martedì 2 giugno 2015

Mondadori unter alles - 02 giugno 2015

Cominciamo in scioltezza il mese di giugno, in questo girono dedicato alla “patria”, con quattro autori di scritture gialle italiane. E con la casa editrice di Segrate sotto torchio, in quanto, nella sua collana storica de “Il giallo” continua a pubblicare pessime prove di autori italiani. Come i sotto rappresentati Cammilleri (attenti a non confonderlo con il quasi omonimo padrino di Montalbano) e Di Marino (che forse è meglio torni a Segretissimo…). I due pessimi libri fanno risaltare oltremodo due onesti e degni scrittori, e le loro città: Colaprico e la sua Milano, Ricciardi e la sua Roma. Non sempre prove eccelse, ma di sicuro godibili.
Rino Cammilleri “Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo” Mondadori euro 4,90
[A: 07/03/2014– I: 19/10/2014 – T: 21/10/2014] - &
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 241; anno 2000]
Aspettavo con una certa curiosità la lettura di uno dei tanti apocrifi delle avventure di Sherlock Holmes. A lettura finita, come costatate dalla valutazione, devo dire di esserne profondamente deluso. Non conoscevo l’autore, e, ad inizio romanzo, mi è sembrato preparato nella materia e dotato di una buona capacità di replica. I primi svelamenti di Sherlock di persone e situazioni sono in linea con la migliore tradizione di Conan Doyle ed anche dei suoi epigoni. Inoltre, c’è una sottile ironia nell’intitolare i capitoli con “nomi sbagliati” delle avventure del detective (come riporto nello specchio finale comparativo). Poi il romanzo si incarta, e si avvia verso una discussione di tesi e di posizioni che non solo non sono in linea con l’originale, ma servono a Cammilleri per portare acqua ai suoi mulini. Che, infatti, ho scoperto a posteriori essere giornalista ora dedito alla scrittura su “il Giornale” della rubrica “Il Santo del giorno”. Fatte salve quindi le credenziali riconosciute al nostro investigatore, sulla cui bravura non ritorno (che penso sia ben nota), l’autore coinvolge i nostri due compassati inglesi in una sarabanda europea. Una signora, sedicente parente di Ippolito Nievo, coinvolge Sherlock nella ricerca della verità sulla morte del parente (scomparso nell’affondamento di una nave a largo di Napoli con misteriose carte appartenenti alla spedizione dei Mille). Ricerca subito osteggiata dalla massoneria inglese guidata dal fratello di Holmes, Mycroft. Tuttavia Holmes dribbla il primo sbarramento, e riesce ad arrivare a Torino, prima tappa del giro d’Italia. Qui incontra Don Bosco e il professor Francesco Faà di Bruno (che per chi non lo sapesse era un valente matematico, nonché parente del capitano eroe di guerra), che lo coinvolgono nel misterioso furto della Sindone. Dati questi su cui torneremo. L’incontro dà comunque modo all’autore di aprire una prima parentesi sulla massoneria e sulla fede, uno scontro di ragionamenti tra il prete e l’investigatore. Tralasciando i vari passaggi per cui Sherlock intuisce chi ha rapito la Sindone, e si precipita per risolvere il caso verso Napoli ed altri scontri tra massoni inglesi ed italiani, non manca una lunga tirata contro Garibaldi e contro i piemontesi che stanno colonizzando, con le forze dell’ordine, l’Italia ex-borbonica. I nostri vengono rapiti, portati su di una nave cui danno fuoco, poi ripresi, e portati nel sottosuolo di una città del Sud. I massoni borbonici vogliono far credere che sia Palermo inscenando un teatrino dove riesumano addirittura i Beati Paoli. Holmes fugge, e nella fuga ritrova la Sindone. Capisce, in base alla sua conoscenza dell’italiano, che è a Napoli. Ma viene ripreso dalla Isabella dell’inizio. Che non era parente di Nievo (che da un certo punto in poi scompare anche come ricerca di soluzione al naufragio), che voleva la Sindone per fare una cerimonia pagana dedicata ad Astarte, una dea cipriota. Holmes e Watson (usando anche arti marziali che non sospettavamo) debellano i cattivi, e riportano la Sindone a Torino, dove hanno modo di fare un’altra pippa interminabile sulla fede e sull’esistenza di Dio. Il tutto si chiude anni dopo, quando Watson, al funerale di Holmes, gli mette in mano un santino di Don Bosco. Direi un guazzabuglio veramente poco illuminato dalla scrittura (almeno dalla metà in poi) e tutto teso non a creare un apocrifo sul nostro investigatore, ma a convincere il lettore che, benché razionale e massone, Holmes alla fine viene convertito alla fede dalla santità di Don Bosco. Con tutto il rispetto per la fede e la religione, poteva essere scritto in altro modo e non con la ricerca di prendere il lettore promettendo (nel titolo e nella quarta) qualcosa che per tutto il libro viene soltanto sfiorato. Si accenna alla possibilità che Nievo sia stato vittima di una delle prime stragi di Stato per non svelare il sostegno inglese alla spedizione dei Mille (tesi tra l’altro ripresa dal pronipote di Nievo, Stanislao, in un libro di altra levatura). Poi si mescolano un po’ le carte, sia inscenando un furto della Sindone, che non è mai avvenuto, sia una giustificazione alle bruciature della stessa (che però avvennero nel 1532 e non nel 1892 data di svolgimento dei fatti narrati), sia infine una sua traslazione in Campania (che avvenne davvero ma solo nel 1939). Si fa confusione tra massonerie, di rito scozzese o altro, e tra mafia e Beati Paoli (una setta che in realtà ebbe vita a Palermo solo intorno al 1200, ed il cui nome fu poi usurpato per altri fini). Infine, cosa per me ben più grave, vengono coinvolti Don Bosco e Faà di Bruno, entrambi purtroppo morti ben 4 anni prima dello svolgimento dei fatti. E tutto questo per trovare un prete che difenda la fede religiosa e che cerchi di instillarla nel campione del razionalismo. E mi dispiace che sia stato coinvolto in questa turlupinatura un prete come Don Bosco che merita al contrario tutto il rispetto conquistato attraverso una vita esemplare. Ma come aspettarsi altro da un autore che ha scritto come saggio di punta “Come fu che divenni c.c.p. (cattolico, credente e praticante”? (Con tutti il rispetto di chi si converte, ma non ne fa un fatto mediatico). Notando di passaggio che anche il correttore delle bozze poteva far meglio il suo lavoro (viene lasciata la frase “fomite di risse” rispetto alla corretta “fonte di risse”), veniamo all’unico elemento di divertissement rimasto. I capitoli e la loro genesi. Dove appunto, l’autore cambia un elemento del racconto originario per dare un nuovo titolo e per usare la mendacità raggiunta per sviluppare, secondo lui ironicamente, il capitolo stesso. Purtroppo, la volontà di piegare tutto verso il discorso religioso di cui sopra, fa perdere credibilità e vivacità anche a questo gioco:
Nome del capitolo
Nome del racconto originale
Un bilancio in rosso
Uno studio in rosso
Il postino di Baskerville
Il mastino di Baskerville
Il sogno dei Quattro
Il segno dei Quattro
Cinque semi di arancia
I cinque semi d’arancio
Il cane che camminava a quattro zampe
(cenno ai 4 romanzi di Arthur Conan Doyle)
Il mistero della Casa di Don Bosco
Il mistero della valle di Boscombe
L’uomo dalla faccia spaccata
L’uomo dal labbro spaccato
Il prelato dal volto sbiancato
Il soldato dal volto sbiancato
La villa della paura
La valle della paura
L’ultimo starnuto di Sherlock Holmes
L’ultima avventura di Sherlock Holmes
La ciminiera del leone
La criniera del leone
Il mistero della Gloria Scotti
L’avventura della Gloria Scott
La feccia gialla
La faccia gialla
La cassa vuota
La casa vuota
Le donnine danzanti
L’uomo danzante
L’interprete greca
L’interprete greco
La scala del priorato
La scuola del priorato
Il paziente eterno
Il Paziente Residente
Insomma, evitate di leggerlo. Ed evitate di leggere altro scritto da Cammilleri.
Piero Colaprico “L’estate del Mundial” Il Saggiatore euro 11 (in realtà scontato a 8,25 euro)
[A: 02/04/2014– I: 22/10/2014 – T: 24/10/2014] - &&& e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 223; anno 2003]
Con questo libro, firmato per ragioni editoriali dal solo Colaprico, finisce la quadrilogia del maresciallo Binda, pensata, organizzata e scritta sì da Colaprico ma insieme a Pietro Valpreda. Purtroppo l’anarchico muore nel 2002 senza che sia completato questo quarto volume. Antecedentemente alle stagioni di de Giovanni, i nostri “milanés” avevano pensato alle stagioni. E uscirono (e io ne ho parlato) l’autunno (“Quattro gocce d’acqua piovana”), l’inverno (“La nevicata dell’85”) e la primavera (“La primavera dei maimorti”). Ecco quindi l’estate, quella dell’82, ovviamente. Come dice il titolo, quella del Mundial, della tragedia del Sarrìa (dove l’Italia eliminò il Brasile, e questi ne fece un problema nazionale chiamandolo appunto “tragedia”) e dei goal di Paolo Rossi. Ma quello è anche un anno pieno di avvenimenti importanti: la morte di Villeneuve in maggio, l’invasione del Libano da parte di Israele in giugno, il “suicidio” di Roberto Calvi, in settembre muore in un incidente stradale Grace Kelly, ma, soprattutto, vengono uccisi dalla mafia il generale Dalla Chiesa e la moglie Emanuela. Kola e Pietro avevano parlato dell’impianto del libro, ma la morte di Valpreda lascia il nostro cronista solo con le pagine da elaborare. Decide di usare comunque la tecnica collaudata dalle scritture precedenti, anche se, come confessa nella postfazione, con molta difficoltà. E con la tristezza di poter soltanto dedicare il libro all’amico scomparso. Ne esce fuori, in ogni caso, un’avventura di stampo simile alle precedenti, quasi senza sentirne i distacchi. C’è il Binda attuale, ripresosi dalla morte della moglie e in una storia di consolazione da attempati con la simpatica Alba, che ai soliti amici del bar del suo buon ritiro pensionistico racconta la storia di uccisioni e di inchieste che, per l’appunto, si svolgono dal giugno all’agosto del 1982. Kola mescola un po’ le carte, con il solito spirito “civile” che permea ancora i suoi articoli giornalistici. C’è il “suicidio” di Calvi a Londra e l’uccisione della soubrette Lavinia a Milano, amica di Loris, il sodale anarchico di Binda. Il nostro maresciallo viene coinvolto in entrambe le indagini. Mentre nella parte “politica” svolge con diligenza il lavoro (ma non ne parlo che troppo note sono le vicende, e lo scritto non porta ulteriori informazioni sugli intrecci soldi – mafia – politica, se non ribadire un dato che tutti abbiamo avuto sotto gli occhi: dopo la morte di Calvi, un imprenditore milanese ha di colpo una grande disponibilità di denaro; imprenditore che risponde al nome di Silvio Berlusconi), è nell’inchiesta su Lavinia che mette il cuore. Che dopo Lavinia, muore anche un attore dello stesso giro. Tutto converge sull’organizzatore di eventi teatrali Vito Sangalli, ora in caduta verticale di credibilità e liquidità. Con un colpo di fortuna, Binda mette le mani su di un ritaglio di giornale del ’59, riguardante la morte di un’attricetta durante una rapina, e la fuga del suo “Clyde”. Nel ’59 c’era stata anche una rapina ad una gioielleria di via Montenapoleone, con il trafugamento di un diamante, ancora non ritrovato dopo 25 anni. Attraverso la solita pazienza delle indagini, riunendo elementi diversi, rimettendo in campo anche altri marescialli ora in pensione, ma all’epoca sul fronte delle indagini, Binda ricostruisce la storia di una banda, detta “dei Cavallini”. Storia che ricalca (almeno nelle linee di fondo) quella di un clan dei Marsigliesi, quello di Albert Bergamelli, una sorta di ladro gentiluomo, così come viene descritto Asio, il capo dei Cavallini. Asio che divideva le indicazioni sulle refurtive tra due banditi, di modo che nessuno sapesse tutta la verità. Peccato che dopo l’ultimo colpo quasi tutti muoiono (o pare). Si salve solo il Guerriero, che però, dopo la rapina con morte fugge in Svizzera. Ora è tornato, e si vendica di chi fece soffiate alla polizia. Ma quello che cerca è il famoso diamante. Che pare Sangalli sappia dov’è. Che qualcuno venuto anche lui dal passato sia sulle tracce. Che Binda capisce essere nascosto in una delle più di quattrocento statue in cima al Duomo. Colaprico, com’era d’uso nei primi tre libri, non dà circolo compiuto alle inchieste, anche se Binda ne parla agli amici del bar. Si saprà solo che il diamante viene ritrovato, che la ricompensa va ad istituzioni benefici. Che il Guerriero, probabilmente, farà una brutta fine. L’interesse dell’autore così come nelle altre storie, è l’atmosfera, è il dipinto di una certa Milano. Tutto sommato, una storia scorrevole, con alcune giuste frecciate al proprio arco, sulla vita della “Milano da bere” ma anche su quelli che hanno fatto il meglio della città, la gente dei navigli, il popolo minuto, gli attori di avanspettacolo. Insomma, un mondo ormai scomparso, che poteva ma che ora non può più. Rimpianti? Forse, ma soprattutto rabbia verso chi ha usato i soldi ed il potere per fini non proprio puliti. Comunque sono contento di aver ripercorso questa piccola memoria. E ripeto il piacere che dovreste provare anche voi a leggerne.
Giovanni Ricciardi “Il dono delle lacrime” Fazi editore euro 13,90 (in realtà, scontato a 11,82 euro)
[A: 01/08/2014– I: 27/12/2014 – T: 29/12/2014] - &&& e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 188; anno 2014]
Eccoci finalmente tornati ad una nuova avventura del commissario Ponzetti. Come ho scritto per i primi quattro libri di Giovanni Ricciardi, trovo questa serie interessante, di gradevole lettura, e con alcuni spunti che non mi lasciano indifferente. Soprattutto, come risulta chiaro a chi ben mi conosce, quando il nostro commissario e gli altri personaggi della vicenda si aggirano per una Roma non da turisti né da cartolina. Solo chi ci vive può lasciare di passaggio un cenno ad una torta comperata da Romoli (una delle tante mitiche pasticcerie romane, quella di via Libia per intenderci). O trovarsi a Campo de’ Fiori, e tra le tante chiese far riferimento a quella meno nota, quella che sta dentro il Palazzo della Cancelleria, la Basilica di San Lorenzo in Damaso, che contiene uno dei più begli organi delle chiese romane, nonché una statua della Madonna ad opera del Pomarancio. E proprio da questa chiesa parte la storia del libro, l’inchiesta e le avventure dei nostri eroi, il commissario Ponzetti ed il suo aiutante Iannotta. Qui, probabilmente, Ricciardi si incarta un po’ costruendo una vicenda un filo troppo arzigogolata nelle sue ramificazioni, anche se, come altrove nelle sue scritture, con un finale non del tutto delineato. Che certo noi lettori attenti e sagaci potremmo completare a nostro gusto, salvando questo e condannando quello, ma che Ricciardi volutamente sfuma, con quel gusto, piacevole in vero, delle cose vere, delle cose che nella realtà di tutti i giorni non sempre sono disvelate fino in fondo. Qui si parte dalla morte di un prelato, don Pirrone, e delle complicazioni che possono insorgere in un momento delicato della chiesa, che la vicenda si colloca a ridosso della rinuncia al papato di Benedetto XVI. E finiranno prima dell’elezione di Papa Francesco. Ma torniamo alla storia, che si svela con un andamento molto lento. Il corpo è trovato dal diacono Giulio, al ritorno dall’aver dato l’estrema unzione ad un anziano. Tuttavia sia il Vaticano che Ponzetti sono dubbiosi sul movente del suicidio. Che intorno alla Chiesa di don Pirrone si era alzato un velo di interesse per la Madonna che piangeva (ma sarà stata vera lacrima?), per il fatto che il prelato aveva rifiutato la nomina a vescovo l’anno precedente, nonché perché aveva anche chiesto un periodo di riflessione lontano dalla chiesa e dai fedeli, allontanamento di cui erano a conoscenza solo lui ed il monsignore. Come d’uso in Ricciardi, ma qui con qualche tocco in più, l’indagine si intreccia con la vita normale del nostro normale commissario. Che proprio da don Pirrone la signora Clara voleva lo sposalizio della figlia con Jorge lo spagnolo. Jorge che, conosciuto il prelato, si fa coinvolgere in un’opera di ristrutturazione di un ospizio. Ci sono poi telefoni che non rispondono, telefoni complicati da usare, un giovane hacker forse innamorato della figlia del commissario che decritta le mail dello scomparso, e finalmente l’intervento della Narcotici che apre tutto un nuovo orizzonte alla storia. E forse, per il mio gusto, complicandola quel tanto che basta per renderla meno gradita. C’è una Banda di trafficanti, un contabile pentito che chiede aiuto al prelato, questi, con l’aiuto di suo conoscenze sudamericane, lo fa fuggire in Perù, dove trova la comunità di don Miguel, quello che aveva convinto venti anni prima Pirrone a farsi prete. Lì il contabile conosce Cristina, la prima fiamma del non ancora prete, e si innamora della di lei figlia. Quando Cristina muore di cancro, il contabile chiede aiuto a Pirrone per la salvezza di Consuelo, dove il prete capisce essere una sua non nota figlia. Da qui la crisi, il pentimento, la storia intricata della sora Mariella di Campo de’ Fiori (che tralascio), la voglia di salvare i buoni, il tentativo di sfuggire al non chiaro diacono Giulio. Alla fine don Pirrone muore, non sappiamo per mano di chi, anche se ne sappiamo i mandanti. La figlia di Pirrone viene messa in salvo, e del contabile non si saprà nulla. Poiché Ricciardi è un buon professore, però, ci lascia indizi illuminanti. Prima con alcune citazioni di Manzoni. Ed alla fine con due colpi dell’Odissea, da vero maestro. Il discorso sul “mare color del vino” che ci illumina su quello che vediamo e su quello che percepiamo (ed anche qui non porto più in fondo le mie parole). E sulla figura di Nausicaa, quella che salva il naufrago Ulisse, convincendo il padre Alcinoo a fornirgli una nave per tornare in patria e consumare la sua vendetta. Come nella storia di Nausicaa la fine è velata. Perché anche Omero, pur facendoci capire che la giovane si possa innamorare del naufrago, poi non ne parla più. Sono epigoni tardi che ci dicono (ma sarà vero) che la bella sposerà Telemaco, figlio di Ulisse. Noi rimaniamo al testo, ed alla capacità, come dice qualcuno, di Riccardi, attraverso Ponzetti, di cogliere segni. Qualcuno, in questa era digitale, lo ha definito un commissario analogico, uno che torna al mestiere antico del poliziotto, a quello dei Maigret, tanto per intenderci, che usavano uno strumento desueto per le loro indagini: il ragionamento. Di questo ringraziamo Ricciardi, sperando di poter leggere ancora altre avventure, camminando, con lui, con Ponzetti e con Iannotta, per la nostra bellissima città.
Stefano Di Marino “Il palazzo dalle cinque porte” Mondadori euro 4,90
[A: 05/02/2014– I: 09/03/2015 – T: 12/03/2015] - & e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: inglese; pagine: 275; anno 2014]
Stefano Di Marino è un prolifico scrittore di genere che da venti anni “allieta” gli scaffali di Segretissimo della Mondadori con una serie intitolata “Il professionista”. Seguendo i suoi blog e le sue varie scritture in rete si ha la sensazioni che scriva più di respirare. Per me, al contrario, è al primo incontro, dovuto alla mia nota perversione di leggere i gialli Mondadori di autore italiano. Come vedete bene dal giudizio espresso, non è che mi sia piaciuto gran che. Non è che non scriva in modo scorrevole, con buona dovizia di indicazioni varie che ci fanno capire come si approcci alla scrittura con passione ed informazione. Tuttavia, questo giallo, usando stereotipi ben consolidati, non appassiona né coinvolge più di tanto. Diciamo che due sono le cose maggiormente positive per il mio piacere di lettura: una buona dosa di informazione su sette esoteriche, mescolando la magia di Venezia con il fascino dell’occulto che ci arriva dalla Transilvania e la scoperta di una pianista che ho cercato in rete e che mi è piaciuta molto (la giapponese Akiko Grace). Mentre sul secondo punto non posso dire che ascoltatela, sul primo ho trovato intrigante la commistione tra realtà ed invenzione. L’esoterista Radu Salieri, di origine rumena (con quel nome, Radu, che lo collega immediatamente alla discendenza di Vlad II il Drago, che in romeno è Vlad II Dracul, padre anche di Vlad III l’impalatore, figlio di Dracul, che in romeno si dice Dracula, e non aggiungo altro), che trova una formula “diabolica” per entrare in contatto con gli esseri soprannaturali, offre i suoi servigi ai Borgia di Roma, da dove, dopo aver rubato a Cesare Borgia il segreto di una droga chiamata “cantarella”, fuggì verso Venezia. Non prima di essersi fermato a Firenze, dove l’alchimista Vermondo Rullini costruì per lui una macchina da calcolo per consentire di trovare l’occhio del diavolo di cui sopra. Arrivato in Venezia, chiede ed ottiene la protezione del doge Lorenzo Loredan, anche lui occultista, ed entra nella setta dei “Figli del Basilisco” (animale mitologico di grande effetto). Qui si lega al pittore e scultore Betto Angiolieri che però intuisce qualche segreto dello stesso Radu. Il quale, prima nasconde in Dalmazia l’oggetto del Rullini, poi volge a suo favore le tresche di Betto, che pur aveva dipinto il Palazzo del titolo come entrata verso il mondo occulti, lo uccide e fugge in quel di Napoli. Da dove, secoli dopo, discende una nuova schiera di Salieri, che fugge in Olanda, ed il cui ultimo rampollo è Sebastiano detto Bas, l’eroe del libro che stiamo tramando. Ora, tutta questa parte è divertente, e irta di curiosità (anche se annegata nel libro e da me indegnamente ricostruita “a posteriori”). La storia del libro in sé, diciamo il giallo, è invece poco appassionante, anche se un piccolo colpo di scena finale ci permette quel mezzo libretto di gradimento di cui nel titolo. Bas viene a Venezia per entrare in possesso dell’eredità dello zio Mattia, con il quale non aveva più rapporti dalla morte, venti anni prima, di suo padre Peter in Dalmazia. Eredita il palazzo del titolo, viene ben presto concupito dalla bella Martina, nipote del notaio dello zio, ed entra in contatto con una coorte di personaggi, che, non facciamo fatica a credere, siano tutti coinvolti in pratiche spiritiche. Tra l’altro Bas è invece un illusionista che per mestiere, oltre a scrivere dotti libri sull’argomento, tenta di smascherare i “falsi spiritisti ed altre finte messe in scena”. Da qui si svolge la lunga ricerca della soluzione del mistero dell’occhio del diavolo, che, se non altro, ci porta a passeggio per Venezia, le sue calli, i suoi campielli, nonché in laguna ed a Murano. Ma dopo Mattia, capitolo dopo capitolo, anche gli altri elementi della coorte occultista vengono meno di morte cruenta. E dal capitolo 5, io feci l’ipotesi che anche la bella Martina avesse un suo ruolo di femme fatale (anche perché Bas pur in alcune turbe erotiche, rivolge sempre pensieri più amorevoli alla sua segretaria tuttofare olandese Zairah). Il resto, compresa la presenza utile ma poco incisiva di un simpatico commissario di polizia, è un ricalco di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Dove, una volta compresi i meccanismi di parallelismo, capiamo anche verso quale fine ci spinge l’autore. Poiché tutti conoscono il libro dell’illustre signora del giallo, non ci torno sopra, sottolineando solo quel piccolo colpo di teatro che alla fine rivela come il primo morto non sia il primo che vediamo morire nelle prime pagine, ma che provenga da qualche decennio prima. Insomma, se volete, sentite i bellissimi album di Akiko, e niente più.
Ed eccoci, come ogni nuovo mese, alle letture di marzo, mese di molti libri, con gradimenti veramente alterni. Dalle vette del premio Pulitzer Jennifer Egan, del sempre gradito Ryszard Kapucinski o della scoperta delle isole di Marco Lodoli, fino agli scarsi gradimenti, per motivi vari che scoprirete leggendo le trame prima o poi, del Maiale di Pastoureau, della Erendira di Garcia Marquez, del buio di Branchi o del pastiche giallo-svedese a cura di Holmberg.

#
Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Thomas Keneally
La lista di Schindler
Sperling
10,50
3
2
Marco Marsullo
Atletico Minaccia Football Club
Repubblica  Pallone
6,90
2
3
Michel Pastoureau
Il maiale
Ponte alle Grazie
s.p.
1
4
Jennifer Egan
Il tempo è un bastardo
Minimum Fax
18
4
5
Pieter Aspe
Le maschere della notte
Fazi Editore
6,90
3
6
Sebastian Faulks
Il canto del cielo
Beat
13,90
2
7
Petros Markaris
Resa dei conti
Bompiani
12
2
8
Henri-Pierre Roché
Jules e Jim
Adelphi
11
3
9
Stefano Di Marino
Il palazzo dalle cinque porte
Mondadori
4,90
2
10
Gabriel Garcia Marquez
La incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata
Mondadori
8,50
1
11
A.M. Homes
Questo libro ti salverà la vita
Feltrinelli
9
3
12
Andrea Camilleri
La concessione del telefono
Sellerio
10
3
13
Pieter Aspe
La quarta forma di Satana
Fazi Editore
6,90
3
14
Michele Branchi
L’infinito buio
Sole 24 ore Noir
6,90
1
15
Ryszard Kapucinski
La prima guerra del football
Feltrinelli
s.p.
4
16
Marco Lodoli
Isole
Einaudi
10
4
17
Jo Nesbø
The Bat
Vintage Book
12
2
18
Yasunari Kawabata
Il paese delle nevi
Einaudi
10
2
19
Tracy Chevalier
La ragazza con l’orecchino di perla
Neri Pozza
9,90
2
20
John-Henri Holmberg (a cura di)
Giallo Svezia
Marsilio
s.p.
1

Come avete intuito, utilizzo tutte le festività possibili, dato che si continua a viaggiare, ed è difficile mandarvi trame in giro per il mondo. Saluto ed abbraccio chi intanto è tornato da altri viaggi (sperando sentirne a breve). Saluto ed abbraccio chi non riesce a partire. A tutti in ogni caso, un saluto alla Casablanca, con il tempo che passa e un bacio

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