisce al volo i suoi stati d’animo, che corregge i suoi colori interpretandoli e che, insieme a lei, vede starni fenomeni visivi. Ma Kyu ha il doppio degli anni di Yuko, è già un artista, e già ha avuto donne e fidanzate. Potrà nascere qualcosa? Banana ci porta a vedere che la sensibilità non ha età, che le affinità elettive vanno oltre ed al di là di momenti temporali. E poi anche il “grande” Kyu ha (o ha avuto) i suoi problemi, il padre è morto, anche la madre è un’artista, anzi una scultrice, e Kyu soffre ancora di un abbandono infantile che non si è mai spiegato. Yuko e Kyu parlando di tutto e scambiandosi sensazioni attraversano le non molte pagine del libro, dandomi, in ogni caso, sensazioni fresche. E sempre, proprio per quei tocchi lievi, pieno anche di frasi, elementi di scrittura che facilmente rimangono nel fondo dell’occhio, per poi penetrare a poco a poco nei labirinti cerebrali, e lì germogliare in pensieri, spesso e volentieri fecondi. Non è importante se la loro storia andrà avanti, non è questo il nocciolo. Il cuore di questo primo amore, di una delicatezza che quasi non si può ri-raccontare sta nella presa di coscienza dei personaggi. In Yuko che si accorge di poter sopravvivere anche se i genitori possono avere problemi, che rinsalda il forte legame con la madre, che capisce le potenzialità del rapporto con Kyu, ma ne capisce tutti i possibili limiti, che verranno a breve, ma che saranno oggetto di secondi, terzi, altri amori. E Kyu cresce, con la forza di Yuko affronta i suoi lati oscuri, e finalmente e con soddisfazione si chiarisce con la madre. A volte mi aspettavo uno scatto. A volte un colore in più. Ma non sarebbe Banana se fosse così. Rimane una piacevole lettura, che forse sarebbe indicata a qualche giovane in crescita. E che mi fa ribadire un concetto che espressi alla lettura di un libro di Colette, ripetendo con lei, più che un primo amore, mi piacerebbe essere l’ultimo di qualcuno, per andare avanti da ora fino a …
“Non sapevo che quando ci si innamora di qualcuno si versano così tante lacrime, un po’ per la tristezza e un po’ per la felicità.” (25)
“Come tutti i maschi, una volta che bacio … finisco per pensare a cosa verrà dopo.” (36)
“In fondo credo che sia una mamma normale. Del tutto normale. Così tanto da sembrare speciale.” (37)
“Se questa è la vita, bisogna stare attenti a non sprecarne neanche un po’, in mezzo alla desolazione ed alla fretta.” (50)
“A questa distanza tu e la mamma mi sembrate ancora più belle che nella realtà.” (64)
“Quando si è direttamente coinvolti, è difficile accorgersi di qualcosa.” (70)
“Ho la sensazione che ci siano cose che a parlarne svaniscono, e altre che invece crescono. Quello che c’era tra noi apparteneva alla prima categoria.” (75)
“Il tempo passa… Lo si percepisce con estrema precisione quando si torna dopo tanto in un luogo rimasto uguale a com’era.” (87)
Banana Yoshimoto “Lucertola” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato a 5,52 euro)
[A: 08/10/2013– I: 29/10/2013 – T: 30/10/2013] - && e ½
[tit. or.: Tokage; ling. or.: giapponese; pagine: 117; anno 1993]
Avevo deciso che il mio primo viaggio giapponese (oltre le immancabili guide) avrebbe toccato un altro po’ di letteratura giapponese. Per questo (ma anche per non caricare troppo il bagaglio) ho optato di portarmi dietro due libretti di Banana Yoshimoto. In quanto la sua scrittura mi sa molto di Tōkyō (lo scrivo qui, per l’unica volta, come andrebbe scritto in traslitterazione, con le due vocali lunghe, e con le due sillabe distinte ed accentate; in fondo una settimana in Giappone sarà servita a qualcosa) ed i suoi romanzi e racconti sono brevi e poco ingombranti. Delle due letture, questa (affrontata per prima, all’arrivo) è quella che mi ha preso di meno. Soprattutto che si tratta di racconti (genere che come tutti sanno, io non sempre apprezzo). E quando Banana scrive racconti, il suo periodare etereo si fa ancora più rarefatto. Dove si arriva al romanzo, la scrittura a poco a poco, prende colore; qui si ferma un passo prima. Si dice qualcosa, si narra, ma tutto rimane lì, un po’ sospeso. Forse un po’ troppo sospeso per i miei gusti. D’altra parte, sono comunque racconti delle prime scritture di Banana, composti prima dei suoi 30 anni. Lei stessa confessa di trovarli in parte immaturi. Ma fatte salve queste critiche un po’ formali, seppur non compiuti, affrontano tutti una variazione sullo stesso tema: la formazione dell’io, la costruzione della propria personalità, il riconoscere del proprio agire inseriti nel mondo. I protagonisti di queste sei pennellate sono messi di fronte ad un problema, di fronte a qualcosa che li deve mettere in moto. E quando questo accade, c’è sempre e prima di tutto il disagio (di non saper fare, di essere inadeguati, di sbagliare) e poi il sollievo (di aver fatto, di aver affrontato, spesso non risolto, ma…). Banana ci fa capire che questo è uno dei modi in cui si costruisce la nostra personalità. Non il carattere (che ben sappiamo viene da lontano), ma il modo di usare il proprio carattere nella vita. È la paura del marito di Atsuko ad affrontare la quotidianità del matrimonio. È la storia di Lucertola (il miglior racconto) e del suo amore per il medico che la portano a rivivere (e superare) traumi adolescenziali (con quella bellissima immagine del mattino al tempio scintoista di Narita). È il rapporto tra i due innamorati, nell’attesa che lei affronti un percorso psicologico difficile (ma quant’è bella l’immagine che lui ci dà del suo amore, quando questo chiude gli occhi per trovare una parola che le sfugge). È la storia di una relazione extraconiugale che si trasforma poi in un matrimonio, e delle paure di lei di poter (dover?) rivivere momenti simili a quelli che lei ha fatto vivere alla prima moglie del marito. È la storia della ragazza i cui genitori decidono di aderire ad una setta New Age, e del suo difficile recupero di un rapporto con loro (difficile ma non impossibile). È la storia della escort che esce dal giro, che trova l’amore, e che riesce a ripercorrere tutta la propria infanzia guardando il fiume della sua giovinezza, ed affrontando sia gli ex-clienti che le vorrebbero male, sia lo strano rapporto che aveva con la madre nei suoi primi anni di vita (quando il padre si era allontanato con un'altra donna, anche se poi era tornato). Pur tuttavia, se le intenzioni della scrittrice sono intuizioni interessanti, la resa finale è un po’ sottotono. I racconti scorrono, infatti, come l’acqua di un ruscello in pianura. Non impetuosa, ma placida, avvolgente, spesso quasi ferma. E ciò nonostante, continuo a ritenere la lettura dei libri di Banana un buon viatico per comprendere il Giappone. Finisco con un pensiero “laterale”: ho da poco letto anche un racconto di De Silva (del 2013) dove compare un’immagine assolutamente omologa ad una di questo racconto di venti anni prima. La comprensione della fine di un amore collegata ad un preciso istante temporale: le dieci e un quarto. Potenza della narrativa.
Banana Yoshimoto “Sly” Feltrinelli euro 6,50 (in realtà, scontato a 4,88 euro)
[A: 03/08/2013– I: 31/10/2013 – T: 04/11/2013] - &&&&
[tit. or.: Sly Sekai no tabi; ling. or.: giapponese; pagine: 129; anno 1996]
Come trasformare un bel reportage di viaggio in un buon libro, ecco l’impegno che si è assunta Banana con questo romanzo. E vi è riuscita. Intanto, il titolo giapponese (Sekai no tabi) vuol dire “In giro per il mondo”. Già questo mi piace di più che quello “Sly” (furbo? scaltro?) appiccicato lì. Poi, la scoperta che in giro significa Egitto, paese a me sempre e comunque caro, ha aumentato l’empatia verso questo testo veloce. Che in realtà, nasce proprio come reportage. Banana si reca in Egitto con degli amici, e vede e scopre cose di una travolgente bellezza. Le città (Il Cairo, Assuan, Luxor), le atmosfere (i mercati, Khan el-Khalili) e soprattutto i monumenti (le piramidi, la Valle dei Re, e tanti altri). Leggendo poi queste descrizioni, le sensazioni che prova, mi sono sentito proiettato immediatamente negli stessi luoghi, che tante volte ho visto e tante rivedrei. La bellezza della scoperta delle pitture murali nella Valle dei Re. L’incanto delle isolette sul Nilo. La maestosità della diga Nasser. La crociera sul Nilo, con i suoi tempi, il modo di contrattare dalla nave alla riva, il cibo, il karkadè. Le strade affollate di Muski. Le strette stradine del suq. Le piramidi di Giza, soprattutto da quella prospettiva unica e straniante che ho avuto dalla piscina dell’Hotel Oberoi. La discesa, faticosa, improba, dentro la piramide di Cheope. Il quartiere copto. Il Museo Egizio e la sua piazza. Il traffico della città. Il caffè con i giocatori di scacchi. La pizza egiziana. In definitiva, la somma di tutte quelle cose che fanno unico l’Egitto per ognuno in generale, e per me in particolare. Ma sto divagando. Perché Banana vede tutte queste cose, ma le restituisce in un quadro mutato, suo, diverso anch’esso da tutto il resto. Costruendovi intorno la storia di Kiyose e dei suoi due amici, Takashi e Hideo. Amici, compagni, amanti direbbe la Munro. Kiyose è stata la prima donna di Takashi, più omo che etero. E quando si lasceranno, Takashi si mette con Hideo, aiutandolo con la sua sensibilità a mettere in piedi uno studio. Per poi lasciarsi anche loro, con Hideo che diventa l’amico del cuore di Kiyose, e Takashi che si mette con Mimi. Anche Kiyose ha una sua strana sensibilità verso le cose, gli oggetti inanimati. Tanto che diventerà una disegnatrice di gioielli, utilizzando le pietre come veicolo di comunicazione. Ed avrà tanto di ritorno di sensazioni dalle pietre egiziane (ed anche dal deserto, che non ci si può dimenticare delle oasi sahariane). La storia ha il suo punto di svolta quando Takashi scopre di essere sieropositivo. Ecco che chiede agli amici di fare anche loro i test. Ecco che passiamo per tutti i loro stati d’animo, di attesa, di paura, di immaginazione. Ecco allora che partono per quella vacanza in Egitto di cui avevano sempre favoleggiato senza realizzarla. Così che la finzione si raccorda alla realtà, e Banana ce la racconta, con gli occhi, le sensazioni e le paure di Kiyose. Con gli incontri che i tre avranno nel paese arabo. Con l’altalenarsi delle condizioni di salute di Takashi, con il suo modo di pensare (non direi affrontare) la malattia. Ed i discorsi dei due omosessuali intorno agli amici che muoiono o sono morti. Una complessa attesa. Di quello che vedono. Di quello che succede ai loro corpi ed alle loro menti, inserite in una così estrema situazione. Non risolve nulla Banana, non serve. Non importa sapere se e quando Takashi muore, se Kiyose è positiva o meno. L’esperienza della malattia, e la condivisione del viaggio, portano ad accettare quello che viene, incasellandolo nei momenti di felicità che ognuno di noi prova, ha provato e proverà. Un ultimo tocco di lettura straniante: ho letto della partenza di Kiyose per l’Egitto dall’aeroporto di Narita, quando anch’io stavo a Narita, aspettando l’aereo per tornare in Italia. Ed è stato magico.
“Al mondo ci sono un’infinità di cose che si capiscono solo se si provano sulla propria pelle.” (46)
“In un modo o nell’altro, le cose che creiamo parlano di noi con più precisione di ogni altra.” (58)
“A volte penso a quanto era bello guardare il mercato mangiando pancake egiziano e bevendo il tè con dentro le foglie di menta fresca.” (126)
Banana Yoshimoto “Un viaggio chiamato vita” Feltrinelli euro 7
[A: 09/11/2013 – I: 26/12/2013 – T: 28/12/2013] - &&& e ½  
[tit. or.: Jinsei no tabi wo yuku; ling. or.: giapponese; pagine: 181; anno 2006]
Diciamo un saggio, piuttosto che un romanzo, o una raccolta di mini racconti. In realtà, prendendo spunto da viaggi (e da situazioni varie), Banana ci racconta un po’ di se stessa. Di quel viaggio intrapreso ormai son cinquanta anni, e che l’ha portata ad essere quello che è. Non un’autobiografia ma l’utilizzo di spunti personali, per dirci qualcosa. Per darci qualche sensazione, al solito con la leggerezza che contraddistingue l’autrice sia in quanto scrittrice sia in quanto giapponese. E molto, dell’essenza di questo lontano popolo traspare delle sue righe. Tanto che, al solito, piena di citazioni e rimandi è il fondo di questa trama. E prendo spunto proprio dall’ultimo, quel viaggio che ci accompagna ogni giorno, per seguire i viaggi, fisici e mentali di Banana. La prima parte ci porta con lei verso alcuni luoghi altri. Torniamo all’Egitto del libro precedentemente tramato. Ma ci spostiamo poi verso una fattoria a Brisbane, o in Argentina a bere mate. Fino ai frequenti e pieni di sensazioni viaggi in Italia. Con quel potente profumo di rosmarino che ci rimanda la Sicilia. E con tutte quelle micro-sensazioni che accompagnano Banana in vari luoghi italiani (la stessa Sicilia, le città, Saturnia e le sue terme). Chiosate con elementi di discussione da dove si potrebbe partire per un dibattito. A volte, le cose che colpiscono in positivo Banana sono proprio quelle che a me fanno della mia terra un luogo di dolente stare. E quando lei le contrappone al suo Giappone, trovando fascinoso l’arrangiarsi italico rispetto all’ordine di casa sua, a me viene di contrapporle il contrario. Come io trovi intrigante proprio quell’ordine che lei neglige. Ritengo non tanto che “l’erba del vicino è sempre più verde” (frase troppo banale), ma che la quotidianità del luogo in cui stiamo, a volte, ne esalta le qualità negative, per cui vediamo meglio e con piacere l’altrove. Dove però non staremo a lungo, tanto da vederne la decadenza. E dai “grandi” viaggi, Banana poi torna ai piccoli (si fa per dire), ma solo in senso di spostamento fisico. Che grande (e ben lo sappiamo) è il viaggio di avere e di crescere un figlio. Ma altrettanto grande è il rivedere i luoghi del sé passati gli anni. Quando lei faceva la cameriera, o altri mestieri, o girava con le amiche, o trovava fuori luogo i comodi sandali della sorella. Sensazioni che, facendone la tara, risento camminando e vivendo nei miei luoghi. Se ripasso per Piazza dei Sanniti, se passo vicino a via degli Anamari, quando mi affaccio al Bar Olivetti di via Salaria, fermandomi davanti all’ex-Teatro delle Arti, girando per luoghi ove un dì c’erano librerie (l’Asterisco di via Silla, tanto per dirne una), anche solo ricordando (ed è uno dei ricordi più recenti) le frappe di Frabotta. Ma qui non si parla di me, e si ritorna al libro. Anche alle parti dolenti dell’andare via. Sia solo come amici che si perdono di vista, ma sia, e con più forza, di chi ci lascia per sempre. Anche la morte del cane è di una delicatezza unica, riuscendo a trasmettere dalla pagina la sensazione di carezzarne il pelo. O la morte solitaria ma non triste dell’amico barista. Ma tutti questi viaggi, ci dice Banana, finiscono e ne rimane il ricordo. E tutti, rovesciandone la percorrenza visto che ho citato per prima l’ultima pagina, ritornano ad essere meravigliosi, come ci consiglia di pensare nella prima. Sono in perfetto accordo, come nel ricordo del terribile ritorno in treno da Parigi, senza soldi e senza dormire. Sono sicuro che allora ne soffrii in modo mirabile (oltre al fatto di aver lasciato un mio giovanile amore). Ed ora che ne ripenso e quando ne racconto, me ne rivengono solo le sensazioni positive. Come se il cervello facesse un’opera di filtro, per cui, seppur ricordiamo momenti brutti, le cose che ne vengono a galla, sono gli aspetti (piccoli, insignificanti, marginali) che ne permettono la fruizione anche ora. Altrimenti li avremmo sepolti sotto montagne di sassi e lì dimenticati. Grazie per questo nuovo viaggio Banana. Non sempre mi piace la tua scrittura, non sempre gradisco il tuo tocco troppo lieve (a volte servirebbe più grinta, penso). Ma sempre mi culla il pensiero di chi riesce a guardare intorno a se. E ad emozionarsi.
“Un viaggio, per quanto terribile possa essere, nel ricordo si trasforma in qualcosa di meraviglioso.” (9)
“Penso che siano molte le persone che, studiando all’estero, sono ingrassate senza più riuscire a tornare come prima.” (16)
“Le cose sono più buone quando si bevono nel luogo da cui provengono … però il fatto che i sapori restino legati al corpo come ricordi ha dell’incredibile.” (23)
“[L’Italia] è un paese in cui niente va come deve andare, e si deve spesso cedere a qualche compromesso, ma è proprio questo che mi piace.” (41)
“Però è difficile che, indolente come sono, riesca … a concentrarmi su qualcosa e portarla avanti.” (44)
“La tavola [del pranzo, con i cibi] è come una tela dipinta che ci insegna che ‘oggi’ è una volta sola.” (93)
“I libri non servono a niente se poi si manca di spirito di osservazione.” (102)
“Sono certa che tutti hanno qualcosa … per la quale le altre persone pensano ‘per fortuna che ci sei’.” (116)
“Grazie di cuore per essere stato sempre gentile con me.” (171)
“Ogni giorno è un viaggio.” (179)
Di altri viaggi non si vede una grande prospettiva, anche se, forse, qualcosa par si muova. E prima di attendere altre avventure, io penso ai viaggi in prima persona. Si sta procedendo a ritmo serrato allo studio della possibile Transiberiana. Ma anche ai miei voli agostani.

Nessun commento:

Posta un commento