Come avevo annunciato la
settimana scorsa, ecco che, dopo la Signora del Giallo, mi accingo ad
affrontare la lunga serie di scritti di Georges Simenon dedicati al commissario
Maigret. Che è una figura, che insieme alla mia genitrice – lettrice, abbiamo
sempre amato. Credo che in campagna ci siano ancora volumi e volumi delle
vecchie edizioni mondadoriane. Ma ora è Adelphi che fa l’opera meritoria di
ripubblicare “TUTTO” Maigret. Ed io faccio lo sforzo (ed il piacere) di
leggerne e parlarne. Utilizzando i volumi riassuntivi, quelli che portano
ognuno 5 romanzi del nostro commissario. E qui, appunto, cominciamo dal primo
volume, dal primo apparire di Jules – Gino Cervi (perché per me sarà sempre e comunque
Gino ad impersonarne i tratti). Quindi si trama un volume solo, ma con 5
romanzi. Avanti allora!
Georges Simenon “I Maigret –
volume 1” Adelphi s.p. (regalo di mamma)
[A: 16/02/2014– I: 16/05/2015 –
T: 22/05/2015] - &&&&--
[tit. or.: vedi
singoli libri; ling. or.: francese;
pagine: 719; anno 2013]
Con questo volume inizia una muova
collaborazione in famiglia: io e mia madre abbiamo sempre avuto una passione,
forse immotivata, di certo duratura, per le avventure del commissario Maigret.
Tant’è che, ancora in casa, si comprarono decine di volumi tascabili delle sue
inchieste. Passati tempi e spazi, oramai grandicelli (per non dire anziani, che
sembra una brutta parola), eccoci che ci si ritrova quegli stessi libretti
pubblicati da una casa editrice che più seria non si può. Da anni Adelphi ha
deciso di pubblicare l’opera omnia del grande scrittore belga (che per inciso
nasce un lontano 13 febbraio, come la mia amica Rosa, anche se di anni ben diversi).
Non solo, ma, dal 2013, l’Adelphi decide di riunire, in cinquine, i volumi
dedicati al Commissario (ed oltre a Gino Cervi, come dimenticare la musica in
sottofondo di Luigi Tenco). Allora, io e la mia dolce genitrice decidiamo di
riprendere la vecchia abitudine, e di acquistare questi volumi. Forse un po’
pesanti per la gracilità genitoriale, ma utili per ripercorrere uno dei miti
dello scrivere del Novecento. Con una piccola griglia inziale in cui riporto i
dati salienti di composizione dei romanzi (data e luogo di scrittura, data di
prima pubblicazione).
Titolo
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Scritto
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Uscito
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Data
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Luogo
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Pietro il Lettone
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Settembre 1929 – Maggio
1930
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Scritto a Nandy vicino a
Morsang-sur-Seine (Seine-et-Marne) e a bordo de l'Ostrogoth, Delfzijl
(Olanda)
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Maggio 1931
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Il cavallante della
‘Provvidenza’
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Estate 1930
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Scritto a bordo de
l'Ostrogoth, Nandy vicino a Morsang-sur-Seine (Seine-et-Marne)
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Marzo 1931
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Il defunto signor Gallet
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Estate 1930
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Scritto a bordo de
l'Ostrogoth, Nandy vicino a Morsang-sur-Seine (Seine-et-Marne)
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Febbraio 1931
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L’impiccato di
Saint-Pholien
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Dicembre 1930
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Scritto a Beuzec-Conq
vicino a Concarneau (Finistère)
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Febbraio 1931
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Una testa in gioco
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Settembre 1930 – Marzo 1931
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Scritto a Hôtel L'Aiglon,
boulevard Raspail, Paris
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Settembre 1931
|
“Pietro
il Lettone”
[tit. or.: Pietr-le-Letton;
ling. or.: francese; pagine: 11-163
(153); anno 1931]
È unanimemente considerato il primo romanzo
in cui compare ufficialmente il commissario Maigret. Primo come scrittura (fu
infatti scritto nell’inverno del 1929, a bordo dell’Ostrogoth, la barca su cui
soleva vivere in quel periodo, in navigazione intorno a Stavoren in Olanda)
anche se non primo come pubblicazione (uscì infatti solo nel maggio 1931,
preceduto da altri 4 romanzi con protagonista Maigret). La scrittura risente
molto dell’urgenza (della fretta, anche) con cui l’allora ventiseienne
scrittore buttava giù i suoi romanzi. E del fatto che ancora non riusciva ad
avere una vita che si fondasse “solo” sulla scrittura. Direi quindi, un romanzo
acerbo, con alcune buone idee, ed alcune buone caratterizzazioni. Ma anche con
salti di discorso e di trama, che solo alla fine, in quelle che poi
diventeranno quasi dei classici del commissario, si ricostruisce e si completa.
Anche Maigret è ancora discretamente lontano dal commissario maturo cui siamo
abituati. Intanto ha solo 42 anni, è da poco insediato al Quai des Orfèvres, il
luogo deputato della polizia parigina. Inoltre, si sposta continuamente,
effettua di persona appostamenti e pedinamenti, affronta criminali a viso
aperto, tanto che sarà anche ferito da un colpo d’arma da fuoco. Nel fisico, ha
già qualcosa del futuro commissario, massiccio, quasi corpulento. Ma senza
baffi (che per me sono il “tutto Cervi”). Si fa spesso mandare (quasi
anticipazioni di futuro) da mangiare e bere dalla brasserie Dauphine
(soprattutto birra). Inoltre, non ha ancora un contorno fisso e stabile di
collaboratori. Presenti come “nomi” ma non ancora inserite nel racconto come
squadra. C’è già un Torrence, che però viene ucciso a metà romanzo. C’è un
pignolo Lucas, ma non interviene nelle indagini. C’è come aiutante un ispettore
Dufour, che tuttavia non ricordo in future avventure. Infine, nell’ombra per
quasi tutto il libro, c’è anche la signora Maigret. Che si sa saper cucinare,
che si sa aspetta il marito a casa senza far troppe domande, e che compare
nelle ultime due pagine, per curare il commissario ferito, e per mettere, con
le sue domande, gli ultimi puntini ad una storia un po’ slabbrata. Intanto, non
si capisce il perché i quel “Lettone” del titolo, laddove i personaggi
principali, pur venendo dalle Repubbliche Baltiche, sono di Vilnius (in
Lituania) o di Tartu (in Estonia). La storia inizia con una segnalazione
dell’Interpol che avverte Maigret dell’arrivo a Parigi del pericoloso “Pietro
il Lettone”. Maigret va alla Gare du Nord, individua il Lettone, ma si scopre
subito che, dentro lo stesso treno, c’è un morto, con alcune caratteristiche
simili al malfattore. Maigret rintraccia il bandito (anzi, il truffatore,
perché di quello si occupa Pietro) all’hotel Majestic, mentre si intrattiene
con il magnate americano Mortimer e la di lui consorte. Maigret, come in altre
future occasioni, si piazza al centro della scena, osserva e non fa
apparentemente nulla, mentre le azioni si evolvono. Prima scompare Pietro. Poi
anche Mortimer. Maigret piazza Torrence a controllare l’albergo, rintraccia
elementi di Pietro in un sordido albergo del quartiere ebreo (parentesi: come
non godere di Parigi, quando si passeggia tra rue Rosier e rue du
Roi-de-Sicilie?) dove pare sia accudito da Anna, una prostituta baltica. Poi
fuori Parigi, in un luogo chiamato Fécamp, dove sembrerebbe che un uomo simile
a Pietro abbia sposato una signorina del luogo, ma sia sempre in giro (tipo
marinaio). Tornato a Parigi, scopre il ritorno di Mortimer, e si mette a
seguirlo tra teatri e ristoranti con ballo. È qui che, inopinatamente, viene
preso a rivoltellate e ferito. Ma il nostro è d’acciaio. Torna in taxi al
Majestic, dove scopre che invece Torrence è stato ucciso. Si imbufalisce e va
alla ricerca di Anna, la trova, gli mette l’ispettore Dufour alle calcagna, e
cerca di scoprire chi sia il sicario che ha attentato alla sua vita. In un
precipitarsi di avvenimenti, Anna uccide Mortimer e viene arrestata, la moglie
di Mortimer fugge a Berlino, Maigret scopre delle foto interessanti a casa di
Anna, torna a Fécamp dove trova un uomo di molto simile a Pietro. Qui si svolge
l’agnizione: dalle foto Maigret (e noi con lui) aveva capito l’esistenza di due
gemelli: Pietro il cattivo e Hans il succube. Hans che si rovina la vita con il
bere, ma che è un abilissimo falsario, utilizzato da Pietro per le sue truffe.
Anche ora che sta mettendo in moto un piano assai articolato: riunire molti
truffatori sotto una regia comune, legata dai soldi del perfido Mortimer. Pietro
ruba anche il primo amore di Hans, la bella Blanche che sposa in quel di
Fécamp. Ma non Anna, che si innamora di Hans, che cerca di salvarlo. E quando
Hans, stufo di essere succube di Pietro, lo uccide sul treno e ne “usurpa”
l’identità, è Anna che cerca di convincerlo a desistere. Ma, avendo Mortimer
subodorato l’intrigo, è Anna che decide di uccidere l’americano. Hans confessa
tutto a Maigret, e si spara una pallottola in testa. Anna aiuta Maigret a
trovare Pepito, il sicario che ha ucciso Torrence (e che verrà condannato alla
pena capitale). Mentre Maigret fa capire nell’ultima scena alla signora
Maigret, che, in qualche modo, ha dato dei suggerimenti ad Anna per evitarle la
pena capitale. Come vedete, un inizio movimentato, con qualche caratteristica
del Maigret matura, ma tuttavia ancora acerbo nella trama e nello svolgimento.
Vedremo più avanti.
“Il
cavallante della ‘Provvidenza’”
[tit. or.: Le
charretier de "La Providence"; ling. or.: francese;
pagine: 165-293 (129); anno 1931]
Siamo al secondo romanzo scritto con
protagonista il nostro commissario. Scritto durante l’estate del 1930, sempre a
bordo dell'Ostrogoth presso Morsang-sur-Seine, una cittadina
ad una cinquantina di chilometri a sud di Parigi., è anche il terzo ad essere
pubblicato, nel marzo del 1931. Il primo fatto che salta agli occhi è proprio
l’ambientazione. Simenon sta viaggiando lungo la Senna, utilizzando canali ed
altre vie d’acqua. E questo è tutto un racconto (o romanzo breve) che si svolge
lungo gli argini e le chiuse che costellano la navigazione acquatica francese.
Anche se l’azione viene ambientata nei dintorni di Épernay, che si trova sulla
Marne e non sulla Senna, e sta a 150 chilometri ad Est di Parigi, più vicina a
Reims che alla capitale. Maigret continua ad essere caratterizzato dall’azione
sul posto, piuttosto che dalle riflessioni e dalle discussioni. Tant’è che lo
troviamo spesso a percorrere chilometri in bicicletta (memore dei suoi inizi di
flic à vélo, come direbbe uno ben informato). Secondo elemento da notare, è la
presenza di quello che diventerà uno degli aiutanti fissi del commissario. Uno
dei suoi moschettieri, come argutamente scrive una maigrettiana in un
interessante sito “Tutto Maigret”: infatti si introduce nella trama, anche se
marginalmente, l’ispettore Lucas. Qui si dice solo che è un bravo poliziotto
che lavora quasi solo per Maigret, e che lo aiuta in alcune ricerche, e ce ne
vorrà prima che ne diventi il più stretto collaboratore. Ma torniamo al
romanzo, forse uno dei più scarni di questo primo periodo, ed apparentemente
con poca suspense. Mentre una serie di chiatte ed uno yacht attraversano le
chiuse del fiume Marne, viene scoperto il cadavere di una donna, nascosto sotto
la biada della stalla dei cavalli della chiusa numero 14. Cavalli che sono
importanti, in quanto, durante
l’attraversamento delle chiuse sono loro che trainano le diverse barche.
Così come sono importanti le persone che guidano i cavalli (“charretier” in francese,
che, giustamente, non va tradotto in italiano con “carrettiere”, che sarebbe
colui che guida i carri, ma con “cavallante”, generico termine per chi ha a che
fare con gli equini). Chiamato Maigret per affrontare il caso, nella prima
parte, quasi a voler creare l’atmosfera, si parla solo di chiuse, barche e
simili, senza scoprire chi sia la donna. Poi la svolta, arriva lo yacht ed il
suo padrone, sir Walter Lampson, riconosce nella morta la sua terza moglie,
Marie Dupin. Così come fa l’altro uomo della barca, un truffatore di piccolo
calibro, Willy Marco. Maigret è molto contrariato sia dall’alterigia di sir
Walter, sia dal suo poco coinvolgimento emotivo. Cose che si chiariscono,
scoprendo che nella barca è presenta tal Gloria Negretti, amante del lord. E
Marie lo era di Willy. Mentre le barche vanno su e giù, e così Maigret (a
piedi, in bici, in taxi), poco succede. Qualche agnizione, un cappello, e poco
altro. Sempre senza capire come mai Marie sia scomparsa per tre giorni prima di
essere uccisa, perché aveva affidato a Willy una collana da vendere a Parigi e
come mai non si trova di lei traccia presso nessun comune francese. Finché non
viene ucciso anche Willy. Solo a questo punto sembra mettersi in moto il
cervello del nostro, che ricostruisce il percorso delle varie barche, scoprendo
che spesso vicino allo yacht c’era la “Providence”. Che cerca. Dove trova il
cavallante Jean, apparentemente muto. Maigret comincia a fare domande
insidiose. Ed il giorno dopo Jean cade o si butta o viene spinto in una chiusa
al passaggio di una chiatta. Non muore ma è ferito a morte. Con le impronte
digitali, Maigret riceve da Parigi la storia di Jean. Dottore squattrinato si
innamora e sposa la bella Céline Mornet, insieme alla quale affretta la morte
di una zia ricca. Scoperto viene mandato per 15 anni al bagno penale in Guyana,
dove si abbrutisce diventando muto e solingo. Al ritorno Céline è scomparsa, e
Jean inizia a fare il cavallante. Ma il caso vuole che lo yacht affianchi la
Providence, e Jean scopra che Marie non è altro che la sua Céline. Tenta di
convincerla a tornare con lui, ma dopo tre giorni capisce che il vecchio amore
era tutto un inganno e la uccide. Così come poi si vede costretto ad uccidere
Willy che ne aveva subodorato le mosse. Poi, quando Maigret gli fa capire di
essere sulle sue tracce, non avendo altre risorse, è lui che si butta in acqua
per morire. E morirà, ma solo dopo che Maigret avrà ricostruito la storia. In
queste due prime avventure, già vediamo alcune costanti, ed una ripetizione. È
sempre Maigret che, verso la fine, in qualche modo, ripercorre le varie tappe
dell’inchiesta chiarendo (o cercando di chiarire) i punti oscuri. Per ora gli
assassini sono anche loro delle vittime delle circostanze, facendo intravedere
i “lati umani” che tanto caratterizzeranno le opere di Simenon. Infine, in
entrambi i casi, per non finire nella giustizia umana, gli assassini pongono
fine alla loro vita.
“Il defunto signor Gallet”
[tit. or.: Monsieur
Gallet, décédé; ling. or.: francese;
pagine: 295-443 (149); anno 1931]
Anche questo romanzo viene scritto a bordo
dell’Ostrogoth che navigava sempre verso Morsang-sur-Seine, intorno all’estate
del 1930. Eppur tuttavia, a parte il racconto in sé, la sua importanza storica
risiede nel fatto di essere il primo romanzo del commissario ad essere pubblicato
nel febbraio del 1931. Si comprende inoltre, dalla trama e dalla struttura,
come abbia avuto subito un discreto successo, consentendo a Simenon di gestirne
l’onda, pubblicare i due già scritti ed avviarsi verso il “corpus” generale
delle avventure del commissario. Che qui agisce da solo, e nuovamente in
trasferta, come spesso in questi primi libri. Pur essendo di stanza al Quai, è
spesso i giro, come in questo caso, dove, essendoci una concomitanza di
avvenimenti che impegnano le forze di polizia, alla morte del signor Gallet, è
proprio Maigret che deve recarsi sul posto a Sancerre, per svolgere le
indagini. Intanto si reca dalla vedova, e comincia ad avere una strana
impressione. La vedova è dolente ma non distrutta dal dolore. Anche perché il
signor Gallet doveva essere a Reims e non a Sancerre. Abbiamo anche un bel
contrasto tra la vedova, di alto lignaggio, e Gallet, misero rappresentante di
articoli da regalo. Ancora più strana la morte, dovuta ad un colpo di pistola,
che ha distrutto una parte del viso di Gallet, ed una pugnalata al cuore. Tanti
sono i misteri cui ci si trova di fronte. Anche perché Maigret scopre subito
che sono 18 anni che Gallet si è licenziato dalla ditta pe cui lavorava, pur
continuando a girare la provincia francese. Inoltre, negli alberghi dove
alloggia, si fa chiamare Clèment. Gli unici due agganci sono un signorotto
locale, Tiburce de Saint-Hilaire che sembra frequenti, pur saltuariamente il
signor Gallet, ed un fantomatico Jacob che aleggia misteriosamente nell’ombra.
Anche l’incontro con il figlio è di poco aiuto. Un figlio che ha la prosopopea
della madre, che ha un’amante da diversi anni, con la quale cerca di mettere da
parte dei soldi per andare a vivere nel Sud della Francia, lontano da tutta la
famiglia Gallet. Figlio che casualmente era anche lui a Sancerre, proprio con
la sua amante. Simenon ha un facile gioco, anche se troppo scoperto per noi
smaliziati, cercando di indirizzare i sospetti proprio sull’amante. E forse sul
figlio, quando si scopre che Gallet aveva fatto un’assicurazione sulla vita,
lasciando un bel gruzzolo alla vedova. Ma dove trovava i soldi, il senza lavoro
Gallet? Ricordo che siamo alla fine degli anni Venti, ancora sull’onda della
fine della Prima Guerra Mondiale, e non ancora sopiti sono in Francia i
sentimenti monarchici. E su questi, da anni lavora Gallet, spillando soldi ai
cosiddetti “legittimisti”, e con questi assicurandosi un po’ di tranquilla
vita, anche se non proprio onesta. Maigret scopre, con i suoi metodi di
indagine, la natura di Jacob, che poi non è che un tramite di denaro tra Gallet
ed una persona che lo ricatta (anche se non in modo pesante), e che si scopre
essere proprio l’amante del figlio. Mentre prosegue l’indagine, un suo
collaboratore viene preso di mira da due colpi di pistola, proprio nella stanza
d’albergo dove è morto Gallet. La cui natura non convince Maigret. Non riesce a
risalirne il passato, e questo in genere è un modo classico del nostro
commissario per risolvere le indagini. Finché, proprio scavando nei passati di
tutti, arriva alla catarsi finale. Gallet in Indocina aveva scoperto la
possibilità di fare denaro nel caso ritrovasse un erede della famiglia
Saint-Hilaire. Cosa che fa e con 30.000 franchi si scambia con il derelitto
Tiburce, divenendo lui il marchese ed erede della fortuna. Tiburce diventa
Gallet, si innamora della signora altolocata, e con i soldi del vero Gallet
aiuta il suocero nella pubblicazione di un giornale monarchico. Alla morte del
suocero, con gli indirizzi dei monarchici, comincia la sua vita di piccolo
truffatore. Ma è anche malato di fegato, per cui fa l’assicurazione di cui
sopra, ed usa la truffa per pagare. E per pagare il ricatto, fino a che non gli
viene chiesta una somma che non ha. Allora usa l’unica sua abilità, quella di
riparare orologi, per mettere su un meccanismo che fa sparare una pistola come
fosse una suoneria d’orologio. Ma a metà il meccanismo si inceppa, e per finire
il suicidio, prende un pugnale e se lo spinge a forza nel cuore. Peccato che
una settimana dopo il meccanismo riprenda e spari quei due colpi casuali, che
però metteranno Maigret sulla strada giusta. Il tutto spiegato al vero Gallet
che continua la sua vita di nobiluomo campagnolo. A questo punto, ed è un altro
dei motivi del successo di questa prima uscita, Maigret è di fronte ad un
dilemma: svelare il suicidio e la truffa, facendo perdere i soldi alla vedova o
insabbiare tutto? Beh, questo non ve lo dico. Ma in questa prima pubblicazione
c’è tutto del Maigret maturo (forse solo un po’ troppa azione, ma ci può stare,
che il nostro ha ancora “solo” 45 anni) il ragionamento, l’empatia,
l’accumulazione di indizi, il disvelamento finale. E sono d’accordo con il
pubblico, e quindi con il raffinamento dell’opera. Nei primi due romanzi la
scrittura è ancora alla ricerca di una strada. Qui sembra averla ben imboccata.
“L’impiccato
di Saint-Pholien”
[tit.
or.: Le pendu de Saint-Pholien; ling. or.: francese;
pagine: 445-577 (133); anno 1931]
Con la scrittura di questo quarto romanzo,
Simenon finalmente dopo mesi, scende dalla sua barca, e si avvia a scrivere in
quel di Bretagna, e precisamente a Concarneau, che si affaccia sull’Oceano,
nella villa Gloaguen (nome bretone per noi viaggiatori legato a Philippe il
fondatore della “Guide du Routard”). E con fortuna, subito dopo il precedente
Gallet, è questo impiccato che vede le stampe. Un romanzo in cui l’inchiesta,
il poliziesco c’è e non c’è. Tutto nasce dalla curiosità di Maigret, che vede
uno strano tipo alla stazione, male in arnese e con una strana valigia, benché
dozzinale. Lo segue incuriosito, che il tipo avvolge trentamila franchi in un
pezzo di carta e li spedisce. Compra allora una valigia analoga, opera una
sostituzione tra le due, e poi con il malandato prende un treno con il quale si
recano a Brema. Dopo il poveraccio, scoperta la sua non-valigia, pensa bene di
spararsi un colpo in testa. Maigret, allora, è preso da sensi di colpa, e
comincia una sua non autorizzata indagine per capire chi sia il tipo ed il
perché del suo gesto. A Brema viene avvicinato dal ricco Van Damme, un belga
chiacchierone e scarsamente simpatico, che sembra avere a che fare con il
morto. Ritornato a Parigi, si fa viva la moglie del morto, che dice si chiami
Louis, che si sono sposati sei anni prima, hanno un figlio, ma che Louis è
sempre stato strano. Male in arnese, ma colto e capace di scrivere bene. Dedito
a umili lavori di meccanica, con periodiche crisi di alcolismo. Tanto che due
anni prima, a valle di una crisi, e dell’incauta apertura da parte della moglie
della famosa valigia, Louis va via e non si fa più vedere. Gli indizi portano
Maigret a Reims, dove era stato visto Louis bere da svenire e poi allontanarsi
con il ricco Belloir. Che Maigret va a trovare, trovandolo insieme ad uno
squattrinato incisore belga, Jef, ed all’esimio Van Damme. Nulla si chiarisce,
se non che, tornando verso Parigi, Van Damme cerca di far annegare in un
ruscello Maigret, che però si salva. Continuando le indagini, sempre sommerse,
Maigret scopre un altro tassello: si fa vivo il fratello del morto, che dice
chiamarsi Lecocq d’Arneville, che il morto si chiama Jean e che sono di origine
belga, in particolare di Liegi. Qui Simenon fa un omaggio alla sua città
natale, spostando ben presto l’azione nella cittadina belga, dove si trova
sempre tra i piedi l’esimio Van Damme. Dove scopre che Jef, oltre alle
incisioni, ha una stanza piena di disegni di impiccati, quasi ne fosse
ossessionato. Prova, il nostro commissario, a trovare traccia di qualche fatto
oscuro, ma al giornale dove si rivolge è appena passato Van Damme. Che commette
l’errore di strappare il giornale del febbraio di nove anni prima (quasi dieci,
visto che l’azione si svolge a novembre). Errore fatale, che consente a Maigret
di trovare le tracce di un suicidio, avvenuto proprio in quel febbraio: un impiccato
nella cattedrale di Saint-Pholien. Piccolo inciso, la chiesa, storica per Liegi
e costruita nel 1100, è dedicata al monaco irlandese Foillano di Fosses, che
nel VII secolo partì dalla terra natia per cristianizzare la piana belga.
Chiesa che venne poi rasa al suolo nel 1910 per permettere una migliore
urbanizzazione della città, e ricostruita in stile neo-gotico pochi anni dopo
(e Simenon da buon ligeois ne sa e ne parla). Ma l’impiccato, il piccolo Klein,
era alto poco più di 1,50, e certo non poteva portare i vestiti della famosa
valigia scambiata. L’ultimo colpo di genio di Maigret è seguire le tracce di
Klein, trovare un atelier dove Klein, studente d’arte, aveva vissuto. E dove
ritrova Van Damme, Belloir e lo spaurito Jef. Sarà quest’ultimo a cedere, e
raccontare la storia di loro tre, di Klein, di Jean, e del ricco Mortier. Del
loro ardore giovanile, delle follie che si facevano, anche contrapponendo i tre
di buona famiglia (Van Damme, Belloir e Mortier) ai tre squattrinati. Giovani,
ventenni, esaltati, del tipo “quattro amici al bar che volevano cambiare il
mondo”. Fino al dramma, dove in un Natale alcolico, Jef uccide quasi per gioco
Mortier. Da qui i drammi: Van Damme e Belloir si ritirano nel loro mondo,
facendo fortuna. Klein non resiste alla tensione e si impicca. Jef si rintana
nel suo ruolo di incisore, mette su famiglia, e sforna figli a getto continuo.
Jean cambia vita e nome, non mancando però di chiedere soldi ai ricchi sodali,
non per usarli, ma per tener viva la fiamma del loro peccato. Tanto che poi i
soldi, quando li ha, li brucia. E Jean ha buon gioco finché ha il vestito del
morto a memento. Perdutolo, o meglio sottrattolo da Maigret, non vede più
prospettive e si spara. E manca solo un mese al decennale, momento in cui, per
le allora leggi francesi, il delitto va in prescrizione. Qui, Maigret è di
nuovo posto davanti ad un dilemma: denunciare i colpevoli, con conseguenti
arresti e rovine di molte vite, o passare tutto nel silenzio, ora che i
superstiti hanno nuove vite e soprattutto figli? Lascio sospeso
l’interrogativo, cui ognuno risponderà come meglio crede. Vorrei solo
sottolineare che nei due primi romanzi pubblicati, Maigret è sempre alle prese
con dilemmi che possono cambiare la vita ad altre persone. Forse è questo,
piuttosto che l’acume poliziesco, la prima spinta al successo. Il pubblico si
trova di fronte ad un commissario che non solo e non tanto risolve intricate
situazioni. Ma che si trova, sempre, di fronte a problemi morali. Un ultimo
inciso, compare velocemente, ma senza troppa presenza, il fido Lucas, che
impareremo a conoscere in futuro. E come scrivevo alla fine della trama
precedente, la strada che sta imboccando Maigret è di sicuro interesse per il
successo del personaggio.
“Una
testa in gioco”
[tit.
or.: La tete d’un homme; ling. or.: francese;
pagine: 579-719 (141); anno 1931]
Finalmente, dopo tanto girovagare, Simenon si
ferma un po’ a Parigi, dove, mentre risiede all’Hotel “L’Aiglon” in boulevard
Raspail (tra il settembre ’30 ed il marzo ’31) scrive la quinta avventura del
commissario. Un’avventura tutta parigina questa volta, in cui compaiono tutti i
primi aiutanti di Maigret: il fido Lucas, Janvier il pedinatore e Dufour,
quello che sembra più vicino al commissario in questa fase, ma che presto andrà
per altri lidi (anzi, dopo queste prime apparizione, scompare per circa 20
anni). E tuttavia questo è un testo più difficile degli altri, meno agevole.
Tutto giocato sui nervi dei contendenti, come spesso nell’epoca del Maigret
maturo. Non è un caso, quindi, che sarà solo il nono libro ad uscire (sappiamo
tutti che Simenon era uno scrittore a getto continuo, capace di scrivere un
libro in meno di un mese, ma questo, scritto in febbraio, proprio per la
difficoltà dell’intreccio, non vedrà le stampe prima del settembre dello stesso
anno). Dov’è comunque tutta questa difficoltà che ritarda l’uscita del libro?
C’è un efferato assassinio di una signora americana e della sua dama di
compagnia. Ci sono indizi che portano ben presto all’arresto di un aiutante
giardiniere, il disadattato Joseph Heurtin. Che Maigret arresta e che un rapido
processo viene condannato al patibolo. Ma il nostro commissario è dubbioso:
perché Joseph uccide quelle sconosciute? Se a scopo di rapina, perché non ruba
nulla? E come fa in meno di due ore a tornare apparentemente a piedi da
Saint-Cloud al suo appartamento parigino (ho controllato su Google Maps, ci
vogliono almeno 3 ore seguendo le indicazioni di Simenon)? Maigret non è
convinto, anche perché Joseph non parla, non dice nulla. Come sbotta ad un certo
punto il nostro, “Heurtin … o è un pazzo o è innocente”. Allora Maigret rischia
il tutto per tutto. Convince un giudice a far “evadere” Joseph ed a seguirlo
con i suoi fidi, per appunto provarne l’innocenza, di cui è convinto. Manovra
pericolosa, che, per accidenti vari, Joseph sfugge a Dufour, e Maigret è
sull’orlo delle dimissioni. Unico debole indizio, una lettera manoscritta
inviata ad un giornale, che il fido Moers (quello ferito durante il romanzo del
signor Gallet) decifra come proveniente dal bar “La Coupole” (e chi sa di
Parigi, sa quanto sia storico questo bar). E lì si installa Maigret, vedendo
passare, là sul boulevard Montparnasse, il “tout-Paris” degli anni Trenta. È
soprattutto attratto dallo straniero Radek, che in un angolo beve solo cappuccini.
E si meraviglia quando il fuggiasco Joseph si installa davanti al bar, come ad
aspettare qualcuno. Maigret pensa sia la famiglia Crosby, nipoti ed eredi della
defunta, anche loro al bar con la vamp Edna. Ma non è così. Anzi, sembra
proprio Radek l’obiettivo. Una volta comunque ritrovato il bandolo di Joseph
(che non verrà più mollato da Janvier) e quindi evitate le dimissioni, si
instaura una lotta di nervi tra Maigret e Radek. Perché il cecoslovacco
stuzzica il commissario, dicendo e non dicendo. Lo invia su false piste, cui
Maigret non abbocca. Scopriamo anche che Radek ora fa la bella vita, spendendo
e spandendo soldi che una ricerca in banca fanno provenire dai Crosby.
Dimenticavo: anche l’arma del delitto non si trova. E cercandola di nuovo sul
luogo del delitto, nella casa ormai vuota, Maigret si imbatte in Crosby che,
credendosi perduto (e non si sa perché) si toglie la vita. Maigret allora si
mette alle costole di Radek, non lo lascia più, intercetta lettere in cui Radek
convoca la signora Crosby ed Edna (che poi era l’amante del suicida) nella
“casa della morte”. E proprio in questa occasione Maigret scombina i piani di
Radek, evitando (non vi dico come) venga commesso un nuovo delitto. Dicevo
difficile per il pubblico, perché tutta questa lotta di nervi finisce con la
confessione finale di Radek, che, sentendosi uomo superiore (tipo superuomo di
Nietzsche) e vedendosi surclassato da Maigret confessa tutti i suoi percorsi
delittuosi. E sono istruttivi, per il modo in cui Maigret arriva alla soluzione
e per le modalità di vita e di azione di Radek. Un piacere che lascio a voi
esimi lettori, e, spero, estimatori di questo scrittore la cui maggiore abilità
è proprio questa: inventare storie a tamburo battente. Vedremo cosa ci
riserveranno i prossimi volumi.
Un
ottobre che finisce in crescendo, sperando che i guai fisici di tutti siano
passati, e che tutti si torni in gamba come prima. Si sta finendo anche l’organizzazione
del prossimo viaggio in India, per cui, con questa trama vi lascerò “soli” per
qualche settimana.
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