domenica 3 aprile 2016

Corriere Noir, ultimo atto - 03 aprile 2016

E dopo mesi e mesi di lettura, eccoci arrivati agli ultimi quattro libri della lunghissima collana dedicata al neo italiano da parte del Corriere. Una buona collana, illuminata dall’iniziale saga di Scerbanenco, e rischiarata qua e là da alcuni interessanti romanzi. Qui siamo su di un buon livello, con uno spaccato interessante dell’Italia ai margini, con due ex-poliziotti che ci fanno da guida, ed un editore che non ha paura di sporcarsi le mani con romanzi di genere. Peccato che l’unica donna sia al di sotto delle attese, anche se della Bucciarelli avevo già letto, e già allora non mi aveva convinto. Meglio Polillo, meglio Giuttari, e meglio anche al non più Manganelli.
Marco Polillo “Testimone invisibile” Corriere della Sera 21 euro 6,90
[A: 05/04/2014 – I: 03/08/2015 – T: 05/08/2015] – &&& ––       
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 395; anno 1997-2010]
Marco Polillo è di sicuro un nome importante nel mondo dell’editoria. Ne ha percorso vari rami, mantenendo un sicuro timone verso i propri interessi, ed approdando al fine, una ventina d’anni fa, anche alla casa editrice che porta il suo nome. E nelle more, ha scritto e scrive, utilizzando il poliziesco come veicolo di una sua visione sul mondo. Questo è il primo libro che ne leggo, ma non nego che qualche altro potrà entrare nella mia vasta raccolta, cercando di capire meglio la figura di questo commissario, Enea Zottìa, presente in questa storia anche se non come fulcro principale. Una storia, che come vedete dalle date, dopo essere stata scritta quasi venti anni fa, è stata ripresa dall'autore, e rimpinguata, e meglio presentata, in questa forma. Che però, come spesso accade ed ho rimarcato in molte uscite di questa pur benemerita collana, risulta infarcita di troppi avvenimenti. Così che, purtroppo, nel corso delle indagini, qualcosa scivola via. O rimane ingarbugliata. Ma non si può cucinare un arrosto sontuoso senza rischiare di bruciarne qualche angolo. E qui, di angoli, ce ne sono tanti, che alla fine, nel solco ben designato da Van Dine nel 1929, Polillo non può che fare un riesame quasi completo delle vicende. Ed a pagina 377 abbiamo un lungo excursus che, per chi si sia perso nel frattempo, riesce a mettere (quasi) tutti i puntini sulle i mancanti. In realtà, due sono i filoni principali che si intrecciano. Ma questi due filoni sono pieni di personaggi che fanno tante cose nei dieci giorni in cui si sviluppa l’azione, che ci vorrebbe quasi una ulteriore sinossi finale per capire meglio chi sia chi e chi ha fatto cosa. Ma rimaniamo ai due filoni. Da un lato c’è una truffa ben organizzata dall'avocato Castelli, specialista in fisco, che, facendo credere al suo cliente di salvarlo dalle grinfie della tributaria, lo sta imbrigliando per depredarlo di tutti i suoi averi. Gli fa mettere tutte le proprietà in una finanziaria lussemburghese, convince la moglie Camilla a fare la cascamorta con la preda. Fino alla scena madre, in cui l’ignaro intesta tutto a Camilla, con l’idea che questa divorzi dal marito e fugga con lui. Un’idea che a Camilla non passa neanche per l’anticamera del cervello. Sia perché non ama da tempo il marito, sia perché non ha mai amato il pollo, sia perché si sta innamorando di un terzo personaggio (vi dicevo che Polillo incasina il tutto, intrecciando le vicende). Di questa truffa ne viene a sapere il losco avvocato Stari, che pensa di inserirsi nel gioco, ricattando Castelli. Per il suo sporco gioco, Stari vuole servirsi del ragionier De Norri, impiegato del fisco, dandogli mezzo indizio della truffa in modo talmente astruso che De Norri non se ne accorge. Per poi telefonargli nottetempo e spiegargli il resto. Peccato che nel corso di questa telefonata, qualcuno lo uccide. Le indagini di Enea e compagni si muovono al buio, e poi si infilano nel solco della truffa. Ma la realtà è di tutta diversa natura. Il truffato si chiama Marcello, ma il ragioniere, anche se non se ne accorge subito, ha sentito un nome diverso al telefono. C’è una strana cassetta con dei dettagli della vicenda recapitata al giudice delle indagini, che però viene fatto fuori con la stessa arma che ha ucciso Stari. E quando De Norri si sente male, e suo cognato viene a curarlo, l’assassino, facendosi passare per poliziotto si precipita a casa del ragioniere ed uccide l’ignaro cognato. Ma questa delle tre uccisioni è tutta l’altra storia, che verrà fuori e ben spiegata solo in quel riassunto che ho citato sopra. Per arrivare al vero colpevole ed alla sua miseranda storia. Polillo, poi, aveva fatto cominciare tutto da una partita di poker a casa di Castelli, dove erano presenti tutti i possibili colpevoli di tutte le vicende: Castelli il truffatore, Marcello il truffato, Stari il losco, il debole dottor Voretti, l’imbranato (ma lo è veramente?) Francesco. E su quella partita, per lunga pezza, l’autore cerca di portarci per sviare la nostra attenzione sulla vera natura della vicenda. Comunque una discreta lettura, se non fosse appunto per tutte quelle persone presenti, per tutte le vicende che si intrecciano e per qualche puntino che si è dimenticato di posarsi sulla sua propria i. Ma una lettura che, seppur con i dovuti meno, è sul livello di una buona sufficienza.
Elisabetta Bucciarelli “Ti voglio credere” Corriere della Sera 27 euro 6,90
[A: 16/05/2014 – I: 23/11/2015 – T: 26/11/2015] – && ––
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 285; anno 2010]
Avevo letto il precedente libro di Elisabetta Bucciarelli (che ha il grande merito di essere un Toro). Anche lì con al centro l’impronunciabile Maria Dolores Vergani. E se ben ricordate avevo espresso molti dubbi sulla resa del libro. Dubbi che non posso che ripresentare qui, e forse farli anche salire di tono. Perché, sebbene l’autrice sappia, da io-onnisciente, cosa voglia dire e fare nel suo romanzo, queste informazioni passano fino ad un certo punto all’io-lettore. Non dico che si debba sempre scrivere alla Sophie Kinsella. Ma neanche che si debba sempre aspirare ad un Joyce in minore. Qui si parla di vicende italiane, si parla di narrare il percorso interiore di una persona (la Vergani appunto), si parla infine di morti e/o forse di omicidi. Ed alla Bucciarelli non farebbe male una bella rilettura di Agatha Christie, per capire poi che al lettore qualche cosa bisogna concedere. Altrimenti finisce come il precedente libro, dove tutto rimane alla fine un po’ vago. E vago rimane qui, spalmato su questi 121 capitoli che ne compongono la trama, che vedete bene sono meno di 2 pagine e mezzo a capitolo. Quindi, spesso, immagini brevi, sensazioni. Che ho trovato slegate, che non avvincono alla fine. Certo si legge, si vorrebbe capire quale sia la verità, o le verità celate nelle vicende. Ma l’autrice non le spiega. O forse io non le ho capite. Sembra appunto che l’idea sia: mettiamo in scena una tranche di vita. Dell’ispettrice Vergani, sospesa dal servizio perché sospettata di omicidio volontario. Del fanatismo religioso che percorre come un brivido momenti di vita, spesso emarginati. Dell’anoressia che colpisce ed uccide. Unico elemento positivo, finalmente sappiamo quanto nel primo romanzo era rimasto non detto: la dottoressa Vergani era stata sospesa dalla professione di psicologa in quanto aveva sottovalutato le confessioni di un paziente, non ne aveva parlato con il suo “livello di controllo” (ogni psicologo ha un altro psicologo che ne controlla le attività), tanto che il paziente aveva ucciso qualcuno. Per rimettersi in carreggiata, Dolly entra in polizia. E risolve brillantemente il caso di alcuni ragazzi abusati in una zona di campagna. Lì, insieme, forse solo per localizzazione, ad uno dei genitori delle vittime, uccide la colpevole del dramma. Lei con una coltellata al ventre, ed il genitore con un colpo di fucile, sostenendo che la pazza stava aggredendo la Vergani, e lui ha sparato per difenderla. Il problema, grosso e che pervade tutto il romanzo, è che Dolly non ricorda, ha un buco nero della fase finale del dramma. E non vuole cedere a giustificazioni pietiste. Vuole la verità. Ed intanto viene sospesa e sottoposta agli arresti domiciliari. Nelle lunghe di Maria Dolores, appare e scompare misteriosamente Angelo, un ragazzo da lei curato quando faceva la psicologa. E, mistero su mistero, prima in provincia di Milano, poi sparse un po’ per l’Italia, appaiono “Tre croci”, come se nascessero tanti Golgota. In ciò s’intreccia anche la vicenda della questura, dove il sostituto della Vergani perde la testa appresso ad una ex-prostituta dell’Est, e viene promosso capo di tutte le indagini, l’ex-aiutante di Dolly, Achille Maria Funi. Questi, un po’ confrontandosi con il suo ex-capo andandola a trovare di notte, un po’ autonomamente, collega le croci alla morte di alcune ragazze anoressiche. Morte voluta (suicidio), provocata, morte quasi assistita. E tutte le ragazze erano in cura nella stessa clinica. Il cui proprietario, prima di essere arrestato, vola benignamente altrove. Ci si avvia ad un finale stanco e, al solito, aperto. Angelo si scopre essere morto da tempo (e non si spiega quindi perché compaia; forse è solo la mente di Dolly che sta andando in pappa). Dolly forse aveva avuto un incontro con un finanziere, ma non si capisce se ha consumato, se il fidanzato lo sappia, se … se… se! Ecco, abbiamo trascorso insieme a loro un pezzo di vita. Alla fine del quale li lasciamo, forse per un nuovo romanzo, in cui qualche altra verità uscirà fuori (visto che l’ispettrice Vergani alla fine decide che ha agito per legittima difesa). O forse li lasciamo e basta, che questa scrittura continua a non convincermi. Tanto che mi domando ancora come sia possibile che questo testo abbia vinto il Premio Scerbanenco, lui che scriveva sempre in modo che il lettore capisse cosa si stava dicendo.
“Si mente per far piacere al prossimo. Per non offenderlo. Perché non sempre è necessario dirsi tutto.” (92)
“Pink Floyd: together we stand, divided we fall.” [Insieme stiamo in piedi, divisi cadiamo.] (155)
Michele Giuttari “Il Basilisco” Corriere della Sera 29 euro 6,90
[A: 03/06/2014 – I: 26/11/2015 – T: 01/12/2015] – &&& –––
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 395; anno 2007]
Siamo quasi giunti alla fine di questa ponderosa collana, ed in questo penultimo romanzo ritrovo l’ex-capo della Squadra Mobile di Firenze, ormai dedicatosi a tempo pieno alla scrittura. Ne lessi quasi dieci anni fa il primo libro, che non molto velatamente, adombrava delitti che “assomigliavano” a quelli del Mostro di Firenze e dei suoi compagni di merende. Delitti sui quali Giuttari aveva indagato a lungo, e per i quali era entrato in un lungo conflitto giudiziario con gli stessi magistrati toscani. Me ne ricordo come un libro decente, ed una scrittura a giusti livelli di sufficienza. Ora anni sono passati, e ritroviamo ancora l’ispettore Ferrara anche lui cresciuto di livello, tanto che, poco prima dell’inizio del libro, insieme all'amica magistrato Anna Giulietti, ha inferto un duro colpo alla mafia siciliana in trasferta verso lidi più “sicuri”, come poteva (ma non è) la Versilia. Da questa premessa, si muove tutto il libro, questo sì ben ponderoso, che ha al suo centro la lotta alla mafia. Ma che non può, per la natura della scrittura e della vita stessa di Giuttari, dimenticarsi come alla Mafia ci si arrivi per connessioni non solo malavitose, ma anche e soprattutto politiche. Assistiamo così, prima allo scoppio di un potente ordigno che quasi uccide il nostro commissario. E mentre lotta per la sopravvivenza, un secondo ordigno manda in aria il magistrato. Si cerca in un primo tempo la pista politica (quando qualcosa scoppia vicino agli Uffizi è il primo pensiero), poi si imbocca il sentiero malavitoso. Pensando che il primo elemento che ha interesse alle stragi sia l’arrestato Salvatore Laprua, ora in quel di Sollicciano. Laprua che aveva cercato di scalzare il grande boss, Antonio Caputo, latitante da decenni. La narrazione spazia tra indagini, commenti in margine, e discussioni tra mafiosi siciliani (in una lingua ben conosciuta dal messinese Giuttari ma che non è quella a noi cara per via di Salvo & compagnia). Vediamo quindi Laprua aver paura di un boss nascente soprannominato “o’ lione”. E vediamo Caputo affidarsi ad una sua creatura, che non conosciamo ma che sappiamo essere introdotta in alti ambienti romani, detta “il basilisco”. Ferrara cerca di seguire filo dopo filo gli elementi probanti, ma tutte le persone che riesce a capire siano collegate alle stragi, una dopo l’altra, muoiono di morte violenta. Così come muore in carcere anche Laprua. Nelle indagini, entra di soppiatto anche la Digos (si pensava ad ambienti islamici) con il capitano Sermenti, ex-carabiniere, che con le sue indagini scopre altre pezzetti di verità, entrando in contrasto con le gerarchie romane. Per questo tornerà a Firenze, ai caramba, ed all'amore che vi aveva lasciato. Anche Caputo cade in trappola, e viene arrestato a fronte di una soffiata. Il tutto sembra concentrarsi in un mega traffico di scambio tra droga afgana, armi statunitensi e soldi nostrani. Con un mega trappolona che sembra essere organizzato dalla Digos, che i carabinieri seguono senza capirci nulla (beh, sono carabinieri). Il solo Ferrara si muove sul terreno con i piedi giusti. Ed avendo in testa quello che noi sospettavamo da molto. Il leone ed il basilisco non sono che due facce della stessa medaglia. Un solo manovratore che cerca di prendere il comando di tutto, nascondendosi, camuffandosi, facendo forse altro. Alla fine, Ferrara sgomina il groviglio, vendicando l’amica Anna. E rivelandoci il vero volto del basilisco. Ma la narrazione è stanca, piegata com'è alla ricerca di una lettura a chiave. Non è certo Giuttari che deve insegnarci che ci sono connubi tra Mafia e politica, tra malavita e servizi segreti. Ci si aspettava qualcosa di meglio da una persona che quei meccanismi (forse) ha ben visto funzionare e dal di dentro. Insomma, forse è meglio un ex poliziotto alla Gianni Simoni che magari vola più basso, ma a volte coglie aspetti quotidiani più “reali” di questa realtà che spesso sembra più una fiction da Canale 5. Premiamo comunque lo sforzo, e la facilità con cui si riescono a riempire quasi 400 pagine.
Antonio Manganelli “Il sangue non sbaglia” Corriere della Sera 30 euro 6,90
[A: 07/06/2014 – I: 02/12/2015 – T: 03/12/2015] – &&& ––       
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 269; anno 2013]
Ed eccoci giunti all'ultimo volume dell'infinta saga de “Il giallo italiano” del Corriere della Sera. Cominciata tanto tempo fa con una raffica di Scerbanenco, e poi proseguita, con alti e bassi, attraverso tanti autori italiani. Anche quest’ultimo è dedicato, come il precedente, ad un ex-poliziotto. Anche eccellente, e purtroppo, che per un male incurabile ci ha lasciato pochi anni or sono. Nel corso della degenza all'oncologico di Houston, Manganelli butta giù uno scritto, metà poliziesco e metà “memoir”, anche se un autobiografico trasposto nel tempo e nello spazio, per farne coincidere tratti salienti con il protagonista di questo romanzo, l’ispettore Gian Giacomo Galasso, detto Giovà da amici e parenti. E questo duplice binario fa andare un po’ su e giù anche il giudizio sul libro stesso. Che la parte più strettamente “poliziesca” non riesce mai a prendere, anche se ha un bel sussulto nel finale. Prende di più e fa riflettere la parte dedicata ai ricordi, con subito ed in primo piano l’amore che Manganelli ha per la sua professione, e per le persone che vi si dedicano con lo spirito alto come lui vi si dedicò (e con lui tanti altri, che en passant si colgono, con in prima fila, sempre e comunque, Falcone e Borsellino). Quindi, mentre il nostro Giovà cerca di scoprire chi possa essere l’assassino della baronessa Anna De Caprariis, passano in controluce anni ed episodi della vita di un poliziotto. La lotta a Palermo contro la Mafia. L’attentato che convince Giovà a ricollocarsi a Roma. Le mille piccole vicende che da capo della Squadra Omicidi nella Capitale inanella nel corso degli anni (rapporti con malavitosi che si muovono sul filo del rasoio tra luci ed ombre, spesso più miseri che colpevoli, barboni eccellenti, inchieste serrate). E mentre seguiamo le indagini, Manganelli ha modo anche di illustrare il funzionamento di una macchina che non è quella dorata e luccicante dei vari CSI, NCIS, Body of Proof e via elencando le serie di FoxCrime. È una macchina che necessita sì intuito, ma anche scartoffie. Che deve avere avalli dal procuratore di turno, sperando sia in sintonia con chi gestisce le indagini. Che si deve rapportare comunque al questore ed alla trafila burocratica sempre presente. E nella descrizione della sua squadra, Giovà-Manganelli infila due perle: il suo vice Bruno, attento a controbattere le sue pensate con il filo dell’ironia, e che con questo riesce ad essere di spinta verso i veri obiettivi, ed il sottoposto Alfredo, mite, buono, attento, e che per una distrazione finisce spanzato da un criminale di mezzatacca, lasciando l’amaro in bocca a noi ed a Giovà. Questa, come detto, la parte migliore. Poi c’è l’indagine, nel mondo dei benestanti, dediti a settimanali serate di bridge (questa mi sa che la so…). Dove l’indagine si restringe ben presto al “fuori di testa” Bernini, all'oncologo Lombardi, al nipote omosessuale Luchino ed al suo uomo Vincenzo. Il primo ossessionato dalla madre che, seppur morta, lui continua ad omaggiare come se fosse sempre in casa. Il secondo, tempo prima anche amante dell’ancor piacente Anna, ma da questa lasciato una volta scoperta una sua perversione nell'andare a sfruculiare coppiette che si appartano. Gli ultimi in cerca di denaro per aprire un commercio di restauratori di mobili antichi, anche se la zia non potrà lasciar molto in eredità. Nel corso delle indagini abbiamo punti che ogni volta fanno pendere l’ago accusatorio verso l’uno o l’altro. Quando Bernini si apparta con loschi figuri forse usurai. Quando si scopre il furto di una preziosissima collana della morta. Quando si scopre un’altra relazione del Lombardi con tal Laura, inopinatamente suicidatasi tempo prima. Tutti episodi che daranno modo a Manganelli anche di illustrare le modalità di indagine, gli interrogatori, l’uso degli informatori. Anche perché, di passaggio, Giovà ricorda una sua storia giovanile con la suddetta Laura. E tempestando un buon farmacista ed una signora romena, riesce ad incastrare Lombardi per la morte di Laura. E ritrovando la collana, e debellandone la ricerca di denaro facile, riesce ad incastrare, per la morte di Anna … Questo però non lo dico, leggetene pure. Come va letto il bel rapporto d’amore tra Giovà e la moglie Sabina, sempre pronta a sostenerlo in tutte le sue attività. E si sente l’amore dell’autore per la sua famiglia, neanche tanto in trasparenza. Insomma, un buon libro sulla vita di questura, un romanzo sbilenco come attrattiva verso la risoluzione di un caso giudiziario. E pur tuttavia, una discreta chiusura di una collana, ben partita a suo tempo, ed un po’ sperdutasi nel corso delle uscite.
“No, grazie, capo, non fumo mai al mattino.” (165)
Siamo ad aprile, senza pesci e senza (troppi) arieti, ed allora eccovi i miei libri di gennaio. Non tantissimi (grazie al viaggio cubano), ma neanche pochissimi. Certo, un inizio di anno in minore, con molti libri sotto media, fortunatamente “illuminati” dal buon libro di Romagnoli (“Solo bagaglio a mano”, un titolo, un programma!).

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Riccardo Bellandi
Lo spettro greco
Youcanprint
s.p.
2
2
David Benioff
La città dei ladri
Beat
9
3
3
‘Ala Al-Aswani
Chicago
Feltrinelli
9
2
4
Andrea Vitali
Di Ilde ce n’è una sola
Garzanti
9,90
2
5
Wilbur Smith
Il settimo papiro
TEA
6,90
2
6
Krishnananda & Amana
Fiducia e sfiducia
Feltrinelli
s.p.
2
7
Anne Perry
Tradimento a Lisson Grove
Mondadori
4,90
2
8
Gabriele Romagnoli
Solo bagaglio a mano
Feltrinelli
s.p.
4
9
Pieter Aspe
Sangue Blu
Fazi Editore
10
3
10
Agatha Christie
Assassinio allo specchio
Corriere della Sera
6,90
2
11
Agatha Christie
Sfida a Poirot
Corriere della Sera
6,90
2
12
Jean-Yves Ferri & Didier Conrad
Asterix e il Papiro di Cesare
Mondadori
12,90
3
13
Agatha Christie
Sono un’assassina?
Corriere della Sera
6,90
2

E mi sa che fino a giugno sarò qui a tormentarvi con le mie letture e con le mie lamentazioni viaggianti. Non stancatevene, che dopo ogni inverno c’è sempre un’estate. Per fortuna avremo una settimana illuminata da una riunione cubana.

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