Piccolo scioglilingua che gli
appassionati lettori avranno già risolto. Torniamo, dopo una parentesi di
letteratura cosiddetta “alta”, ai miei amori polizieschi. Dove abbiamo il
ritorno di alcune figure lasciate anni o mesi or sono in altre letture. Il
fiammingo Aspe (geel) con due nuove episodi della saga del commissario Van In,
che stenta comunque (nonostante delle buone recensioni in giro per il mondo) a
trovare un suo pubblico italiano. Ed il greco Markaris (mavro) con un altro titolo
della discendente saga del commissario sempre meno “gialla” e sempre più legata
alla crisi economica greca. Chiude la trama un romanzo di media portata,
scritto da una cinese emigrata in America, un po’ debole sul lato
“coinvolgimento”.
Pieter Aspe “Le maschere della notte” Fazi Editore euro 6,90 (in
realtà, scontato a 5,87 euro)
[A: 03/07/2014 – I: 04/03/2015 – T: 05/03/2015] - &&&
[tit. or.: De kinderen van
Chronos; ling. or.: nederlandese; pagine: 299; anno 1997]
Dopo circa tre anni sono riuscito
a trovare un nuovo libro in italiano di Pieter Aspe, il cosiddetto “Simenon
fiammingo”, anche se non sono poi così d’accordo su questa definizione.
Comunque, come scrissi anni fa, benché osannato in patria, ed abbastanza letto
anche nei paesi francofoni il nostro scrittore non ha avuto tanta fortuna e
risonanza in Italia. Sei mesi fa sono usciti (o meglio ristampati) tre nuovi
volumi della serie del commissario Van In, ed eccoci qua a commentare il primo
dei tre. Che fortunatamente è anche il terzo della serie, e viene
immediatamente dopo il “Caos a Bruges” che commentai a suo tempo. E come
allora, cominciamo a disquisire sul titolo, che, come al solito, ha un suo
senso in originale e non ne capisco il senso in italiano. Maschere? Notte?
Assolutamente e completamente un titolo insulso, che (forse) fa riferimento a
pagina 294 (cioè a 5 pagine dalla fine) dove uno dei personaggi indossa una
maschera ed è notte. Ma ciò è molto ridicolo. Quando invece, i figli di Crono
hanno un loro senso mitologicamente corretto. Ricordo che, nella teogonia di
Esiodo, Crono, avvertito da una profezia nefasta, decide di uccidere i propri
figli per evitare di essere spodestato. Si salva solo l’ultimo, tal Zeus, e non
c’è bisogno di andare avanti. Qui, Aspe si ferma un po’ prima, che Crono non
uccide “fisicamente” i propri figli, ma in un certo senso li porta alla morte,
vuoi fisica vuoi morale. La costruzione della storia riconcilia un po’ con il
primo Aspe e con la traduzione di Valentina Freschi. Da un lato, al solito, c’è
la vicenda poliziesca. Viene ritrovato uno scheletro in una villa una volta
appartenuta ad una onlus che non promette nulla di buono. E subito si scatena
un fuoco di fila intorno alla villa stessa ed alla onlus. Da parte del deus
ex-machina della onlus, Vandaele, ricchissimo, pedofilo ormai in pensione, ma
anche organizzatore di divertimenti per i suoi amici. Per l’avvocato Provoost,
per il ministro Brys e per l’ex-belloccio Aerts. In mezzo c’è la vita del
commissariato di Bruges, dove Van In non fa carriera (per i suoi modi un po’
fuori regola), dove si accompagna con il suo alter-ego, Versavel, brigadiere
gay che era ben riuscito nel secondo episodio, mentre qui si mette un po’ in
ombra, molto sommerso dai suoi problemi personali (è stato appena lasciato dal
suo convivente pluriennale Frank e questo non lo mette certo di buon umore;
tuttavia permane una presenza poco incisiva per tutto il romanzo, riscattandosi
forse solo nel finale). E nel commissariato ci sono la giovane agente Corinne e
l’ispettore (ben corrotto) Baert, nonché il trait-d‘union con il terzo filone,
e cioè il sostituto procuratore Hannelore. Che introduce il filone privato,
essendo infatti incinta di Van In, e permettendoci di gustare alcune scene
private (la dieta di lui, che limita sigarette e birra Duvel, le voglie di lei
per le patatine fritte con la maionese, l’aspettativa che il figlio nascerà nel
prossimo libro). Ma come detto, la vicenda parte dallo scheletro, dal tentativo
di capire il coinvolgimento di Vandaele e dal mistero di una porta
telecomandata per una casa nel bosco. Il detonatore della vicenda sarà la fuga
di Aerts con soldi e la crisi della di lui moglie, che prima cerca di ricattare
Vandaele ed i suoi, poi si lascia convincere da Hannelore a fare delle
ammissioni, ed a permettere di ricostruire gran parte della storia. Vandaele,
prima di ereditare dal padre, faceva il maestro in una scuola dove aveva come
allievi (e come oggetti sessuali) Provoost, Brys, Aerts e i gemelli Damert (che
i primi tre crudelmente seviziavano). Cresciuti, mentre i primi due si avviano
alle loro carriere pubbliche, Aerts mette su un pub (con donnine) e gestisce la
casa nel bosco (con le stesse e con altre che gravitano, senza soldi, intorno
alla finta onlus di beneficenza). Peccato che un gemello torni da trans nel
bordello di Aerts, e venga ucciso (o così pare) dai due “ricchi” e sepolto da Aerts nel giardino della casa.
Peccato che il corrotto ispettore Baert sia l’altro gemello, che, scoperto
l’omicidio, uccide Provoost. Poi c’è Corinna che si infiltra nella onlus, viene
scoperta, si sta per organizzare uno sniff movie (e se non sapete cos’è vuol
dire che non avete letto abbastanza polizieschi). Peccato che Aerts confessi
molto a Van In, che irrompe con i suoi, uccide il ministro e fa piazza pulita
di molti depravati altolocati. Peccato che Vandaele muoia di cancro e non possa
confermare tutte quanto accadde. Per fortuna che c’è ancora un mistero che
lascio scoprire a chi avrà voglia di leggere il libro. Che, scritto poco dopo
la vicenda del mostro di Marcinelle, prefigura scandali e perversioni della
vita pubblica belga che usciranno poi nel successivo decennio. Buona quindi la
scrittura di Aspe e le sue anticipazioni. Meno la collocazione spaziale, che
questa volta c’è poca Bruges nello scritto. Peccato, ma in ogni caso rimane
leggibile.
Petros Markaris “Resa dei conti” Bompiani euro 12 (in realtà, scontato
a 10,20 euro)
[A: 02/04/2014– I: 06/03/2015 – T: 08/03/2015] - &&
e ½
[tit. or.: Ψωμί, Παιδεία, Ελευθερία; ling. or.: greco; pagine: 300; anno 2012]
Capisco
che il titolo greco non significhi molto per i non greci, ma “Pane, Istruzione,
Libertà” ha un senso, legato alla storia (del romanzo e della Grecia), mentre
la resa dei conti cerca di incamminare il lettore verso una delle possibili
soluzioni del falso mistero, che porti il lettore su di una falsa pista, per
poi arrivare al finale “illuminante”. Per chi non ne avesse conoscenza, quello
sopra riportato è il grido di Radio Politecnico, che veniva inviato da parte
degli studenti asserragliati nelle Università di Atene durante la rivolta del
1973 contro il regime militare dei colonnelli, e che diede avvio alla fase
finale di quel regime, ed al ripristino della democrazia l’anno seguente.
Questo per la storia. Per il romanzo, è legato ad un messaggio che parte dai
cellulari delle vittime del romanzo, quelle che secondo il traduttore italiano
appunto arrivano alla resa dei conti, appena i copri vengono trovati dal nostro
commissario. E come tre sono le grida del messaggio, così tre saranno i morti.
Non vi dico i nomi che con la pronuncia e la grafia greca faccio a botte. Ma
sono il primo un costruttore arricchitosi durante la costruzione delle
strutture per le Olimpiadi del 2004, il secondo un professore di
Giurisprudenza, di chiara fama politica e di scarso profilo professionale, il
terzo un sindacalista, teso a sistemare gli “amici” in posti di tranquillità.
In cosa erano legato i tre, tra loro e con lo slogan di cui sopra? Avevano
tutti e tre partecipato all’occupazione del Politecnico, e, alla caduta dei
colonnelli, approfittato di questa aura di “martiri della Nuova Resistenza”,
fatto carriera, ognuno nel proprio campo. Il costruttore ottenendo appalti
quasi senza gareggiare. Il professore ottenendo il dottorato e la cattedra
presentando lavori copiati. Il sindacalista ottenendo appalti lucrosi da parte
della Comunità Europea. Tutto a scapito, ovviamente, dell’onestà. Nonché delle
famiglie. Fedifraghi, con mogli che o tacciano o, se si ribellano, decidono di
andarsene. E figli, che rifiutano di segire le orme dei padri. Tanto che il
figlio del primo si fa arrestare per futili motivi poco prima dell’uccisione
del padre. La figlia del secondo si trova stranamente in Spagna durante
l’assassinio. Il figlio del terzo, poi, è stabilmente in campagna, dove vive
coltivando e vendendo prodotti bio. Il nostro commissario Charitos brancola per
250 pagine nel buio, distratto da altro su cui torno. Solo alla fine trova un
bandolo, scoprendo l’esistenza di un quarto membro della Resistenza, tal Iannis
(è sempre bello avere omonimi) che, al contrario degli altri tre, non scese a
compromessi, non accettò né ricambiò favori, insomma “un puro”. E che però ora,
dopo 40 anni comincia a tentennare. Trovando aiuto in… Basta così per la trama
principale, che regge per 2/3 ma che trovo scarsamente convincente nel finale
(pur se rimane aperto qualche spiraglio, come se il nostro volesse lasciarsi
aperto uno aggancio per una successiva ripresa della trama e dei suoi
personaggi). Se fosse solo questo il libro, il romanzo avrebbe una sua dignità
ed un suo interesse. Quello che Markaris mette in più è il contorno greco.
Dove, purtroppo, tentando di dare un ritratto della Grecia attuale, fa
un’operazione “a tesi” che mi lascia un pochino perplesso. Intanto immagina un
ritorno alla dracma, con una descrizione delle conseguenze che, grazie al mio
amico Renato, non mi convince per il suo semplicismo. Inoltre, se da una parte
dipinge con correttezza e partecipazione le miserie della Grecia attuale
(povertà, disillusione, scontri tra poveri, poteri forti che bellamente si
tirano fuori avendo guadagnato tanto che ormai possono andare altrove) lo fa
appunto in modo quasi posticcio. Partecipiamo emotivamente alle lotte di
Caterina, di Zisis, di Monia per aiutare i disadattati. Comprendiamo Kyriakos
ed i suoi slanci verso i detenuti. E tutta la descrizione degli adattamenti che
tutti cercano di fare per sopravvivere (blocco degli stipendi, disoccupazione,
ricerca, dei più illuminati, di uno stile di vita di più basso profilo). Ma
tutta questa parte è un libro a sé, che, giustapposto all’altro libro, ne fa
alla fine un insieme che non sta insieme (scusate il bisticcio di parole).
Markaris non è riuscito a trovare la chiave di volta per utilizzare il racconto
giallo al fine di descrivere un momento di realtà, con tutte le sue
sfaccettature. E scrive due romanzi, cercando i modi di farne combaciare i
pezzi, come in un puzzle mal riuscito. Alla fine risulta un libro pesante,
dove, le seppur giuste critiche allo stato attuale greco ed al modo di esservi
arrivati (ed alla difficile prospettiva di trovare una via d’uscita) non si
legano alla trama giornaliera dei personaggi, alle morti, alla ricerca dei
colpevoli, e così via. Due ultime critiche prima di salutare il nostro amico
greco e dargli appuntamento al prossimo romanzo. Ancora una volta, molti
capitoli sono infarciti di indicazioni stradali su come muoversi tra le varie
zone di Atene che ormai hanno saturato la pazienza anche di chi è “addicted” a
Google Maps. Inoltre, come non notare un parallelismo troppo smaccato con la
vicenda narrata nel suo libro di dieci anni prima “Si è suicidato il Che?”. Si
attendono spiegazioni e chiarimenti.
“Politecnita, s.m., colui che conosce o
lavora in molte arti.” [ho compulsato a lungo Devoto-Oli ed altri dizionari,
senza trovarvi questo nome, che esiste sicuramente in greco, ma che in italiano
sembrerebbe doversi tradurre con un anonimo “tuttofare”] (183)
“La gente crede che l’università sia il
tempio della scienza … [invece, anche lì] prevalgono le alleanze dubbie, le
compravendite e gli interessi di parte.” (218)
Pieter Aspe “La quarta forma di Satana” Fazi Editore euro 6,90 (in
realtà, scontato a 5,87 euro)
[A: 03/07/2014 – I: 15/03/2015 – T: 17/03/2015] - &&&
[tit. or.: De vierde gestalte; ling. or.: nederlandese; pagine: 300;
anno 1998]
Come vedete dalle date,
acquistato con il precedente tramato approfittando di un’offerta dell’editore.
E come per il precedente, con un piccolo “vizio” nel titolo, che in originale
parla solo di “Quarta forma”, tralasciando quel Satana, che ovviamente c’entra,
essendo una storia di sette sataniche e morti correlate. Ma che, andando a
zonzo su siti dedicati ad Aspe, credo derivi dal titolo che viene dato ai libri
nella traduzione francese. Anche se, nel risvolto, si dice che Valentina
Freschi lo ha tradotto dal nederlandese, e noi ci crediamo, essendo la
traduttrice specializzata appunto in nederlandese e tedesco. Ma torniamo al
libro ed alle vicende del commissario Van In & co. Che, come ormai sappiamo
e ribadiamo dal libro precedente, procede su due binari: pubblico e privato,
con qualche cross, che qui poi si rivela importante, come vedremo. Nel privato,
continua la gestazione di Hannelore, il sostituto procuratore compagna del
commissario, che porta avanti la sua gravidanza, con tutti gli sbalzi d’umore
che questa comporta. E con i risvolti verso il nostro Pieter (ovviamente il
commissario, non l’autore), che un po’ smette di fumare, e poi riprende. Che
limita il bere, ma non si può trattenere davanti da una Duvel grondante di
schiuma (e sappiamo bene quanto bevano i belgi). fortunatamente, tuttavia, sul
lato ispettore Versavel va meglio, che il suo compagno Frank, dopo un piccolo
allontanamento nel libro precedente, torna a casa, ristabilendo il tranquillo
ménage della coppia. E veniamo ai morti. Cominciamo con la giovane Trui,
trovata morta in un rigagnolo di Bruges, apparentemente per suicidio. La
polizia indaga, e comincia a trovare dei collegamenti. Prima con il giovane
Jonathan, che ignaro della morte l’andava cercando. Giovane sbandato e tossico,
che, in astinenza e messo alle strette, parla di Jasper, il compagno di Trui, e
poi di una setta da cui cercavano di liberarsi. Ed ecco entrare in scena il
satanismo, con qualche scena cruenta, ma soprattutto vediamo profilarsi l’ombra
del deus ex-machina della setta, tal Venex, che sembra avere tutti in pugno
(Jonathan, Jasper, Richard, Fryderyk) per la facilità con cui si procura e
fornisce loro droga a gogo. L’indagine è poi complicata dalla presenza di una
cosiddetta giornalista, Saartje, messa sulle code di Van In dal suo capo, e
soprattutto di gradevole aspetto, tanto che il nostro sembra cedere al suo
terzo demone (ovviamente, bacco, tabacco e venere). Mentre Jonathan si defila
dalla scena (apparentemente, ma in realtà in crisi di astinenza ritorna da
Venex che lo utilizza per incasinare la scena), Jasper, preso da turbe
psichiche, si getta dal quarto piano dell’ospedale. Ancora una morte poco
convincente, dicono i nostri. Anche perché l’ospedale ha come psichiatra il dottor
Coleyn, padre di Richard, ma soprattutto, amante anni prima della sorella di
Trui, poi suicidatasi dopo aver dato alla luce un bambino. Affidato ad un orfanotrofio, sulle
tracce del quale, si scopre: che anche Trui lavorava alla struttura, dove conosce
Jonathan, che gli presenta Jasper che era seguace di Venex, ma che l’amore di
Trui porta fuori la setta. Non ci sorprende che Jonathan sia quindi il nipote
di Trui, che Richard, dedito alle droghe si allontani dal padre. Venex, nel suo
sogno di riscatto dalla società, vuole anche soldi, soldi, soldi. Convince
allora Fryderyk a fare una strage uccidendo il padre notaio ed incassando una
lauta eredità. Questa era la notizia che Trui aveva inviato alla Pubblica
Sicurezza belga, che aveva messo sulle piste la di sopra Saartje, non
giornalista ma poliziotta anche lei. Il colpo di scena finale, è la cosa meno
riuscita del libro, tanto è casuale e poco elaborata. Jonathan, in quasi
overdose, viene salvato e ricoverato in ospedale. Venex, per paura che sveli tutto,
va per ucciderlo. Nello stesso momento, Hannelore ha le doglie e viene
ricoverato nello stesso ospedale. Il nostro commissario quindi si trova di
fronte il colpevole di tutto, che tenta un misero sequestro, fallimentare.
Uscendone morto, dopo aver svelato tutti i retroscena, che io invece non vi
dico. Nel convulso finale, Hannelore riesce anche a partorire, e, facendo una
sorpresa al commissario, nascono due gemelli, cui vengono messi i nomi di Simon
e Sarah. Poca Bruges, in questa storia. Ed anche un finale troppo veloce, in
cui Aspe svela tutte le carte a sorpresa, fornendo il colpevole senza che noi
poveri lettori abbiamo la possibilità di avere qualche labile indizio per
cercare di fare a nostra volta i commissari
in poltrona. Quindi una lettura media, più di stima che di contenuto. Un po’ di
vita dei cittadini del piatto paese, come cantava Brel, ma non molto altro.
Vedremo se e cosa ci riserva il futuro.
Diane Wei Liang “La casa dello spirito dorato” Repubblica MondoNoir 9
euro 7,90
[A: 01/09/2014– I:
30/04/2015 – T: 01/05/2015] - &&&--
[tit. or.: The House of Golden Spirit; ling. or.: inglese; pagine: 318; anno 2011]
Una
buona prova per la serie Noir di Repubblica che gira intorno al mondo. Una
prova che ci porta a Pechino e che dovrebbe fare da contraltare alle storie
cinesi di Qiu Xialong. Non perché opposte, anzi proprio perché similari negli
autori, entrambi profughi negli Stati Uniti dopo le vicende di Piazza
Tienanmen. Le metto in paragone ideale nella mente, che trovo Qiu molto
“cinese” tanto da essere a volte illeggibile, e Diane molto “americana” tanto
da rendere a volte non credibile la storia. O forse troppo credibile, visto che
questo suo terzo volume dedicato a Wang Mei, donna e investigatrice, è stato
censurato in Cina. Nei primi due libri (di cui ho traccia nel Web, ma non ho
letto) seguiamo la parabola di Mei: poliziotto presso il Ministero della
Pubblica Sicurezza, molestata da un funzionario intoccabile, lascia il posto ed
a 31 anni (età in cui una ragazza viene considerata troppo anziana per
sposarsi) apre un’agenzia di investigazioni. Che però si chiama di consulenza,
che l’attività investigativa non è legale in Cina. Mei è considerata fredda,
poco sociale, anche se ha una sorella stella della nascente televisione privata
(e molto ricca, gira in Mercedes). Mentre lei guida una poco appariscente
Mitsubishi. Ha un segretario, Gupin, che viene dalla provincia. Ed un presunto
fidanzato che sta studiando in America e di cui si attende il ritorno. Deve
ancora venire a patti con una drammatica scoperta fatta di recente: sua madre,
infatti, per salvare la vita delle figlie, aveva denunciato le attività
"controrivoluzionarie" del padre, morto poi in un campo di
Rieducazione durante la Rivoluzione Culturale quando Mei aveva quattordici
anni. In questa confusa situazione personale, Mei viene contattata da Wudan, avvocato,
per conto della potente famiglia Song, a capo da generazioni della ditta
farmaceutica “La casa dello spirito dorato”, produttrice di una famosissima
pillola in grado di curare anche un cuore spezzato. Mei deve indagare sul
misterioso e corrotto Mister Li, ex socio sospetto dei Song, ma proprio mentre
sta per iniziare a muoversi, la sua agenzia viene chiusa senza un motivo
particolare dal rigido funzionario Tanyi Fu. In questo intreccio di pubblico e
privato, si consuma il dramma di una Cina post-olimpica, che sta avanzando a
passi da gigante verso il capitalismo di Stato. Ma dove le imprese e le
iniziative private la fanno da padrone. Wei Liang ha buon gioco nel lanciare
strali verso la corruzione imperante. Verso i processi senza difesa per gli
imputati. Verso la burocrazia corrotta. Verso la televisione corrompente.
Insomma verso tutte le introduzioni occidentali nel corso della vita orientale
che ne hanno distorto una pretesa retta via. E ben lo sappiamo noi che abbiamo
visto l’evoluzione di Pechino per tutti gli anni Novanta! E lancia anche la sua
giovane Mei nel dibattito sulla Rivoluzione Culturale di Mao, sui processi
sommari dell’epoca, sulle delazioni. In questo con un parallelo con le ultime
opere di Qiu. Ma rimane anche il giallo. Quello in cui vengono uccise
prostitute. Quello in cui sembra finire in un cerchio magico la povera Mei,
quasi che sia lei stessa ad aiutare gli assassini. Mentre lei, finalmente,
trova alleato nel suo vecchio (in senso temporale) capo, l’ispettore Zong.
Insieme verranno a capo dell’intricata vicenda delle pillole della felicità.
Con ulteriori dolori e ripensamenti da parte di Mei. Che prima si innamora di
Wudan, poi ne rimane delusa quando… (questo non lo dico). E tormentandosi del
suo amore verso il lontano Yaping, quando questi torna a Pechino e la chiede in
sposa, lei decide di dirgli di … (e neanche questo lo dico). Ritengo che il
libro potesse essere più spigliato. Ma sicuramente una parte della
farraginosità deriva dal fatto di essere il terzo volume, e che l’autrice
suppone noi si conosca i primi due. Quindi a volte mancano riferimenti. A volte
trovo semplicistico e riduttivo il mode di descrive l Pechino di oggi. Ma forse
sono io che mi sbaglio, visto che, come
detto, il libro è bandito dalla Cina. Insomma lettura più di testa che
di cuore. Interessante ma non soddisfacente.
Prima
trama del mese, e quindi un piccolo elenco dei tredici libri del mese di
giugno, senza nessuna grossa segnalazione positiva, e con la prova di bassa
resa di una delle ultime letture del Noir italiano del Sole 24 ore.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Kerry Greenwood
|
Morte di un marito
|
Repubblica
MondoNoir
|
7,90
|
3
|
2
|
William Faulkner
|
Mentre morivo
|
Adelphi
|
10
|
3
|
3
|
Agatha Christie
|
La morte nel villaggio
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
4
|
Agatha Christie
|
Miss Marple e i tredici problemi
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
5
|
Agatha Christie
|
Se morisse mio marito
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
6
|
Agatha Christie
|
Perché non l’hanno chiesto a Evans?
|
Mondadori
|
4,90
|
3
|
7
|
Ken Kesey
|
Qualcuno volò sul nido del cuculo
|
BUR
|
9,90
|
3
|
8
|
Massimo Donati
|
Diario di spezie
|
Sole 24 ore Noir
|
6,90
|
1
|
9
|
Gianni Biondillo
|
Nelle mani di Dio
|
Guanda
|
5,50
|
3
|
10
|
John Buchan
|
The thirty-nine steps
|
Oxford
|
s.p.
|
2
|
11
|
Maurice Leblanc
|
Arsène Lupin, ladro gentiluomo
|
Corriere – Gialli
|
6,90
|
2
|
12
|
Amos Oz
|
La vita fa rima con la morte
|
Feltrinelli
|
6,50
|
3
|
13
|
Amos Oz
|
Tra amici
|
Feltrinelli
|
8
|
3
|
Non solo viaggi cancellati, ma
anche viaggi che prendono altre strade, con, al momento, poche prospettive
avventurose. Vorrà dire che dovrò dedicarmi di più al riordino di tutto quanto
è ancora in mezzo alle scatole. Speriamo in un aiuto giapponese.
Nessun commento:
Posta un commento