domenica 15 febbraio 2015

Ritorna l’avventura - 15 febbraio 2015

E già, dopo i viaggi, non resta che l’avventura sulla carta. In questi due mesi asiatici io ed i miei compagni di viaggio, di avventure ne abbiamo trascorse. Ora torno ai libri, e ad uno dei maestri di questa scrittura. Benché anche lui ormai stia invecchiando e mostrando la corda. Tant’è vero che il giudizio complessivo su questi quattro libri è, anche se di poco, sotto la media. E ben lontano dai fasti dei primi episodi di Dirk Pitt!
Clive Cussler & Grant Blackwood “L’oro di Sparta” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 19/05/2013 – I: 21/06/2014 – T: 25/06/2014] - && e ½  
[tit. or.: Spartan Gold; ling. or.: inglese; pagine: 406; anno 2009]
Ecco un nuovo spin-off della mega produzione del “maestro dell’avventura” Clive Cussler, che ci dà agio di parlare di un diverso metodo di cercare successi (o best-seller) sulla scia di long seller story. Cussler inizia nel 1973 la sua fortunata serie di avventure con protagonista uno scanzonato “James Bond” (inteso come fascino non come spia) dei mari. E su quello, crea un impero di storie avventurose (vi posso dire che siamo arrivati a 22 libri della serie maggiore e 20 delle due serie minori che ad un certo punto affiancano e cavalcano il successo). Ora, la diversificazione, l’introduzione di nuovi spunti è necessaria per non perire. Quindi Cussler prova con Isaac Bell, un avventuriero di cui costruisce un primo episodio “prova” e visto il successo ne continua la scrittura. Avendo poi alle spalle una fucina di scrittura (l’ormai più che ottantenne scrittore si fa affiancare dal figlio e da altri utilizzatori di penna), qui prova una strada diversa, anche se simile ad una precedente. L’idea sarebbe prendere qualche personaggio delle serie maggiori e farne il perno per una nuova serie. Tuttavia, togliere i coniugi Trout dai “Numa files” farebbe squilibrare troppo quei romanzi. Allora si crea una coppia, clone dei Trout, gli si cambia nome facendoli diventare i coniugi Fargo (Sam e Remi) e vai con la catena di montaggio. E si affida subito una parte di co-sceneggiatore ad uno scrittore di fama locale negli scritti su battaglie navali. A questo punto si può partire, ma la resa finale è, pur se dignitosa, decisamente inferiore agli altri standard della ditta “Cussler”. C’è molta carne messa al fuoco, ma ad un certo punto si va molto veloci, facendo risolvere piccoli misteri (pur utili all’impianto generale) senza troppo spiegarli. Ed anche le scene avventurose (lotte dei buoni vs. cattivi, ed altri momenti topici dell’avventura) non sono gestite con mano sicura. Come detto, l’impianto ricalca i classici “Cussler”: prologo che viene dal passato, piccolo mistero che si tende a scoprire nel finale, un cattivo che fa leva su quel mistero per propri tornaconti personali, ed i buoni, appunto i coniugi Fargo, lancia in resta a sbaragliare il campo, senza neanche metterci troppa passione, quasi fossero troppo superiori ai nemici. Non manca il solito cammeo dell’autore, che compare (alla Hitchcock) come proprietario di un cottage sull’isola che vede le scene centrali della lotta tra i Fargo ed i cattivi. Nel prologo Napoleone, durante la traversata delle Alpi, scopre una caverna con misteriose statue. Il cattivo è un ex-soldato poi mafioso ucraino, di stanza a Sebastopoli, ma di ascendenza persiana (come molta Crimea), che cerca di svelare il mistero napoleonico, solo perché dietro ce n’è un altro. I Fargo incappano nell’avventura scoprendo uno strano mini-sommergibile nazista verso la foce di un fiume nel Maryland. Nel sommergibile c’è una bottiglia che, decifrato il codice inscritto nell’etichetta, la fa risalire alle 12 bottiglie superstiti del vino vendemmiato da Napoleone. Si parte allora alla ricerca delle altre, andando su e giù per il mondo. Dal Maryland ci si sposta nelle Bahamas alla ricerca del secondo sommergibile e della seconda bottiglia, che però viene loro sottratta dal cattivo ucraino. Allora ci si sposta in Europa: prima nel Principato di Monaco dove è presente una discendente del sodale di Napoleone. Poi si va all’Elba alla ricerca di una tomba che contiene un libro con il codice da decrittare. Quindi, audacemente, i Fargo fanno incursione a Sebastopoli, nella villa del cattivo, per rubare la suddetta bottiglia. Con l’aiuto del loro piccolo ufficio rimasto negli States (e con i soldi, anche, della ricca monegasca), alla fine ricostruiscono tutto il percorso. Bondaruk, il cattivo ucraino, non era interessato alle bottiglie, ma al fatto che queste contenevano una mappa a ritroso per trovare il famoso tesoro nascosto nelle Alpi. Un tesoro che sfugge all’esercito di Serse invasore della Grecia per mezzo di un manipolo di spartani che lo porta in salvo da Delfi prima in Croazia e poi nelle Alpi. Ma questo si scopre velocemente nelle pagine finali (e finalmente da un senso al titolo sull’oro spartano). Vi lascio immaginare le scaramucce che si hanno per tutte e 400 le pagine del libro. Non sono molto efficaci (lontane miglia da Paul Kemprecos dei primi “Numa files”). Come molto veloce è la soluzione delle varie crittografie. Soluzioni che ci vengono spesso date, ma gli autori non fanno partecipe il lettore del modo di risolverli. Nella battaglia finale, i Fargo hanno ovviamente la meglio, Bondaruk muore, e si vedrà come restituire i reperti archeologici a chi di dovere. Prometteva di più nella prima parte. Poi si corre troppo, ed i coniugi Fargo fanno troppo la figura di deus ex-machina, troppo super-eroi. Speriamo migliori, che ovviamente, visto il tutto Cussler della mia libreria, ho già investito nelle successive uscite. Dimenticavo alla fine di fare una tirata d’orecchi o a Seba Pezzani per la traduzione o all’editor della TEA. A pagina 307, siamo su di un battello che naviga in Baviera, ed il capitano afferma “Sulla destra, vedete Echowand, che in inglese significa il ‘Muro dell’Eco’”. Ora. Poiché siamo in un paese di lingua germanica, in quella lingua Echowand significa esattamente Muro dell’Eco. Non certo in inglese, dove tutt’al più si dirà Echowall. Qualcuno ha fatto confusione!
“Per Sam la storia era sempre stata un insieme di racconti di persone reali che facevano cose reali.” (37)
Clive Cussler & Jack Du Brul “Oceani in fiamme” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 12/03/2014 – I: 26/07/2014 – T: 30/07/2014] - && e ½  
[tit. or.: The Silent Sea; ling. or.: inglese; pagine: 362; anno 2010]
Questa è la settima avventura dei così chiamati “Oregon files”, cioè le avventure del capitano Juan Cabrillo e della sua società “para-militare” usata spesso dai Servizi Segreti per avventure un po’ fuori regola. Ma prima di entrare nella trama vera e propria (che questa volta è molto lineare ed in un certo senso semplice), vorrei fare tre commenti “esterni” alla trama pur se inerenti al libro. E questa volta, il libro vince 2 a 1 su di me (per questo ne parlo subito). Il primo riguarda una citazione latina, tratta dall’Eneide, che avevo sempre pensato fosse “Audaces fortuna iuvat”, invece l’emistichio virgiliano corretto (e che nel libro è così correttamente riportato) è “Audientes fortuna iuvat (timidosque repellit)”. Il secondo punto è una frase che pensavo fosse refuso di stampa (non conoscendo io i termini marinari) e che recita “non c’era un comento dell’opera morta che il vento potesse sfruttare”. Ed è esatto, in quanto l’opera morta è la parte di nave sopra la linea di galleggiamento e comento è l’interstizio tra due tavole del fasciame. Quindi la nave era ben gommata in coperta. Il punto mio riguarda la poco dignitosa traduzione del titolo. È vero che si tratta di una serie dove si sta spesso in mare, ma gli oceani in fiamme riportati dal titolo italiano non sono praticamente mai presenti, se non per lo scoppio di una città petrolifera antartica che avviene nelle ultime trenta pagine del libro. Invece il titolo inglese si riferisce al nome di una barca cinese (la “Silent Sea” in inglese e in italiano nel testo tradotta come “Mare Silente”) facente parte della flotta del grande Ammiraglio Zheng He che nei primi trenta anni del 1400 navigò per i mari asiatici tra l’Africa e l’Indonesia. L’ipotesi (non verificata) è che questa barca si sia staccata dal corpo della flotta ed abbia toccato le coste argentine, per poi essere abbandonata in quanto affetta da un male misterioso. E che sia poi approdata in Antartide. Tutto questo sproloquio (oltre alla tirata d’orecchie ai traduttori) serve a far capire quanto invece il titolo originale sia funzionale alla storia. Perché tracce misteriose del passaggio cinese vengono trovate da una famiglia americana nello Stato di Washington, indicando appunto che la nave venne abbandonata verso il Polo Sud. I cinque fratelli che fanno la scoperta muoiono negli anni (per incidenti, per la guerra mondiale visto che l’azione comincia nel 1941, per la caduta con un dirigibile al confine tra Argentina e Paraguay), ma l’eco della scoperta rimane. Ed è il motivo per cui i cinesi ne tentano il ritrovamento (in modo da poter rivendicare il possesso dell’Antartide) alleandosi con i militari argentini, appena questi compiono un ennesimo colpo di stato. In tutto ciò, Cabrillo ed i suoi, vengono prima mandati alla ricerca di un satellite abbattuto in Argentina (dove i nostri hanno i primi scontri con i cattivi militari sudamericani). Insieme al satellite recuperato, Cabrillo trova il diario dei fratelli di cui sopra con l’indicazione del sito del tesoro, che Cabrillo recupera. E vi trova una placca dorata scritta in cinese, che lo fa mettere in contatto con la bella Tamara, studiosa dell’epopea di Zheng He. Ma Tamara viene rapita dagli argentini che stanno seguendo la stessa pista. Mentre Cabrillo stravolge la città di Buenos Aires per salvare Tamara (con un inseguimento di macchine all’interno del cimitero della Recoleta tutto da gustare, per azione e follia), il resto della squadra è inviato a vedere cosa è successo ad una base americana in Antartide. Dove uno dei componenti ha trovato la barca, si è inavvertitamente infettato con un osso dei morti, che erano morti per un avvelenamento da mucca pazza (e si sa che i prioni sono resistenti per secoli), ed ha sterminato tutta la base. Base che è guarda caso vicino ad un nascosto insediamento argentino, dove i sudamericani, aiutati dai cinesi di cui sopra, sta estraendo fraudolentemente il petrolio dal fondo marino. Gli USA non possono intervenire pena catastrofi internazionali (i cinesi avvertono che al minimo segno di ostilità chiederanno il rimborso del debito americano, che provocherebbe il collasso economico degli USA), ed allora ci pensa Cabrillo. Dopo aver liberato Tamara, si precipitano tutti in Antartide, tramite ingegnose follie marine (la parte migliore dell’avventura) metteranno in ginocchio gli argentini distruggendo la base. Inoltre polverizzeranno la “Mare Silente” di modo che anche i cinesi non avranno modo di avanzar pretese. Nella baraonda finale, però, Cabrillo non torna alla base. Sarà rimasto ucciso? Si sarà salvato? Cosa succederà degli Oregon? Con queste domande lasciamo il libro e l’avventura, ringraziando la premiata ditta Cussler per alcune rilassanti serate di lettura. Alla fine, oltre al romanzo in sé, vanno sottolineate due prese di posizione interessanti: quella sull’avanzamento del potere economico cinese ma soprattutto quella contro i militari argentini che ricalcano molto nei loro atteggiamenti gli squadroni della morte dei tempi bui di Videla e compagnia. Una presa di posizione forte, che ci trova concordi, ma che ci ha stupito ritrovare in un prodotto generalmente d’evasione. Si sa che Cussler e compagni sono sensibili alle tematiche ecologiche ed ambientali, qui si va un pochino oltre. E non ce ne dispiace. Tuttavia, e per finire, il prodotto finale è comunque leggerino e d’evasione, senza quei colpi di scena e quelle trovate che ci aspettiamo dal creatore della leggenda di Dirk Pitt.
Clive Cussler & Grant Blackwood “L’impero perduto” TEA euro 9,90
[A: 24/06/2014 – I: 30/09/2014 – T: 03/10/2014] - && e ½
[tit. or.: Lost Empire; ling. or.: inglese; pagine: 407; anno 2010]
Seconda avventura dei coniugi Fargo, quelli di cui ho sopra narrato il modo di “nascere” come spin-off di altre serie. Dopo il buon successo della prima uscita, quindi, la premiata ditta Cussler cerca con questa seconda di dare un “carattere” alla serie. Qui mi sembra allora che si punti su “genesi storiche non documentate” dove l’avventura è un contorno, non la pietanza principale. Tutto poi con un po’ di approssimazione che lascia dei buchi qua e là su cui torneremo. L’avventura, la lotta tra il bene ed il male, è qui ristretta alla lotta dei nostri due campioni, Sam e Remi, contro una banda di messicani, che ogni volta si presentano sì guidate dal cattivo Rivera, ma mai in più di due o tre. Cosa che dà modo ai nostri di avere (quasi) sempre la meglio. I Fargo trovano una campana di una nave in un’immersione a Zanzibar. Rivera, capo della banda che fa capo al politico mexica (pronunciato mescica) Garza, tenta a più ripresa il furto, facendo nascere i sospetti che dietro ci sia qualche storia. Con l’aiuto della squadra californiana guidata da Selma, i nostri decifrano la campana, trovano un museo marino di un poco noto W. L. Blaylock con i resti di documenti che, attraverso vari passaggi, li portano in Inghilterra, da una discendente dell’amante del tipo, ed alle lettere che si scambiavano. Blaylock, marinaio e matematico (avrà conosciuto il mitico Serafini?), usava codici derivati dalla serie di Fibonacci (ve la risparmio, per chi non la conosce). I nostri quindi ne seguono le tracce in Madagascar, poi attraverso un bastone cavo con i resti di un codice cinquecentesco (detto Codice Ortizaga) capiscono i nessi tra Rivera, il Messico e Blaylock. Le tracce, sempre con Rivera al seguito, li portano per lo scontro finale in Indonesia, dove, tra i ricordi delle eruzioni del vulcano Krakatoa del 1883 e un placido aggirarsi per le isole Sulewanesi, si arriva a trovare il bandolo finale del matassone (anche qui ci si ritorna). Ed allo scontro finale con Rivera e i suoi. Che non possono che avere la peggio, il capo morendo affogato in una miniera di sale (e non deve essere piacevole, visto che era anche ferito, ah ah ah). Ma appunto l’avventura è un contorno, ed anche lo scontro finale (e le altre scaramucce) non hanno il peso e lo spessore di altri scritti della premiata Ditta. Questo è uno dei buchi cui accennavo sopra. L’altro è il prologo che, solitamente, serve a Cussler per introdurre un mistero che viene da lontano per invadere il presente. Ma la lotta a Southampton per impedire (senza successo) la partenza di una nave si perde nel racconto senza che se abbia uno scioglimento palese, come in genere appunto meriterebbe un prologo degno di questo nome. Altre cose, en passant, come direbbero gli scacchisti, tipo la passione di Blaylock per la matematica che viene accennata, poi, dieci pagine dopo, data come dato di fatto. Il passaggio tra airone, falchi e “maleo” con una mescolanza di uccelli degna di una voliera di classe. Comunque complimenti per aver scovato il maleo (nome ufficiale “macrocefalo maleo”) un uccello endemico appunto di Sulewanesi. Ma, facendo qualche passo di lato, qual è allora il punto di forza del libro, per cui almeno qualche libricino di bontà l’ha pure avuto? Sta, per l’appunto, in quell’accenno iniziale sulla connotazione che sta prendendo questa sotto-serie. Qui ci si interroga sul mistero della comparsa in Messico degli Aztechi. Si sa che costoro, internamenti chiamatisi mexica, derivano il loro nome dalla classificazione del grande Humboldt, che, prendendo la radice di provenienza da Aztlan, il luogo mitico di nascita. Li chiamo “la gente di Aztlan”, che in lingua nahuatl si dice Azteca. Ed etimologicamente, dall’unione di “aztatl (airone) e “tlan” (posto). Detto che un uccello è sempre stato il simbolo delle popolazioni meso-americane, si ipotizza che il mitico “quetzal” possa essere una delle tante trasfigurazioni di uccelli legate a diverse leggende. Che, di favola in favola, ci fanno risalire al maleo di cui sopra. Insomma, la follia storica che abbiamo dietro al libro (anche se c’è un minimo percento di studiosi disposti a darvi credito) nasce così. Blaylock, utilizzando una nave, forse quella del prologo, per fare il pirata nell’oceano indiano, viene in possesso della mappa del codice Ortizaga. Dove si narra dell’inizio della peregrinazione dei futuri aztechi, e della presenza di un mitico uccello tempestato di gemme nel luogo di origine. Sarà la conquista di questa mitologica miniera di smeraldi che porterà i messicani attuali ad interessarsi al caso, ed a perirne. Ma rimanendo alla fantastoria, decifrando il codice Ortizaga, Blaylock trova l’origine di cui sopra, e per non dimenticarla, la incide all’interno della campana di cui all’inizio. Ovviamente, non in modo palese, ma utilizzando anche qui la serie di Fibonacci, in modo da creare una spirale interpretativa, che, per chi conosce il meccanismo, porterà ad individuare questa mitica origine. Che Blaylock persegue. Peccato però che vi arrivi appunti nell’agosto del 1883, quando il vulcano Krakatoa con la sua eruzione provoca più di 100.000 morti in Indonesia e vicinanze. Anche Blaylock ci lascia le penne. Ma i nostri, con l’aiuto del computer per decifrare le mappe, di Internet per fare connessioni azzardate, ed altre diavolerie, incluso l’utilizzo del cervello, cosa che non fa mai male, arrivano a dipanare la teoria “Ortizaga”. Gli Atzechi iniziano la loro peregrinazione dall’Indonesia, da dove vengono banditi (anche se non ne sappiamo il motivo) e da dove partono con un maleo di smeraldi. Arrivano in Madagascar, lasciano diverse tracce, poi attraversano l’Africa nella sua parte centrale, e da lì si buttano attraverso l’Oceano Atlantico. Per arrivare in Messico, dove, cercando e ricercando, trovano un airone, simile anche se non uguale al maleo, in un lago che sembra la trasposizione della laguna di Sulewanesi. Lì si fermano, e creano l’impero che duecento anni dopo sarà distrutto dagli Spagnoli. Il bello è che per descrivere tutto ciò Cussler impiega 2/3 del libro con dovizia di particolari, rendendo (a chi piace) gustosa questa parte. Per me, un po’ di divertissement, unito ad altre due chicche: i Fargo vanno spesso a Zanzibar in una località che si chiama Bagamoyo (ok, Rosa?) e verso la fine vengono omaggiati da tartufi del Madagascar, chiusi in un sacchetto con stampigliata un C rossa, e la scritta “ussler Tartufi”. Unite i due, ed abbiamo il solito cameo alla Hitchcock. Aspettiamo sempre il ritorno di Dirk Pitt…
“Sareste sorpresi da ciò che trovate se sapete cosa cercare.” (212)
Clive Cussler & Graham Brown “I cancelli dell’inferno” TEA euro 9 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 08/10/2013 – I: 02/10/2014 – T: 04/10/2014] - && e ½ 
[tit. or.: Devil’s Gate; ling. or.: inglese; pagine: 406; anno 2011]
Dopo 8 co-writing lasciamo andare Paul Kemprecos versi altri lidi. E la premiata ditta Cussler & Co, imbarca nella sua factory un nuovo scrittore, Graham Brown. Per continuare la serie dei “NUMA file”, cioè quella che vede per protagonista Kurt Austin, l’alter-ego in minore di Dirk Pitt. Cambiano gli aiutanti ma il prodotto non cambia, ripercorrendo, con poca inventiva i soliti binari della serie. Qui, poi, senza tanti fronzoli ambientalisti o altro. C’è il cattivo che ha una potente arma, i buoni che cercano di capire quale sia e come neutralizzarla, il comandante operativo dei cattivi che ingaggerà, prima o poi, una lotta mortale con Kurt, una bella che, sempre con Kurt, ingaggerà battaglie di altro tipo. Viene presa per i capelli anche la parte scientifica, che l’arma letale è una specie di super-conduttore del tipo impiegato dal CERN in Svizzera. Che andrebbe sempre in linea retta, quindi con poca gestibilità, se non venisse introdotto un mega campo magnetico, capace di deviare l’arma e dirigerla dove si vuole. Tipo un colpo di sponda a biliardo. In minore già dall’inizio, che assistiamo al tentativo di fuga di un russo con delle casse al seguito, subito ucciso con l’aereo che affonda al largo delle Azzorre. Ci si aspetta che questo sia un particolare importante, come in altre storie, invece, anche se ad un certo punto entra nella storia, ci entra così di sguincio, e senza lasciare troppi patemi (nelle casse ci sarebbero addirittura i diamanti della zarina Anastasia, e servirà soltanto a cementare il temporaneo feeling tra Kurt e la bella Katerina, oltre a fare in modo che i rapporti tra americani e sovietici siano più distesi). Poi entriamo nel fulcro: Kurt assiste all’affondamento di una nave e trova strane le motivazioni dei presunti pirati. Comunque fa in tempo a vedere che i morti della nave sono “strani”, che la nave affonda in modo irregolare, inoltre riesce a salvare la moglie del capitano (unica sopravvissuta, ma che sarà ignorata per tutto il libro, quindi che ce la mettiamo a fa’?) ingaggiando una prima lotta con il bieco Andras. Mentre Kurt e Joe partecipano ad una corsa di sottomarini alle Azzorre, i numeri due di questa sezione NUMA, i coniugi Trout, cercano di fare luce sull’affondamento della nave di cui sopra, ma vengono presi a silurate e rischiano di morire (forse il nuovo aiutante cercava di eliminare qualche personaggio per dare un’impronta propria, ma il vecchio Clive lo impedisce). Kurt salva anche un nuovo equipaggio di sottomarino da morte certa, nonché la bella Katerina che tentava di recuperare le casse di cui sopra, rimanendo impigliata nell’aereo (ma se no, Kurt che ce stai a fa’?). I tentativi alle Azzorre hanno lo scopo di far convergere scienziati che si occupano di magnetismo, per poi rapirli e portarli in Sierra Leone, dove il dittatore locale è il cattivo di turno. Che anni prima (ma neanche tanti) riesce a convincere un tecnico del CERN a disertare, per portare al suo servizio le capacità di costruire super-conduttori. E quindi per costruire l’arma di cui sopra (e su cui non torno). Ci sono un paio di scene di inseguimenti e scazzottate tra Kurt e la banda di Andras. C’è il rapimento della bella (ma Kurt non lo sa), e c’è il tentativo di far affogare i nostri due eroi, ma Kurt si inventa una manovra per sfuggire a morte certa. Intanto il dittatore della Sierra Leone, ritenendosi pronto alla bisogna, lancia un ultimatum all’America, che sferra un attacco alla nazione africana. Ma il raggio letale dei cattivi è devastante, e sarà solo l’intervento di Paul e Gamay Trout (dopo che il nostro è uscito dal coma, riprendendosi in una settimana… miracoli della carta stampata) a mandare fuori uso il super-conduttore principale. Mentre la parte del magnete, che sta all’interno di una petroliera in disarmo guidata dal bieco Andras, sarà oggetto delle attenzioni di Kurt. Che: 1) affitta un Ilyushin per avvicinarsi il più possibile alla nave; 2) compera un aliante (o mono-drive flight) rivestito di plastica invisibile al radar; 3) con l’aliante si lancia da 10.000 metri e plana verso la nave; 4) si lancia con un paracadute atterrando nell’unica zona d’ombra della nave stessa; 5) affronta da uno a uno un paio di scagnozzi, disarmandoli; 6) incrocia, non visto, Andras che sta facendo a vedere la nave a Katerina, in quanto vuole venderla ai russi; 7) trova la prigione di Katerina e la libera; 8) trova i generatori del magnete e li mette fuori uso prima che il dittatore africano possa utilizzarli; 9) fa imbufalire il bieco Andras, che comincia a cercarlo per tutta la nave; 10) con una sola pallottola nella pistola, riesce a capire che Andras si è fermato sotto l’impianto di raffreddamento, spara un colpo bucandolo, e facendo precipitare azoto liquido su Andras che viene “congelato” all’istante. Cioè, Batman gli fa un baffo al nostro eroe! Quindi, alla fine, tutto come avevo indicato all’inizio. Andras muore, il traditore muore, il dittatore muore, i coniugi Trout sono felici e contenti di aver salvato la patria con una carica di tritolo, Joe si fuma un sigaro, Kurt e Katerina … beh, questo non ve lo dico cosa fanno, ma se avete un po’ di immaginazione…. Il solito onesto prodotto della premiata ditta Cussler, dove tuttavia rimarchiamo l’assenza del solito cameo dell’autore che in genere è sempre presente, e la scrittura meno coinvolgente del nuovo co-autore rispetto al precedente Paul. Vedremo nel futuro, se e come proseguirà. Per ora mettiamo anche questo tra i libri del tempo del rilassamento, come una decina di minuti di yoga (anche se la lettura dura un po’ di più). Un’ultima quasi insignificante cosa: credo che il titolo inglese (Devil’s Gate) sia più per cancelli del Diavolo che dell’Inferno. Ma forse (spero) è una frase idiomatica.
Non essendo riuscito, per diversi problemi tecnici (anche dipendenti da me) a riprendere il solco abituale delle mie attività, questa settimana vi lascio solo le mie trame. Rimando ad una prossima trama, il resto, commenti, analisi, altre descrizioni

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