Siamo alla penultima infornata
dell’estesa lettura cronologica dei libri di Agatha Christie. Dove, forse fino
alla noia, continuo a ripetere e ribadire gli assi portanti che mi ritorna la
sua scrittura. Buoni libri con protagonista Poirot, sufficienti quando passiamo
a Miss Marple, in calando sia sui racconti che su libri con altri attori alla
ribalta. E questa settimana andiamo in rapida discesa da un più che
interessante Poirot, scendendo di librini in librini fino al quasi scarso libro
con streghe finale.
Agatha Christie “Dopo le esequie” Corriere della Sera 7 euro 6,90
[A: 15/09/2014– I: 19/10/2015 – T: 21/10/2015] - &&&&
[tit. or.: After the
Funeral; ling. or.: inglese; pagine: 237; anno 1953]
Per fortuna, con questo
ventunesimo libro della serie torniamo ad Hercule Poirot e ad uno dei romanzi
più intriganti della nostra Signora. Dopo tanti libri, infatti, i suoi
meccanismi sono abbastanza noti e, non dico, prevedibili, ma quanto meno
decrittabili durante la lettura. Qui, abbiamo un nuovo colpo d’ala, nella
risoluzione del problema “giallo” che mi ha fatto innalzare di colpo il numero
di libricini di gradimento. L’impianto generale, infatti, ricalca ancora i
classici di Agatha: uno o più persone che muoiono ed un numero limitato, seppur
discretamente numeroso, di persone sospettabili. Nonché, un terzo del libro per
preparare l’ambiente prima che intervenga il “formidabile” Poirot, che alla
fine, con scioltezza, risolve il caso. Qui si comincia con la morte del ricco
Abernethie, ultimo degno erede di una facoltosa famiglia, che divide equamente
la sua eredità tra i famigliari rimasti. I quali, chi più chi meno, hanno
bisogno di denaro, e potrebbero aver “affrettato” il decesso. Abbiamo allora il
fratello Timothy, ipocondricamente malato, ma che si alza spesso dalla sedia a
rotelle, con la moglie Maude, energica e volitiva. Hanno una grande magione in
rovina, hanno mangiato gran parte del patrimonio, ed hanno bisogno di soldi per
mantenere il loro pur non elevato tenore di vita. Timothy è inoltre geloso del
successo del fratello, e Maude farebbe qualsiasi cosa per compiacerlo. Abbiamo
Helen, la vedova dell’amato fratello Leo anzitempo morto, che ha una sua vita
segreta in quel di Cipro, anche lei con evidenti bisogni economici, senza che
si riesca tuttavia a comprenderne i motivi. Abbiamo la sorella Cora, che fuggì
in gioventù con uno scalcinato pittore, e da più di trenta anni non è compresa
nelle cerchie familiari. Sempre un po’ svampita (almeno sembra), ormai vedova,
dedita ancora a pitturine di maniera, vivendo ritirata con la fedele ancella
Gilchrist. Ancella che l’accudisce, vergognandosi un po’ del suo ruolo
subalterno e che spera, prima o poi, di aprire una sua attività autonoma (anche
qui ci sono di mezzo i soldi, ovvio). E poi ci sono i giovani, i nipoti.
George, single e dedito a investimenti per lo più sballati, ultimamente in
grande ambasce anche per aver stornato dei soldi dei suoi clienti, ed averli
persi. La nipote Susan, anche lei sulle orme della zia Cora, che fugge per
sposare uno strano tipo di farmacista con molte turbe psichiche (è stato anche
ricoverato in una struttura assistita per aver quasi avvelenato una cliente con
l’arsenico). Susan assurdamente innamorata, che vorrebbe una parte del
patrimonio per poter avviare un’attività autonoma che faccia felice l’infelice
marito. E la nipote Rosamund, attrice di tante idee ma di scarsa riuscita,
sposata ad un attore, Michel, bello e pieno di altre donne. Rosamund con
bisogni economici per poter comperare i diritti di una commedia, e metterla in
scena con e per il marito. Dopo il funerale (questo il titolo originale) del
vecchio, tutti raccolti nella casa avita, assistono alle “solite” stramberie di
zia Cora, che butta lì una frase (“Ma non è stato ucciso?) che germoglia nella
coscienza di ognuno, lasciando vari segnali. Il più forte nell’amico notaio,
che rinsalda questo seme quando, pochi giorni dopo, Cora viene assassinata a
colpi di accetta nella sua casa, mentre la Gilchrist era fuori per commissioni.
Da questo punto in poi il notaio ingaggia Poirot, che prima ragiona sui fatti,
poi indaga (con una figura che abbiamo già visto in altri romanzi, una specie
di concentrato anziano degli “irregolari di Baker Street” per chi si ricorda di
Sherlock). Poirot ha due “fulmini” che faticano a far breccia nella sua
coscienza. Il primo è che molti, Helen in testa, gli confessano di aver sentito
una nota stonata durante il famoso party dopo il funerale, ma prima
dell’infausta uscita di Cora. Il secondo legato ad odori (di oli e tele) o alla
loro mancanza (di fiori di plastica). Anche qui, l’andamento ricalca la solita
trafila. Ci si avvicina a cerchi concentrici alla soluzione. La Gilchrist viene
quasi avvelenata da una torta quando Susan la va a trovare. Helen viene colpita
al capo mentre sta per rivelare al notaio di aver scoperto la nota stonata
guardandosi allo specchio. E qui nelle ultime pagine, il tocco “magico” della
Signora. Mentre tutti guardano il dito che indica la luna, Poirot ci svela la luna.
Ci svela che il ricco Abernethie è morto di morte naturale, e che il vero
mirino dell’assassino era Cora, che aveva trovato un quadro manierista da un
antiquario, e che non aveva capito (ma altri si) che era un piccolo Vermeer. Da
qui si dipana tutta la storia, con questo tocco di imprevedibilità. Si poteva
capire che i quadri, gli oli e le tele erano parte della soluzione, ma il
bandolo è sciolto in maniera imprevedibile, con quell’insistere sullo specchio
che è veramente magistrale. Una nuova prova di alto livello (e come non poteva
essere altro, guardando la data di pubblicazione…).
“Ciò che una donna vede in un uomo era al di là della comprensione di
qualsiasi maschio mediamente intelligente. … Una donna intelligente può
trasformarsi in una stupida davanti a un particolare uomo.” (57)
Agatha Christie “Istantanea di un delitto” Corriere della Sera 9 euro
6,90
[A: 05/02/2015– I: 25/10/2015 – T: 27/10/2015] - &&&
e ½
[tit. or.: 4.50 from
Paddington; ling. or.: inglese; pagine: 285; anno 1957]
Non sono d’accordo con molta
critica che ritiene questo un passaggio minore delle storie di Miss Marple,
sostenendo, a torto, che la soluzione al giallo sia “caduta dall’alto”, come
non avviene mai in Agatha. Sostengo sempre che Miss Marple non sia all’altezza
di Poirot, ma questa storia ha un suo fascino, nella coralità, nell’impianto,
ed anche nella soluzione che, a ben vedere, è ipotizzabile, anche se, questo è
vero, non del tutto lineare. Inoltre, è uno dei romanzi che alla nostra Signora
viene in mente già costruito, infatti Miss Marple è presente fin dalle prime
battute, dando il via ad una serie di avvenimenti, lei assente, che porterà al
momento cruciale. Quando la nostra “anziana signora” si ripresenta sulla scena
e scoglie il mistero. Il tutto comincia con una particolare avventura di
Elspeth McGillicuddy, amica di villaggio della nostra Jane. Tornando dalle
spese natalizie al natio villaggio in treno, Elspeth vede nel treno al suo
affiancato una persona alta e bruna strangolare una donna. Allarmata avverte ferrovieri
e polizia, ma solo l’amica Miss Marple le dà retta, ritenendola incapace di
inventare una tale storia. Ma se omicidio c’è stato, non si trova il corpo, non
si ha notizia di sparizioni, tutto sembra perdersi nelle brume inglesi. Qui
esce fuori l’ingegno di Miss Marple, che, studiando il percorso del treno,
ipotizza il lancio del corpo ad una curva, con conseguente occultamento del
cadavere prima del giorno successivo. Ma come provarlo? Il luogo è la residenza
avita della famiglia Crakenthorpe, e per introdursi nel maniero, Miss Marple
trova l’ingegnoso stratagemma di ingaggiare una specie di “governante a tempo”,
la bella ed efficiente Lucy. Laureata in matematica, amante dell’ordine, tenace
organizzatrice di ménage familiari, è una “family assistant”, ben nota e ben
pagata. Riesce a convincerla (dietro lauti compensi, ovvio) a dedicarsi al
problema, e riesce a convincere la famiglia del maniero a servirsene. Una
famiglia in decadenza, e legata da strani intrecci testamentari. I soldi li
fece nonno Jason, con una fabbrica di biscotti. Scontento del figlio indolente
Luther, nel testamento lascia i suoi soldi ai figli di Luther, che ne
beneficeranno alla morte del vecchio, ed a Luther lascia una rendita, mentre la
casa e tutte le proprietà vanno all’erede maggiore in vita. Dei figli abbiamo
Edmond, morto in guerra a Dunkerque; Cedric, l’artista, che vive a Ibiza, fa il
pittore, e fa finta di disdegnare i soldi, anche perché è il maggiore dei
figli; Harold, dedito a speculazioni finanziarie che stanno andando a rotoli e
con urgente bisogno di liquidi; Arthur, dedito a traffichi e mezzucci per
sbarcare il lunario, sempre sull’orlo della galera, ed anche lui discretamente
bisognoso; Edith, la prima femmina, morta anch’essa, sposatasi con Bryan,
pilota d’aerei ed eroe di guerra, ma ora ciondolante e vago, solo attento ai
bisogni del figlio Alexander; Emma, l’ultima e che resta nella casa paterna ad
accudire il padre più ipocondriaco che malato. In ultimo, il dottor Quimper, da
non molto subentrato al vecchio dottore della zona, da cui ha avuto in eredità
i malati ed i pettegolezzi della campagna, e che non nasconde un interessamento
verso Emma. Lucy, scavando e rivoltando, tra gite tra i rovi ed i granai riesce
a trovare il primo tassello del teorema di Miss Marple: salta fuori, nascosto
nel granaio lungo della proprietà, un cadavere di donna. Ma chi è? Da una
ammissione di Emma, potrebbe essere Martine, una donna francese che poco tempo
prima scrisse ai Crakenthorpe sostenendo di essere la moglie di Edmond, da lui
sposata in Francia, e madre di un ragazzo, che soppianterebbe Cedric nella
linea dinastica di successione. Ma dopo poche lettere Martine scompare.
Potrebbe essere Anna, una ballerina francese in tournée là intorno, anche lei
inopinatamente eclissatasi nello stesso periodo. La domanda che ci si pone è
chi sapesse del possibile matrimonio di Edmond, visto che tutti i familiari ne
erano all’oscuro? Il tutto si complica perché la famiglia Crakenthorpe sembra
essere colpita da epidemie di arsenico, che eliminano prima Arthur poi Harold.
Anche Craddock, il detective amico di Miss Marple, brancola nel buio. Noi
seguiamo le vicende con Lucy, che la nostra anziana amica rimane nell’ombra.
Fino al ritorno da Ceylon di Elspeth, dove Miss Marple inscena un magistrale
colpo finale, presenti tutti gli attori del dramma, riuscendo ad incastrare il
colpevole. L’unico indizio è che il solo a sapere di Martine è il vecchio
dottore in pensione. Certo, la morte della donna è un po’ tirata per i capelli,
anche perché ad un certo punto la vera Martine si fa anche viva. Solo l’aria
sornione di Miss Marple ci convince che lei già immaginasse lo scenario.
Andando avanti con gli anni, Agatha si incarta un po’, ed io capisco le
critiche che ho sopra citato. Tuttavia, trovo questo un intreccio che ha
soddisfatto la voglia di mistero che è in me. Un ultimo accenno sul titolo
italiano che è un po’ anodino, anche per la difficoltà di attirare i lettori
con un titolo da “orario ferroviario”. Forse valeva la pena utilizzare il
titolo americano “What Mrs. McGillicuddy Saw!”
Agatha Christie “Le due verità” Corriere della Sera 25 euro 6,90
[A: 05/02/2015– I:
22/10/2015 – T: 24/10/2015] - && e ½
[tit. or.: Ordeal by
Innoncence; ling. or.: inglese; pagine: 255; anno 1958]
Riecco che la nostra prolifica
signora del giallo si prende una nuova pausa dalla troppo pressante scrittura
dei suoi due eroi maggiori. E, come spesso nell’ultima fase della sua carriera,
il tono tende a calare. Qui anche in modo pesante, che alla fine risulta uno
dei meno riusciti romanzi di Agatha. D’altra parte, quando ci sono Poirot o
Miss Marple, il romanzo deve avere un certo tono, una chiave particolarmente
brillante che faccia scattare moti di sorpresa al lettore. E forse qui, Agatha
aveva cominciato con l’idea di introdurre uno dei due eroi oltre la metà del
romanzo. Spesso lo ha fatto, quando, seguendo un ragionamento, ha intravisto la
possibilità di una soluzione brillante solo mettendo un “motore” potente.
Ricordo invece che, laddove già dall’inizio, l’idea che guida l’intrigo era di
levatura, i nostri compaiono sin dalle prime righe. Qui appunto comincia,
insegue una possibilità, poi si accorge che un attento lettore avrebbe già
avuto delle idee discretamente valide per dipanare il bandolo. Ed allora niente
Poirot, niente Miss Marple. E niente personaggi accattivanti. Che anche laddove
i nostri latitano, qualche bel centro di attenzione viene messo in campo. In
genere, di sesso femminile che meglio riuscivano nelle sue descrizioni. In
questo romanzo, invece, pur con presenze femminili, nessuna sembra riuscire a
staccarsi piacevolmente dalla massa tanto da farne l’eroina. Il maschietto che
inizia a far rotolare la trama è poi anche lui “moscio”. E solo nel finale, il
buon dottor Calgary riuscirà ad avere un moto maggiore di entusiasmo e
simpatia, soprattutto verso la simpatica Hester. Tanto che alla fine i due… Ma
fermiamoci e riavvolgiamo il nastro di questo film. Cominciando dai titoli di
testa, dove la sciagurata editoria italiana inserisce quel titolo sulle due
verità che poco ha a che vedere con la “prova d’innocenza” del titolo inglese.
Perché tutto comincia proprio con una prova d’innocenza. Il dottor Calgary, tornato
da una spedizione in Antartide, scopre che la sua testimonianza avrebbe potuto
scagionare il giovane Jacko dall’accusa dell’omicidio della matrigna. Jacko era
con lui, ma mancando la sua testimonianza, ed essendo Jacko inaffidabile, viene
condannato, e muore di polmonite in carcere. Il buon Calgary allora visita la
famiglia, e comunica la prova dell’innocenza di Jacko. Si aspettava un
riconoscimento, non capendo che, per come si sono svolti i fatti, se non è
stato Jacko ad uccidere Rachel, la matrigna è stata assassinata da qualcuno
della famiglia. Come in tutti i buoni romanzi della nostra Signora, per
fortunate coincidenze, nel momento dell’assassino erano tutti presenti sul
luogo del delitto. C’era Leo il marito, studioso ed un po’ fuori dal mondo, che
lavorava con la segretaria Gwenda. Dopo la morte (ma forse anche prima) i due si
sostengono a vicenda e progettano un matrimonio. Avevano quindi entrambi motivo
per uccidere. E c’erano i cinque figli adottivi di Leo e Rachel, non potendo i
due averne di propri. E tutti e cinque avevano motivi di risentimenti. Mary, la
più grande, dedita alle cure di Paul marito invalido, acqua cheta che vorrebbe
l’eredità per poter vivere agiatamente con l’infermo. Michael, il secondo,
quello che più osteggiava Rachel, non avendo mai accettato l’abbandono da parte
della madre naturale, e sostenendo Rachel aver fatto di tutto per strapparlo al
suo ambiente; non era in casa ma si aggirava per la campagna e potrebbe essere
entrato furtivamente in casa. Tina, quella “colored”, che vive fuori casa,
l’unica che adora Rachel, e che stava venendo da lei per un consiglio. Ma
avvicinatasi alla casa aveva sentito un bisbiglio fra un uomo ed una donna che
potrebbero star progettando l’omicidio. Hester, la più naturale, ribelle ma ora
rientrata sotto la protezione di Rachel e per questo molto antagonista. Jacko, il
più giovane, quello che stava sempre sull’orlo del carcere per amicizie
sballate ed imprese ai limiti della legge, sempre a corto di soldi, sempre a
battere cassa, come questa volta. Il quadro è completato da Kristen la svedese
ex-infermiera di mezza età, entrata al servizio di Rachel per badare alle
colonie di bambini, e rimasta come governante nella casa. Insomma tutti
potevano uccidere Rachel, meno Jacko che era in macchina con il dottore. Il
racconto si trascina per pagine e pagine senza un vero colpo di scena, salvo
quello della presenza, che non ci si aspettava, di una giovane moglie di Jacko,
ora felicemente risposatasi. Ma che poteva essere un elemento di turbativa
all’epoca del delitto. Se si fosse mantenuto il titolo originale, si poteva
arrivare alla fine con qualche dubbio aspettando lo scioglimento. Il titolo
italiano fa subito breccia, tanto che avevo capito subito che Jacko in qualche
modo c’entrava, mancava solo il come. E dalle parole di Tina si capisce subito.
Anche perché, essendo tutti adottati e non consanguinei, potevano nascere
sentimenti incrociati. Ma forse dico troppo, per un romanzo senza un vero
protagonista, ed un po’ scontato nella costruzione. Come detto si sente forte
la mancanza dei due grandi protagonisti “christieani”. Speriamo tornino presto.
“Era vecchia, doveva avere quasi cinquant’anni.” (71) [questa non te la
perdono, Agatha!]
Agatha Christie “Appuntamento con la paura” Corriere della Sera 13 euro
6,90
[A: 27/10/2014– I: 21/10/2015 – T: 23/11/2015] - &&
[tit. or.: Double Sin; ling. or.: inglese; pagine: 218;
anno 1961]
Sono ancora dei racconti, e come
ho sovente ribadito, la Signora del Giallo, pour avendone scritti innumerevoli,
mai mi è sembrata a suo agio con questa misura di scrittura. Non solo, ritengo
anche, contrariamente a molte opinioni su questi scritti, che laddove non
compaiano i due grandi interpreti della scrittrice, la tensione (e le idee)
tendono a calare. Inoltre la metà dei racconti proviene da vecchi scritti editi
negli anni Venti, ed anche qui si sente la differenza della scrittura tra gli
esordi e queste ultime prove, della piena maturità dello scrivere (ma anche
della stanchezza e della difficoltà di trovare nuove trame). Più che andare in
ordine, preferisco allora pensarli per protagonista. Cominciando da Hercule
Poirot, c’è “Doppia colpa (Double Sin)” del 1929 dove il nostro ispettore
indagando sul furto di alcune preziose miniature, aggirandosi per la campagna
inglese, riesce a capovolgere la truffa iniziale, smascherando così la vera
coppia colpevole. Già meno riuscito “Nido di vespe (Wasp's Nest)” sempre del 1929,
dove Poirot, con un insolito tampinamento riesce a sventare un omicidio,
facendone anche capire l’inutilità allo strano personaggio centrale. Il terzo
racconto è quello che ha spinto l’editore a pubblicare la raccolta. In
“L'avventura del dolce di Natale (The Adventure of the Christmas Pudding)” del
1960 Poirot viene coinvolto in un tradizionale pranzo natalizio, dove vengono
serviti, come appunto tradizione vuole, dolci vari, tra cui il Pudding
natalizio. È il racconto più lungo, ed anche se abbiamo modo di conoscere
meglio i vari personaggi, poca sorpresa ci fa la soluzione del mistero del
furto del prezioso rubino, sventato per uno scambio inopinato di dolci
natalizi. Poirot ritorna poi in un altro racconto, anch’esso doppio nel titolo
“Doppio indizio (The Double Clue)”, ed anch’esso proveniente dai primi, essendo
stato scritto nel 1925. In una festa in cui partecipava l’alta società inglese
vengono rubati dei gioielli. Due indizi convergono verso un colpevole, ma, come
dice Poirot un indizio può farci indagare in una direzione, due sembrano messi
a posta per fuorviare. Cosa che a lui non accade, anche se per risolvere il
mistero dovrà utilizzare l’alfabeto cirillico, e sarà facile capire il mistero
per chi lo conosce. Curiosità del racconto, vi compare la contessa Vera
Rossakoff, che Poirot dice di ammirare per la sua astuzia e che pensa di
ritrovare in futuro. Con il senno di poi gli diamo ragione, visto che comparirà
nel racconto “La cattura di Cerbero” della raccolta “Le fatiche di Hercule” e
nel romanzo “Poirot e i quattro”. Lasciamo allora Poirot, e passiamo ai due con
la nostra Miss Marple. Nel primo “La follia di Greenshaw (Greenshaw's Folly”
del 1957) la nostra simpatica vecchietta viene a capo della morte di un’anziana
signora benché tutti i sospettati siano apparentemente coperti da alibi di
ferro. Peccato che l’impianto sia ripreso da un vecchissimo racconto di cui era
protagonista Poirot, edito nel lontano 1925, “Il mistero di Hunter's lodge”. C’è
poi l’inutile conclusione con “Asilo (Sanctuary)” del 1954, dove Miss Marple
risolve il mistero di un omicidio avvenuto in una chiesa. Finiamo con i due
senza i nostri eroi. Che ho trovato veramente scarsi di nota. “La bambola della
sarta (The Dressmaker's Doll” del 1959) cerca di scavare nel sovrannaturale,
facendo umanizzare una bambola che a poco a poco si impadronisce della casa di
una sarta. Un racconto che potrebbe figurare in una raccolta minore di E. A.
Poe. Infine c’è uno dei più antichi “L'ultima séance (The Last Seance)” in cui
una medium viene assassinata nel bel mezzo di una seduta spiritica attraverso
la fuga del suo spirito in un corpo infantile. Un racconto decisamente
infantile, con l’unico elemento di curiosità derivato dal fatto che la trama
prende spunto da un avvenimento accaduto realmente alla Christie. Ma continuo a
ripetere, troppo brevi i racconti per creare tensione. E senza mordente, anzi
allegramente inutili quelli senza Poirot e senza Miss Marple. Agatha sta
invecchiando, e riesce difficilmente, in queste prove, a farci rivivere
sensazioni forti di partecipazione come in molti altri e meglio riusciti
scritti precedenti.
Agatha Christie “Un cavallo per la strega” Corriere della Sera 18 euro
6,90
[A: 28/11/2014– I: 04/12/2015 – T: 06/12/2015] - &&----
[tit. or.: The Pale
Horse; ling. or.: inglese; pagine: 221; anno 1961]
Mi ero rincuorato notando che
questo era di nuovo un romanzo, quindi con la speranza di avere modo ed agio di
entrare nella trama, di capire i personaggi, insomma di ritornare nel solco
della migliore tradizione di Agatha Christie. Speranza ben presto delusa, sia
per la mancanza dei nostri investigatori preferiti, che fanno sempre da traino
quanto meno a situazioni che non siano proprio banali. Sia, e soprattutto,
perché la vicenda è stiracchiata ed avvince in modo assolutamente nullo il
lettore. Intanto cominciamo a tirare l’orecchio alla traduzione che decide di
intitolare il romanzo ad un cavallo che dovrebbe essere utilizzato da una
strega. Ben altra idea aveva l’autrice intitolandolo “The Pale Horse”. Perché
“Il Cavallo Pallido” era a suo tempo una locanda, di dubbia fama, ma pur sempre
una locanda. E perché ora è abitata da tre strane signore, che si atteggiano a
medium e sono dedite a sedute tra lo spiritico ed il fasullo. Nella sana
tradizione scozzese, verrebbero bollate come streghe, anche se in quella
tradizione il termine ha un significato più esteso e meno negativo di quello
che a noi viene in mente per primo. Streghe in quanto capaci, ad esempio, di
guarire mali con rimedi naturali. E non streghe perché emule di tristi
personaggi in combutta con il male. Il personaggio principale, Mark, non riesce
ad essere convincente, né riesce a farci partecipe delle sue elucubrazioni, nel
tentativo di capire le origini di un qualcosa che, sin dall'inizio ronza nelle
pagine del libro. Mark assiste ad un diverbio tra due signorine, che si
prendono per i capelli, ed una delle due ne perde ciuffi. Poco tempo dopo, Mark
legge che la stessa signorina muore di un male incurabile. Parallelamente,
assistiamo all'estrema unzione che un prete dà ad una signora che gli confessa
possibili delitti. Vediamo una lista di nomi comparire nelle mani del prete,
prima che questi venga assassinato. La polizia cerca di capire qualcosa da
questa lista, riuscendo solo a decifrarne la natura di un paio, entrambe (sono
donne) morte di morte naturale, e di tipo diverso. Casualmente Mark si ritrova
in una festa in campagna, dove sente parlare del Cavallo Pallido. Nome che
ritorna in una conversazione attorno ad un tavolo e legato sempre a morti
misteriose. Confrontatosi con la polizia, nulla ricava il nostro Mark. Che si
allea nella ricerca alla simpatica Ginger (simpatica in quanto rossa di
capelli, colore sempre piacevole). Ed in base ad una serie di accostamenti
casuali e senza apparente logica, comincia ad ipotizzare l’esistenza di una banda
criminale che in qualche modo favorisca delle morti. Mark e Ginger allora
cominciano a mettere in cantiere un astruso piano per incastrare le signore del
Cavallo Pallido. Mark si finge oppresso da una moglie che non riesce ad
eliminare dalla sua vita, personaggio che viene interpretato dalla nostra
Ginger. Scopre così l’esistenza di un ex-avvocato senza scrupoli che gli
propone una scommessa: se la falsa moglie morirà entro un mese, Mark pagherà la
scommessa, altrimenti sarà l’avvocato a pagare. Il tutto passa per una seduta
para-spiritica presso la casa del Cavallo Pallido, dove le tre signore mettono
in scena tutto un armamentario di elementi al limite del ridicolo. Trance,
galli uccisi, apparecchiature avveniristiche in grado di “incanalare le vibrazioni
del pensiero”. Fatto sta che Ginger, pur senza nessun contatto apparente con le
signore, comincia a star male. Febbre ed altri sintomi misteriosi. Il tutto
complicato da uno strano farmacista che si propone come testimone oculare della
morte del prete, incolpando uno strano signorotto locale che, purtroppo,
essendo colpito da poliomielite, gira su di una sedia a rotelle. Sarà la zia di
Mark ad avere la prima intuizione, pensando alla morte di una sua amica,
inclusa nella famosa lista, e che aveva come segno distintivo la perdita di
capelli. In base a questa affermazione, e ricordando la prima morte, anch'essa
con la stessa caratteristica, Mark ipotizza non poteri soprannaturali, ma
avvelenamento da tallio, cosa che gli permette di salvare la vita a Ginger. Ma
come funziona l’organizzazione criminale? Dobbiamo risalire alla signora cui fu
data l’estrema unzione. Faceva parte di una serie di ricercatori di mercato che
andavano sul campo a porre innocue domande su prodotti casalinghi ad una serie
di persone, tra cui venivano inseriti i nominativi procurati dall'ex-avvocato e
aizzati dalle sedute delle signore del Cavallo Pallido. Il capo banda allora,
si presentava a casa della vittima, magari travestito da idraulico o simili
bassi mestieri, e sostituiva uno dei prodotti presenti nella casa ed emersi
dall'intervista con lo stesso contenente tallio. Unico elemento di piccola
suspense sarà seguire Mark, l’ispettore, il farmacista, il paraplegico ed il
patologo nel sottofinale che porterà alla scoperta della mente che sta dietro
tutto ciò. Con un finale mieloso in cui Mark lascia una sedicente e monotona
fidanzata, per chiedere la mano di Ginger. Devo dire, una palla megagalattica,
dove si cerca di mescolare un minimo di tensione sovrannaturale, con elementi
che ne spiegano e ne razionalizzano la natura. Il tutto originato dalle
esperienze di farmacista avute da Agatha in gioventù. Il libro scorre come
fosse acque, intossicandoti però come se stessi bevendo cianuro allo stato
puro. Ci si aspetta uno scatto ad ogni pagina, e non arriva. Unico elemento di
vivacità, ma che ho scoperto solo a posteriori girando sulla rete, la lettura
del libro ha permesso ad un’infermiera londinese di diagnosticare la malattia
ad un malato che sembrava incurabile e salvarlo. Un po’ poco, per consigliarne
la lettura, amici miei.
“Ci sono tante cose, al mondo, che vorrei conoscere, vedere! Ma, in
fondo, ho fatto abbastanza quando potevo.” (63)
Seconda settimana del mese, e
nuovo allegato dedicata a qualche malattia o difetto. Qui siamo sulla scarsità
d’impegno (o sulla sua difficoltà), anche se non ha fatto su di me molta presa.
Continuiamo comunque ad aspettare
e lavorare affinché si possa ripartire in giro per il mondo. Finendo però con
un bel ringraziamento ai miei amici “cubani” ed all'ottimo fine settimana
trascorso insieme.
CURARSI CON I LIBRI di
Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
APRILE 2016
In queste settimane e giorni che
avvicinano a referendum e ad elezioni varie, cosa di meglio che un bel bagno
nell’impegno? Vincendo la paura di, come ci viene suggerito.
IMPEGNO, PAURA DELL’
José
Saramago “Cecità”
Quando
si inizia a leggere una frase dello scrittore portoghese José Saramago, ci si
prende l’impegno di seguirla ovunque vada, perché questo geniale scrittore non
si uniforma alle normali regole della grammatica, ma utilizza le virgole in
modi inaspettati che vi lasceranno a bocca aperta e vi faranno cercare la penna
rossa, perché di sicuro quella era una proposizione e questa è un’altra, e ci
dorrebbe essere il punto fermo, in mezzo, o per lo meno un punto e virgola, e
ovviamente avete ragione, ma ha ragione anche Saramago, che sa benissimo che
cosa sta facendo, e alla fine dei primi due paragrafi sarete irrimediabilmente
presi al laccio da queste frasi che scorrono dall’una all’altra inarrestabili come
la silenziosa e terrificante epidemia di cecità che dà il titolo a questo
romanzo e della quale nessuno riesce a scoprire la causa.
In
una città senza nome, in un momento imprecisato della storia, gli abitanti
cominciano a diventare ciechi, all'improvviso, uno per uno. Seguendo il
racconto che passa da un personaggio senza nome a un altro, dalla giovane
prostituta con gli occhiali scuri al ladro di auto all'oculista e a sua moglie,
ci abbandoniamo a questo surreale e potente accumulo di frasi, e qualunque
resistenza allo stile non convenzionale di Saramago che possiamo avere avuto
all'inizio sarà presto dimenticata.
Un
simile impegno - verso una frase, un romanzo, una relazione, o qualunque cosa a
cui si attribuisca un valore e in cui si scelga di credere - dà molti frutti,
come sta per essere dimostrato anche in Cecità. Nell'ospedale psichiatrico dove
i ciechi sono tenuti in quarantena nel tentativo di arginare l’epidemia, e dove
gli ingressi sono sorvegliati da guardie armate e pronte a fare fuoco se qualcuno
tenta di fuggire, le condizioni degenerano rapidamente nello squallore e
nell'anarchia con i detenuti che, inermi, lottano per le scarse razioni di
cibo. In mezzo a tutto questo la moglie dell’oculista si prende cura del
marito, con dolcezza, attenzione, devozione. In un momento di grande
lungimiranza, che la distingue da tutto quell'orrore, la donna, ancora
misteriosamente dotata della vista, riesce a entrare nell'ospedale insieme a
lui, fingendosi cieca per restare al suo fianco. Quando il marito torna dal
bagno, lei lo lava. Quando ha bisogno di muoversi, lei lo guida. È consapevole
che se qualcuno scopre il suo trucco potrebbe servirsi di lei per i propri
fini, e allora seguita a comportarsi come se fosse cieca - non solo per
proteggere sé stessa, ma anche per continuare ad aiutare il marito.
Le
invisibili azioni della moglie appartengono a una donna per cui la fedeltà,
l’amore e l’impegno vengono prima di tutto, e non sono in discussione. Da
quando il marito perde la vista, la donna combatte prima per lui e poi per
tutti coloro che sono rinchiusi nel reparto. Poiché sono stati tra i primi a
diventare ciechi, i membri del gruppo che include l’oculista e la prostituta
sviluppano un legame di tipo famigliare, mantenuto in vita e rafforzato dalla
gentilezza e dal supporto reciproco, e dal trovare un po’ di speranza e di
senso dell’umorismo in mezzo a quell'inferno. Non abbiamo alcun dubbio che se
sopravviveranno sarà per il loro impegno reciproco, che permette a ognuno di
conservare la propria umanità, mentre tutto intorno gli altri la stanno
perdendo.
Che
si tratti di un romanzo, una relazione, un lavoro o un cane, se l’impegno è il
vostro problema, imparate la lezione di Saramago e della moglie dell’oculista.
Usate questo romanzo per esercitarvi. Quando iniziate con la prima frase,
prendete l’impegno a seguire anche tutte le altre. Quando finirete il romanzo,
impegnatevi nella lettura delle opere complete di Saramago (non sarà difficile:
una volta sedotti da Cecità vorrete leggere tutto il resto). Dopo che avrete
finito con Saramago, quando sarà completato il passaggio dalla paura
dell’impegno alla volontà - anzi, al desiderio - di ficcare il naso in
qualunque cosa, nella vita come in letteratura, per quanto sia bizzarro lo
stile della prosa, per quanto sembrino complesse le idee, per quanto la
prospettiva vi scoraggi, abbiamo pronta per voi l’ultima sfida: Proust. Non
potreste essere più pronti.
Bugiardino
Concordo totalmente con la
difficoltà di riuscire a leggere Saramago. Provai con “Memoriale del convento”
e fui sconfitto. Recuperai con questo libro, letto tra i primi, agli albori
delle mie trame, tanto che vedete come ero stringato un tempo. E riprovai con
“Il Vangelo secondo Gesù” che riuscii a superare brillantemente.
José Saramago Cecità
Einaudi 10,50
[trama pubblicata 25/12/2006]
Non
sempre facile il mio rapporto con lui. Questa volta l’inizio travolge, l’idea è
efficace, poi si trascina qualche decina di pagine in più del necessario.
Domanda: cosa succede se diventiamo tutti (TUTTI) ciechi? Dov'è il confine
dell’utilità della vista? Comunque grazie Rosanna che regalandomelo mi hai
obbligato a leggerlo.
Conclusioni
Sono sicuramente d’accordo sul
coraggio (e l’impegno) che profonde la moglie dell’oculista. E sono altresì
d’accordo che ci vuole impegno (ci vorrà visto che non mi risolvo ad aprirlo)
per mettersi a leggere Proust. D’altra parte, avrei collocato questo libro nel
calderone delle paure. Che, personalmente, il terrore di diventare cieco è
quello che più attanaglia il mio orizzonte di vita. Non so se riuscirei mai ad
affrontarlo. Con o senza impegno.
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