Dopo tre settimane di lontananza
ecco ritornano trame ed altro. Intanto un caloroso benvenuto a nuovi lettori e
lettrici. E si riparte con una disamina di alcuni libri editi da Repubblica lo scorso
anno per i Mondiali. A metà, che abbiamo due interessanti scritture, quella del
serbo-svizzero Dimitrijević e quella dell’a me sempre caro Soriano. Due meno,
la finta ironia di Marsullo ed un romanzo che parla spesso d’altro dell’inglese
Cartwright. Credo poi che questa collana non sia delle più riuscite, ma vedremo
poi nella seconda metà (del pallone).
Vladimir Dimitrijević “La vita è un pallone rotondo” Repubblica Pallone
8 euro 6,90
[A: 14/07/2014– I:
23/12/2014 – T: 26/12/2014] - &&& e ½
[tit. or.: La
vie est un ballon rond; ling. or.: francese; pagine: 166; anno 1998]
Vladimir
Dimitrijević era jugoslavo. Un’affermazione dura e difficile per uno che nasce
nel ’34 in una città ora capitale della Macedonia (Skopje) e che si professa
serbo, almeno fino all’unificazione del mondo oltre Adriatico sotto Tito. Ma
era jugoslavo, e da slavo, non accettando il regime, riuscì a rifugiarsi in
Svizzera nel 1954, prima da clandestino, poi con i documenti in regola,
facendosi ingaggiare da una squadra locale. E seppur il calcio sarà sempre la
sua passione (prima in patria, poi da espatriato), quello che gli darà da
vivere, e per cui ci diventa una persona cara, sarà la letteratura. Decide di
aprire una casa editrice per far conoscere la letteratura dell’Est europeo,
costruendo dal nulla “Âge d’Homme”, e su questa nuova avventura costruirà tutto
il resto della sua nuova vita. Sino ad una morte assurda a 75 anni, per uno
scontro frontale con un trattore del suo camioncino carico di libri con il
quale stava andando da Losanna a Parigi. Non è superfluo questo excursus
biografico, perché questo suo unico libro di memorie, legando insieme pallone e
vita, ne ripercorre le tappe e con lui partiamo dai campi di calcio serbi sino
alle grandi distese svizzere. Ma non è un libro di calcio, per Vladimir questo
è un libro, e, data la sua vita, è, anche, la metafora della vita stessa.
Certo, si parla di calcio, e molto, con tante micro-citazioni da giocatori
noti, a meteore calcistiche internazionali, sino ad oscuri campioni locali,
magari e giustamente noti in patria, ed ai loro tempi, ma che a pochi di noi
dicono qualcosa. Vladimir infatti ci porta attraverso mille piccole storie di
calcio dai campi senza erba di Belgrado fino ai mondiali (dal primo che seguì
in diretta all’inizio del suo rifugio, i mondiali del ’54 in Svizzera sino a
quelli del ’94 in USA, con la sconfitta dell’Italia ai rigori sul Brasile).
Così, per cenni e per indizi, vediamo ogni tanto uscire dalle pagine Puskas, Di
Stefano, Beckenbauer, Schillaci, Pablito Rossi, Crujff, Diego Maradona (che
piace a tanti, ed anche al nostro, ma verso cui non ho mai avuto grande
passione) e tanti altri, fino a José Leandro Andrade (la mezzala anima
dell’Uruguay campione del mondo nel ’30, poi dimenticato e morto a 50 anni,
solo, ubriaco e cieco), Zoltán Czibor (l’ala sinistra della Grande Ungheria,
quella cui fu rubato il mondiale in Svizzera dai forsennati tedeschi), Ernst
Ocwirk (attaccante austriaco, idolo della Sampdoria nel quarto posto del campionato
1961) e Ljuba Lovrić (il portiere mito della Jugoslavia della fine degli anni
Trenta, eroe della vittoria contro l’Inghilterra nel 1939). E non vi cito tutti
gli “ic” delle formazioni slave che menziona il nostro ogni tanto. Sono bei momenti,
ma non è (solo) questo il libro. Il libro è metafora, come la letteratura, come
la vita. Per Vladimir, appunto, l’uso della gamba al posto delle mani,
comandate più dal cuore che dal cervello, è un modo di rappresentare la vita.
Certo la vita di chi ha preso a calci un pallone, e da quel momento non ha mai
dubitato che il cielo fosse un immenso campo di calcio blu con un pallone al
centro. E sono questi i momenti migliori, quelle pagine di pensieri, di piccoli
ritagli di vita quotidiana, e delle sue riflessioni sull’atteggiamento che una
sana visione di gioco poteva indurre. Certo Vladimir sarebbe poco contento del calcio
attuale, guidato solo dal dio denaro, con tanti troppo scandali ad inquinarne
l’esistenza. Chiudo con un commento magistrale su questo libro che ho “rubato”
dal blog “Lacrime di Borghetti”: “Un libro da leggere e rileggere per perdersi
e poi capire ogni volta in che zona del campo e in quale minuto di quella
partita chiamata esistenza ci troviamo”. Non sempre sono d’accordo, non è tutto
luci, ci sono molti passaggi in minore. Ma è il primo libro di questa collana
dedicata al pallone che leggo (anche se l’ultimo ad essere pubblicato). E non
mi è affatto dispiaciuto immergermi con Vladimir nei campi d’erba e nella sua
vita. Un solo appunto, Nel ’39, quando Lovrić parò di tutto contro
l’Inghilterra, l’Uruguay aveva vinto solo un mondiale (il secondo lo vinse in
quella partita storica del ’50 in Brasile, dove ancora i Brasiliani ne portano
il lutto, tanto da non aver più utilizzato quella maglia in nessuna partita
ufficiale).
“Nel
calcio, ricerchiamo l’agilità e la perfezione in un arto che di solito rimane
in fondo alla classe, nell’oscurità. Mi si potrà obiettare che il balletto e la
danza si servono delle gambe proprio come il calcio. Vero, ma con la piccola
differenza che la specializzazione totale si innesta immancabilmente sul canone
estetico. Perfino la bruttezza ne risulta stilizzata. Garbato, terribilmente
aristocratico, il balletto è l’emblema del buongusto. E il buongusto è la
perfetta convenzione. Il calcio non è aristocrazia, è nobiltà. Vi è in esso
un’uguaglianza che non esiterei a definire cristiana. Non esiste un modello di
giocatore ideale. Tutti i calciatori eccezionali trasformano un palese difetto
in una qualità sublime”. (56)
Marco Marsullo “Atletico Minaccia Football Club” Repubblica Pallone 3
euro 6,90
[A: 07/06/2014– I: 28/02/2015 – T: 02/03/2015] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 223;
anno 2012]
Seconda
lettura dei libri usciti lo scorso anno in concomitanza con i mondiali di
calcio in Brasile. Seppur l’autore scriva in modo scorrevole, ed il libro si
legge con piacevole ironia, alla fine risulta un po’ piatto. Il plot, se si
tolgono le topiche dedicate espressamente al mondo del calcio, sembra infatti
ricalcare stereotipi dei classici avventuroso-comici. C’è il personaggio
principale, sfortunato a cui va tutto mediamente storto, che viene incaricato
di risolvere una questione che si presenta senza speranza. Per aiutarlo, viene
circondato da altrettanti personaggi che non hanno né arte né parte, e che,
ovviamente, sembra facciano di tutto per affossare definitivamente tutta la
baracca. Il nostro cade sempre più in basso (tipo, viene abbandonato dagli
amici, viene lasciato da moglie/fidanzata/compagna, viene cacciato di casa, e
chi più ne ha più ne metta). Gli restano soltanto due cose in positivo, di cui
lui non sembra conscio: un portafortuna ed i consigli di una persona a lui
vicina (un amico, un/una figlio/a, una ragazza, e così elencando). Il nostro
recepisce il messaggio e da quel punto in poi tutto sembra andare per il
meglio. Ricostruisce l’affare che sta andando a male, recupera amici,
probabilmente recupera anche la moglie/fidanzata/compagna. C’è solo da superare
un ultimo ostacolo per l’apoteosi finale. Qui, ogni libro ed ogni autore decide
a modo suo. I buonisti vanno verso l’happy end. I pessimisti vedranno cadere il
castello sotto l’ultimo ostacolo e tutto tornare nella melma precedente. La
terza via si orienta verso una via di mezzo, che avrà sempre due possibilità:
superare gli ostacoli e risolvere i problemi, ma perdere amici e compagne, o
cadere sull’ultimo ostacolo, avendo fatto di tutto, e quindi recuperando stima,
amicizie e mogli/fidanzate. Marsullo, alla fine, opta per questa ultimissima
soluzione, dopo averci infarcito un paio di centinaia di pagine con qualche
stereotipo sia di calcio che di umanità varia. Si perché se leggete la trama
mettendo al centro Vanni allenatore sfortunato, una squadra scalcinata (appunto
l’Atletico Minaccia) e portate tutto nel campionato dilettantesco campano, ecco
che in poche righe avete il libro di fronte a voi. C’è qualche timido tentativo
di frecce “sociali”: giocatori sull’orlo di droghe più o meno lecite, camorra
che spinge con tutti i mezzi per vincere le partite, ed altre amene situazioni.
Ma tutto un po’ leggero, sul filo della comicità più da Colorado che da Zelig.
L’Atletico è sponsorizzato da una ditta di mobili che per colori sociali ha il
giallo ed il rosa (una tuta da paura). Ci sono i tic dei giocatori (il
trasportatore di mobili, l’elettricista, il colitico, il giovane e promettente
Nino, l’inetto, il croato che parla toscano, il barese che quando parla non si
capisce, ma che conosce Cassano, il guardiano che spezza le gambe, il
panchinaro che parla solo attraverso le canzoni, ed intonerà “La leva
calcistica del ‘68” durante l’ultima partita, e quindi avete già capito tutto).
C’è il direttore sportivo, con tanto di SUV e di donnine al contorno (ma che
alla fine trova l’amore con una slovacca e andrà a vivere nella campagna moldava).
C’è Vanni con la sua fissa per “zero tituli” Mourinho, ma soprattutto con
l’unica persona che crederà sempre in lui, la figlia Chiara, che con le sue
perle di saggezza da adolescente under-10 farà rinsavire il Vanni. Ora, non
dico che il calcio non sia o possa essere una cosa seria, ma, pur non
apprezzandone tutto lo scritto, di ben altra levatura è un “Febbre a 90°” di
Hornby. Vedremo se altri libri della serie riusciranno a risollevare queste
uscite, che, per ora, si mantengono su livelli medio-bassi di resa e di
coinvolgimento.
Anthony Cartwright
“Heartland” Repubblica Pallone 6 euro 6,90
[A: 27/06/2014– I:
10/09/2015 – T: 12/09/2015] - && e ½
[tit. or.: Heartland; ling. or.: inglese; pagine: 302; anno 2009]
Sapete
(o anche se non lo sapete, potete ricostruirlo con i miei salti olimpici da
lettore onnivoro) che ci sono lunghe liste di letture che mi attendono. Così
ecco che solo ora capita tra le mani il terzo degli otto volumi che Repubblica
dedicò al calcio per celebrare i mondiali brasiliani del 2014. (E ne riconoscete
dalle sigle che ricordo sono A per la data d’acquisto, I per l’inizio della
lettura e T per la fine). Non conoscevo l’autore, ed avevo sentito che
l’originale era uscito in Italia presso i tipi dell’editore da poco sorto a rilevanza
nazionale “66thand2nd” (interessante editore di cui lessi
un paio di anni fa un buon libro dal titolo “il cielo color melograno”). Devo
dire che, a fine lettura, riconosco all’autore una buona dose di capacità
letterarie e di intreccio, anche se, in alcuni punti, il libro si sfilaccia.
Anche perché pieno di nomi e di personaggi, che, per il modo molto “trascinato”
come si svolge il racconto, a volte ho perso di vista. Riconosco meno, invece,
la coerenza della collocazione, che si parla si di pallone, ed il personaggio
(o almeno uno dei) cui la vicenda ruota intorno è un trentenne ex promessa del
calcio. Certo, ci sono due partite intorno alle quali tutto l’impianto romanzesco
ruota: la partita delle eliminatorie del torneo mondiale del 2002, tra
Inghilterra e Argentina e la partita del campionato dilettantesco locale tra il
Cinderheath Sunday ed il Cinderheath Muslim Community. Come vedete dai nomi e
come immaginate dalle collocazioni temporali, la partita tra inglesi ed
argentini non poteva che sottolineare la reciproca rivalità dopo la guerra Falkland-Malvinas.
E la contemporaneità con la seconda, collocata quindi nel giugno del 2002, non
può che sottolineare uno scontro con l’islam a pochi mesi dall’11 settembre. Ma
se le due partite sono importanti, dando il ritmo alla narrazione, quello che
interessa l’autore, e che ci vuole presentare, è uno spaccato dell’Inghilterra
nei primi anni di questo secolo. Una nazione già multi-raziale, e già venata di
problematiche legate al razzismo ma anche alla povertà. Si dipana così la descrizione
della vita locale, con i vari personaggi. Rob, il promettente calciatore che
lascia la scuola per le selezione giovanili di squadre di primo livello (va
anche in panchina all’Aston Villa), ma che non sfonda mai, e si ritrova a
trent’anni a fare l’insegnante di supporto alla scuola locale, cercando di
tirar fuori dalla melma i ragazzi problematici, e con l’ovvia delega
all’educazione fisica, dato il suo passato. I suoi rapporti con la comunità
islamica, incarnata nei fratelli Zubair e Adnan. Il primo che si integra nel
mondo locale, diventando avvocato. Il secondo che si isola, e che ad un certo
punto, a metà dei ’90, sparisce. L’altra comunità è poi quella pakistana, che
si istanzia con la meticcia Jasmine Qureishi, compagna di Rob e Adnan alle
elementari, poi insegnante in Londra con una lunga storia con l’anziano Matt.
Che lascia avendo ritrovato casualmente Adnan nell’estate del 2001. Con il
quale ha una breve ed intensa storia d’amore, troncata da quest’ultimo che non
riesce a tornare nel mondo normale, e che sparisce nuovamente. Lo ritroveremo,
mentre tutti pensano sia morto nelle Torri Gemelle, millantando alcuni che sia
addirittura passato ad Al-Qaeda, allo stadio di Seul, a vedere la partita che
Rob e compagni seguono al pub. Partita legata anche al duello tra due portabandiera
delle due nazionali: Batistuta da un lato e David Beckham dall’altra. Nonché
all’arbitro, che fu il grande italiano Collina. Ma se volete seguire la
partita, potete leggerne altrove. Più avvincente la partita tra le due anime di
Cinderheath, dove un contro l’altro giocano Rob e Zubair. Partita che finisce
con un sofferto pareggio, che tuttavia non serve a nessuna delle due per
vincere il campionato. Poi c’è Jim, lo zio di Rob, nonché assessore locale del
parlamentino cittadino, che nello stesso periodo fa campagna elettorale nelle
elezioni suppletive, scontrandosi, lui laburista, con l’agguerrito avanzare del
BNP, il partito d’estrema destra inglese che in quegli anni mieteva successi.
Ecco quindi che si legano tutte le tematiche, i razzismi incrociati, il degrado
inglese post-Thatcher senza che le immagini dorate di Blair portino a nuovo
splendore, la lotta tra bande giovanili, l’analfabetismo, l’alcolismo, la
voglia di rapporti con l’altro sesso (che Rob non riesce a far maturare né con
Jasmine né con Stacey), le ragazze-madri, i giovani sbandati, lo sport come
mito e riscatto, la parabola discendente del padre di Rob, anche lui
promettente calciatore stroncato da un’incidente di gioco. Insomma tante
piccole e grandi storie di miseria. Con l’illusione che il rigore di Beckham
possa riscattare tutto. Ma noi ben si sa che il calcio serve solo ad ottundere
maggiormente la coscienza dei popoli (vedi i nostri ultimi venti anni). Alla
fine una narrazione con tanti spunti, tanti elementi, e tanti momenti che non
riescono a concretizzarsi in qualcosa di veramente avvincente. Qualcosa di
buono, ma sotto, anche se di poco, alla mia personale sufficienza.
“Con figli e marito una pensa di cavarsela
meglio invecchiando, ma mica è detto.” (156)
Osvaldo Soriano “Pensare con i piedi” Repubblica – Pallone euro 6,90
[A: 24/06/2014 – I: 16/09/2015 – T: 18/09/2015] - && e
½ /&&& e
½
[tit. or.: Cuentos
de los años felices; ling. or.: spagnolo; pagine: 238; anno 1994]
Due
valutazioni per questo libro di racconti, che non è riuscito completamente, anche
se mi riporta sulla pagina del grande argentino, cui ho voluto tanto bene per
una serie lunga di motivi, e che sono ormai 18 anni che ci ha inconsolabilmente
lasciati. La votazione più bassa è sul complesso del lavoro, ma anche sulle
scelte editoriali che non condivido. Questi racconti furono pubblicati anni fa
da Einaudi con il loro titolo originario (“I racconti degli anni felici”), e
con questo titolo da me inserito nelle ricerche future, aspettandone una
versione economica che quando ne uscì traccia su Repubblica - Libri costava ben
16 euro. I racconti derivavano da tre mini raccolte: “Nel nome del padre”,
“L’altra storia” e “Pensare con i piedi”. Ora, sapendo che Soriano era un
grande appassionati di calcio (e tra l’altro tifoso del San Lorenzo de Almagro,
come papa Francesco) i curatori di questa collana di Repubblica che continua a
convincermi poco ne hanno fortemente voluto l’inserimento, utilizzando l’ultimo
come titolo “da richiamo”. Ed è vero che in quel pezzo di raccolta ci sono 6
brani dedicati al calcio, ma sono tutto altro rispetto all'equilibrio
complessivo del libro. Soprattutto a quella bellissima prima parte, dove in 17
piccoli elzeviri Osvaldo ricorda e ci ripropone la storia di Valentin Alberto
Soriano, suo padre, ispettore delle acque nell’Argentina del Sud. Visionario e
vagabondo. È seguendo il padre, che l’azienda delle acque mando in giro per
venti anni in molta Argentina, ed in particolare in molta Patagonia, che si
forma il nostro Osvaldo. Che incontra
personaggi strani e tristi, che popoleranno la sua opera migliore (“Un ombra
ben presto sarai”). Ed è in questi bozzetti, non racconti ma ricordi, che
Soriano riesce a dipingere la figura paterna, dato che è sempre difficile fare
i conti e conciliarsi con qualcuno di così preponderante nella propria vita. E
riesce anche a darci un quadro, fuggevole e pur tuttavia intenso,
dell’Argentina degli anni Cinquanta. Di quella Argentina lontano dai facili
bagliori di Buenos Aires. Lì nel profondo Sud, povero e desolato, sono lontani
i miti patriottici, è lontana l’agiatezza possibile. Si lotta per l’acqua, si
spera nel petrolio. Si incontra gente, si parla. Lì Osvaldo nasce come seguace
di Peron, come molti, tanti, in quegli anni, per il populismo di maniera che il
dittatore evocava. Lì Osvaldo diventa un fervente idolatra di Evita, la “Santa
Madre” degli Argentini. E come non andare a quell'intenso film di ormai venti
anni fa, con Madonna nella parte di Eva Duarte (senza dimenticare Banderas come
Ernesto Guevara). Un immagine su tutti, la multa che il padre non riesce a dare
ad un prepotente che consuma troppa acqua, ed il padre con la fionda di
Osvaldo, gli rompe il vero di una finestra. Ecco, bastano dei tocchi così per
dare senso e misura ad un rapporto che, come molti, troppi, non si è riusciti
in vita a trasformare in dialogo. La seconda parte, invece, non mi ha preso
quasi per nulla, troppo legata alla storia argentina, ai suoi miti, a cose che
per loro sono importanti e vitali, ma che non conosciamo da qui, ed a volte ci
sembrano sterili. Gli avvenimenti del 1810, San Martin ed altro. Peccato anche
quel refuso di stampa che fa morire il rivoluzionario della Primera Junta nel
1881 invece che nel 1811! Fin a quel piccolo “pastiche” su Robespierre poco
intrigante. Si risale con l’ultima parte, quella dedicata alla palla rotonda.
Al bellissimo rigore più lungo del mondo, fischiato all'ultimo minuto di una
partita intensa, sospesa per intemperanze, ripresa in quell'ultimo minuto una
settimana dopo. E se noi si ricorda quel “Prima del calcio di rigore” di Peter
Handke, qui, in poche righe, Soriano ci riporta all’ansia dei tifosi, alla
paura del portiere, ed a tutto quello che si condensa in pochi minuti in un
rigore, dilatandolo in una lunghissima settimana. O il lungo viaggio della
squadretta di giovani locali che va a sfidare la guarnigione inglese di stanza
alle Malvinas, senza mai riuscire ad arrivarci per una serie infinita di
intoppi. O la figura del mister Pellegrini, duro, implacabile, che avrebbe
potuto fare di lui un calciatore, che si inventava ruoli e situazioni prima che
la figura dell’allenatore diventasse un emblema quasi totemico. Nonché la
figura del figlio di Butch Cassidy (che sappiamo fuggì in Patagonia insieme a
Sundance Kid, come se ne trova traccia nelle belle pagine patagoniche di Chatwin
o cilene di Sepúlveda), rimasto lì in Argentina e diventato cow-boy ed arbitro
per necessità di vita. Una chicca che lui stesso racconta di aver buttato di
getto dopo aver visto palleggiare Maradona a Trigoria. Sono scritti, questi,
che pubblicò sparsi a suo tempo su “Il Manifesto”, servendo come antidoto ad
uno sport che già cominciava a drogarsi e che ormai è diventato un qualcosa di
alieno, rispetto alla purezza filosofica delle partite del secolo scorso. Ho
sempre voluto bene a questo tristo argentino, scrittore, esule e poi a
quarant'anni finalmente di ritorno nell'amata Baires. Hasta siempre, Osvaldo!
Ecco,
prima trama del mese, anche le letture augustane, dominate da una rilessante
lettura dei gialli di Agatha Christie, pur senza troppe vette. Ma illuminata
dal bel libro della Yourcenar e dal bellissimo saggio su povertà e ricchezza di
Jared Diamond.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Elena Ferrante
|
Storia del nuovo cognome
|
E/O
|
s.p.
|
3
|
2
|
Agata Christie
|
Due mesi dopo
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
3
|
Marco Polillo
|
Testimone invisibile
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
4
|
Gianrico Carofiglio
|
Una mutevole verità
|
Einaudi
|
12
|
3
|
5
|
James M. Cain
|
Il postino suona sempre due volte
|
Adelphi
|
9
|
3
|
6
|
Jared Diamond
|
Da te solo a tutto il mondo
|
Einaudi
|
13
|
4
|
7
|
Agata Christie
|
La domatrice
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
8
|
Marguerite Yourcenar
|
L’opera al nero
|
Feltrinelli
|
9
|
4
|
9
|
Agatha Christie
|
Il Natale di Poirot
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
10
|
Agatha Christie
|
È troppo facile
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
2
|
11
|
Sofi Oksanen
|
When the Doves
disappeared
|
Atlantic Books
|
9,79
|
3
|
12
|
Agatha Christie
|
Poirot non sbaglia
|
Corriere della Sera
|
6,90
|
3
|
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