domenica 17 aprile 2016

Prendiamoci un TEA - 17 aprile 16

Anche se non sono tutti e quattro della Tascabili Editrice & Associati, ma c’è un intruso, anche se di buon livello, mondadoriano. Una settimana al femminile, con il ritorno alla scrittura di Annamaria Fassio, che è sempre una scrittrice a me gradita, e ben tre prove di Alessia Gazzola, con una buona media, dove l’unica che si abbassa è il romanzo-racconto quasi “obbligato” alla scrittrice per cavalcare l’onda del successo. Come dico in fondo, da questo mese c’è anche una piccola novità, “per aiutarvi ad essere felici”.
Annamaria Fassio “L’oro di Sarah” Mondadori euro 4,90
[A: 07/08/2014– I: 25/09/2015 – T: 26/09/2015] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 212; anno 2014]
Dopo aver detto tutto il male possibile della collana costanzo-mondadoriana a valle della brutta prova di Stefano Pigozzi, eccoci alle prese con una nuova puntata della genovese dei gialli. Che risale immediatamente la china del leggibile e del godibile. Anche se … E certo, anche se, per noi assidui lettori dei suoi scritti, ci si trova un po’ spaesati con questo semi-prequel. Dopo otto libri (almeno quelli che sono in mio possesso), infatti, in cui si seguiva l’andamento temporale di Genova, della squadra mobile e delle vicende da decifrare, questo nono capitolo fa un salto all'indietro, riportandoci, come centro della vicenda, alla Genova del G8 e di tutti i problemi connessi. Capisco che ci voglia del tempo per guardare quelle vicende non dico con occhio distaccato, ma almeno con uno sguardo “più sereno”. E tuttavia, per noi seguaci del commissario Erica Franzoni, ci si trova leggermente spaesati. Non per la vicenda, su cui ritorno tra breve. Ma per il contorno. Perché negli anni narrati (in particolare il 2001 ed il 2002), Erica ha da poco finito una breve storia con l’agente Lo Pascio. Il vicequestore Maffina è ancora fidanzato con Annalisa, vecchia amica e compagna di studi di Erica. Ed a me che so l’evolversi della vicenda tutto ciò ha avuto un effetto spaesante, soprattutto all'inizio. Poi, ci si mette l’animo in pace, si guardano le date, e si dice: vabbè, abbiamo riempito un tassello mancante. E veniamo al testo, allora. Che ha una sua simpatica complessità. Durante gli scavi per realizzare le strutture che ospiteranno il G8, viene rinvenuto uno scheletro di ragazza quindicenne, che, dagli esami effettuati, si scopre essere residuo di un bombardamento avvenuto a Genova nell'agosto del ’44. In mancanza di lavori immediato, in questo agosto ’01, Erica si mette in testa di risalire alla storia dello scheletro, in questo aiutata (forse, o depistata) dal vicino di casa, Sam Lauria, un anziano, forse insegnante, sicuramente ebreo, e di certo a conoscenza di alcuni fatti accaduti in guerra. Non fosse altro perché, dice, aver abitato nel palazzo dove è stato ritrovato lo scheletro. E su questo filone, Annamaria procede con alcuni quadri dell’agosto ’44 molto vivi, descritti benissimo, e che rendono l’atmosfera particolare di Genova occupata dai tedeschi, il comportamento attendista degli ebrei, i tentativi personali della curia di prendere vantaggio della situazione, la vicenda personale di Padre Giovanni, ebreo convertito e seminarista, e del suo amico padre Giuseppe. La rovina della famiglia Blum, nonché la scomparsa della giovane Sarah. Ovviamente, è subito chiaro che sia di Sarah lo scheletro, ma a noi interessa capirne i risvolti con l’attualità. Che la nostra avvia su due binari: Maffina che è coinvolto nelle indagini su Piazza Alimonda e su Bolzaneto, Franzoni che si trova coinvolta invece negli appalti curiali gestiti da un avvocato per nulla simpatico. L’abilità della nostra, anche se con qualche lentezza, è di andar mescolando i vari piani. L’artigiano Caruso cerca un appalto dall'avvocato Finocchiaro, con un ricatto che lì per lì non capiamo. Ma capiamo che l’avvocato assolda un killer per uccidere Caruso. E poiché il ricatto sembra scottare, il killer fa fuori anche don Giuseppe. Che c’entra, direte voi? È che tutto pian piano si collega. Lo zio di Finocchiaro era Monsignor Della Porta, che si faceva intestare i beni dagli ebrei per poi aiutarli a fuggire. Ma spesso la fuga fallisce (connivenze? errori? ognuno dirà la sua). Così fanno sia i Blum che i Bologna. Ma anche con l’aiuto di Padre Giovanni, non riesce nessuna fuga. I Blum vengono uccisi al porto, meno Sarah di cui si troverà lo scheletro. I Bologna al confine con la Svizzera, meno il piccolo Simone, che, adottato di là dal confine, assume il nome di Caruso ed è il padre dell’artigiano. Che trova i documenti che segnalano la complicità di Della Porta e con quelli cerca di incastrare l’avvocato. Che fa uccidere il prete che sapeva dei collegamenti. Inoltre Caruso era stato malmenato a Bolzaneto, così che si crea un collegamento tra le inchieste di Maffina e Franzoni. Ci sono anche altre intrecci, tra agenti coinvolti nei pestaggi obtorto collo (leggi l’appuntato Ida, che troveremo meglio inserita nella squadra Franzoni in puntate precedenti di scrittura ma successive di temporalità) ed agenti che deviano. E sarà proprio Ida, rischiando del suo, a trovare l’ultimo bandolo che incastrerà finalmente Finocchiaro. In tutto ciò non si capisce che sia realmente Sam. Tuttavia nella creazione complessa della trama, Annamaria riesce a non far cadere troppi pezzi (forse il solo Sam) e maneggia tutto con piacere per il lettore. Forse con poca suspense. Ma è gradevole e scorrevole il leggere queste righe, soprattutto se lo si fa nella pianura padana, treneggiando verso Mantova, in una giornata altrimenti di grandi dispiaceri.
Alessia Gazzola “Un segreto non è per sempre” TEA euro 12 (in realtà, scontato a 10,80 euro)
[A: 05/05/2014– I: 10/10/2015 – T: 16/10/2015] - &&&  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 412; anno 2012]
La seconda puntata delle vicende della dottoressa Alice Allevi, che purtroppo prendono dalla prima puntata solo quel carattere di scrittura un po’ sincopato sui personaggi, accentuando la distanza con “il giallo”. Certo Alessia è capace di scrivere scorrevole, di non addormentarsi troppo sui personaggi. Tuttavia il tono generale sembra più alla “I love shopping” che “I read the corps” (per chi volesse entrare nella catena dei miei giochi di parole, leggere i cadaveri è quanto dovrebbero fare gli anatomo-patologi). Troppe citazioni di qualsiasi oggetto venga introdotto sulla scena che certo non aiutano la distensione (un biscotto Oreo sbocconcellato da Alice, il taccuino Moleskine di Calligaris; la borsa Vuitton Neverfull PM bramata da Yukino, il giaccone Fay di Claudio, fino alla boutique di Gucci dell’aeroporto). Altro dato ricorrente e fastidioso è la ridondanza di A. La protagonista si chiama Alice Allevi, la sua antagonista in reparto Ambra, il suo amore “controverso” Arthur, si indaga sulla famiglia Azais, il secondo cadavere è di Amelie. E visto che quando si prende la mano, ci si abitua, il suo amico ispettore è Calligaris, il suo nuovo possibile “love affair” Claudio Conforti, la sorella di Arthur è Cordelia. Basta! Cara Alessia, la prossima storia, cerca di usare una roulette per variare almeno le iniziali. E per fortuna che la storia ha degli spunti interessanti, anche se non vicinissimi alle storie gialle cui saremmo abituati. Che la narrazione s’intreccia con la scrittura, che molti personaggi sono legati allo scrivere ed ai suoi risvolti, personali ed editoriali. Questa seconda avventura della specializzanda in Medicina Legale, nasce dall'incontro con lo scrittore Konrad Azais, che i familiari vogliono interdire, in quanto vuole nominare erede del suo ingente patrimonio (derivato dai diritti d’autore di almeno un fortunato libro) la forse ignota Amelie Volange, figlia di un altro scrittore, ex amico di Konrad in gioventù, ma senza il suo successo. Il caso si complica, quando, pochi giorni dopo la perizia, Konrad muore. La nipote Clara dovrebbe (potrebbe?) aver visto tutto ma si trincera in un mutismo “da isteria”, come direbbero i manuali. Compare Amelie sulla scena, e compaiono i figli di Konrad. I genitori di Clara, Edoardo e Selina presso cui Konrad vive, Enrico, che vive all'ombra del padre senza riuscire a scrivere cose originali, Louis, l’imprenditore, che non vuole perdere l’eredità, Oscar, l’artista, vicino al temperamento del padre (grande appassionato di enigmistica, tanto che mi avrebbe fatto piacere presentarlo a mia madre). Alice si butta a corpo morto nelle maglie delle indagini, anche se sempre con quella sua aria “che ci faccio io qui?”. Intanto viene uccisa anche Amelie, che si scopre avere una relazione recente con Oscar, nonostante questi sia fidanzato con Vittoria. Ma Alice non demorde, nonostante Arthur sia lontano e forse non torni più (pare vada in Costa d’Avorio per qualche missione internazionale), nonostante la nuova perturbazione dovuta a Claudio ed allora loro forse incipiente relazione, nonostante Yuki (la sua simpatica coinquilina) voglia tornare in Giappone. Ed avrà le sue brave vittorie. Convincendo Clara a parlare, dimostrando che i due delitti, pur di persone vicine, derivano da due vicende “unite e disgiunte”. E sono commessi da due persone diverse. Una perché non riuscendo a scrivere come vorrebbe, decide di rubare uno scritto di Konrad, affrettandone la morte per non farsi scoprire. L’altra per evitare che Amelie sputtani Konrad dimostrando (come si capisce presto) che il libro che gli ha dato la fama è stato scritto da un altro. Come il giallo, anche l’universo sentimentale di Alice è perennemente in bilico, e forse a volte troppo preponderante, tanto da far temere più un’epigona di Bridget Jones piuttosto che di Kay Scarpetta. Resta tuttavia il rigore scientifico delle parti tecniche, che ho apprezzato, e le citazioni che ornano i capitoli. Molta simpatia, ma non troppa sostanza.
“È questo il potere supremo dei libri, il più grande tra i tanti, quello di riuscire a fondere le sensazioni di uno scrittore in un balsamo applicabile sull'anima di chi sta vivendo qualcosa di simile o magari qualcosa di totalmente diverso perché, alla fine, ognuno dà ai libri il significato che vuole.” (162)
“Ogni libro ha diritto ad una chance. E non esistono libri belli o brutti, perché non esiste un parametro vero per giudicare un libro. Esiste solo la soggettività.” (195)
Alessia Gazzola “Sindrome da cuore in sospeso” TEA euro 8,50
[A: 18/02/2015– I: 16/10/2015 – T: 18/10/2015] - &&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 160; anno 2012]
Un tentativo di prequel della vicenda “Allevi”, molto moscio, con un’inutile appendice di una storiellina o sogno della nostra dottoranda – dottoressa, che per pudore tralascio, dedicandomi alla già non troppo coinvolgente storia principale. Ogni serie ha diritto ad una puntata pilota, anche se qui, appunto, il termine corretto è “prequel”. Che già due libri sono usciti con al centro la nostra simpatica quasi beniamino. Tutte le storie, inoltre, onde ribadirne la validità, hanno piccoli inizi: da Alien a Terminator, dai superuomini di X-Men agli hobbit del Signore degli Anelli, per non tralasciare Star Wars ed il mitico, inarrivabile, Ritorno al Futuro. Ed in queste brevi pagine, la nostra Alessia cerca di spiegare come e qualmente Alice scelga la sua strada. Alice, fin dagli inizi, come ora che è ancora studentessa di medicina, non ancora specializzanda, ed ancora con più di un piede presso la famiglia che vive a Sacrofano (vicino Roma, e non lontano dalla mia amica Teresa), è la stessa Alice che abbiamo già incontrato quando sarà laureata e dottoranda. Piena di sbalzi d’umore, sbadata, ridanciana ed incosciente, quasi un’epitome del laureando con la sindrome di Peter Pan. Insomma, lì tra mamma e papà buoni e comprensivi, ed aiutata solo dalla nonna Amalia (molto simpatica, anche se purtroppo il suo nome comincia ancora con “A”), Alice è alle prese con un problema di fondo per la sua vita: si è resa conto, al quinto anno di università, di non essere tagliata per diventare medico, quindi si chiede cosa farà per non deludere i suoi genitori? Che cosa vorrebbe realmente fare della sua vita? Mentre si dibatte in questo dilemma, muore di morte violenta la badante russa della nonna. Già questo la porta ad avvicinarsi ai cadaveri. Incontro che si rivelerà fatale nel momento che, come medico legale, si presenta nientepopodimeno che l’affascinante dottor Claudio Conforti. Certo Conforti rimane sempre saccente e superbo, bello e impossibile come il protagonista di un fotoromanzo (e a me particolarmente odioso). Ma la sorpresa è la bella figura della nonna: immancabile come la Nutella, un bel romanzo e l'acqua calda, nota il tuo nuovo taglio di capelli, la gonna troppo corta della moglie del Sindaco, chi timbra il cartellino prima delle otto ore lavorative e chi ha una tresca clandestina con chi. Tenera e impicciona, ricoprirà un ruolo chiave nella prima indagine della sua confusa nipotina e nella scelta del suo imprevedibile cammino lavorativo. Mentre indaga e risolve il problema della badante (sul quale perdo poco tempo più avanti, che è un di cui di tutta la storia, che come detto serve a mettere le basi della futura dottoressa Allevi), la nostra Alice cerca casa lontano dalla cerchia familiare. Per non spendere troppo, cerca anche una coinquilina, trovando la simpaticissima Yukino, di cui impariamo ben presto i pindarici voli verbali e gli improbabili esperimenti gastronomici. Non mancano poi altri ingredienti che troveremo nei futuri romanzi: Marco e i suoi occhi da panda cerchiati di rimmel, la Wally, Silvia e via elencando, tanto per non farci mancare i richiami ai libri futuri. Intanto il libretto scorre: Tatiana ha un’amica, entrambe con problemi di figli illegali ed entrambe che si accompagnano a tipi poco raccomandabili. Soprattutto il manesco Filippo, che vorrebbe dare la piccola ai loschi Mancini. Alice riesce a far breccia su Belinda, a farsi raccontare tutto e risolvere anche questo poco intricato caso. Certo qualche sorriso distende le nostre facce, senza però rilassarle mai completamente. Forse i migliori spunti sono quelli che già rimandano ai precedenti libri, che conosciamo per cui vediamo la nascita dei futuri problemi della nostra pur simpatica Alice. Rimane però tutto un po’ sospeso, come il cuore di Alice. Vedremo come si andrà avanti, seguendo (forse) la scrittura della poco più che trentenne siciliana.
Alessia Gazzola “Le ossa della principessa” TEA euro 12
[A: 03/04/2015– I: 16/03/2016 – T: 18/03/2016] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 344; anno 2014]
Anche se continua ad avere un buon livello di scrittura, la nostra amica siciliana comincia ad essere un po’ ripetitiva. Ne avevamo avuto sentore negli altri scritti, dove, a parte il poliziesco in sé, che ovviamente cambia, il contorno tende a ripetersi con un po’ di monotonia, alla fine. Lo considero un libro di gradevole lettura e sufficiente presa, ma se Alessia si vuole alzare un po’ sopra la media deve inventare qualche nuovo elemento, qualche scatto in avanti, che qui, purtroppo, non troviamo. Forse l’unica novità è che comincia ad utilizzare anche altre lettere dell’alfabeto, avendo noi notato che nei primi libri continuava ad esserci una ripetitività delle iniziali. Certo, il professore si chiama Curreri (ancora la C), e la dottoressa in carriera Anita (sempre le A), ma il figlio del prof nonché giovane in carriera fa Daniel, anche se la madre, e moglie del prof, scivola su un poco inventivo Ella (tre lettere in sequenza). Fortuna che la morta questa volta si chiama Viviana Montosi. Dicevamo del contorno sempre un po’ uguale. Alice è sempre tra l’imbranato ed il molto scaltro. Si trova sempre sospesa tra l’amore impossibile con Claudio, il bel dottore nonché suo superiore, e il sentimento senza sbocchi con Arthur, che gira il mondo e mai si ferma. Alti e bassi, un colpo alla botte ed un al cerchio, ma si rimane lì, magari piangendo per le brutte figure rimediate e le belle figure non andate in porto. C’è ancora la coinquilina Cordelia, anche se rimane sempre un po’ sullo sfondo, e che non riesce a prendere, sentimentalmente, il posto della precedente, la giapponese Yukino dal bell'italiano improbabile. Aumenta anche se di poco, invece, il peso del commissario Calligaris, con il quale Alice collabora sempre più da vicino (e vuoi vedere che troverà il modo di coinvolgerla prima o poi in modo ufficiale in qualche indagine futura?). Le due trame che invece reggono l’ossatura del libro, sono una, finalmente, che movimenta la vita dell’Istituto, dove scompare Ambra, l’Ape Regina. La scomparsa dà modo ad Alice di ripensare al suo rapporto con gli altri, a come ha visto, sino ad ora, Claudio (che a me continua a non essere tanto simpatico). Alessia tenta di sviluppare una trama su quel versante, ma, accortasi della poca libertà di manovra, ne imbastisce una nuova, più promettente. Tanto che Ambra entra ed esce dalle parole del racconto, fino a scoprirsi umana, più di quanto pensasse Alice. La ritroveremo, anzi la ritroveranno, in un posto inaspettato, pronta a prendere la propria vita in mano, e dando modo ad Alice di riflettere sulla sua, di vita. Da quell'inizio di scomparsa, invece, andiamo a trovare una vera morta, la Viviana di cui sopra, dottoranda in archeologia, scomparsa sette anni prima, ed ora ritrovata per gli scavi di qualche costruzione. Trovata in posizione fetale, con una corona di plastica accanto ed una moneta in tasca. Già capiamo che deve essere stata una sepoltura rituale, per cui, benché la nostra scrittrice tenti a piè sospinto di inserire qualche dubbio verso stalker e compagnia cantante, noi non ci discostiamo dall'ambiente lavorativo. Anche perché, Viviana era appena tornata da una lunga permanenza, insieme al gruppo di ricerca del professor Curreri, in Terra Santa. Anzi, per la precisione, a Gerico. Inciso: sentire di nuovo parlare di Gerico, di Gerusalemme, di Palestina, e perché no, anche di Tel Aviv, mi ha messo addosso una voglia di tornare laggiù. Mi manca quella terra martoriata, cui sono legato da tanti viaggi, e dove non mi stancherò mai di tornare. Lì c’era stata competizione, che Viviana ed Anita erano in lotta per un unico posto nel Dipartimento di Archeologia. Lì c’era stata la sbandata di Viviana per Daniel, il figlio del prof, bello e stronzo, che la usa per la sua di carriera, illudendola un po’, benché già fidanzato. Forse poteva cambiare qualcosa, ma la scomparsa di Viviana lascia a Daniel campo libero sulle scoperte comuni, attraverso le quali farà una luminosa carriera. Come farà carriera Anita, rimasta sola per il posto, cui tendeva anche perché era l’amante del prof. Tanti quanti sono i sospettati per aver inscenato la scomparsa: Anita per il posto, Daniel per le ricerche, il professore perché Viviana poteva svelare la sua tresca con Anita e togliere lustro al figlio, Ella perché sospettava che Viviana fingesse di star vicino a Daniel, ma fosse lei l’amante del marito. Certo non vi dirò come e qualmente la nostra Alice, leggendo tabulati, guardando scarabei e pensando molto troverà la triste soluzione della vicenda, forse un po’ sottotono rispetto alle aspettative, ma logica conseguenza delle premesse. Tre buone serate di lettura, accompagnato dal sax di Garbarek che dava un tocco di nordica calma alle calde vicende mediorientali. Aspettiamo ancora la prossima lettura del successivo romanzo, sperando che Alessia (e Alice) facciano qualche scatto in avanti. Per ora, ripeto, un’onesta sufficienza.
“Non è vero che i bei ricordi consolano, anzi. Non sono un caldo rifugio durante le avversità, balle. I bei ricordi tormentano, perché non torneranno.” (200)
“In Giappone diciamo: domandare non costa che un istante di imbarazzo, non domandare è essere imbarazzati per tutta una vita.” (313)
Come sopra preannunciato, questa settimana abbiamo la novità dei “libri per essere felici”. Una simpatica iniziativa nata dal libro compendio di Giulia Fiore Coltellacci che continua il solco delle libro-terapie iniziate ormai da due anni. Mi ha colpito per quell'incipit che non posso non fare mio (citando Montesquieu: “Non ho mai avuto un dolore tale che un’ora di lettura non abbia dissipato”). E vi segnalo lo scanzonato viaggio che ne descriviamo, intorno a Flaubert.
Per il resto, non si viaggia avventurosamente, si legge disordinatamente e si abbracciano tutti i miei amici.

I LIBRI CHE CI AIUTANO A VIVERE FELICI di Giulia Fiore Coltellacci con i commenti di Giovanni

APRILE 2016
I primi libri che affrontiamo servono a curare, risollevare, alleviare gli acciacchi del cuore (che sempre da lì si parte). Partiamo quindi con le cure per il mal d’amore, che prevedono una lunga serie di terapie.

TERAPIE D’AMORE

MADAME BOVARY di GUSTAVE FLAUBERT (1856)

Pillole di trama
Emma è una bella ragazza di buona famiglia che accetta di sposare il mediocre medico di campagna Charles Bovary. Imbottita di cattiva letteratura sentimentale, inquieta e insoddisfatta, sogna un grande amore che la salvi dalla sua noiosa vita e dal suo banale matrimonio, che neanche l’arrivo di una figlia riesce a risollevare. La brama di un focoso amante si materializza nell'infatuazione per il giovane Léon. Quando lo studente si trasferisce, Emma si consola con il ricco Rodolphe che, però, la scarica non appena intuisce che la donna vuole qualcosa di più di un’avventura. Emma si deprime e il marito, cornuto ma paziente, la assiste da bravo medico. Ma la cura migliore per la depressione della protagonista risulta essere il buon vecchio rimedio del “chiodo scaccia chiodo”, ovvero un’altra relazione. L’occasione si presenta quando riappare sulla scena Léon che, però, si stanca presto dell’opprimente Madame Bovary e l’abbandona senza troppo problemi lasciandola al verde e piena di debiti. Emma torna dal marito che l’accoglie ancora e la perdona (cornuto due volte e paziente fino alla stupidità), cercando di curarla quando si ammala di una profonda depressione che porterà lei al suicidio e lui alla bancarotta e poi alla morte.
Supposta-saggezza
“La sua vita era fredda come una soffitta che ha il finestrino volto al nord, e la noia, come un ragno silenzioso, filava la sua tela nell'ombra, in ogni angolo del suo cuore”. Con queste poche parole Gustave Flaubert individua con una chiarezza abbagliante il dramma di Emma Bovary, quella noia e quell'insoddisfazione che la porteranno alla rovina. Con la stessa frase si può spiegare anche cosa rende questo romanzo, i cui protagonisti sono senza possibilità d’appello tutti negativi, anzi peggio, meschini e mediocri, una lettura ammaliante che si attorciglia al cuore del lettore come una ragnatela, intrappolandolo dalla prima all'ultima riga. Pur biasimando la capricciosa, immatura e superficiale Emma per tutta la storia fino al tragico epilogo, non si può far a meno di provare un certo disagio dovuto alla consapevolezza che ci si potrebbe ritrovare ad agire come lei e per le sue stesse ragioni. Chi, infatti, annoiato, insoddisfatto e intrappolato nella propria claustrofobica routine quotidiana, non si è ritrovato a desiderare una romantica o avventurosa via di fuga? Chi non ha mai aspirato a una grande e appassionata storia d’amore come quelle dei romanzi o dei film? E quanti non hanno cercato nell'adulterio quella scappatoia e quella scossa tanto vagheggiate? Lo stesso Flaubert, impietoso nel suo realismo innovativo ma mai giudice dei suoi protagonisti, disse «Madame Bovary c’est moi». Ma se l’aspirazione di Emma a una vita diversa, migliore e piena è perfettamente condivisibile, non lo sono il suo atteggiamento infantile e il carattere volubile che la rendono incapace di cambiare davvero la sua condizione. È una creatura che scalpita rimanendo sempre ferma perché, in realtà, non sa dove andare e non sa cosa vuole davvero, reputa la sua vita banale senza accorgersi che è lei a essere banale, scambia il fascino del proibito e della clandestinità che avvolgono l’adulterio con i brividi del desiderio, crede di voler vivere intensamente ma in realtà vorrebbe solo una vita avventurosa e piena di passione come le eroine romantiche dei romanzi che legge, è incapace di veri slanci e si limita ad aspettare un uomo che la salvi dalla sua vira. Anche il melodrammatico suicidio non è una presa di posizione ma un’ulteriore via di fuga. Nel film Insonnia d’amore, Nora Ephron centra con una battuta fulminante il problema che affligge le donne come Emma: «Tu non vuoi essere innamorata, vuoi essere innamorata in un film». Sostituite la parola “film” con “romanzo” e tutto torna.
Se Emma è superficiale e immatura, perfino nel suo modo di concepire l’amore che immagina come «un grande uccello con le ali colorate di rosa» (no dico, con le ali colorate di rosa!!!) gli uomini non fanno una figura migliore. Sono tutti miseri nella loro grettezza: il marito è ottusamente accondiscendente e finisce per fare male pensando di fare bene, mentre gli amanti godono finché c’è da godere e scappano quando intravedono che «non sarà un’avventura» e la situazione si fa appiccicosa. Ma è proprio questa la grandezza rivoluzionaria del romanzo di Flaubert: l’impietosa rappresentazione dell’umana stupidità e il coraggio di descrivere quell'assenza di sentimenti sinceri, di coraggio e di verità che rende misera la vita. In Madame Bovary non ci sono eroi positivi né negativi, ma fanno il loro ingresso in letteratura i mediocri, i grigi e i gretti. Fa il suo ingresso la realtà dell’uomo moderno.
Posologia
Come riportato nel dizionario Hoepli, il bovarismo identifica l’«atteggiamento di chi si ritiene diverso da quello che è, costruendosi un mondo immaginario nel quale proietta desideri e frustrazioni che nascono dall'insoddisfazione per la propria condizione reale». In forma più o meno lieve questa patologia colpisce con estrema facilità tutti i soggetti caratterizzati da una spiccata tendenza a fantasticare che si sentono prigionieri di una vita banale. In sostanza, tutti gli inguaribili lettori romantici ne sono potenzialmente affetti. D’altra parte, a quanto dice Daniel Pennac in Come un romanzo (che trovate nel kit di pronto soccorso per lettori scettici), oltre a essere una malattia testualmente contagiosa e piuttosto diffusa (generalmente si tende a vederne affetti sempre gli altri e mai se stessi) il bovarismo è uno dei dieci diritti imprescrittibili del lettore e a grandi lince si identifica come «la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’identificazione che diventa totale e il cervello che prende (momentaneamente) le lucciole del quotidiano per le lanterne dell’universo romanzesco. .. È il nostro primo stato di lettori». In sostanza, il bovarismo è come il colesterolo: entro certi limiti la sua presenza è fondamentale per il nostro organismo perché necessaria al funzionamento del sistema nervoso, ma se i suoi livelli raggiungono quantità eccessive può rappresentare un pericolo per la salute del cuore. Esiste il colesterolo/bovarismo buono, che mantiene pulito il sangue, e quello cattivo che invece ostruisce le arterie provocando il rischio d’infarto. Madame Bovary consente di regolare i livelli di colesterolo nel sangue, mantenendo il giusto equilibrio tra bovarismo buono e bovarismo cattivo. Alla formazione dell’ipercolesterolemia contribuiscono fattori genetici e un’alimentazione troppo ricca di romanzi rosa (o film sentimentali). Vladimir Nabokov scrisse che Madame Bovary è morta ammazzata dai brutti libri e Flaubert lo conferma quando racconta la passione di Emma per quei romanzi in cui ci sono «sempre amori, amanti maschi e amanti femmine, donne perseguitate [...] tenebrose foreste, tumulti del cuore, giuramenti, singhiozzi, lacrime e baci, barchette al chiaro di luna, usignoli nei boschetti, eroi forti come leoni, dolci come agnelli, virtuosi come non era possibile essere, sempre ben vestiti, sempre pronti a piangere come fontane». Di conseguenza Madame Bovary contrasta anche i rischi della cattiva letteratura.
Oltre a essere un farmaco efficace nel trattamento di patologie del sistema nervoso e gravi malattie cardiache che, logorando lentamente cervello e cuore, si rivelano più dolorose di un ictus o di un infarto fulminante, il romanzo è anche un valido complesso vitaminico. In caso d’insoddisfazione esistenziale, infatti, le vitamine del gruppo B(ovary) consentono di trasformare il desiderio di novità in azione, metabolizzando l’insoddisfazione e gli zuccheri in energia necessaria al cambiamento per non rimanere sul piano inclinato della fantasia con il rischio costante di scivolare verso un’immobile infelicità come quella di Emma.
Un altro effetto del libro è quello di depurare l’organismo dal falso e nocivo concetto che prima o poi arriverà qualcuno a salvarci dalla nostra frustrazione. Nessun uomo salva Emma e il deus ex machina è un’invenzione da tragedia greca perché nella vita vera tocca fare da soli. Tutt’al più, se siamo fortunati, possiamo incontrare qualcuno che ci dà una mano, ma non ci adagiamo nella speranza che arrivi Richard Gere a sollevarci dallo squallore della nostra condizione come nel finale di Ufficiale e gentiluomo. Che poi, detto fra noi, se proprio dobbiamo sognare un finale da film, è meglio quello di Pretty Woman, almeno in quel caso Richard è pure miliardario.
Effetti collaterali
Vista la fine di Emma potreste diventare intolleranti ai romanzi rosa, suggestionati dalla paura che possano avere un’influenza negativa sulla vostra visione dell’amore e della vita. Ma, come nel caso delle intolleranze alimentari, sarebbe sbagliato eliminare del tutto l’elemento di disturbo. È più opportuno distinguere tra la letteratura cattiva, letale quanto un veleno, e quella buona, sana, genuina e priva di ingredienti contraffatti. D’altra parte, privandosi del tutto del romanticismo si rischia l’apatia emozionale, una malattia da evitare come la peste. In caso di sovradosaggio di letteratura sentimentale, potete sempre attutire gli effetti con una somministrazione di Madame Bovary.
Terapia cinematografica sostitutiva
Da Jean Renoir a Vincent Minnelli fino a Claude Chabrol, sono tanti i registi che non hanno resistito al fascino del romanzo. Ma dal momento che la cura letteraria è piuttosto forte (basti pensare che Flaubert fu accusato di oltraggio alla morale per la condotta della protagonista), consiglio di renderla più digeribile abbinandola alla visione di una commedia leggera che si diverte a giocare con il romanzo: Gemma Bovery di Anne Fontaine. Tratto dal fumetto di Posy Simmonds, il film francese del 2014 rende a Gustave Flaubert pan per focaccia, mostrando come anche un capolavoro come Madame Bovary possa fare danni. Martin è un intellettuale parigino che da anni si è trasferito con la moglie in un villaggio della Normandia riciclandosi come panettiere. Tra le sue letture preferite, c’è proprio il romanzo di Flaubert. Quando scopre che i nuovi vicini si chiamano Gemma e Charlie Bovery, la sua fantasia si sbizzarrisce, ma le sue fantasticherie meta-letterarie provocheranno non pochi guai.
Un consiglio in più
In caso d’insoddisfazione acuta, astenia emotiva e carenza di interessi, si consiglia di rafforzare la cura con Gli indifferenti di Alberto Moravia. Si tratta di una vera e propria terapia d’urto per ritrovare la volontà e la capacità di slanci vitali. Noia, ansia di vivere e incapacità di scelte autentiche che si traducano in vere svolte caratterizzano gli apatici protagonisti di questa insuperabile rappresentazione di come il benessere possa produrre malessere, la mancanza di volontà condannare all'infelicità e l’indifferenza tradursi in uno dei peggiori mali del mondo. Leggere Gli indifferenti è un ottimo rimedio per combattere queste malattie velenose e silenziose, troppo spesso sottovalutate. Il leggero senso di nausea provocato dall'indifferenza dei protagonisti è il sintomo che la cura sta facendo effetto.

Commenti

Ho letto (ebbene sì lo confesso, l’ho fatto!) Flaubert prima di cominciare le mie trame “matte e disperatissime” (vedi Alfieri), quindi non ho commenti su di lui. Ma nel nostro periodo di vicinanza, fino a che non vogliate andare per la vostra strada, ho invece letto Moravia.
Alberto Moravia “Gli indifferenti” Repubblica Novecento euro 4,90
[pubblicato il 20 maggio 2012]
Non mi ero mai cimentato in un romanzo di Moravia (solo qualche racconto e resoconto di viaggio). E devo dire che avrei fatto bene a continuare con la mia crassa ignoranza. Ma si sa, quando ci si mette in testa che ci sono libri che vanno letti, noi testardi tori, difficilmente ci tiriamo indietro. Ma dopo aver letto quello che viene considerato una pietra miliare della sua produzione (e poi ci torneremo sui perché di tutto ciò) capisco e concordo con le motivazioni dell’Accademia svedese che mai volle concedere il Nobel al nostro (che etichetta le opere di Moravia come pervase da una generale monotonia). Ed in effetti, mi sono decisamente annoiato a seguire le vicende di Mariagrazia e dei suoi due figli Michele e Carla, nonché del suo amante Leo e della sua amica Lisa. Certo sono passati più di ottanta anni, e la vicenda è funzionale al momento storico in cui è stata scritta ed ambientata. Ed inoltre Moravia ha 22 anni quando la scrive, nel pieno del giovanile ardore. Ma mi fa l’effetto come credo farà verso la fine di questo secolo se qualcuno si mettesse a leggere 3MSC. Monotono, scontato, pieno di descrizioni inutili, pesanti, tanto per riempire la pagina. Con personaggi che sì sono “indifferenti”, ma tuttavia lo sono anche per me. Non mi hanno mai coinvolto, in nessun sentimento. Perfino di odio, che almeno è un sentimento forte. I tormenti di Michele mi sono altamente indifferenti, così come il suo modo di incartarsi intorno alle parole ed alle azioni che pensa di compiere e non compie. Le angosce stralunate di Carla che per noia, per indifferenza finirà (forse) per far del male alla madre, ma che lo fa senza dubbio a sé stessa. La paura di invecchiare delle signore di una cera età, che in modo diverso cercano di esorcizzarla: Lisa pensando che un amante giovane possa ringiovanire la sua carne e Mariagrazia cercando i modi per tenere legato a sé l’amante vecchio. In un certo senso, è quasi più comprensibile il personaggio, tutto in negativo, di Leo. Che si abbarbica come una cozza gigante alla famiglia della sua amante, ne succhia i soldi e le proprietà, finendo per divorare anche la giovane Carla, quella che “potrebbe essere sua figlia”, che ha visto crescere, e che ora vuol far preda della sua cupidigia. Questi sono i cinque personaggi, che in una Roma senza tempo, ma ben collocato nel tempo dello scrivere, riempiono di nulla le quasi trecento pagine. Dall'intreccio così tipicamente “alla Invernizio”: Leo era l’amante di Lisa, che però non è particolarmente ricca; Lisa è amica dall'agiata Mariagrazia; Leo lascia Lisa per Mariagrazia, ne foraggia la vita, prendendo pian piano in cambio i possedimenti, la casa, insomma tutto, tanto che in una decina di anni si ritrova padrone di tutto; talmente padrone (e stufo dell’ormai cotta amante) che decide per la carne fresca della di lei figlia Carla; Carla che aspetta un inopinato principe, ma che decide di darsi a Leo “tanto per vedere se succede qualcosa”; e Michele che osserva tutto questo disfarsi, pensando dentro di se di ribellarsi, riempiendosi di parole, di fatti non fatti, ma finendo (forse) solo nel letto di Lisa. E il girotondo continua (anche se Schnitzler è ben altra cosa). Su queste dieci righe il nostro Moccia d’antan costruisce pagine su pagine di un nulla monotono. Privo anche di quella pulsione erotica che almeno darà un senso alle sue opere successive (ma anche qui di un erotismo vacuo che non incide né in sé stessi né sulla società, come in altre righe commentano sempre gli Accademici svedesi). Certo, se lo si colloca nel tempo della scrittura, forse ha più frecce al suo arco. Il ritratto della vuota borghesia fascista che corre verso il nulla (o forse cammina, che già correre è un’attività propositiva) potrebbe dare un senso allo scritto. Ma per essere degno di ricordo e lettura, deve possedere qualità che lo rendono vivo e fruibile, anche al di là del tempo dello scritto (così come il poco successivo temporalmente e contemporaneamente letto libro della cripta dei cappuccini di Roth). Non si può leggere uno scritto e reputarlo degno di nota soltanto in una prospettiva storica. È ovvio che questo può dare un piacere intellettuale. Ma privo del sostegno di una scrittura affascinante, rimane nella testa, senza scendere in nessuno dei cinque umani sensi che ci fanno apprezzare ed amare la scrittura. Quella che, quando succede, si colloca fuori dal tempo e dentro il nostro cuore. Non così Moravia. E penso che non ci ritornerò più.

Finalino


Come prima uscita, direi che la giovane Giulia Fiore si sta comportando benino. Una buona sintesi, alcuni commenti ben diretti. E, soprattutto, il gioiellino di “Gemma Bovery”, che vi consiglio di cercare e di vedere al più presto.

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