E già, dopo i viaggi, non resta
che l’avventura sulla carta. In questi due mesi asiatici io ed i miei compagni
di viaggio, di avventure ne abbiamo trascorse. Ora torno ai libri, e ad uno dei
maestri di questa scrittura. Benché anche lui ormai stia invecchiando e
mostrando la corda. Tant’è vero che il giudizio complessivo su questi quattro
libri è, anche se di poco, sotto la media. E ben lontano dai fasti dei primi
episodi di Dirk Pitt!
Clive Cussler & Grant Blackwood “L’oro di Sparta” TEA euro 9 (in
realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 19/05/2013 – I: 21/06/2014 – T: 25/06/2014] - &&
e ½
[tit. or.: Spartan Gold; ling. or.: inglese; pagine: 406;
anno 2009]
Ecco
un nuovo spin-off della mega produzione del “maestro dell’avventura” Clive
Cussler, che ci dà agio di parlare di un diverso metodo di cercare successi (o
best-seller) sulla scia di long seller story. Cussler inizia nel 1973 la sua
fortunata serie di avventure con protagonista uno scanzonato “James Bond”
(inteso come fascino non come spia) dei mari. E su quello, crea un impero di
storie avventurose (vi posso dire che siamo arrivati a 22 libri della serie
maggiore e 20 delle due serie minori che ad un certo punto affiancano e cavalcano
il successo). Ora, la diversificazione, l’introduzione di nuovi spunti è
necessaria per non perire. Quindi Cussler prova con Isaac Bell, un avventuriero
di cui costruisce un primo episodio “prova” e visto il successo ne continua la
scrittura. Avendo poi alle spalle una fucina di scrittura (l’ormai più che
ottantenne scrittore si fa affiancare dal figlio e da altri utilizzatori di
penna), qui prova una strada diversa, anche se simile ad una precedente. L’idea
sarebbe prendere qualche personaggio delle serie maggiori e farne il perno per
una nuova serie. Tuttavia, togliere i coniugi Trout dai “Numa files” farebbe
squilibrare troppo quei romanzi. Allora si crea una coppia, clone dei Trout,
gli si cambia nome facendoli diventare i coniugi Fargo (Sam e Remi) e vai con
la catena di montaggio. E si affida subito una parte di co-sceneggiatore ad uno
scrittore di fama locale negli scritti su battaglie navali. A questo punto si
può partire, ma la resa finale è, pur se dignitosa, decisamente inferiore agli
altri standard della ditta “Cussler”. C’è molta carne messa al fuoco, ma ad un
certo punto si va molto veloci, facendo risolvere piccoli misteri (pur utili
all’impianto generale) senza troppo spiegarli. Ed anche le scene avventurose
(lotte dei buoni vs. cattivi, ed altri momenti topici dell’avventura) non sono
gestite con mano sicura. Come detto, l’impianto ricalca i classici “Cussler”:
prologo che viene dal passato, piccolo mistero che si tende a scoprire nel
finale, un cattivo che fa leva su quel mistero per propri tornaconti personali,
ed i buoni, appunto i coniugi Fargo, lancia in resta a sbaragliare il campo,
senza neanche metterci troppa passione, quasi fossero troppo superiori ai
nemici. Non manca il solito cammeo dell’autore, che compare (alla Hitchcock)
come proprietario di un cottage sull’isola che vede le scene centrali della
lotta tra i Fargo ed i cattivi. Nel prologo Napoleone, durante la traversata
delle Alpi, scopre una caverna con misteriose statue. Il cattivo è un
ex-soldato poi mafioso ucraino, di stanza a Sebastopoli, ma di ascendenza
persiana (come molta Crimea), che cerca di svelare il mistero napoleonico, solo
perché dietro ce n’è un altro. I Fargo incappano nell’avventura scoprendo uno
strano mini-sommergibile nazista verso la foce di un fiume nel Maryland. Nel
sommergibile c’è una bottiglia che, decifrato il codice inscritto
nell’etichetta, la fa risalire alle 12 bottiglie superstiti del vino
vendemmiato da Napoleone. Si parte allora alla ricerca delle altre, andando su
e giù per il mondo. Dal Maryland ci si sposta nelle Bahamas alla ricerca del
secondo sommergibile e della seconda bottiglia, che però viene loro sottratta
dal cattivo ucraino. Allora ci si sposta in Europa: prima nel Principato di
Monaco dove è presente una discendente del sodale di Napoleone. Poi si va
all’Elba alla ricerca di una tomba che contiene un libro con il codice da decrittare.
Quindi, audacemente, i Fargo fanno incursione a Sebastopoli, nella villa del
cattivo, per rubare la suddetta bottiglia. Con l’aiuto del loro piccolo ufficio
rimasto negli States (e con i soldi, anche, della ricca monegasca), alla fine
ricostruiscono tutto il percorso. Bondaruk, il cattivo ucraino, non era
interessato alle bottiglie, ma al fatto che queste contenevano una mappa a
ritroso per trovare il famoso tesoro nascosto nelle Alpi. Un tesoro che sfugge
all’esercito di Serse invasore della Grecia per mezzo di un manipolo di
spartani che lo porta in salvo da Delfi prima in Croazia e poi nelle Alpi. Ma
questo si scopre velocemente nelle pagine finali (e finalmente da un senso al
titolo sull’oro spartano). Vi lascio immaginare le scaramucce che si hanno per
tutte e 400 le pagine del libro. Non sono molto efficaci (lontane miglia da
Paul Kemprecos dei primi “Numa files”). Come molto veloce è la soluzione delle
varie crittografie. Soluzioni che ci vengono spesso date, ma gli autori non
fanno partecipe il lettore del modo di risolverli. Nella battaglia finale, i
Fargo hanno ovviamente la meglio, Bondaruk muore, e si vedrà come restituire i
reperti archeologici a chi di dovere. Prometteva di più nella prima parte. Poi
si corre troppo, ed i coniugi Fargo fanno troppo la figura di deus ex-machina,
troppo super-eroi. Speriamo migliori, che ovviamente, visto il tutto Cussler
della mia libreria, ho già investito nelle successive uscite. Dimenticavo alla
fine di fare una tirata d’orecchi o a Seba Pezzani per la traduzione o all’editor
della TEA. A pagina 307, siamo su di un battello che naviga in Baviera, ed il
capitano afferma “Sulla destra, vedete Echowand, che in inglese significa il
‘Muro dell’Eco’”. Ora. Poiché siamo in un paese di lingua germanica, in quella
lingua Echowand significa esattamente Muro dell’Eco. Non certo in inglese, dove
tutt’al più si dirà Echowall. Qualcuno ha fatto confusione!
“Per Sam la storia era sempre stata un
insieme di racconti di persone reali che facevano cose reali.” (37)
Clive Cussler & Jack Du Brul “Oceani in fiamme” TEA euro 9 (in
realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 12/03/2014 – I: 26/07/2014 – T: 30/07/2014] - &&
e ½
[tit. or.: The Silent Sea; ling. or.: inglese; pagine: 362;
anno 2010]
Questa
è la settima avventura dei così chiamati “Oregon files”, cioè le avventure del
capitano Juan Cabrillo e della sua società “para-militare” usata spesso dai
Servizi Segreti per avventure un po’ fuori regola. Ma prima di entrare nella
trama vera e propria (che questa volta è molto lineare ed in un certo senso
semplice), vorrei fare tre commenti “esterni” alla trama pur se inerenti al
libro. E questa volta, il libro vince 2 a 1 su di me (per questo ne parlo
subito). Il primo riguarda una citazione latina, tratta dall’Eneide, che avevo
sempre pensato fosse “Audaces fortuna iuvat”, invece l’emistichio virgiliano
corretto (e che nel libro è così correttamente riportato) è “Audientes fortuna
iuvat (timidosque repellit)”. Il secondo punto è una frase che pensavo fosse
refuso di stampa (non conoscendo io i termini marinari) e che recita “non c’era
un comento dell’opera morta che il vento potesse sfruttare”. Ed è esatto, in
quanto l’opera morta è la parte di nave sopra la linea di galleggiamento e
comento è l’interstizio tra due tavole del fasciame. Quindi la nave era ben
gommata in coperta. Il punto mio riguarda la poco dignitosa traduzione del
titolo. È vero che si tratta di una serie dove si sta spesso in mare, ma gli
oceani in fiamme riportati dal titolo italiano non sono praticamente mai
presenti, se non per lo scoppio di una città petrolifera antartica che avviene
nelle ultime trenta pagine del libro. Invece il titolo inglese si riferisce al
nome di una barca cinese (la “Silent Sea” in inglese e in italiano nel testo
tradotta come “Mare Silente”) facente parte della flotta del grande Ammiraglio
Zheng He che nei primi trenta anni del 1400 navigò per i mari asiatici tra
l’Africa e l’Indonesia. L’ipotesi (non verificata) è che questa barca si sia
staccata dal corpo della flotta ed abbia toccato le coste argentine, per poi
essere abbandonata in quanto affetta da un male misterioso. E che sia poi approdata
in Antartide. Tutto questo sproloquio (oltre alla tirata d’orecchie ai
traduttori) serve a far capire quanto invece il titolo originale sia funzionale
alla storia. Perché tracce misteriose del passaggio cinese vengono trovate da
una famiglia americana nello Stato di Washington, indicando appunto che la nave
venne abbandonata verso il Polo Sud. I cinque fratelli che fanno la scoperta
muoiono negli anni (per incidenti, per la guerra mondiale visto che l’azione
comincia nel 1941, per la caduta con un dirigibile al confine tra Argentina e
Paraguay), ma l’eco della scoperta rimane. Ed è il motivo per cui i cinesi ne
tentano il ritrovamento (in modo da poter rivendicare il possesso
dell’Antartide) alleandosi con i militari argentini, appena questi compiono un
ennesimo colpo di stato. In tutto ciò, Cabrillo ed i suoi, vengono prima
mandati alla ricerca di un satellite abbattuto in Argentina (dove i nostri
hanno i primi scontri con i cattivi militari sudamericani). Insieme al
satellite recuperato, Cabrillo trova il diario dei fratelli di cui sopra con
l’indicazione del sito del tesoro, che Cabrillo recupera. E vi trova una placca
dorata scritta in cinese, che lo fa mettere in contatto con la bella Tamara,
studiosa dell’epopea di Zheng He. Ma Tamara viene rapita dagli argentini che
stanno seguendo la stessa pista. Mentre Cabrillo stravolge la città di Buenos
Aires per salvare Tamara (con un inseguimento di macchine all’interno del
cimitero della Recoleta tutto da gustare, per azione e follia), il resto della
squadra è inviato a vedere cosa è successo ad una base americana in Antartide. Dove
uno dei componenti ha trovato la barca, si è inavvertitamente infettato con un
osso dei morti, che erano morti per un avvelenamento da mucca pazza (e si sa
che i prioni sono resistenti per secoli), ed ha sterminato tutta la base. Base
che è guarda caso vicino ad un nascosto insediamento argentino, dove i
sudamericani, aiutati dai cinesi di cui sopra, sta estraendo fraudolentemente
il petrolio dal fondo marino. Gli USA non possono intervenire pena catastrofi
internazionali (i cinesi avvertono che al minimo segno di ostilità chiederanno
il rimborso del debito americano, che provocherebbe il collasso economico degli
USA), ed allora ci pensa Cabrillo. Dopo aver liberato Tamara, si precipitano
tutti in Antartide, tramite ingegnose follie marine (la parte migliore
dell’avventura) metteranno in ginocchio gli argentini distruggendo la base.
Inoltre polverizzeranno la “Mare Silente” di modo che anche i cinesi non
avranno modo di avanzar pretese. Nella baraonda finale, però, Cabrillo non
torna alla base. Sarà rimasto ucciso? Si sarà salvato? Cosa succederà degli Oregon?
Con queste domande lasciamo il libro e l’avventura, ringraziando la premiata
ditta Cussler per alcune rilassanti serate di lettura. Alla fine, oltre al
romanzo in sé, vanno sottolineate due prese di posizione interessanti: quella
sull’avanzamento del potere economico cinese ma soprattutto quella contro i
militari argentini che ricalcano molto nei loro atteggiamenti gli squadroni della
morte dei tempi bui di Videla e compagnia. Una presa di posizione forte, che ci
trova concordi, ma che ci ha stupito ritrovare in un prodotto generalmente
d’evasione. Si sa che Cussler e compagni sono sensibili alle tematiche
ecologiche ed ambientali, qui si va un pochino oltre. E non ce ne dispiace.
Tuttavia, e per finire, il prodotto finale è comunque leggerino e d’evasione,
senza quei colpi di scena e quelle trovate che ci aspettiamo dal creatore della
leggenda di Dirk Pitt.
Clive Cussler & Grant Blackwood “L’impero perduto” TEA euro 9,90
[A: 24/06/2014 – I: 30/09/2014 – T: 03/10/2014] - &&
e ½
[tit. or.: Lost Empire; ling. or.: inglese; pagine: 407;
anno 2010]
Seconda
avventura dei coniugi Fargo, quelli di cui ho sopra narrato il modo di
“nascere” come spin-off di altre serie. Dopo il buon successo della prima
uscita, quindi, la premiata ditta Cussler cerca con questa seconda di dare un
“carattere” alla serie. Qui mi sembra allora che si punti su “genesi storiche
non documentate” dove l’avventura è un contorno, non la pietanza principale.
Tutto poi con un po’ di approssimazione che lascia dei buchi qua e là su cui
torneremo. L’avventura, la lotta tra il bene ed il male, è qui ristretta alla
lotta dei nostri due campioni, Sam e Remi, contro una banda di messicani, che
ogni volta si presentano sì guidate dal cattivo Rivera, ma mai in più di due o
tre. Cosa che dà modo ai nostri di avere (quasi) sempre la meglio. I Fargo
trovano una campana di una nave in un’immersione a Zanzibar. Rivera, capo della
banda che fa capo al politico mexica (pronunciato mescica) Garza, tenta a più
ripresa il furto, facendo nascere i sospetti che dietro ci sia qualche storia.
Con l’aiuto della squadra californiana guidata da Selma, i nostri decifrano la
campana, trovano un museo marino di un poco noto W. L. Blaylock con i resti di
documenti che, attraverso vari passaggi, li portano in Inghilterra, da una
discendente dell’amante del tipo, ed alle lettere che si scambiavano. Blaylock,
marinaio e matematico (avrà conosciuto il mitico Serafini?), usava codici
derivati dalla serie di Fibonacci (ve la risparmio, per chi non la conosce). I
nostri quindi ne seguono le tracce in Madagascar, poi attraverso un bastone
cavo con i resti di un codice cinquecentesco (detto Codice Ortizaga) capiscono
i nessi tra Rivera, il Messico e Blaylock. Le tracce, sempre con Rivera al
seguito, li portano per lo scontro finale in Indonesia, dove, tra i ricordi
delle eruzioni del vulcano Krakatoa del 1883 e un placido aggirarsi per le
isole Sulewanesi, si arriva a trovare il bandolo finale del matassone (anche
qui ci si ritorna). Ed allo scontro finale con Rivera e i suoi. Che non possono
che avere la peggio, il capo morendo affogato in una miniera di sale (e non
deve essere piacevole, visto che era anche ferito, ah ah ah). Ma appunto
l’avventura è un contorno, ed anche lo scontro finale (e le altre scaramucce)
non hanno il peso e lo spessore di altri scritti della premiata Ditta. Questo è
uno dei buchi cui accennavo sopra. L’altro è il prologo che, solitamente, serve
a Cussler per introdurre un mistero che viene da lontano per invadere il
presente. Ma la lotta a Southampton per impedire (senza successo) la partenza
di una nave si perde nel racconto senza che se abbia uno scioglimento palese,
come in genere appunto meriterebbe un prologo degno di questo nome. Altre cose,
en passant, come direbbero gli scacchisti, tipo la passione di Blaylock per la
matematica che viene accennata, poi, dieci pagine dopo, data come dato di
fatto. Il passaggio tra airone, falchi e “maleo” con una mescolanza di uccelli
degna di una voliera di classe. Comunque complimenti per aver scovato il maleo
(nome ufficiale “macrocefalo maleo”) un uccello endemico appunto di Sulewanesi.
Ma, facendo qualche passo di lato, qual è allora il punto di forza del libro,
per cui almeno qualche libricino di bontà l’ha pure avuto? Sta, per l’appunto,
in quell’accenno iniziale sulla connotazione che sta prendendo questa
sotto-serie. Qui ci si interroga sul mistero della comparsa in Messico degli
Aztechi. Si sa che costoro, internamenti chiamatisi mexica, derivano il loro
nome dalla classificazione del grande Humboldt, che, prendendo la radice di
provenienza da Aztlan, il luogo mitico di nascita. Li chiamo “la gente di
Aztlan”, che in lingua nahuatl si dice Azteca. Ed etimologicamente, dall’unione
di “aztatl (airone) e “tlan” (posto). Detto che un uccello è sempre stato il
simbolo delle popolazioni meso-americane, si ipotizza che il mitico “quetzal”
possa essere una delle tante trasfigurazioni di uccelli legate a diverse
leggende. Che, di favola in favola, ci fanno risalire al maleo di cui sopra.
Insomma, la follia storica che abbiamo dietro al libro (anche se c’è un minimo
percento di studiosi disposti a darvi credito) nasce così. Blaylock,
utilizzando una nave, forse quella del prologo, per fare il pirata nell’oceano
indiano, viene in possesso della mappa del codice Ortizaga. Dove si narra
dell’inizio della peregrinazione dei futuri aztechi, e della presenza di un
mitico uccello tempestato di gemme nel luogo di origine. Sarà la conquista di
questa mitologica miniera di smeraldi che porterà i messicani attuali ad
interessarsi al caso, ed a perirne. Ma rimanendo alla fantastoria, decifrando
il codice Ortizaga, Blaylock trova l’origine di cui sopra, e per non dimenticarla,
la incide all’interno della campana di cui all’inizio. Ovviamente, non in modo
palese, ma utilizzando anche qui la serie di Fibonacci, in modo da creare una
spirale interpretativa, che, per chi conosce il meccanismo, porterà ad
individuare questa mitica origine. Che Blaylock persegue. Peccato però che vi
arrivi appunti nell’agosto del 1883, quando il vulcano Krakatoa con la sua
eruzione provoca più di 100.000 morti in Indonesia e vicinanze. Anche Blaylock
ci lascia le penne. Ma i nostri, con l’aiuto del computer per decifrare le
mappe, di Internet per fare connessioni azzardate, ed altre diavolerie, incluso
l’utilizzo del cervello, cosa che non fa mai male, arrivano a dipanare la
teoria “Ortizaga”. Gli Atzechi iniziano la loro peregrinazione dall’Indonesia, da
dove vengono banditi (anche se non ne sappiamo il motivo) e da dove partono con
un maleo di smeraldi. Arrivano in Madagascar, lasciano diverse tracce, poi
attraversano l’Africa nella sua parte centrale, e da lì si buttano attraverso
l’Oceano Atlantico. Per arrivare in Messico, dove, cercando e ricercando,
trovano un airone, simile anche se non uguale al maleo, in un lago che sembra
la trasposizione della laguna di Sulewanesi. Lì si fermano, e creano l’impero
che duecento anni dopo sarà distrutto dagli Spagnoli. Il bello è che per
descrivere tutto ciò Cussler impiega 2/3 del libro con dovizia di particolari,
rendendo (a chi piace) gustosa questa parte. Per me, un po’ di divertissement,
unito ad altre due chicche: i Fargo vanno spesso a Zanzibar in una località che
si chiama Bagamoyo (ok, Rosa?) e verso la fine vengono omaggiati da tartufi del
Madagascar, chiusi in un sacchetto con stampigliata un C rossa, e la scritta “ussler
Tartufi”. Unite i due, ed abbiamo il solito cameo alla Hitchcock. Aspettiamo
sempre il ritorno di Dirk Pitt…
“Sareste sorpresi da ciò che trovate se
sapete cosa cercare.” (212)
Clive Cussler & Graham Brown “I cancelli dell’inferno” TEA euro 9
(in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 08/10/2013 – I: 02/10/2014 – T: 04/10/2014] - &&
e ½
[tit. or.: Devil’s Gate; ling. or.: inglese; pagine: 406;
anno 2011]
Dopo
8 co-writing lasciamo andare Paul Kemprecos versi altri lidi. E la premiata
ditta Cussler & Co, imbarca nella sua factory un nuovo scrittore, Graham
Brown. Per continuare la serie dei “NUMA file”, cioè quella che vede per
protagonista Kurt Austin, l’alter-ego in minore di Dirk Pitt. Cambiano gli
aiutanti ma il prodotto non cambia, ripercorrendo, con poca inventiva i soliti
binari della serie. Qui, poi, senza tanti fronzoli ambientalisti o altro. C’è
il cattivo che ha una potente arma, i buoni che cercano di capire quale sia e
come neutralizzarla, il comandante operativo dei cattivi che ingaggerà, prima o
poi, una lotta mortale con Kurt, una bella che, sempre con Kurt, ingaggerà
battaglie di altro tipo. Viene presa per i capelli anche la parte scientifica,
che l’arma letale è una specie di super-conduttore del tipo impiegato dal CERN
in Svizzera. Che andrebbe sempre in linea retta, quindi con poca gestibilità,
se non venisse introdotto un mega campo magnetico, capace di deviare l’arma e
dirigerla dove si vuole. Tipo un colpo di sponda a biliardo. In minore già
dall’inizio, che assistiamo al tentativo di fuga di un russo con delle casse al
seguito, subito ucciso con l’aereo che affonda al largo delle Azzorre. Ci si
aspetta che questo sia un particolare importante, come in altre storie, invece,
anche se ad un certo punto entra nella storia, ci entra così di sguincio, e
senza lasciare troppi patemi (nelle casse ci sarebbero addirittura i diamanti
della zarina Anastasia, e servirà soltanto a cementare il temporaneo feeling
tra Kurt e la bella Katerina, oltre a fare in modo che i rapporti tra americani
e sovietici siano più distesi). Poi entriamo nel fulcro: Kurt assiste
all’affondamento di una nave e trova strane le motivazioni dei presunti pirati.
Comunque fa in tempo a vedere che i morti della nave sono “strani”, che la nave
affonda in modo irregolare, inoltre riesce a salvare la moglie del capitano
(unica sopravvissuta, ma che sarà ignorata per tutto il libro, quindi che ce la
mettiamo a fa’?) ingaggiando una prima lotta con il bieco Andras. Mentre Kurt e
Joe partecipano ad una corsa di sottomarini alle Azzorre, i numeri due di
questa sezione NUMA, i coniugi Trout, cercano di fare luce sull’affondamento
della nave di cui sopra, ma vengono presi a silurate e rischiano di morire
(forse il nuovo aiutante cercava di eliminare qualche personaggio per dare
un’impronta propria, ma il vecchio Clive lo impedisce). Kurt salva anche un
nuovo equipaggio di sottomarino da morte certa, nonché la bella Katerina che
tentava di recuperare le casse di cui sopra, rimanendo impigliata nell’aereo
(ma se no, Kurt che ce stai a fa’?). I tentativi alle Azzorre hanno lo scopo di
far convergere scienziati che si occupano di magnetismo, per poi rapirli e
portarli in Sierra Leone, dove il dittatore locale è il cattivo di turno. Che
anni prima (ma neanche tanti) riesce a convincere un tecnico del CERN a
disertare, per portare al suo servizio le capacità di costruire
super-conduttori. E quindi per costruire l’arma di cui sopra (e su cui non
torno). Ci sono un paio di scene di inseguimenti e scazzottate tra Kurt e la
banda di Andras. C’è il rapimento della bella (ma Kurt non lo sa), e c’è il
tentativo di far affogare i nostri due eroi, ma Kurt si inventa una manovra per
sfuggire a morte certa. Intanto il dittatore della Sierra Leone, ritenendosi
pronto alla bisogna, lancia un ultimatum all’America, che sferra un attacco alla
nazione africana. Ma il raggio letale dei cattivi è devastante, e sarà solo
l’intervento di Paul e Gamay Trout (dopo che il nostro è uscito dal coma,
riprendendosi in una settimana… miracoli della carta stampata) a mandare fuori
uso il super-conduttore principale. Mentre la parte del magnete, che sta
all’interno di una petroliera in disarmo guidata dal bieco Andras, sarà oggetto
delle attenzioni di Kurt. Che: 1) affitta un Ilyushin per avvicinarsi il più
possibile alla nave; 2) compera un aliante (o mono-drive flight) rivestito di
plastica invisibile al radar; 3) con l’aliante si lancia da 10.000 metri e
plana verso la nave; 4) si lancia con un paracadute atterrando nell’unica zona
d’ombra della nave stessa; 5) affronta da uno a uno un paio di scagnozzi, disarmandoli;
6) incrocia, non visto, Andras che sta facendo a vedere la nave a Katerina, in
quanto vuole venderla ai russi; 7) trova la prigione di Katerina e la libera;
8) trova i generatori del magnete e li mette fuori uso prima che il dittatore
africano possa utilizzarli; 9) fa imbufalire il bieco Andras, che comincia a
cercarlo per tutta la nave; 10) con una sola pallottola nella pistola, riesce a
capire che Andras si è fermato sotto l’impianto di raffreddamento, spara un
colpo bucandolo, e facendo precipitare azoto liquido su Andras che viene
“congelato” all’istante. Cioè, Batman gli fa un baffo al nostro eroe! Quindi,
alla fine, tutto come avevo indicato all’inizio. Andras muore, il traditore
muore, il dittatore muore, i coniugi Trout sono felici e contenti di aver
salvato la patria con una carica di tritolo, Joe si fuma un sigaro, Kurt e
Katerina … beh, questo non ve lo dico cosa fanno, ma se avete un po’ di
immaginazione…. Il solito onesto prodotto della premiata ditta Cussler, dove
tuttavia rimarchiamo l’assenza del solito cameo dell’autore che in genere è
sempre presente, e la scrittura meno coinvolgente del nuovo co-autore rispetto
al precedente Paul. Vedremo nel futuro, se e come proseguirà. Per ora mettiamo
anche questo tra i libri del tempo del rilassamento, come una decina di minuti
di yoga (anche se la lettura dura un po’ di più). Un’ultima quasi
insignificante cosa: credo che il titolo inglese (Devil’s Gate) sia più per
cancelli del Diavolo che dell’Inferno. Ma forse (spero) è una frase idiomatica.
Non essendo
riuscito, per diversi problemi tecnici (anche dipendenti da me) a riprendere il
solco abituale delle mie attività, questa settimana vi lascio solo le mie
trame. Rimando ad una prossima trama, il resto, commenti, analisi, altre
descrizioni
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