venerdì 3 aprile 2015

Scerby-noir - 04 aprile 2015

Una Pasqua dedicata al grande maestro e capostipite del nero italiano. Una Pasqua per l’italo-ucraino Giorgio Scerbanenco, di cui ho quasi finito di leggere il molto pubblicato ultimamente. E se sui romanzi, le sue atmosfere ancora prendono e coinvolgono, i tre libri di racconti non mi hanno convinto. Per le scelte editoriali, per alcune brevità ingiustificate, per l’eterogeneità dei racconti stessi. Ma se con il primo titolo si parla di spie, io confesso che comunque amo questo autore e le sue storie disperate e disparate.
Giorgio Scerbanenco “Le spie non devono amare” Corriere della Sera 15 euro 6,90
[A: 25/02/2014 – I: 24/06/2014 – T: 26/06/2014] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 199; anno 1971]
Non ripetendo, per ovvi motivi di concisioni, quanto detto nelle varie intro agli ultimi libri di Scerby, affrontiamo questo quindicesimo volume della meritoria opera del Corriere della Sera. Uno Scerby più di atmosfere che di misteri. Non è un giallo, ma rimane comunque pieno del senso amaro della vita che a profusione emana dagli scritti del nostro. Non perché non ci sia possibilità di finali felici, ma sembra sempre che la catastrofe ci aspetti appena dietro l’angolo. E come non aspettarsi una catastrofe dalla storia che, in prima persona, narra la bella Ornella Dallas? Lei, appunto, bella, giovane, traduttrice simultanea plurilingue, si innamora, riamata, del bello e tenebroso Falk. Il quale, prima di chiederla in sposa, le rivela la tragica verità: lui è una spia. Ora non sappiamo di che spia si tratti, perché nelle sue vicende sembra dare un colpo al cerchio ed una alla botte. Capiamo di sguincio che nelle sue trame ricascano uno scienziato ungherese ed un diplomatico portoghese (nonché una strana puntata in Svezia). L’azione più “divertente”, poi, è quando, per non far cadere un messaggio in mano ai loro nemici, lo fanno imparare a memoria ad una squinzia francese. Ma non in una lingua qualsiasi, bensì traducendolo in finlandese. Ed è carino veder nascere frasi per noi insensate in una lingua che sentimmo estati fa, e che ci rimane ad oggi incomprensibile. Come ad esempio il bellissimo scioglilingua “Tottelemattomuudestansa”, che significa soltanto “Egli era disubbidiente”. Anche se questo ci dovrebbe far propendere per il fatto che Falk sia una spia d’oltre cortina, che altrimenti i russi avrebbero potuto capire presto l’origine del finlandese. Ma ci sono pochi elementi “alla James Bond” nella storia, che servono più che altro a connotare meglio l’affetto “oltre ogni limite” che lega i due (tra l’altro, di Falk non sapremo mai il nome). Come quando Falk è costretto a circuire la moglie dello scienziato ungherese (facendo ingelosire Ornella) o come quando Falk chiede ad Ornella di fare la svenevole con il diplomatico portoghese. Entrambi poi finiranno male (suicidi o suicidati), cosa che metterà sempre più in crisi Ornella. Che si confida con l’amica Lorely, la quale verrà prontamente fatta fuori. O come quando si affidano a Karl e Marta, di cui non vediamo, ma immaginiamo, la fine. Ma non è tanto l’attività di spionaggio al centro dell’idea romanzesca di Scerby. Quanto, invece, l’assunto del titolo e la derivazione che ne viene nel momento in cui, amando, si cerca di non essere più una spia. Ma come direbbero i baci perugina, una spia “è per sempre”. Insomma, tutta la storia cardine del romanzo è il tentativo di Falk di “dimettersi” dallo spionaggio senza dimettersi dalla vita. Prima tenta con le buone, i suoi capi facendo finta di accogliere la richiesta, per poi tentare subito dopo, di farlo fuori. Falk capisce allora che bisogna attuare un piano più ardito. Allora, tramite Ornella, riesce a far avere alla polizia (ma in modo quasi naturale, senza che si capisca possa essere un piano studiato) dei fogli di carta ed una rubrica. E mentre la polizia li decifra ed inizia a smantellare, con l’aiuto degli omologhi servizi segreti, la rete spionistica di Falk, lui ed Ornella spariscono nel grande continente australiano. Altro mito del nostro ucraino negli anni Settanta. Per sparire, solo due mete: il Messico o l’Australia. Ma prima di perdersi nell’outback, con un grande colpo di “sfortuna” uno dei cattivi che li stanno cercando, incrocia la coppia all'aeroporto di Calcutta. Ti pare più sfiga di così? Uno volta scovati anche in Australia, Falk deve concepire un piano ancora più audace per cercare di spezzare i legami con lo spionaggio. Ed è seguendo questo piano in tempo reale che Ornella poi descrive in flash-back la sua storia con Falk. Non ha molta importanza questo piano, sarebbe quello che ognuno di buon ragionamento avrebbe suggerito ai due per avere un lieto fine, vivere felici e contenti da qualche parte, senza il rischio né di essere uccisi né di passare un paio di vite in carcere. Falk però ci mette quasi 200 pagine per arrivarci. E Ornella ci arriva solo perché portata di peso da Falk e dal suo amore. Quale sia questa soluzione, non ve lo dico, rimanendo il solo, piccolo, elemento di suspense della storia stessa. Che, come dicevo, è poco importante come suspense o giallo o thriller, ma più come atmosfera. Che Scerby, con due tratti di penna, ti cala dentro la storia. Con la sua abilità da sceneggiatore (anche se mai lo fu) ti costruisce intorno un film, che alla fine non puoi non andare a vedere, tanto risulta attraente nelle prospettive. E nelle inquadrature, che il nostro ti porta con mano da Roma a Parigi, da Göteborg a Melbourne, da Budapest a Napoli. Confesso, che ho letto di lui cose più avvincenti e con meno speranza, storie di disadattati e disfunzionali alla società che ti prendevano allo stomaco e non ti lasciavano più. Qui si legge, e si nota con piacere l’evolversi della storia. Un solo punto di biasimo è quando, ad un certo punto, esce fuori la parte molto maschilista di Scerby, che fa dire ad un uomo “Tu sei una donna e non puoi capire”. Nel contesto può avere tanti significati, ma io non l’avrei espressa così.
“Quando un uomo ha veramente in testa una donna, non se la può levare più dalla testa, mai, qualunque cosa faccia. Tu sei la donna che ho in testa e non ci posso fare niente: m’interessi solo tu.” (51)
Giorgio Scerbanenco “I sette peccati capitali e le sette virtù capitali” Corriere della Sera 11 euro 6,90
[A: 01/02/2014 – I: 18/07/2014 – T: 20/07/2014] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 252; anno 1974]
Premessa n°1: non sono un grande estimatore del racconto, che non sempre soddisfa la mia voglia di coinvolgimento nella storia. Premessa n°2: sto diventando negli anni un estimatore di Scerbanenco, “la macchina che scrive storie” come lo definì Oreste Del Buono. Conseguenza: ho letto con interesse questi 14 racconti riuniti in un (presunto) filo logico, e ho trovato conferma delle premesse. Alla fine non sono stato entusiasta, ma Scerby riesce veramente in poche righe a farti entrare nella scena, a farti conoscere i personaggi e le situazioni, insomma a coinvolgerti. Anche se qui, non ci sono misteri, gialli, polizieschi. Forse sono classificabili come noir ambientali, certo è che descrivono, fotografano alcuni momenti dell’Italia che si evolve, che passa dal fascismo, alla guerra, al dopoguerra, al boom economico. Poi purtroppo nel ’69 il nostro muore a soli 58 anni, lasciando una notevole messe di scritti (chissà se qualcuno prima o poi riuscirà a produrre una bibliografia completa), sparsi tra libri, riviste e giornali. Qui vengono ripresi appunti alcuni racconti, ipotizzo (soprattutto per alcune ambientazioni) scritti in epoche diverse, e pubblicati postumi nel 1974. Con un titolo che mi soddisfa parzialmente, che di certo i sette peccati capitali, ci sono e sono ben rappresentati. Pur avendo la voglia di interrogarvi, se ve li ricordate, vi aiuto ripassandoli insieme. Ci sono la lussuria (con la descrizione di un processo ad un lussurioso che verrà assolto dalle malefatte ma trascinato nel ridicolo per le cose che ha fatto, quando ancora c’era il senso del ridicolo in Italia, e non ci torno più sopra), l’accidia (che comunque è un peccato che non ho mai ben focalizzato, ma che il nostro dipinge nel rapporto tra la signorina di gaie frequentazioni e l’integerrima vicina di casa, che però sarà l’unica a comprenderne il dramma), la superbia (dove una donna decide di rimanere ancorata ad un matrimonio finito per aspettare che il fedifrago torni da lei), l’avarizia (uno dei migliori, con la stellina del cinema, gretta ed avara, che per mettere da parte una lira perderà gloria e futuro, e dove Scerby facendo un elenco delle grettezze della bella fa anche un elenco delle storture che da lì a poco diventeranno sistema), l’ira (un ambiente di guerra, con l’iracondo caporale che distrugge la vita ed il futuro del possibile cognato), l’invidia (dove assistiamo alla corrosione interiore della bella Isabella verso la più fortunata Francesca), la gola (dove il conte Damiasi rifiuta una pletora di possibili mogli perché non illibate, per poi cadere nelle “grinfie” di una superba cuoca, peccato sia, con parola attuale, una “escort” di lusso, ma alla sua tavola il conte non riuscirà a resistere). Invece rimango perplesso sulle virtù. Ora mi suonano nella testa le virtù teologali (fede, speranza e carità) e le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). Ma da nessuna parte trovo virtù capitali. Un tentativo di ossimoro? Un frizzo che non riesco ad interpretare? E cosa, secondo il curatore, vengono riunite sotto questo titolo? Abbiamo la purezza (dove una ragazza violentata viene sposata per riparazione, ed assistiamo al suo calvario di lontananza, nonché alla sempre feroce lotta tra potenti e poveri, ed indovinate chi vincerà), il coraggio (dove tornano le atmosfere di guerra, ed il sacrificio, forse inutile, ma quanto umano del caporale Lusitrani), l’amore fraterno (dove la sorella sacrificherà tutto, anche l’amore, per il fratello scapestrato, che però alla fine …), la speranza (anche qui lotta di caste, e lungo percorso verso l’amore del povero ma ingegnoso con la ricca forse viziata), la generosità (con il vecchio e ricco, incapricciatosi della giovane povera, che gode della sua vicinanza, finché riuscirà ad averla accanto, ma non soffrirà quando lei lo lascerà), la rassegnazione (dove una donna sfigurata da un incidente di macchina ha una tenera storia d’amore con un giovane tisico), la volontà (quella di Matilde, che dopo la morte del suo bambino, decide, nonostante tutto e tutti, di lasciare la vita da prostituta e di fare qualsiasi cosa, ma lontano da quel mondo, e forse…). Come unica cifra costante, Scerby rivolta sempre i giochi, ponendo a volte delle vicende ipoteticamente buone tra i vizi, e decisamente cattive tra le virtù. Il suo tentativo, comunque, ed è quello che più si ammira, è la descrizione del reale. E questo viene, con quelle due frasi, quel muovere una mano, la descrizione di una camminata, di una gita in macchina. Pur tuttavia, non sono tutti racconti forti, hanno molti su e giù di presa, motivo che mi hanno convinto a dare poco sotto la sufficienza al volume in generale. Che tuttavia, pur non essendo eccelso, prenderei sempre ad esempio se dovessi indicare un testo per una scuola di scrittura. Provate a rappresentare in 10-20 pagine al massimo gli universi di Scerby. Non è mica così facile, sapete. Speriamo solo di tornare presto alle sue atmosfere più nere, dove ancor meglio si esaltano le capacità indubbie del nostro amico scrittore.
Giorgio Scerbanenco “Un treno per l’inferno e altri racconti neri” Corriere della Sera 12 euro 6,90
[A: 01/02/2014 – I: 29/11/2014 – T: 22/12/2014] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 237; anno 2005]

Giorgio Scerbanenco “Diario per un assassino e altri racconti neri” Corriere della Sera 13 euro 6,90
[A: 07/02/2014 – I: 06/01/2015 – T: 08/01/2015] - && e ½ 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 237; anno 2005]
La data di pubblicazione dei due volumi è recente, in quanto si riferisce alla prima volta della pubblicazione in volume unico. Li ho anche uniti nel commento, in quanto originariamente pubblicati appunto in volume unico da Garzanti, con il titolo “Racconti neri” e con una prefazione, che mi dispiace aver perso, di Carlo Lucarelli. Sono in totale 34 i racconti compresi nei due volumi. I 15 racconti della prima parte di questa riedizione del Corriere della Sera  sono stati pubblicati, dal ’59 al ’69, su Novella 2000 (9 racconti), Annabella (5 racconti) e Stampa Sera (1 racconto). Anche in questi racconti l’atmosfera, le descrizioni, sono quelle classiche che Scerbanenco infonde in tutti i suoi scritti. Non hanno però, come già detto, quel respiro del poliziesco, quell'andamento che attraversa in diagonale la vita, tirandone fuori molti lati oscuri. Hanno voluto mettere nel titolo quel riferimento a “racconti neri”, ma solo perché succedono rapine, morti, ed altre attività ai limiti della legge. Non hanno però quel mordente delle sue opere migliori. Sono dei piccoli acquarelli che a volte toccano corde intense, altre scivolano via, senza troppi coinvolgimenti. D’altra parte si nota pure il luogo dove vengono pubblicati, per la maggior parte giornali allora definiti “femminili”, che spesso chiedevano a Scerby qualche racconto edificante, con forse una morale dietro. E lui un po’ ne mette, riuscendo sempre, tuttavia, in quella sua sapiente opera da fotografo della realtà: così succede nella vita, te lo faccio vedere, te lo narro, ma non dò giudizi. E tanta umanità passa sotto la lente di Scerby in queste pagine. C’è qualcosa che rimanda alle guerre ed alla solitudine (il centro dei primi racconti, soprattutto quello che narra la finta fucilazione del militare tedesco volta a salvare una contadina accusata di collaborazionismo ed il suo ritorno sui monti italiani per ritrovarla). Le prove d’amore e d’amicizia (una borsa con dei soldi che scatena la vera anima di un finto amore, una scappatella con morso di vipera e la serata di gala che va a monte, il poliziotto che è pronto a tradire l’arma ed i suoi ideali per l’amicizia di uno sbandato, il suicidio della biondina tedesca turlupinata da un cascamorto riminese che si toglie la vita buttandosi con la sua auto contro il muro di Berlino). Ci sono ovviamente morti (nella rapina al pittore porno, nella breve storia di spionaggio su spie cecoslovacche e segreti della Nato, e che forse è tra le meno riuscite, ed in particolare nella lunga ricerca per le strade di Francia di un  lanciatore di coltelli che, facendo finta di sbagliare, gli uccide la sorella che non voleva prostituirsi, e che lui finalmente ritrova ed uccide, ovviamente con un coltello). C’è anche amore nella strana storia ambientata in Grecia, dopo le lunghe indagine di un poliziotto risolvono il mistero della strana morte di un falso corriere della droga che in realtà è un vero poliziotto italiano della narcotici. C’è desolazione nella storia della madre che non si rassegna alla morte della figlia, e ritorna periodicamente in questura a denunciarne la scomparsa. O nella storia dell’intervistatrice assalita dal ragioniere allupato e salvata da una signora che per consolarla rinuncia al suicidio. C’è anche ironia nell'assalto al treno da parte dei poliziotti per arrestare un assassino, che conosce a memoria l’Inferno di Dante. Quelli che si alzano un po’ sugli altri, poi, sono la lunga storia, quasi un romanzo breve, del tecnico di ritorno dal polo e del giocatore suicidato. Nel primo lui torna dopo quattro anni al polo, e trova il suo vecchio amore sposato e con figli; si rifugia in sé stesso e nella sua solitudine, da dove viene tirato fuori perché deve salvare dall'avviarsi alla perdizione di una coppia di giovani, fuggita da Roma per amore, ma che si ritrova a Ferrara, sulla sua strada senza soldi né futuro. E salvandoli, rimargina alcune ferite, che curerà in un curioso finale, intervistato da una geologa senza futuro, che è costretta a fare la giornalista per sbarcare il lunario. Nel secondo, infine, abbiamo forse il solo filo di suspense poliziesca, che ruota intorno al finto suicidio di un industriale rovinato dai soldi e dai biscazzieri (che però non sapevano essere lui mancino). Nel secondo volume, invece, sono raccolti 19 racconti che furono anch'essi (a parte gli ultimi tre inediti) pubblicati su Stampa Sera (7), Sogno (8) e Novella 2000 (1). Inoltre, sottolineo che tutti quelli di Sogno sono apparsi postumi a partire dal novembre 1969, in quanto il nostro era morto il mese precedente a soli 58 anni. Anche in questi si continua sulla falsariga del primo volume, forse con una maggiore attenzione al lato “nero” rispetto alla prima parte, ma anche con una maggiore attenzione agli incontri casuali, alle svolte impreviste. C’è un unico esempio (quasi) di critica civile, dove un ricco siciliano pentito di mafia viene protetto dai poliziotti ma continuamente preso di mira dai mafiosi che ha denunciato, finché decide, per salvare la giovane moglie, di farsi uccidere. Gli altri li potremmo invece riunire in categorie: uccisioni programmate, morti misteriose, follie di donne e incontri e riscontri. Nelle uccisioni programmate, la penna del nostro si scaglia su di un ospedale che, a pagamento, uccide vecchi bacucchi (generalmente colpiti da malattie alla prostata) per conto di giovani moglie (che ereditano). Poi c’è il maniaco delle armi che assolda un anziano per poterlo cacciare, finché questo, malato, fa un’assicurazione sulla vita, e si fa uccidere. C’è l’esilarante viaggio attraverso l’Europa di una macchina che deve trasportare un morto da Londra a Zagabria, e delle due diverse personalità che la guidano: il giovane che cerca il suo amore, e che si ferma in Francia, lo sbandato che, per non farsi prendere, cerca di forzare la frontiera, e viene ucciso. Chiudono il gruppo due strani racconti spostati: un giovane si fa arrestare per essersi denudato in pubblico, ma lo fa per sviare i sospetti sul fatto che ha appena massacrato una quindicenne; e tuttavia il poliziotto greco riesce a smascherarlo. Un medico imposta tutta una messa in scena verso la moglie, inducendola a credere di avere un tumore, così che questa si uccide, e lui potrebbe rifarsi con la sua amante se anche qui l’astuto poliziotto non riuscisse a ricostruire i passi della vicenda. Il secondo gruppo delle morti misteriose è aperto dall'uccisione di un emigrato in Germania, con una messa in scena per far credere sia un delitto tra italiani, ma (come nel giocatore del primo volume) l’assassino non sa che il nostro non gioca a carte. Poi c’è l’altrettanto misteriosa morte di una donna molto brutta, uccisa con del napalm nascosto in un mazzo di fiori; ma lei non usciva con nessuno, ed il napalm non è che si trovi dietro l’angolo. Infine c’è la giovane sposina che giunge in montagna un giorno prima del marito, ed è brutalmente uccisa da uno dei clienti preso da un raptus e smascherato dal solito arguto tutore dell’ordine. Il misogino Scerbanenco trova anche modo di dare qualche bottarella all'universo femminile, anche se in fondo qualcosa salva. Siamo ancora lontani dalla legge sull'aborto, e ci sorbiamo un raccontino morale su di un medico che non aiuta la prima ragazza ad abortire e questa si uccide, poi aiuta la seconda e questa muore. C’è un racconto in minore su di uno psichiatra che cura e salva una ragazza dalla follia (e dall'ospedale psichiatrico). C’è la ragazzina tredicenne che viene rapita, avviata alla prostituzione, e salvata da un cliente che, per tirarla fuori dal giro, uccide un uomo e finisce in prigione. C’è una donna bianca, anch'essa rapita, portata nel deserto, venduta schiava agli arabi, che muore colpita da una bomba mentre un giornalista italiano la intervista. C’è l’ennesima storia di una donna perduta che, con un colpo di genio, anzi di sirena, salva il suo ultimo amore dall'arresto. I racconti migliori, per me, sono quelli dove incontri casuali e svolte impreviste mettono bastoni tra le ruote di improbabili assassini o di imprevisti amori. C’è un assassino in pectore che cerca di uccidere la ex moglie (che per incuria aveva fatto morire il loro figlio), ma la madre di lui, di nascosto, toglie le pallottole dalla pistola. C’è un altro che vuole uccidere una donna che lo ha tradito, ma viene preceduto da un’altra vittima dei tradimenti della fedifraga. Ci sono due gemelli che rapinano una bella benzinaia, che poi si innamora di uno dei due (ovviamente il più scapestrato) che pensa bene di farsi uccidere, ma lei si consolerà con il gemello che invece si redime. C’è una donna-poliziotto che prova pietà per una detenuta francese, e questa la ripaga salvandola dal disonore e facendole, inaspettatamente, ritrovare un suo vecchio amore. Infine c’è la storia della fidanzata di un emigrato, che lo vuole riprendere dalla clinica svizzera dove è ricoverato per un incidente provocato da una bella ereditiera, ma la vita è piena di contrattempi, così che alla fine la bella si riprende il fusto, e la nostra troverà il vero amore in un altro emigrato. Ripeto, il nostro scrittore è bravissimo nel mostrarci l’Italia degli emarginati e delle miserie, lui che per anni si aggirava nei meandri milanesi, notturni e disperati, da dove traeva linfa per queste sue storie. Che non sono nere o gialle o d’altro colore. Sono la fotografia (o meglio, come si direbbe ora, il video clip) dell’Italia del miracolo economico, dei primi anni Sessanta. Dove tutto sembrava correre verso il benessere. Purtroppo ci siamo accorti, e sappiamo bene come, che non era così. Grazie per questa nuova prova, anche se non delle tue migliori, grande Scerby.
Prima trama del mese, ed ecco i pochi e sparuti libri letti nell'ultimo mese di gennaio, che, come molto negli ultimi sei mesi è stato più dedicato ai viaggi che alle letture. Libri di medio accoglimento, con lo Scerbanenco che tramo poco sopra ed illuminati da un bellissimo simil-giallo dello svedese Larsson

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Cormac McCarthy
Non è un paese per vecchi
Einaudi
12
3
2
Andrea Camilleri
La bolla di componenda
Sellerio
7
2
3
Giorgio Scerbanenco
Diario per un assassino e altri racconti neri
Corriere della Sera
6,90
2
4
Björn Larsson
I poeti morti non scrivono gialli
Iperborea
17
4
5
Beppe Fenoglio
Una questione privata
Einaudi
s.p.
3
6
Vikram Seth
Il ragazzo giusto
TEA
16
3

Come molti sanno, senza grande preavviso, sono di nuovo in partenza. Allora, per lasciarvi qualcosa da leggere mentre io volo verso il Sud America, vi lascio anche l’allegato delle libropatie, dedicato questa volta al recupero di libri letti dopo aver indicato la cura. Un grandissimo saluto a tutti, un augurio di buona Pasqua.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

PASQUA 2015
In occasione di un nuovo viaggio, e non avendo, per ora, molto tempo per nuove recensioni, approfitto di questo piccolo “buco temporale”, per recuperare alcuni nuovi autori di cure già descritte. Perché la mia biblioteca aumenta di libri, e qualche volta si inizia a leggere, per queste cure, qualcosa che, come malattia ho già descritto.

RECUPERO DI LIBRI LETTI PER CURE GIÀ DESCRITTE

  1. Adolescenza - Giorgio Bassani           Dietro la porta
  2. Arroganza - Elizabeth Taylor           Angel
  3. I dieci migliori romanzi per chi è molto triste - Gabriel Garcia Márquez La incredibile storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata

Bugiardino

Non torno sulle malattie, ricordando solo, ai pochi disattenti lettori che l’adolescenza è stata trattata nella CURA di Febbraio 2014, l’arroganza nella CURA di Luglio 2014 ed i romanzi per chi è molto triste nella CURA di Marzo 2015.
Giorgio Bassani “Dietro la porta” Feltrinelli euro 7 (in realtà scontato a 6,30 euro)
[trama pubblicata il 1 marzo 2015]    
Pubblicato due anni dopo il magistrale “Giardino dei Finzi-Contini”, Bassani continua con questo racconto lungo il grande ciclo degli scritti dedicati a Ferrara, sua città natale. Scritti in cui, con vari momenti e con varie trasposizioni, ripercorre la sua personale biografia della città estense. Questo non è certo il migliore, rispetto, oltre al giardino citato, anche al dolente “Gli occhiali d’oro”. Tuttavia mi ha preso nella descrizione dei dolenti momenti del liceo. E pur nel fatto che il suo liceo (classico, ovviamente) si svolge una quarantina d’anni prima delle mie esperienze al grande Liceo Scientifico Augusto Righi in Roma, riesce, con quella immortalità dovuta ad una scrittura sapiente e partecipata, a far rivivere (mutatis mutandi) sensazioni e momenti. L’inizio del libro, tra l’altro, risente, anche qui con giusta trasposizione, di quel bruciante attacco di Paul Nizan in “Aden Arabia” (il francese iniziava il libro con la storica frase “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”, Bassani ricorda come il primo anno di liceo, fra i tanti momenti infelici della sua vita, fosse stato uno dei massimi). E noi entriamo subito in sintonia con il soggettivo protagonista, che si trova nella nuova classe, con nuovi e diversi compagni da affrontare. La falcidia dell’ultimo anno del ginnasio (che lo priva del suo scudiero fidato, purtroppo bocciato) unisce due diverse classi. Il capitolo in cui entriamo per la prima volta in classe, in cui con sapienti tocchi ci descrive i suoi futuri compagni di scuola, l’indecisione su dove andare a sedersi. Le alleanze e le guerre. E subito trova il suo contraltare. Lui, introverso ed ebreo, ha di fronte Carlo, cattolico e sicuro di sé. Potrebbe nascere un’amicizia tra persone complementari. Il nostro però non si piega ad essere una semplice spalla. Ben conosciamo le scaramucce che ci hanno accompagnato in quegli anni. Io, un Bassani allo specchio, bravo in matematica e deboluccio in latino e (almeno all’inizio) anche in italiano. Compiti che si passano, interrogazioni, cadute e risalite. Sempre con la sensazione di essere alla rincorsa. Ma di cosa? Di chi? Non c’erano certezze, non c’erano sicurezze. E poi ero fuori zona, quindi tagliato dalle frequentazioni pomeridiane. Bassani trova uno strano alleato nel misero (di animo) Luciano, catapultato dopo Natale nella nuova scuola, che il nostro aiuta, e di cui Luciano diventa un po’ “il cavalier servente”. Ma Luciano, figlio di medico condotto e di famiglia non abbiente, non potrà essere di sostegno allo scrittore, ne sarà sempre la ruota di scorta, beandosi dell’aura riflessa. Vediamo affiorare, a poco a poco, le sensazioni meschine di Luciano, e quel suo quasi prendere in giro le ingenuità, soprattutto sessuali, del nostro. Che non va a donne, che non si innamora, che non si masturba. Certo pulsioni sessuali ci sono (sono sedicenni, che diamine), ma nello scrittore si sublimano. Pensiamo ai sogni erotici ingenui, ai nudi dell’arte, alle letture quasi proibite di autori al limite della pornografia (anche se nei lontani anni Trenta, forse, erano solo erotismi di maniera, come “I promessi sposi” di Guido da Verona). Si arriverà così allo scontro finale, dove l’autore non potrà che uscire sconfitto. Carlo lo convince che Luciano parla male di lui alle sue spalle, e lo fa assistere “dietro la porta” al tradimento del presunto amico. Ma non è che Carlo sia da meno, cioè il suo intento non è salvare l’autore ma, in un certo senso, farlo sentire ancora più isolato, ancora più sconfitto. E sconfitto ed infelice, come dice all’inizio, lo sarà e ne resterà il segno nella tristezza che noi immaginiamo grande che porterà appresso per molta parte della vita. L’autore è solo, ed i suoi supposti compagni si perderanno nel resto della vita. Luciano il traditore cambia di nuovo città. Carlo rimarrà il primo della classe fino alla maturità, e poi non sapremo più nulla di lui. L’autore andrà avanti, portandosi appresso la tristezza di non essere riuscito ad incidere nella vita, di essersi lasciato scorrere addosso quest’anno terribile, senza reagire, senza polso. E noi si ripensa alle nostre tristezze scolastiche, ai lunghi momenti di incertezze e insicurezze. Bassani riesce magistralmente a farmi sentire, pur con il carico d’anni che ci si porta appresso, come se fossi ancora nei banchi di scuola, con i calzoni lunghi, la pipa corta, e nessuno con cui fare comunella. Una bella scrittura, un lavoro da tenere presente nelle rimembranze. Leggere e ricordare, entrambi, comunque per andare avanti. Che se quelli furono anni duri, ora c’è l’ottimismo della tarda età che ci sorregge.
Elizabeth Taylor “Angel” Beat euro 9
[trama del 19 febbraio 2015]    
No, non è l’attrice dagli occhi bellissimi, ma una bravissima scrittrice inglese del Novecento molto amata in patria, casualmente omonima, e sfortunatamente ormai morta da quaranta anni. Non la conoscevo, e devo dire sempre grazie alla fucina delle cure con i libri se mi fa scoprire nuovi autori, nuovi libri di vecchi autori, ma anche libri che non mi piacciono di autori nuovi o vecchi. Ogni lettura porta sempre con sé qualcosa (e d’altra parte, come non potrebbe essere così, dal momento che ogni viaggio porta con sé qualcosa, e chi legge è un viaggiatore, come sostiene Ale). Ma torniamo alla Taylor. Non fu una scrittrice prolifica (si citano una decina di titoli) e molto riservata (una sua amica incaricata di scriverne la biografia rinunciò dicendo che non c’erano avvenimenti tali da poter sostenere il peso di un libro). Amata, ed anche qui lo riporto, anche per alcuni suoi libri per l’infanzia. Venendo a questo libro, è una lunga carrellata della storia della vita di Angelica Deverell, detta appunto Angel. La vediamo adolescente che non riesce ad interagire con i suoi coetanei, immaginandosi una vita altra, piena di ricchezza e signorilità, lei che vive in una sperduta campagna inglese, che non ha conosciuto il padre, e con la madre titolare di un negozio di alimentari. Angel si sente diversa, sente che ha un mondo di “lustrini, begli abiti e grandi signore aristocratiche” dentro di sé. E per sfuggire la sua triste vita, decide di scrivere, di mettere sulla carta questo suo mondo sensazionale. Qui scatta la cifra forte della su vita, la sua arroganza infinita, per cui è certa di scrivere i migliori romanzi che possano essere pubblicati. Romanzi sensazionali, ambientati in quel mondo dorato di aristocrazia e fasti di cui lei ha solo immaginazione, ma che ben si attaglia al primo decennio del secolo scorso, epoca in cui parte la vicenda. Trova anche un editore, che gli rimarrà amico per tutta la vita, che nonostante i pareri contrari della sua casa editrice, decide di pubblicarla. Proprio quel suo mondo fantastico, in un mondo che invece sta declinando, le porta quel successo cui lei era sicura di arrivare. Ma ci sarà sempre una crasi fra il suo mondo, la sua vita, ed il resto dell’umanità. La scrittura le porta fama, e soldi, e benessere. Ma i critici considereranno i suoi lavori come assurdi e illeggibili (sottofondo: come fare tanti soldi pubblicando romanzi di genere…). Ed anche la sua vita sarà sempre destinata all’isolamento ed alla delusione. Si compera una prima villetta, dove relega la madre a ruolo di governante, ruolo che porterà la genitrice ben presto verso la tomba. C’è Nora, una giovane che si infatua dei suoi libri, e che prenderà il posto della madre, rimanendo con lei per tutta la vita (quasi presa da un affetto lesbico, anche se mai rivelato). Angel in un primo tempo accetta Nora solo perché sorella di uno scapestrato pittore di cui lei si è invaghita. Non solo, ma Angel ha deciso che lo ama, e, con una serie di trovate strane, riuscirà anche a farsi amare e sposare da lui. Siamo nel momento alto, i soldi sono ancora tanti, e lei compera la grande tenuta di “Paradise House”, il sogno della sua infanzia.  Da qui comincerà la china, di cui lei, nel suo incosciente isolamento interno, per cui legge la realtà solo per quello che si accorda con il suo volere, non si accorgerà mai. Il marito la tradisce, ma lei non se ne accorge. Scoppia la guerra, e lui parte per il fronte, da cui tornerà senza una gamba, sempre più depresso, tanto da morire poco dopo annegato in un laghetto della tenuta. Ma Angel non si accorgerà di nulla, e lo porterà sempre in palma di mano, ripetendo a tutti quanto sia stata bella ed intensa la sua storia d’amore. La guerra porta anche ad un repentino calo delle vendite, e della sua ricchezza, nonostante gli sforzi di Nora di gestire al meglio il poco che entra. Tutti invecchiano, l’editore va in pensione, i suoi libri cadono nell’oblio e la vita a Paradise House si trascina piena di stenti. Senza che lei se ne abbia cura. Ed isolata nel suo mondo dorato, morirà accudita dalla sola Nora, l’unica che sempre le rimarrà vicino. Isolata sempre e comunque, perché gli altri saranno incapaci di conformarsi alla sua visione non realistica della vita. Una figura che ha del grottesco, con punte di patetico e fondi di grande tragicità. Il tutto reso dalla Taylor con una scrittura che ti tiene sempre lì sulla pagina, che non stanca, che ti porta a vedere contemporaneamente queste due facce: la sua realtà e quella di chi gli sta vicino. Ci sono anche alcuni momenti, direi intensamente personali, quando Angel pensa alla sua scrittura, e la confronta con i critici, con accenti che la Taylor avrà senz’altro sentito durante anche la sua, di scrittura. Ma il libro è bello, dolente, e letto con piacere ti da un balsamo per curare le ferite di quando si pensa troppo a sé stessi, incuranti di quanto succede nel mondo.
Gabriel Garcia Márquez “La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata” Mondadori euro 8,50
[trama del 13 marzo 2015]    
Sono sicuro che se avessi letto prima questi racconti, non avrei affrontato i “Cento anni” con lo stesso piglio, e letti con lo stesso piacere. Perché questi sono racconti, e già si sa che mi pongo verso questa forma espressiva sempre in forma problematica. Sono poi intrisi di quel realismo magico, come viene chiamato, di cui sono pieni gli scrittori ispano-americani. Ed anche qui io mi trovo in difficoltà. Non trovo qui, se non elementi postumi di quelle costruzioni cui mi aveva assuefatto la famiglia Buendía. Né tanto meno quelle dosi di vita descritta e partecipata, come poi mi avrebbe entusiasmato la tarda lettura di “Cronaca di un naufragio”. Infine, purtroppo, il libretto Mondadori non è corredato da note ed esegesi, come altri libri dello scrittore colombiano, per cui ci si trova davanti al testo, anzi ai testi, con la sola indicazione dell’anno di scrittura. Che almeno mi ha dato una chiave di lettura. Qui infatti, abbiamo 7 racconti, di cui i primi 6, brevi, sono precedenti a “Cento anni”, mentre solo l’ultimo, quello del titolo (e non a caso) è posteriore (scritto nel 1972, mentre ricordo che il suo capolavoro è del 1967). Dicevo non a caso, perché la triste istoria è quello che solo si salva dal naufragio annunciato degli altri. Dove abbiamo un vecchio (forse un angelo anziano) che cade con le sue grandi ali in un villaggio di mare. Un mare che profuma di rose e porta disgrazie. Un morto annegato bellissimo e grandissimo. Una nave fantasma che il ragazzo incredulo porterà definitivamente a naufragare. Un venditore di fumo e la sua storia di raggiri narrata dal suo allievo, e poi carnefice. Nonché (e forse l’unico che un po’ si stacca dai precedenti), la fine anch’essa annunciata di un senatore sulla via della morte per tumore ed il suo ultimo sprazzo d’amore. Rispetto a questi, che non vanno mai oltre le dieci pagine, piene si di descrizioni, ma che, a me, non prendono, la candida Eréndira ha un piglio più complesso e più partecipato. Si sente che Aureliano è passato sotto i ponti, e che la penna di Gabo è più scorrevole ed incisiva. C’è lei, giovane, bella e “cenerentolata” dalla nonna tiranna. Anzi, come dice il titolo, crudele. Nonna un tempo bellissima, sposata al contrabbandiere Amadìs, ricca di casa ed altre scorie della vecchia stagione avventurosa. Con Eréndira che la serve in tutto e per tutto. Peccato che la piccola si dimentichi candele accese, che un colpo di vento notturno potano a bruciare tutti i beni della nonna. Che decide di farseli ripagare sfruttando il corpo della giovane. Insomma, vendendolo a pochi pesos qua e là per il paese. Assistiamo al girovagare, al degrado, alla lotta con le istituzioni (soprattutto la chiesa) che vogliono portar via la giovane per sfruttamento minorile. Ed altre imprese minori, che hanno però la fantasia di coinvolgere elementi delle mini-storie precedenti. Abbiamo così un olandese che forse ha perso le ali da giovane. Abbiamo un senatore che scrive una lettera di raccomandazioni per la nonna. Abbiamo il venditore di fumo che si sbraccia nella piazza accanto al tendone dove la nonna vende il corpo di Eréndira. Non manca poi il giovane Ulisse che si innamora della nostra bella ragazza. E tenterà di salvarla dalla nonna, cercando in molti modi di ucciderla (con bombe e con veleni) senza riuscirci. Tanto che Eréndira si spazientisce non poco. E quando finalmente Ulisse riuscirà nel suo intento, ma solo con il pugnale, Eréndira, finalmente liberata, fuggirà anche da lui. E se ne andrà verso il mare. Mare che ritorna, bene o male, in tutti e 7 i racconti, quasi fosse una calamita che attira la penna di Gabo, lui che nacque là sulla Sierra colombiana, che vedeva il mare laggiù, a pochi, ma irraggiungibili chilometri. Ed in questo racconto troviamo anche un legame ideale con “Cento anni”, dove, se ricordate, ad un certo punto Aureliano Buendía entra sotto la tenda di una mulatta adolescente costretta a prostituirsi per ripagare alla nonna i danni di un incendio. Non ho però trovato altri stimoli, altre voglie di far girare le poche sinapsi rimaste. Preferisco Gabo, lo ribadisco e lo sottoscrivo, quando si avventura in storie più complesse. Vedremo cosa ci riserverà il mio futuro di lettore.

Conclusioni

Non ne traggo neanche particolari conclusioni, ricordando solo che Bassani e la Taylor hanno avuto quattro librini di giudizio abbondanti, cioè raggiungono il loro scopo, mente il premio Nobel non arriva a due, e mi è decisamente poco piaciuto. Inciso di metodo, quando indico pubblicata, è una trama uscita nelle settimanali. Altrimenti ne indico la data di scrittura.

Nessun commento:

Posta un commento