lunedì 22 agosto 2016

Wilbur e l'Egitto - 21 agosto 2016

Riprendiamo le nostre solite trame salutando nuovi amici che si aggiungono alla lista dei miei (potenziali) lettori. Tornato, riposato, dal bel giro croato (un po’ di rime non guastano), dando appuntamenti esplicativi ai nuovi arrivi, per colmare i riposi estivi, ci dedichiamo questa volta alla saga egiziana di Wilbur Smith. Come dico anche sotto, per anni ho temporeggiato cercando di capire se questo scrittore di lunghe serie avventurose potesse entrare nelle mie letture, quanto meno estive. È entrato, ma non mi ha fatto una grande impressione, soprattutto nel quarto volume della serie. Si leggeranno altre serie ed altre avventure, per ora queste sono sufficienti per un giudizio quanto meno dubitativo.
Wilbur Smith “Il Dio del fiume” Longanesi s.p. (biblioteca di Tolemaide)
[A: 01/08/2014– I: 26/12/2015 – T: 31/12/2015] - &&&     ---
[tit. or.: River God; ling. or.: inglese; pagine: 600; anno 1993]
Dopo tanti anni in cui ho rifuggito il sudafricano Smith e le sue avventure africane, ho deciso di dargli una chance, sia perché un po’ stanco della ripetitività delle avventure di Cussler, sia per vedere come veniva trattato il mondo dell’antico Egitto, frequentato in gioventù dopo aver a lungo amato le storie di Ramsete di Jacq (iniziate a leggere durante gli studi parigini, e continuate allora seguendone le uscite in originale). Quindi, largo al “long seller writer”, nato anche lui agli inizi degli anni ’30, come Cussler. Ma nato in quella che allora era Rhodesia del Nord ed ora Zambia. Leggerò, credo, in futuro qualcosa dei suoi cicli maggiori, mentre comincio a spulciare questo, considerato minore. Il ciclo egizio, cui ha cominciato a mettere mano solo al volgere del suo sessantesimo compleanno. L’impressione generale è che ci sia una sostenuta documentazione a corredo: bene le descrizioni degli ambienti, dei costumi, delle scene di massa. Forse un po’ troppo da film hollywoodiano i personaggi principali. Soprattutto il motore principale di tutta la storia, l’eunuco Taita. Un genio in tutti i campi (economia, guerra, navigazione, pittura, architettura, e chi più ne ha…), tanto che preferisce rimanere schiavo (e quindi protetto) piuttosto che essere liberato e dover sottostare alle assurde leggi egizie, di quello che, anno più anno meno, individuiamo con un periodo intorno al 1600 a.C. Taita è schiavo del nobile Intef, un degenerato signore che fa di tutto per mantenere il potere (ma no, dai, anche in Egitto…). Ed è precettore della bella Lostris, cui fa da paraninfo per l’altrettanto bello e buono Taunus. Che però è figlio di un personaggio caduto in disgrazia con Intef (e che forse lo stesso Intef ha fatto uccidere). Per cui non ci sarà mai accordo alle nozze. Anzi Intef fa in modo che Lostris venga vista ed apprezzata e quindi chiesta in moglie dall’anziano faraone Mamose VIII. Faraone che deve fronteggiare due emergenze: banditi verso l’Alto Nilo, ed uno scisma con a capo il “Pretendente Rosso” nel basso Egitto. Ricordo che l’azione si svolge principalmente a Tebe (cioè l’odierna Luxor). Ci sono un sacco di intermezzi in questa prima parte, come la rappresentazione sacra della vita del dio Horus e della triade tebana, in cui apprezziamo anche il Taita letterato. Servono a dare un contorno alla vicenda, ed un rilievo alla veridicità dei fatti. Quello che risulta alla fine è che Lostris sposa Mamose, Taunus, che tenta una ribellione, viene incaricato della missione suicida di sconfiggere i banditi del sud dell’Egitto, Taita si sposta nella coorte del faraone, al seguito di Lostris, avendo in mano gli strumenti per danneggiare, se servisse, il suo ex-capo Intef. Altri avvenimenti si susseguono, Taita entra nel regno dei morti, novello Dante, e percorre i “Labirinti”, sorta di anticipazioni del futuro, in base ai quali convince Lostris e Taunus a non disperarsi. Ovviamente, Taunus sconfigge i banditi, smascherando il capo che non è altri che Intef (che però riesce a fuggire verso il Nord). Lostris mentre pubblicamente si concede al faraone, ha invero un figlio maschio con Taunus. Sarà facile per le arti di Taita convincere Mamose che Memnone sia suo figlio. Intanto la minaccia dal Nord si avvicina, e Taita convince tutti a fuggire verso il Sud. Assistiamo quindi all’attraversamento delle diverse cataratte del Nilo (che passai in aereo recandomi ad Abu Simbel, fantastiche!). La minaccia dal Nord viene da un nuovo popolo, gli Hyksos, che si favoleggi usino il cavallo ed il carro da guerra. Saranno loro a sconfiggere il Pretendente Rosso, facendo in modo di insediare Salitis (e qui ci si collega alla “storia” reale dei faraoni della XV dinastia). Nella ricerca della tomba felice, in un posto imprecisato, in seguito a ferite muore Mamose, indicando il finto figlio come successore e Lostris come reggente. In realtà sarà Taunus a governare dietro le quinte, ed a far nascere altre figlie a Lostris, sostenendo che siano nate dallo spirito di Mamose (una scusa veramente puerile). Passano gli anni, e muore anche Taunus, ma nel frattempo Taita ha terminato la grande tomba reale, dove verrà sepolto… E nel frattempo, Memnone diventa Tutmosis I, s’innamora e sposa una bella eritrea. E tutti tornano vittoriosi e trionfanti a Tebe. Grande pastiche storico-letterario, forse un po’ lento in alcuni punti, ma, come detto, ben documentato ed anche con qualche aggancio alle cronologie reali che non guasta. Vedremo come Smith deciderà di proseguire la sua saga. Mi domando, infatti, se seguirà il concetto seriale, caro ai giallisti moderni, o quello episodico, più consono forse ad una saga multi-temporale.
Wilbur Smith “Il settimo papiro” TEA euro 6,90
[A: 01/08/2014– I: 06/01/2016 – T: 19/01/2016] - && e ¾
[tit. or.: The Seventh Scroll; ling. or.: inglese; pagine: 554; anno 1995]
Sono rimasto un po’ deluso da questa seconda prova del “ciclo egizio” di Smith. Non per la scrittura, che rimane sullo standard delle letture facili e ben scritte, oltre che discretamente documentate. Quello che manca è il sapore dell’Antico Egitto, invece presente nel primo libro. Libro che ha un potente raccordo con questo, ma che poteva essere scritto dalla fucina “Cussler” per l’impianto generale. Un mistero che viene dal passato (e descritto ne “Il Dio del Fiume”), ed un’azione tutta al presente. C’è infatti la bella dottoressa Royan, anglo-egiziana, che insegue i misteri descritti nei suoi papiri dallo schiavo Taita. In particolare, come già sappiamo, la costruzione ed il nascondiglio della tomba del faraone Mamose. Peccato che i papiri siano appetiti da qualche sconsiderato che li ruba, ed uccide il marito della bella. Royan chiede allora aiuto all’unica persona cui si fidava il marito, sir Nicholas Quenton-Harper, quarantenne, aristocratico, un po’ truffaldino, da poco anche lui vedovo. I due partono allora per le misteriose terre bagnate dal magico Nilo che si stendono tra l’Egitto e l’Etiopia. Qui si intrecciano vicende legate al presente turbolento di quei posti (siamo negli anni ’90, ci sono le lotte intestine tra etiopi ed eritrei, ed altre vicende di guerriglia) alle vicende legate alla decifrazione dei papiri, alla ricerca della famosa tomba, che Taita aveva nascosto sia per evitare saccheggi, che per far dispetto agli Hyksos invasori. Sulla scena quindi, oltre ai nostri due eroi, che finiranno per innamorarsi, anche se il loro rapporto non sarà proprio facile né all’inizio né durante lo svolgimento (e forse neanche dopo la fine del libro), si affacciano altri personaggi. Il guerrigliero ribelle Mek Nimmur, vecchio amico di sir Nicholas, sua guardia militare, e ben presto anche lui preso dalle spire amorose della nobildonna etiope Woizero Tessay. L'avido collezionista Gotthold von Schiller che cerca nei reperti antichi un anelito di immortalità. Via quindi con i colpi di scena. Nicholas e Royan penetrano clandestinamente nella zona dove dovrebbe trovarsi la tomba. Capiscono che potrebbe essere stata scavata sotto le acque del Nilo, costruiscono una diga provvisoria, scoprono tracce, e cominciano ad affrontare pericoli mortali. Precedentemente, avevano già scoperto delle tracce in uno sperduto monastero copto, dove da secoli era presente il culto di una tomba di pietra. Che si rivela essere, benché spogliata, quella di Mamose. Ma allora dove sta la tomba descritta nei papiri, che di ben altra levatura pare sia costruita e riempita di tesori? I nostri si aggirano intorno al Nilo un po’ alla Howard Carter con la tomba di Tutankhamon. Aiutati dai copti e dagli etiopi buoni, devono combattere i cattivi, locali o stranieri. C’è anche un simpatico aviatore che scorrazza a pelo di deserto per i cieli africani. Insomma, Smith non ci fa mancare nulla. Purtroppo sir Nicholas non è Dirk Pitt, ed il resto della storia scivola via, con colpi di scena forse ben congeniati nella mente dell’autore, ma di scarso effetto sulla carta. Dovremmo capire chi sia il cattivo. Dovremmo capire se sir Nicholas fa il doppio gioco. E se lo fa anche Royan. I punti maggiormente intriganti sono le successive rivelazioni delle idee di Taita su come nascondere l’ultima dimora delle persone a lui care. Una caccia al tesoro costellata da una serie di false piste degne di un giallo di altra levatura, che Royan fortunatamente decifra, spesso all’ultimo istante. Poi tutto finisce. La tomba rivela i suoi misteri, alcuni reperti vengono salvati ed avranno la loro giusta collocazione. Non vi dirò molto altro. Il futuro di Nicholas e Royan, se c’è, o quello di Mek e Tessay. Alla fine, le pagine risultano davvero troppe per un libro inferiore alle attese. Spero che Smith, proseguendo nella saga egiziana, decida di ritornare agli ambienti di un tempo. A quella XIV o XV dinastia. Al futuro del giovane faraone Tutmosis I e la sua bella sposa etiope (e prima o poi ci si riuscirà ad andare, spero). Rimane quindi in sospeso il mio giudizio sulla scrittura di questo “maestro dell’avventura”. Per ora vince Cussler, alla grande.
Wilbur Smith “Figli del Nilo” TEA euro 6,90
[A: 01/08/2014– I: 04/03/2016 – T: 08/03/2016] - &&&
[tit. or.: Warlock; ling. or.: inglese; pagine: 654; anno 2001]
Del ciclo egizio di Smith, questo è senz’altro il meglio riuscito, di poco sopra il primo, e di abbastanza sul secondo. Anche se, come ho già rilevato, mi sarei aspettato qualcosina in più. Come avrei pretesto qualcosa in più dai maghi dei titoli della Longanesi e della Tea, per evitare di trasformare questo libro intitolato “Lo Stregone” in un banale “Figli del Nilo”. Va bene il fiume, ma lo stregone ha un duplice impatto sulla storia: perché c’è quello buono, Taita, che tira le fila cercando di riportare l’Egitto in situazioni di pace e stabilità che da tempo mancano, e quello cattivo, Ishtar, alleato dei Faraoni usurpatori e forte del dio Mardock alle sue spalle. Pur essendoci pagine sulla lotta tra i due maghi, non è quello il motivo centrale, rimanendo “stregone” il solo appellativo di Taita. Fortunatamente, comunque, dopo la fuga nel mondo moderno per scoprire i misteri delle tombe scavate da Taita in Etiopia, torniamo nell’Egitto della XV dinastia, Egitto diviso nei due tronconi Alto e Basso, Egitto in gran parte occupato dagli Hyksos invasori. Per oltre 600 pagine assistiamo alla presa del poter dei cattivi, ed alla lunga e costante rivincita, con finale vittorioso, dei buoni. Naja, falso amico di Tamose padre di Nefer, ha sangue hyksos nelle vene, si accorda con il cugino Trok, un hyksos “puro”, uccide fraudolentemente il Faraone, e, vista la tenera età di Nefer, si fa nominare reggente. Per crearsi una coperta di salvataggio, sposa le due sorelle di Nefer, Heseret, arrivista come lui che lo asseconderà per tutto il libro, e Merykara, piccola e buona, che cercherà di riunirsi al fratello lontano. Sul versante Alto Egitto, Trok stermina la dinastia degli Apepe, lasciando in vita la sola Mintaka, di cui è follemente preso. Ma non riuscirà a farla sua. Taita, infatti, prima riesce a far fuggire Nefer dalle grinfie di Naja fingendo sia morto. Poi scappa nel deserto, dove scatenando un violento “khamsin” (il vento dei cinquanta giorni) fa perdere le tracce sue e di Nefer, e con lui si rifugia nel deserto a ricostruire, lentamente ma con costanza, una parvenza di opposizione a Naja e Trok. Riesce anche, con le sue arti trasformiste, a liberare Mintaka ed a portarla nel deserto, dove dovrebbe unirsi a Nefer. Costui non è ancora maggiorenne, ed allora, secondo la legge egizia, o aspetta o ingaggia una lotta quasi mortale, che si chiama “la Via Rossa”. Se sopravvive, potrà decidere il suo futuro. Assistiamo quindi per pagine e pagine a questa lotta. Immaginate già come finisce. A questo punto, prima affronta e stermina gli hyksos dell’Alto Egitto, uccidendo Trok. Poi, con più fatica e con una perdita pesante (non vi dico quale) affronta ed uccide anche Naja ed i traditori del Basso Egitto. Nefer, alla fine, aiutato da Taita, senza il quale, probabilmente, non ce l’avrebbe fatta, riunisce per la prima volta le due corone egiziane. Credo che, anche se con qualche sballo temporale, siamo verso l’inizio del Nuovo Regno, quello che in pochi anni (per la storia, ovviamente, che sulla carta saranno circa duecento) porterà al regno di Tutankhamon, nome che ovviamente voi tutti conoscete. Solo alcuni appunti finali. Taita, eroe in prima persona del primo libro, e forte comprimario in questo terzo (anche se poi nel secondo, si parla solo di lui e non dei faraoni da lui serviti) rischia di avere qualcosa come ottanta anni alla fine del libro. E salta, corre, e lotta come un grillo. Certo, sarà un mago, come si ostinano a sostenere le quarte di copertina, ma caro Smith, vogliamo rendere anche un po’ di verosimiglianza storica alle vicende? Vero che siamo in Egitto, e che l’Egitto, come tutti i luoghi africani, ha una forte componente magico-simbolico. Però preferisco quando, pur utilizzando le strutture dell’epoca, i romanzi si attengono ad una struttura più solida e meno favolistica (ripeto, vediamo i magistrali libri di Christian Jacq su Ramsete). I conoscitori di Smith, infine, mi dicono che qui lo scrittore rhodesiano (che ora ha mutato il nome in Zambia, ma che Smith sembra ritrovare solo come ex-colonia, uno dei motivi che mi lasciavano un po’ freddo nei suoi confronti) ritorna alle sue classiche scene di sesso. Ne abbiamo ben quattro, descritte abilmente, e che portano nelle quattro direzioni opposte. Ci sono Naja e Heseret, i due cattivi, sesso ardente, ma poi vanno in bolla di sapone. Ci sono Trok e Mintaka, con tentativo di stupro non riuscito. Ci sono Meren e Merykara, che non consumano, benché d’amore vero, e avrete letto le conseguenze. Ci sono infine Nefer e Mintaka, i due buoni, con una scena di grande passione e di grande avvenire (almeno per questo romanzo). Tuttavia, complessivamente parlando, ribadisco che mi è sembrato, ad ora, il migliore dei romanzi egizi del nostro. Ma la sua presa su un lettore come me, è, ripeto, inferiore e di molto ai libri della “Cussler factory”.
Wilbur Smith “Alle fonti del Nilo” TEA euro 6,90
[A: 01/08/2014– I: 10/03/2016 – T: 14/03/2016] - &
[tit. or.: The Quest; ling. or.: inglese; pagine: 631; anno 2007]
Forse era meglio che faceva passare qualche altro anno. O forse doveva scriverlo subito dopo il precedente. Non so, ma quello che abbiamo è uno dei libri più deludenti che abbia letto. Direi inutile, per non sconfinare nel dannoso. Che se qualcuno avesse letto per primo questo tra tutti i libri di Smith, credo che non sarebbe mai diventato un campione di vendite. Nonostante, infatti, tutti i tentativi di farne un libro di avventura “alla Smith”, sembra la brutta copia di un libro di fantasy (dove autori di fantasy seri sarebbero inorriditi alla lettura). Non ci sono molti avvenimenti razionali, tutto è pervaso da una magia inspiegata e inspiegabile, con l’unico intento di chiudere il cerchio iniziato quattro libri prima. Per farlo, tuttavia, l’autore, dovendo superare ostacoli insormontabili si butta nella fantasia sfrenata. Intanto Taita, ad un certo punto, viene detto aver raggiunto la veneranda età di 157 anni (anche se secondo i miei calcoli ne dovrebbe avere 50 di meno), e già questo è un bel traguardo. Inoltre da più di 100 anni è innamorato della regina Lostris, che ovviamente non solo è morta, ma sono morti anche i suoi figli e nipoti. Inoltre Taita è un eunuco, quindi con delle ovvie impossibilità fisiche di amare chicchessia. Conseguentemente è anche difficile, così come sono le cose, per Smith far sfoggio dei suoi momenti soft-erotici, uno dei marchi di fabbrica della sua scrittura. Comunque, nel primo libro egizio c’era stata la costruzione del personaggio “Taita” e dei contorni della saga, nel secondo un salto nel presente per ammirare la ricerca della tomba del faraone, nel terzo la lotta per la riunificazione dell’Alto e del Basso Egizio. Allora cosa si inventa qui il nostro scrittore? Prende spunto dai racconti biblici, e flagella l’Egitto con sette anni di piaghe dovute alla siccità del Nilo. Ma non ne dà una spiegazione razionale (appunto la siccità dovuta che so a poche piogge ed altre catastrofi naturali). No, si inventa la presenza di un dio del male (anzi di una dea) che vuole piegare la Terra alle sue turpi volontà, costruendo una diga di massi fatati che blocca il flusso del fiume. Per combatterla non abbiamo altro che il nostro mago. Che comincia la storia andando in India, in qualche posto che sembra nepalese dalla descrizione, per meditare e trovare chirurghi del tempo, un po’ sciamanici, che gli aprono il “terzo occhio”, quello che consente di vedere dentro le persone ed al di là dello spettro visibile. E già qui siamo nella fantasia pura. Tornato in Egitto, a Tebe, dal suo caro Nefer Seti (che ormai si avvia verso i 50 anni, età decrepita per il tempo), viene incaricato di risolvere il problema piaghe. Capisce, Taita, che deve affrontare la dea – maga cattivona, nomata Eos, che prende un nome che sarà in voga millenni dopo. Infatti Eos sarà una figura mitologica greca, dea dell’Aurora. Quella che prelude il giorno, e quindi che instrada le possibilità della vita. Eos, per una serie di maledizioni di Afrodite, sarà condannata ad amare solo esseri mortali, e tra gli altri, genererà Memnone ucciso da Achille a Troia. Memnone come il faraone fanciullo Tamose. Non è che Smith ha fatto casino? Comunque Eos qui è la dea della Menzogna, come dice il saggio Demetrio che l’ha amata, è fuggito, e da lei sarà perseguitato ed ucciso (non però prima che abbia dato indicazioni al nostro Taita). Taita allora, aiutato da una serie di personaggi che non sto ad elencare, si avvia alla ricerca di Eos, che sta alle sorgenti del Nilo. Da cui il titolo italiano, anche se il titolo inglese era più calzante (“La ricerca”). E chi ti va a trovare durante il viaggio? Una fanciulla, di una dozzina di anni, bella e con gli occhi verdi, come la descrizione di Lostris nella prima pagina del primo libro. Altra invenzione fantasiosa di Smith: Fenn è la reincarnazione della regina, e Taita comincia già ad innamorarsi. Com’è, come non è, Taita ed i suoi arrivano nel regno della menzogna, dove ci sono altri chirurghi fantastici, che fanno operazioni di bio-ingegneria, innestando cellule per far ricrescere arti morti. Faranno così con l’occhio di Meren, ma questo è semplice. L’idea fantastica di Smith è che fanno ricrescere il pene a Taita. E sarà in una lotta eroica e titanica tra Eos e Taita, che si svolge in un talamo, dove il nostro, con la forza della (sua) verità sconfigge la menzogna di Eos (banale la trama, eh, menzogna contro verità si poteva trovare di meglio). Non contento, Smith fa cadere Taita in un lago azzurro, che non è altro che la fonte della giovinezza, per cui alla fine il nostro mago di troverà giovane e col pisello. Capite bene che potrà coronare il sogno d’amore e scopate con Fenn, che riporterà il Nilo a scorrere alla grande, con prosperità per tutto l’Egitto. Certo che alla fine, Fenn gli fa capire che, visto che lui è longevo, di nuovo giovane, potenzialmente immortale, lei avrà problemi quando, necessariamente, invecchierà. Ed il libro si chiude in gloria, con i due che partiranno alla ricerca della sorgente dell’eterna giovinezza. Rivoltante. Un libro che potete leggere, se proprio volete, d’estate al mare, sotto l’ombrellone, con una bibita ghiacciata in mano, e saltando ogni tanto qualche pagina. Tanto sono tutte inutili. Non leggerò altro di egiziano del “signor” Smith. Proverò, ma non subito, a capire se l’altra serie, quella dei Courtney e dei Ballantine ha qualche freccia al suo arco. Ma non tradirò per molto il mio amato Cussler.
“L’impazienza è un vizio dei giovani … e il sonno è il conforto di un vecchio.” (261)
Benché sia al secondo invio agostano, non ho ancora ripreso tutte le fila delle mie trame, per cui ve la dono così com’è, ritemprato dal riposo, e sempre pronto a nuove battaglie.

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