domenica 6 settembre 2015

Geel or mavro? - 06 settembre 2015

Piccolo scioglilingua che gli appassionati lettori avranno già risolto. Torniamo, dopo una parentesi di letteratura cosiddetta “alta”, ai miei amori polizieschi. Dove abbiamo il ritorno di alcune figure lasciate anni o mesi or sono in altre letture. Il fiammingo Aspe (geel) con due nuove episodi della saga del commissario Van In, che stenta comunque (nonostante delle buone recensioni in giro per il mondo) a trovare un suo pubblico italiano. Ed il greco Markaris (mavro) con un altro titolo della discendente saga del commissario sempre meno “gialla” e sempre più legata alla crisi economica greca. Chiude la trama un romanzo di media portata, scritto da una cinese emigrata in America, un po’ debole sul lato “coinvolgimento”.
Pieter Aspe “Le maschere della notte” Fazi Editore euro 6,90 (in realtà, scontato a 5,87 euro)
[A: 03/07/2014 – I: 04/03/2015 – T: 05/03/2015] - &&&
[tit. or.: De kinderen van Chronos; ling. or.: nederlandese; pagine: 299; anno 1997]
Dopo circa tre anni sono riuscito a trovare un nuovo libro in italiano di Pieter Aspe, il cosiddetto “Simenon fiammingo”, anche se non sono poi così d’accordo su questa definizione. Comunque, come scrissi anni fa, benché osannato in patria, ed abbastanza letto anche nei paesi francofoni il nostro scrittore non ha avuto tanta fortuna e risonanza in Italia. Sei mesi fa sono usciti (o meglio ristampati) tre nuovi volumi della serie del commissario Van In, ed eccoci qua a commentare il primo dei tre. Che fortunatamente è anche il terzo della serie, e viene immediatamente dopo il “Caos a Bruges” che commentai a suo tempo. E come allora, cominciamo a disquisire sul titolo, che, come al solito, ha un suo senso in originale e non ne capisco il senso in italiano. Maschere? Notte? Assolutamente e completamente un titolo insulso, che (forse) fa riferimento a pagina 294 (cioè a 5 pagine dalla fine) dove uno dei personaggi indossa una maschera ed è notte. Ma ciò è molto ridicolo. Quando invece, i figli di Crono hanno un loro senso mitologicamente corretto. Ricordo che, nella teogonia di Esiodo, Crono, avvertito da una profezia nefasta, decide di uccidere i propri figli per evitare di essere spodestato. Si salva solo l’ultimo, tal Zeus, e non c’è bisogno di andare avanti. Qui, Aspe si ferma un po’ prima, che Crono non uccide “fisicamente” i propri figli, ma in un certo senso li porta alla morte, vuoi fisica vuoi morale. La costruzione della storia riconcilia un po’ con il primo Aspe e con la traduzione di Valentina Freschi. Da un lato, al solito, c’è la vicenda poliziesca. Viene ritrovato uno scheletro in una villa una volta appartenuta ad una onlus che non promette nulla di buono. E subito si scatena un fuoco di fila intorno alla villa stessa ed alla onlus. Da parte del deus ex-machina della onlus, Vandaele, ricchissimo, pedofilo ormai in pensione, ma anche organizzatore di divertimenti per i suoi amici. Per l’avvocato Provoost, per il ministro Brys e per l’ex-belloccio Aerts. In mezzo c’è la vita del commissariato di Bruges, dove Van In non fa carriera (per i suoi modi un po’ fuori regola), dove si accompagna con il suo alter-ego, Versavel, brigadiere gay che era ben riuscito nel secondo episodio, mentre qui si mette un po’ in ombra, molto sommerso dai suoi problemi personali (è stato appena lasciato dal suo convivente pluriennale Frank e questo non lo mette certo di buon umore; tuttavia permane una presenza poco incisiva per tutto il romanzo, riscattandosi forse solo nel finale). E nel commissariato ci sono la giovane agente Corinne e l’ispettore (ben corrotto) Baert, nonché il trait-d‘union con il terzo filone, e cioè il sostituto procuratore Hannelore. Che introduce il filone privato, essendo infatti incinta di Van In, e permettendoci di gustare alcune scene private (la dieta di lui, che limita sigarette e birra Duvel, le voglie di lei per le patatine fritte con la maionese, l’aspettativa che il figlio nascerà nel prossimo libro). Ma come detto, la vicenda parte dallo scheletro, dal tentativo di capire il coinvolgimento di Vandaele e dal mistero di una porta telecomandata per una casa nel bosco. Il detonatore della vicenda sarà la fuga di Aerts con soldi e la crisi della di lui moglie, che prima cerca di ricattare Vandaele ed i suoi, poi si lascia convincere da Hannelore a fare delle ammissioni, ed a permettere di ricostruire gran parte della storia. Vandaele, prima di ereditare dal padre, faceva il maestro in una scuola dove aveva come allievi (e come oggetti sessuali) Provoost, Brys, Aerts e i gemelli Damert (che i primi tre crudelmente seviziavano). Cresciuti, mentre i primi due si avviano alle loro carriere pubbliche, Aerts mette su un pub (con donnine) e gestisce la casa nel bosco (con le stesse e con altre che gravitano, senza soldi, intorno alla finta onlus di beneficenza). Peccato che un gemello torni da trans nel bordello di Aerts, e venga ucciso (o così pare) dai due “ricchi”  e sepolto da Aerts nel giardino della casa. Peccato che il corrotto ispettore Baert sia l’altro gemello, che, scoperto l’omicidio, uccide Provoost. Poi c’è Corinna che si infiltra nella onlus, viene scoperta, si sta per organizzare uno sniff movie (e se non sapete cos’è vuol dire che non avete letto abbastanza polizieschi). Peccato che Aerts confessi molto a Van In, che irrompe con i suoi, uccide il ministro e fa piazza pulita di molti depravati altolocati. Peccato che Vandaele muoia di cancro e non possa confermare tutte quanto accadde. Per fortuna che c’è ancora un mistero che lascio scoprire a chi avrà voglia di leggere il libro. Che, scritto poco dopo la vicenda del mostro di Marcinelle, prefigura scandali e perversioni della vita pubblica belga che usciranno poi nel successivo decennio. Buona quindi la scrittura di Aspe e le sue anticipazioni. Meno la collocazione spaziale, che questa volta c’è poca Bruges nello scritto. Peccato, ma in ogni caso rimane leggibile.
Petros Markaris “Resa dei conti” Bompiani euro 12 (in realtà, scontato a 10,20 euro)
[A: 02/04/2014– I: 06/03/2015 – T: 08/03/2015] - && e ½ 
[tit. or.: Ψωμί, Παιδεία, Ελευθερία; ling. or.: greco; pagine: 300; anno 2012]
Capisco che il titolo greco non significhi molto per i non greci, ma “Pane, Istruzione, Libertà” ha un senso, legato alla storia (del romanzo e della Grecia), mentre la resa dei conti cerca di incamminare il lettore verso una delle possibili soluzioni del falso mistero, che porti il lettore su di una falsa pista, per poi arrivare al finale “illuminante”. Per chi non ne avesse conoscenza, quello sopra riportato è il grido di Radio Politecnico, che veniva inviato da parte degli studenti asserragliati nelle Università di Atene durante la rivolta del 1973 contro il regime militare dei colonnelli, e che diede avvio alla fase finale di quel regime, ed al ripristino della democrazia l’anno seguente. Questo per la storia. Per il romanzo, è legato ad un messaggio che parte dai cellulari delle vittime del romanzo, quelle che secondo il traduttore italiano appunto arrivano alla resa dei conti, appena i copri vengono trovati dal nostro commissario. E come tre sono le grida del messaggio, così tre saranno i morti. Non vi dico i nomi che con la pronuncia e la grafia greca faccio a botte. Ma sono il primo un costruttore arricchitosi durante la costruzione delle strutture per le Olimpiadi del 2004, il secondo un professore di Giurisprudenza, di chiara fama politica e di scarso profilo professionale, il terzo un sindacalista, teso a sistemare gli “amici” in posti di tranquillità. In cosa erano legato i tre, tra loro e con lo slogan di cui sopra? Avevano tutti e tre partecipato all’occupazione del Politecnico, e, alla caduta dei colonnelli, approfittato di questa aura di “martiri della Nuova Resistenza”, fatto carriera, ognuno nel proprio campo. Il costruttore ottenendo appalti quasi senza gareggiare. Il professore ottenendo il dottorato e la cattedra presentando lavori copiati. Il sindacalista ottenendo appalti lucrosi da parte della Comunità Europea. Tutto a scapito, ovviamente, dell’onestà. Nonché delle famiglie. Fedifraghi, con mogli che o tacciano o, se si ribellano, decidono di andarsene. E figli, che rifiutano di segire le orme dei padri. Tanto che il figlio del primo si fa arrestare per futili motivi poco prima dell’uccisione del padre. La figlia del secondo si trova stranamente in Spagna durante l’assassinio. Il figlio del terzo, poi, è stabilmente in campagna, dove vive coltivando e vendendo prodotti bio. Il nostro commissario Charitos brancola per 250 pagine nel buio, distratto da altro su cui torno. Solo alla fine trova un bandolo, scoprendo l’esistenza di un quarto membro della Resistenza, tal Iannis (è sempre bello avere omonimi) che, al contrario degli altri tre, non scese a compromessi, non accettò né ricambiò favori, insomma “un puro”. E che però ora, dopo 40 anni comincia a tentennare. Trovando aiuto in… Basta così per la trama principale, che regge per 2/3 ma che trovo scarsamente convincente nel finale (pur se rimane aperto qualche spiraglio, come se il nostro volesse lasciarsi aperto uno aggancio per una successiva ripresa della trama e dei suoi personaggi). Se fosse solo questo il libro, il romanzo avrebbe una sua dignità ed un suo interesse. Quello che Markaris mette in più è il contorno greco. Dove, purtroppo, tentando di dare un ritratto della Grecia attuale, fa un’operazione “a tesi” che mi lascia un pochino perplesso. Intanto immagina un ritorno alla dracma, con una descrizione delle conseguenze che, grazie al mio amico Renato, non mi convince per il suo semplicismo. Inoltre, se da una parte dipinge con correttezza e partecipazione le miserie della Grecia attuale (povertà, disillusione, scontri tra poveri, poteri forti che bellamente si tirano fuori avendo guadagnato tanto che ormai possono andare altrove) lo fa appunto in modo quasi posticcio. Partecipiamo emotivamente alle lotte di Caterina, di Zisis, di Monia per aiutare i disadattati. Comprendiamo Kyriakos ed i suoi slanci verso i detenuti. E tutta la descrizione degli adattamenti che tutti cercano di fare per sopravvivere (blocco degli stipendi, disoccupazione, ricerca, dei più illuminati, di uno stile di vita di più basso profilo). Ma tutta questa parte è un libro a sé, che, giustapposto all’altro libro, ne fa alla fine un insieme che non sta insieme (scusate il bisticcio di parole). Markaris non è riuscito a trovare la chiave di volta per utilizzare il racconto giallo al fine di descrivere un momento di realtà, con tutte le sue sfaccettature. E scrive due romanzi, cercando i modi di farne combaciare i pezzi, come in un puzzle mal riuscito. Alla fine risulta un libro pesante, dove, le seppur giuste critiche allo stato attuale greco ed al modo di esservi arrivati (ed alla difficile prospettiva di trovare una via d’uscita) non si legano alla trama giornaliera dei personaggi, alle morti, alla ricerca dei colpevoli, e così via. Due ultime critiche prima di salutare il nostro amico greco e dargli appuntamento al prossimo romanzo. Ancora una volta, molti capitoli sono infarciti di indicazioni stradali su come muoversi tra le varie zone di Atene che ormai hanno saturato la pazienza anche di chi è “addicted” a Google Maps. Inoltre, come non notare un parallelismo troppo smaccato con la vicenda narrata nel suo libro di dieci anni prima “Si è suicidato il Che?”. Si attendono spiegazioni e chiarimenti.
“Politecnita, s.m., colui che conosce o lavora in molte arti.” [ho compulsato a lungo Devoto-Oli ed altri dizionari, senza trovarvi questo nome, che esiste sicuramente in greco, ma che in italiano sembrerebbe doversi tradurre con un anonimo “tuttofare”] (183)
“La gente crede che l’università sia il tempio della scienza … [invece, anche lì] prevalgono le alleanze dubbie, le compravendite e gli interessi di parte.” (218)
Pieter Aspe “La quarta forma di Satana” Fazi Editore euro 6,90 (in realtà, scontato a 5,87 euro)
[A: 03/07/2014 – I: 15/03/2015 – T: 17/03/2015] - &&&
[tit. or.: De vierde gestalte; ling. or.: nederlandese; pagine: 300; anno 1998]
Come vedete dalle date, acquistato con il precedente tramato approfittando di un’offerta dell’editore. E come per il precedente, con un piccolo “vizio” nel titolo, che in originale parla solo di “Quarta forma”, tralasciando quel Satana, che ovviamente c’entra, essendo una storia di sette sataniche e morti correlate. Ma che, andando a zonzo su siti dedicati ad Aspe, credo derivi dal titolo che viene dato ai libri nella traduzione francese. Anche se, nel risvolto, si dice che Valentina Freschi lo ha tradotto dal nederlandese, e noi ci crediamo, essendo la traduttrice specializzata appunto in nederlandese e tedesco. Ma torniamo al libro ed alle vicende del commissario Van In & co. Che, come ormai sappiamo e ribadiamo dal libro precedente, procede su due binari: pubblico e privato, con qualche cross, che qui poi si rivela importante, come vedremo. Nel privato, continua la gestazione di Hannelore, il sostituto procuratore compagna del commissario, che porta avanti la sua gravidanza, con tutti gli sbalzi d’umore che questa comporta. E con i risvolti verso il nostro Pieter (ovviamente il commissario, non l’autore), che un po’ smette di fumare, e poi riprende. Che limita il bere, ma non si può trattenere davanti da una Duvel grondante di schiuma (e sappiamo bene quanto bevano i belgi). fortunatamente, tuttavia, sul lato ispettore Versavel va meglio, che il suo compagno Frank, dopo un piccolo allontanamento nel libro precedente, torna a casa, ristabilendo il tranquillo ménage della coppia. E veniamo ai morti. Cominciamo con la giovane Trui, trovata morta in un rigagnolo di Bruges, apparentemente per suicidio. La polizia indaga, e comincia a trovare dei collegamenti. Prima con il giovane Jonathan, che ignaro della morte l’andava cercando. Giovane sbandato e tossico, che, in astinenza e messo alle strette, parla di Jasper, il compagno di Trui, e poi di una setta da cui cercavano di liberarsi. Ed ecco entrare in scena il satanismo, con qualche scena cruenta, ma soprattutto vediamo profilarsi l’ombra del deus ex-machina della setta, tal Venex, che sembra avere tutti in pugno (Jonathan, Jasper, Richard, Fryderyk) per la facilità con cui si procura e fornisce loro droga a gogo. L’indagine è poi complicata dalla presenza di una cosiddetta giornalista, Saartje, messa sulle code di Van In dal suo capo, e soprattutto di gradevole aspetto, tanto che il nostro sembra cedere al suo terzo demone (ovviamente, bacco, tabacco e venere). Mentre Jonathan si defila dalla scena (apparentemente, ma in realtà in crisi di astinenza ritorna da Venex che lo utilizza per incasinare la scena), Jasper, preso da turbe psichiche, si getta dal quarto piano dell’ospedale. Ancora una morte poco convincente, dicono i nostri. Anche perché l’ospedale ha come psichiatra il dottor Coleyn, padre di Richard, ma soprattutto, amante anni prima della sorella di Trui, poi suicidatasi dopo aver dato alla luce un  bambino. Affidato ad un orfanotrofio, sulle tracce del quale, si scopre: che anche Trui lavorava alla struttura, dove conosce Jonathan, che gli presenta Jasper che era seguace di Venex, ma che l’amore di Trui porta fuori la setta. Non ci sorprende che Jonathan sia quindi il nipote di Trui, che Richard, dedito alle droghe si allontani dal padre. Venex, nel suo sogno di riscatto dalla società, vuole anche soldi, soldi, soldi. Convince allora Fryderyk a fare una strage uccidendo il padre notaio ed incassando una lauta eredità. Questa era la notizia che Trui aveva inviato alla Pubblica Sicurezza belga, che aveva messo sulle piste la di sopra Saartje, non giornalista ma poliziotta anche lei. Il colpo di scena finale, è la cosa meno riuscita del libro, tanto è casuale e poco elaborata. Jonathan, in quasi overdose, viene salvato e ricoverato in ospedale. Venex, per paura che sveli tutto, va per ucciderlo. Nello stesso momento, Hannelore ha le doglie e viene ricoverato nello stesso ospedale. Il nostro commissario quindi si trova di fronte il colpevole di tutto, che tenta un misero sequestro, fallimentare. Uscendone morto, dopo aver svelato tutti i retroscena, che io invece non vi dico. Nel convulso finale, Hannelore riesce anche a partorire, e, facendo una sorpresa al commissario, nascono due gemelli, cui vengono messi i nomi di Simon e Sarah. Poca Bruges, in questa storia. Ed anche un finale troppo veloce, in cui Aspe svela tutte le carte a sorpresa, fornendo il colpevole senza che noi poveri lettori abbiamo la possibilità di avere qualche labile indizio per cercare di fare  a nostra volta i commissari in poltrona. Quindi una lettura media, più di stima che di contenuto. Un po’ di vita dei cittadini del piatto paese, come cantava Brel, ma non molto altro. Vedremo se e cosa ci riserva il futuro.
Diane Wei Liang “La casa dello spirito dorato” Repubblica MondoNoir 9 euro 7,90
[A: 01/09/2014– I: 30/04/2015 – T: 01/05/2015] - &&&-- 
[tit. or.: The House of Golden Spirit; ling. or.: inglese; pagine: 318; anno 2011]
Una buona prova per la serie Noir di Repubblica che gira intorno al mondo. Una prova che ci porta a Pechino e che dovrebbe fare da contraltare alle storie cinesi di Qiu Xialong. Non perché opposte, anzi proprio perché similari negli autori, entrambi profughi negli Stati Uniti dopo le vicende di Piazza Tienanmen. Le metto in paragone ideale nella mente, che trovo Qiu molto “cinese” tanto da essere a volte illeggibile, e Diane molto “americana” tanto da rendere a volte non credibile la storia. O forse troppo credibile, visto che questo suo terzo volume dedicato a Wang Mei, donna e investigatrice, è stato censurato in Cina. Nei primi due libri (di cui ho traccia nel Web, ma non ho letto) seguiamo la parabola di Mei: poliziotto presso il Ministero della Pubblica Sicurezza, molestata da un funzionario intoccabile, lascia il posto ed a 31 anni (età in cui una ragazza viene considerata troppo anziana per sposarsi) apre un’agenzia di investigazioni. Che però si chiama di consulenza, che l’attività investigativa non è legale in Cina. Mei è considerata fredda, poco sociale, anche se ha una sorella stella della nascente televisione privata (e molto ricca, gira in Mercedes). Mentre lei guida una poco appariscente Mitsubishi. Ha un segretario, Gupin, che viene dalla provincia. Ed un presunto fidanzato che sta studiando in America e di cui si attende il ritorno. Deve ancora venire a patti con una drammatica scoperta fatta di recente: sua madre, infatti, per salvare la vita delle figlie, aveva denunciato le attività "controrivoluzionarie" del padre, morto poi in un campo di Rieducazione durante la Rivoluzione Culturale quando Mei aveva quattordici anni. In questa confusa situazione personale, Mei viene contattata da Wudan, avvocato, per conto della potente famiglia Song, a capo da generazioni della ditta farmaceutica “La casa dello spirito dorato”, produttrice di una famosissima pillola in grado di curare anche un cuore spezzato. Mei deve indagare sul misterioso e corrotto Mister Li, ex socio sospetto dei Song, ma proprio mentre sta per iniziare a muoversi, la sua agenzia viene chiusa senza un motivo particolare dal rigido funzionario Tanyi Fu. In questo intreccio di pubblico e privato, si consuma il dramma di una Cina post-olimpica, che sta avanzando a passi da gigante verso il capitalismo di Stato. Ma dove le imprese e le iniziative private la fanno da padrone. Wei Liang ha buon gioco nel lanciare strali verso la corruzione imperante. Verso i processi senza difesa per gli imputati. Verso la burocrazia corrotta. Verso la televisione corrompente. Insomma verso tutte le introduzioni occidentali nel corso della vita orientale che ne hanno distorto una pretesa retta via. E ben lo sappiamo noi che abbiamo visto l’evoluzione di Pechino per tutti gli anni Novanta! E lancia anche la sua giovane Mei nel dibattito sulla Rivoluzione Culturale di Mao, sui processi sommari dell’epoca, sulle delazioni. In questo con un parallelo con le ultime opere di Qiu. Ma rimane anche il giallo. Quello in cui vengono uccise prostitute. Quello in cui sembra finire in un cerchio magico la povera Mei, quasi che sia lei stessa ad aiutare gli assassini. Mentre lei, finalmente, trova alleato nel suo vecchio (in senso temporale) capo, l’ispettore Zong. Insieme verranno a capo dell’intricata vicenda delle pillole della felicità. Con ulteriori dolori e ripensamenti da parte di Mei. Che prima si innamora di Wudan, poi ne rimane delusa quando… (questo non lo dico). E tormentandosi del suo amore verso il lontano Yaping, quando questi torna a Pechino e la chiede in sposa, lei decide di dirgli di … (e neanche questo lo dico). Ritengo che il libro potesse essere più spigliato. Ma sicuramente una parte della farraginosità deriva dal fatto di essere il terzo volume, e che l’autrice suppone noi si conosca i primi due. Quindi a volte mancano riferimenti. A volte trovo semplicistico e riduttivo il mode di descrive l Pechino di oggi. Ma forse sono io che mi sbaglio, visto che, come  detto, il libro è bandito dalla Cina. Insomma lettura più di testa che di cuore. Interessante ma non soddisfacente.
Prima trama del mese, e quindi un piccolo elenco dei tredici libri del mese di giugno, senza nessuna grossa segnalazione positiva, e con la prova di bassa resa di una delle ultime letture del Noir italiano del Sole 24 ore.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Kerry Greenwood
Morte di un marito
Repubblica  MondoNoir
7,90
3
2
William Faulkner
Mentre morivo
Adelphi
10
3
3
Agatha Christie
La morte nel villaggio
Corriere della Sera
6,90
3
4
Agatha Christie
Miss Marple e i tredici problemi
Corriere della Sera
6,90
2
5
Agatha Christie
Se morisse mio marito
Corriere della Sera
6,90
3
6
Agatha Christie
Perché non l’hanno chiesto a Evans?
Mondadori
4,90
3
7
Ken Kesey
Qualcuno volò sul nido del cuculo
BUR
9,90
3
8
Massimo Donati
Diario di spezie
Sole 24 ore  Noir
6,90
1
9
Gianni Biondillo
Nelle mani di Dio
Guanda
5,50
3
10
John Buchan
The thirty-nine steps
Oxford
s.p.
2
11
Maurice Leblanc
Arsène Lupin, ladro gentiluomo
Corriere – Gialli
6,90
2
12
Amos Oz
La vita fa rima con la morte
Feltrinelli
6,50
3
13
Amos Oz
Tra amici
Feltrinelli
8
3

Non solo viaggi cancellati, ma anche viaggi che prendono altre strade, con, al momento, poche prospettive avventurose. Vorrà dire che dovrò dedicarmi di più al riordino di tutto quanto è ancora in mezzo alle scatole. Speriamo in un aiuto giapponese.

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