lunedì 1 agosto 2016

L'utlima Agatha - 01 agosto 2016

Con questa ultima fatica abbandoniamo la signora dei gialli, dopo un anno passato a leggerne quasi tutto. Nonostante tutto, una scrittura degna, ed un saluto al caro Poirot (meno a Miss Marple, che, come sapete, mi è sempre piaciuta di meno).
Agatha Christie “Assassinio allo specchio” Corriere della Sera 11 euro 6,90
[A: 13/11/2014– I: 25/01/2016 – T: 27/01/2016] - && 
[tit. or.: The Mirror Crack’d from side to side; ling. or.: inglese; pagine: 231; anno 1962]
La nostra intrepida vecchietta scrittrice ha ormai superato la boa dei settanta anni, e la sua scrittura ed inventiva ne risente. Soprattutto, credo, nei libri, come questo, dedicati a Miss Marple, che non sono mai riuscito a farmi piacere fino in fondo. Ne risulta come vedremo in vari punti, un libro dolente, quasi in minore, direi. Come risulta anche che la nostra Agatha senta approssimarsi la fine della sua vita, e voglia, in qualche modo, trovare la maniera di dare una degna fine ai suoi personaggi. Rimane sempre, infatti, il dilemma per gli autori di personaggi seriali talmente ben riusciti che non si sa come terminare. Ognuno ha la sua ricetta, e, come diceva il buon Lorenzo di Guzzanti, è sbagliata. Sbagliò Conan Doyle a far morire Holmes, tanto che lo dovette far “resuscitare” miracolosamente. Sbagliò Simenon a non far andare in pensione Maigret (ci provò a metà degli anni Trenta, ma dopo la guerra lo fece tornare in servizio). La nostra Signora del Giallo lo farà (ne vedremo i risultati tra qualche libro). Per ora mette le premesse ad un’onorata fine per la buona zia Jane. La troviamo, infatti, relegata in casa, un po’ acciaccata, accudita (malamente) da una petulante badante. Riesce solo ad intervenire perché la vicenda si svolge a St. Mary Mead, dove conosce tutti, e tutti le riportano notizie, e perché le indagini sono affidate al nipote del suo vecchio amico ispettore di Scotland Yard, che quando non sa che fare, decide per una bella ed istruttiva chiacchierata con la nostra vecchietta. Ed è tutta la prima parte, prima che incominci il giallo vero e proprio, che ci dà la misura della stanchezza e della fine ormai vicina sia di Miss Marple sia di Lady Christie. La vicenda, poi, è veramente in tono minore, ed io, che forse ho letto molto, ma mi faccio sempre sorprendere dalle trame intelligenti, avevo già decrittato fin dalla prima morte. Certo, Agatha cerca ben presto di imbrogliare le carte, di seminare indizi per sviare l’attento lettore. Senza però riuscire nell’intento. La vicenda nasce all’arrivo nella cittadina di una attrice, nella parabola discendente della carriera, travagliata da molti problemi psichici. Ha avuto già tre matrimoni alle spalle, e solo ora con il quarto marito (che l’amava devotamente) sembra aver trovato la pace. Non riuscendo ad avere bambini, ne aveva adottati tre, per poi mandarli via, più o meno bruscamente, quando scopre di essere incinta. Purtroppo, il figlio nasce con seri problemi fisici e psichici, ed anche questo non aiuta Marina a rimettersi in carreggiata. Il punto di partenza arriverà nella grande festa per l’inaugurazione della nuova casa della star. Tutta la popolazione è invitata, ma durante la festa, la petulante Heather muore improvvisamente, dopo aver bevuto un daiquiri (qualcuno è stato a Cuba di recente?). Heather che ricorda, prima di morire, a Marina il loro incontro una decina di anni prima, quando lei, benché febbricitante di rosolia, riuscì ad avere un autografo dalla diva. Heather che inciampa e perde il bicchiere, e Marina le porge il suo. Quello avvelenato. Da lì tutta la sarabanda di “falsi indizi”, che cercano di spostare ogni volta il bersaglio. Qualcuno vuole uccidere Marina? Si trovano lettere minatorie. Si trova un caffè corretto all’arsenico. Ovviamente, qualcuno durante la festa ha visto qualcosa. Nascono così ricatti. Ed altre morti. La segretaria del marito. Poi il maggiordomo di casa. Per non farci mancare nulla, la nostra ingarbugliatrice di trame riesce ad infilare: il marito di Heather che in realtà è stato anche il primo marito di Marina, sposato prima della carriera artistica, presto lasciato, e che si è rifatto una vita cambiando anche nome; una fotografa che riprende tutti i momenti salienti della festa, che si rivela essere uno dei tre bambini adottati da Marina; l’ex moglie del terzo marito di Marina, che a suo tempo aveva minacciato di morte la nostra. Ma noi e Miss Marple abbiamo ben in chiaro il disegno criminoso, ed anche se solo per un piccolo attivismo finale, la nostra riesce a mettere i puntini sulle “i” del romanzo. Peccato che ci siano state almeno cento pagine di troppo. Ribadendo che non vi dico altro della trama, veniamo ad i soliti punti dolenti delle traduzioni e dei titoli. Intitolare “Assassinio allo specchio” un romanzo solo perché nell’originale si citava un “mirror cracked”, cioè uno specchio rotto è opera di grande fantasia. Perché non c’è nessuno specchio nell’assassinio (come era avvenuta in una precedente opera con protagonista Poirot). Il titolo, al contrario, fa riferimento ad un poema epico di Alfred Tennyson, “The Lady of Shalott”, storia di una signora del periodo arturiano che poteva vedere la vita rovesciata solo attraverso uno specchio, altrimenti sarebbe morta. Ma quando vede sir Lancillotto, non può che voltarsi, ed ovviamente morire. Lì c’è appunto il verso citato nel titolo: “Out flew the web and floated wide / The mirror crack'd from side to side; / ‘The curse is come upon me’, cried / The Lady of Shalott.” Che, nella bella traduzione in rima di Valentino Szemere si riporta con: “Il telo vola fluttuando spiegato / Lo specchio è incrinato da lato a lato / “Sono maledetta” è il grido accorato / Della Signora di Shalott.” Poesia citata a varie riprese nel corso del romanzo, e nella sua chiusa finale. Cosa c’entri, beh leggetelo. E tuttavia non prendetevela molto con la nostra Lady Christie, se anche questa volta scantona dalle regole auree del giallo, dettate ormai cento anni or sono da S.S. Van Dine, perché alla fine non spiega tutti i misteri che vengono sollevati verso la fine del libro. Peccato. Ma sono ormai tanti i libri della nostra signora che sono stati divorati nell’ultimo anno, e che ci avevano abituato ad altre vette di coinvolgimento.
“Questi attori di teatro… usano il loro cervello in modo molto particolare. A volte mi sembra che quanto più eccellano nell’arte tanto più mancano di buon senso nella vita di tutti i giorni.” (108)
Agatha Christie “Sfida a Poirot” Corriere della Sera 4 euro 6,90
[A: 01/09/2014– I: 27/01/2016 – T: 28/01/2016] - && e ½ 
[tit. or.: The Clocks; ling. or.: inglese; pagine: 274; anno 1963]
Abbandoniamo di nuovo Miss Marple (e non ce la si fa più…) tornando al mio più congeniale Poirot. Almeno così dice il titolo italiano. E cominciamo subito con una bella tirata d’orecchi a pubblicitari del libro che non rispettano il lettore. Infatti, che bisogno c’era di cambiare il titolo originale che recita “Gli orologi”? Essendo proprio gli orologi un punto nodale del grande “imbroglio” che questa volta ha ordito la nostra Agatha. Imbroglio benevole, sia chiaro. Dove, per l’appunto, su 274 pagine Poirot compare in circa 25. Non che abbia un ruolo marginale, ma tutta la vicenda, la storia ed il racconto ruota intorno a Colin Lamb (nome di fantasia, essendo il protagonista una spia dei Servizi Segreti britannici, che noi attenti lettori sappiamo essere il figlio del Sovraintendente Battle, protagonista di ben 4 romanzi della nostra Maestra). Lamb, non riuscendo a venire a capo della vicenda, chiede ad un tratto a Poirot di aiutarlo. In due capitoli brevi, intervallati dal racconto che scorre, Colin racconta ad Hercule cosa succede, chi ha detto cosa, e come. Solo da pagina 250 a 270 circa Poirot, più per vanità che per reale bisogno, si fa vedere fuori di casa, e, nella cittadina teatro dell’azione, spiega a Colin ed all’attonito ispettore Hardcastle come si sono svolti i fatti. Tutto comincia quando Sylvia, una segretaria “a ore” viene inviata dalla sua capa per un contratto presso Wilbraham Crescent #19. Arrivata in anticipo, entra e trova in salone un morto ed una serie di orologi (almeno 6) di cui quattro avanti di un’ora. In quel mentre entra la padrona di casa, Miss Pebmarsh che si rivela essere cieca, insegnante di Braille, ed all’oscura della venuta di Sylvia. Che spaventata corre in strada dove si imbatte in Colin, che sta investigando su di un misterioso intrigo spionistico che coinvolgi i servizi segreti russi (siamo nel ’63) e un pezzo di carta con una mezzaluna (“crescent” in inglese) ed il numero 61. Tutto il romanzo si svolge poi intorno a questi appartamenti di Wilbraham ed ai loro abitanti. Intanto, il morto non si sa chi sia, non se ne viene a capo dell’identità. Pe due volte il Jury dovrà rinviare la causa non avendo elementi. Ma le deposizioni femminili in tribunale (di Sylvia, della signorina Pebamrsh, e di Katherina, il capo di Sylvia) allarmano Edna, una collega di Sylvia. Questa cerca di riportare i suoi sospetti alla polizia, ma viene uccisa prima di poterlo fare. Nel frattempo si fa avanti anche una sedicente attrice che confessa di conoscere il morto come un suo ex-marito fuggito quindici anni prima. Mendace, che la polizia se ne accorge, ma prima che riesca a farla confessare, anche lei muore. Rimangono i vicini: la signora Ramsey, che deve badare a due figli adolescenti in assenza di un marito sempre misteriosamente lontano, il signor Naughton, ex-insegnante di matematica in pensione, i coniugi Blend, una volta sempre in bolletta ed ora stranamente agiati grazie ad una eredità di un parente della signora Blend. Per complicare il tutto, Agatha ci presenta anche la tormentata storia di Sylvia (in origine Rosemary Sylvia), che pensa di essere orfana, ed in realtà fu lasciata dalla madre prematuramente incinta ad una zia che la cresciuta ed accudita. Sottolineiamo di passaggio, che uno degli orologi sulla scena del delitto, era una sveglietta con su scritto Rosemary. Blandamente la nostra scrittrice cerca di convogliare i sospetti proprio su Sylvia. Certo è che mette tanta carne al fuoco, che un po’ disorienta. Come disorienta la presenza – assenza di Poirot. Che si è fatto ripetere tutti i dialoghi da Colin e che appunto nelle ultime pagine svela tutti i misteri. Scopriamo così che l’appunto di Colin era stato letto al contrario (a questo c’ero arrivato), che il signor Ramsey è una spia fuggita a Mosca (ce lo rivela Colin), che una persona aveva una sorella, e che quindi non poteva essere chi diceva di essere, che anche la cieca nasconde dei misteri (ma non legati alla morte). Ci viene rivelato anche chi sia la madre di Sylvia. Ed infine, utilizzando due aforismi tratti da “Alice nel Paese delle Meraviglie”, come il morto venga da lontano, e che gli orologi erano un falso indizio, messo a bella posta per confondere le acque. Le citazioni sono appunto “Fa il tricheco: ecco il momento / di usar più di un argomento / ceralacca, bastimenti, / scarpe, cavoli e potenti. / Sai perché ribolle il mare? E se i porci san volare?” (che spiega il mistero degli orologi) e “Venne il vecchio d'oltremare e lo fecero ammazzare” (che spiega il morto). Inciso, le due citazioni sono tratte non da Alice ma dal secondo libro “Attraverso lo specchio” (e qualcuno lo poteva scrivere). Alla fine, vediamo che anche Poirot sta invecchiando (tanto che decide di scrivere una sua opera magna sui detective letterari, facendo una specie di “romanzo nel romanzo”, citando autori veri o finti, tra cui l’eponimo della stessa Christie, quella Ariadne Oliver che compare citata in ben nove romanzi della nostra). Peccato che la sua saga stia andando verso la fine, ma, d’altra parte, se non ci fosse una fine non avrebbe senso iniziare.
Agatha Christie “Sono un’assassina?” Corriere della Sera 4 euro 6,90
[A: 03/11/2014– I: 29/01/2016 – T: 31/01/2016] - && e ½
[tit. or.: Third Girl; ling. or.: inglese; pagine: 311; anno 1966]
Siamo ormai alla volata finale degli scritti della nostra Maestra. Agatha si avvicina agli ottanta anni, le sue storie si fanno più rare, ed i suoi scritti risentono ampiamente di una ricerca di novità e di nuovi stimoli, ormai poco sorretta dalla giovanile fantasia. Come succede in questo trentesimo romanzo che ha per protagonista l’ineffabile investigatore belga dagli inconfondibili baffetti. La sfida personale di Agatha è mettere in scena (quasi) tutto un libro senza che ci sia un morto riconoscibile come tale che possa dare il via ad una investigazione tradizionale. Anche qui, riprendendo le scene del precedente romanzo, Poirot è quasi sulla via del ritiro, non trovando di meglio che scrivere libri sui grandi investigatori “di carta” (e nella prima parte cita sia Poe sia Wilkie Collins, maestri del genere nell’Ottocento), si accompagna sovente con la scrittrice Ariadne Oliver (che abbiamo incontrato altre volte, essendo un alter-ego della stessa Christie, ed alla quale rivolge un epigramma del noto umorista francese Jean-Baptiste Alphonse Karr, “Plus ça change, plus c'est la même chose”, ma che io ricordavo per un’altra fase famosa, “La felicità è formata di sventure evitate”), e viene intrigato dalla visita di una giovane donna, dall’apparenza confusa, che prima gli domanda se lei stessa possa aver ucciso qualcuno, e poi fugge da lui. Tutto il romanzo si basa allora su questo assunto: la signorina è realmente un’assassina? E chi può aver ucciso? E chi è in realtà? Con l’aiuto di Ariadne riesce a risalire all’identità, pare sia tal Norma Restarick, figlia di primo letto di Andrew un bel tipo che abbandonò moglie e figlia quando questa aveva cinque anni, se la spassò tra il Sudafrica ed il Sudamerica, ed ora torna in patria per gestire gli affari familiari, accompagnato da una giovane moglie, Mary. Norma vive come terza ragazza (da cui il titolo, su cui torneremo) con tali Cecilia, segretaria del padre, e Frances, artista mecenate dalle ambigue frequentazioni. Norma è concupita dal nulla facente David (o meglio artista da strapazzo), forse per i soldi, forse per altro. Norma ha continui mancamenti di tempo, come dei buchi, di cui non ricorda nulla, ma dai quali emerge come se avesse fatto chissà quali danni. Sembra che abbia tentato di avvelenare la matrigna Mary con dell’arsenico, sembra che abbia sparato dei colpi di pistola verso dei giovani ubriachi, sembra che abbia delle colpe nel suicidio della sua inquilina del piano di sopra, Louise. Per tutto il romanzo, Poirot cerca di trovare Norma che sparisce, sempre coadiuvato da Ariadne. E per tutto il romanzo si accumulano elementi di sospetto, anche se non definitivi. Andrew ha un rapporto di odio e amore verso Norma, Mary sparisce spesso dalla villa in campagna per andare a Londra non si sa per quali motivi, David compare e scompare, Francis sembra anche coinvolta in traffici di quadri falsi. Insomma una sarabanda di forse, di questo e di quello, con il nostro Poirot che, appena può, si siede sulla sua sedia, nel suo studio e rimugina su quello che succede, senza cavarne un ragno dal buco. Certo, muove le sue pedine, fa indagini sul passato di tutti, scopre che David è di certo un cattivo soggetto, sempre sull’orlo della galera, ma sempre un passo al di qua. Scopre, infine, che Louise la suicida non era altro che l’amante di Andrew con la quale lui era fuggito dalla moglie quindici anni prima. Dopo trecento inutili e logorroiche pagine, finalmente arriviamo alla stretta finale: David viene trovato morto, e Norma e vicina a lui con un coltello in mano. Scoperta fatta da Frances. Poirot allora convoca tutti in una stanza, e con un colpo da maestro ci fornisce la soluzione. Dove Norma non è pazza, ma solo drogata da qualcuno che le sta vicino e che le vuole male. Il tutto scatenato dall’arrivo sulla scena di Louise che può legare l’oscuro passato al difficile presente. Ovviamente Norma non è colpevole, ed avrà il suo lieto fine. La soluzione tuttavia è un po’ complicata, e, soprattutto, scarsamente deducibile dagli elementi in nostro possesso. Certo, che l’ambigua Mary entrasse nella trama lo sospettavo da tempo. Ma tutto il castello costruito sopra la trama l’ho trovato un po’ “appiccicato”. Il declino della nostra baronetta si sente anche nelle piccole tiritere che inscena verso i giovani, i beat, le donne dalle gonne corte (siamo pur sempre a Londra, nel 1966, ci sono John Lennon e Mary Quant). Insomma, storia in minore, e molto lunga. Illuminata da qualche gioco come quelli citati, o come altri: la ricerca del nome della ragazza (citando la canzone “Speak to me, Thora” dei primi del Novecento) o la presenza nuovamente di filastrocche infantili. La prima “Rub-a-dub-dub”, risale al 1798, e viene in mente a Poirot mentre cerca di capire lo strano comportamento di Norma: “Rub-a-dub-dub, Three men in a tub, And who do you think they were? The butcher, the baker, the candlestick-maker. They all sailed out to sea, ‘Twas enough to make a man stare”. Nella traduzione di Grazia Maria Griffini è riportata nel modo seguente: Rub a dub, tre uomini in una tinozza/e chi credete che siano?/Un macellaio, un fornaio e un candelaio / tutti che navigavano oltremare …”. Filastrocca che induce Poirot a pensare al comportamento di Andrew. Che poi unisce all’altra, ben nota perché usata battendo le mani, “Pat-a-cake, Pat-a-cake, baker’s man / Bake me a cake as fast as you can / Pat it and prick it and mark it with “B” / And put it in the oven for Baby and Me”, di cui Poirot inventa una sua personale parodia per darci un aiuto sulla via della soluzione del mistero. Ultimo punto che affronto qui, è il motivo del cambio del titolo. Il titolo originale, infatti, “Third Girl”, si riferisce al fatto che Norma Restarick è la terza ragazza tra quelle che occupano un medesimo appartamento per condividere le spese, e che unita alle due filastrocche citate fornisce le chiavi del problema. Ed allora, perché modificarlo nella domanda angosciata di Norma a Poirot, che poi recita “forse ho commesso un delitto”? Anche perché nessuno dice mai “Sono un’assassina?” in tutto il libro. Ma concediamo ancora un po’ di credito ad Agatha, che i romanzi volgono alla fine.
“Le ragazze sono fatte così! Secondo loro ogni persona che abbia passato i trentacinque anni ha già un piede nella fossa.” (17)
Agatha Christie “Sipario, l’ultima avventura di Poirot” Corriere della Sera 19 euro 6,90
[A: 22/12/2014– I: 31/01/2016 – T: 02/02/2016] - &&&
[tit. or.: Curtain: Poirot’s Last Case; ling. or.: inglese; pagine: 211; anno 1975]
Siamo ormai quasi alla fine, come dice il titolo stesso di questo penultimo libro. La nostra maestra, con la quale abbiamo percorso tanta strada, è arrivata alla veneranda età di 85 anni. Anche Poirot è invecchiato, e nelle ultime fatiche lo abbiamo visto sempre più incurvato e malato. Ma per celebrarne la degna fine, la nostra amata scrittrice tira fuori dal cassetto un colpo da maestra. L’ultima avventura di Poirot l’aveva scritta nel 1940, e poi l’aveva chiusa in una cassetta di sicurezza in una banca, con l’idea di pubblicarla solo dopo la sua morte (così come si dice abbia fatto Camilleri con il suo Montalbano). Sentendo il peso degli anni ormai poco sostenibile, Agatha si fa convincere, invece a tirar fuori lo scritto e a pubblicarlo. Si sente tutto ciò. Prima di tutto, per la verve che sottende un pur malinconico romanzo, rispetto alle cupe atmosfere degli ultimi scritti (cupe dentro, oserei dire). Inoltre, ha un discreto intreccio, una sovente citazione di altri casi, una ripresa del primo caso di Poirot, ed uno stravolgimento di quello che ritengo il suo più riuscito romanzo. Anche se Poirot, ed è la stessa Christie che lo confessa nelle sue memorie, non è mai stato vicino alle sue corde, lei che invece ha sempre amato Miss Marple (come sapete, invece, il mio giudizio è opposto). Purtroppo la scrittura del 1940 lascia qualche sprazzo a incongruenze, poiché la nostra decise la pubblicazione “as is”, senza volerne rivedere e ritoccare i punti dolenti. Al fine di chiudere il cerchio, la prima mossa della scrittrice è collocare l’ultimo caso dell’ispettore belga nello stesso luogo che ne aveva visto la nascita. Il primo caso di Poirot, con il fido capitano Hastings a fargli da mentore, si era infatti svolto proprio a Styles Court. Era il 1916, Hastings aveva trenta anni, non era sposato, ed aveva conosciuto nei primi mesi di guerra l’allora ispettore Poirot. Ora, la pubblicazione avviene sessanta anni dopo, così che Hastings dovrebbe avere novanta anni, ed invece si aggira su di una rotonda sessantina. Inoltre, si è sposato a metà degli anni venti, ha avuto quattro figli, la cui ultima, Judith, è presente in questo romanzo, dove si dice abbia da poco superato i ventuno anni. Anche l’accenno alla pena di morte è anacronistico, visto che fu abolita in Inghilterra nel 1965. Comunque, Styles Court è cambiata, è diventata una locanda, ed è lì che Poirot, invalido, convoca il vedovo Hastings. Perché è lì che, secondo Poirot, ci sarà un omicidio e lui vuole impedirlo. Così come cercò di fare nel celebre “Assassinio sul Nilo” scritto negli anni Trenta. Lì nella locanda, gestita dalla male assortita coppia Littrell, convergono il medico epidemiologo Franklin, che tratta sostanze tossiche, con moglie malata immaginaria alla Molière e tanto rompiscatole, con al seguito l’infermiera Craven per la moglie e Judith Hastings come assistente nelle ricerche, il barone Boyd Carrington, in gioventù spasimante di Barbara Franklin, la signorina Cole dall’oscuro passato, l’ornitologo Norton, pieno di tic e complessi, l’arrivista Allerton. E Poirot racconta ad Hastings di una serie di delitti che, pur accreditati a dei colpevoli, secondo l’ineffabile belga hanno qualcosa di strano, nascondono qualcosa. Da lì, Poirot si eclissa nelle sue stanze da malato, e noi siamo costretti a seguire le inutili peregrinazioni mentali e fisiche del pur buono Hastings. S’intrecciano storie, Allerton sembra circuire Judith, i coniugi Littrell litigano, Carrington sembra riprendere vigore verso Barbara. Tutto precipita con la morte per mezzo delle tossine del dottore proprio di Barbara. Chi è stato? Il marito? Judith che si è innamorata dello stesso? L’infermiera? La testimonianza di Poirot fa invece pendere la bilancia verso il suicidio, confessando a Hastings di averlo fatto di proposito per mettere in difficoltà il vero colpevole. Che muore, e subito dopo anche Poirot perisce in seguito ad un ennesimo attacco di cuore. Il mistero si risolverà solo mesi dopo, quando Hastings riceverà una lettera postuma di Poirot che gli confessa di essere stato lui ad uccidere il colpevole, che altrimenti avrebbe continuato il suo percorso malefico. Per poi rifiutarsi di prendere la trinitrina all’inevitabile crisi cardiaca seguente. Magistrale colpo di teatro, che rimette in discussione tutte le tiritere pluriennali sulla giustizia imbastiteci da Agatha in tutti i suoi scritti. Ponendo la domanda sul labile confine che separa la giustizia dall’assassinio. Non è un caso che accosto (pur con minor successo) questo al celeberrimo ed insuperabile “Assassinio di Roger Ackroyd”. Nella sua maestria ed erudizione, la nostra grande maestra aveva nascosto un bell’indizio a metà racconto. Stanno tutti nel salone, e Hastings sta risolvendo il mitico cruciverba del Times. Prima l’erudizione, con Judith che scopre una citazione di Joyce (“La storia è un incubo da cui tento di svegliarmi”), poi trovandone una da Shakespeare (“Oh guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre”) che fornisce la soluzione di quattro lettere: Iago. Perché qui, come in Otello, il colpevole fa morire tre persone (Claudio, Desdemona ed Otello) senza ucciderle direttamente. Magistrale. Con un’ultima chicca da segnalare, dopo l’uscita del libro, il 6 agosto 1975, il New York Times esce in prima pagina con un necrologio per la morte del grande investigatore Hercule Poirot.
Agatha Christie “Addio, Miss Marple” Corriere della Sera 20 euro 6,90
[A: 22/12/2014– I: 18/02/2016 – T: 20/02/2016] - && ½
[tit. or.: Sleeping Murder; ling. or.: inglese; pagine: 232; anno 1976]
Siamo così arrivati all’ultimo capitolo, all’ultimo libro della ben lunga saga della nostra Signora del Giallo. Dopo aver assistito all’ultimo caso ed alla morte del bravissimo ispettore belga, nel 1976 Christie decide di autorizzare la pubblicazione anche dell’ultimo caso di Miss Marple. Entrambi i libri furono scritti all’inizio degli anni ’40, in una Londra colpita dal fuoco nemico. Entrambi, poi, furono relegati in cassaforte, in attesa appunto che Agatha decidesse per la pubblicazione. O, in alternativa, morisse, essendo scritto nel suo testamento cosa si sarebbe dovuto fare in questo caso. Se per Poirot ho già scritto a lungo, qui non posso che fare un piccolo traslato, prima di addentrarmi nel testo, e nella sua, secondo me, non esaltante riuscita. Infatti, sappiamo che Agatha non amava in maniera particolare il belga dai baffetti, eppure fa calare decentemente il sipario sulle sue inchieste e sulla vita stessa di Hercule. Ciò non avviene per Miss Marple, che qui vediamo operare nel pieno delle forse, mentre in altre opere, scritte dopo di questa ma pubblicate prima, se ne sente l’invecchiamento. Tant’è che, ad esempio, nel “Lo specchio si rompe da una parte” è meno pimpante, ed in “Nemesi” il dottore le consiglia di non chinarsi. Allora, ci si chiede, che senso ha scrivere questa come ultima novella da pubblicare postuma? Per uno scherzo del destino, tra l’altro, Agatha aveva autorizzato la sua pubblicazione nel 1976, e poco prima che ne uscissero le stampe, lei stessa muore, ormai ultra ottantenne. Possiamo capire l’ardore del market italiano che ribattezza subito il libro con l’assurdo titolo “Addio Miss Marple”, ma non se ne capisce il senso. Forse “Addio Agatha” era più azzeccato e più affettuoso. A meno di non lasciare l’originale “Omicidio dormiente”. Tra l’altro, il tessuto della trama è uno dei più abusati dalla nostra Maestra, presente ad esempio in “Il ritratto di Elsa Greer”, “Giorno dei morti” e “Le due verità”. E cioè la ricerca della soluzione ad un mistero avvenuto ben prima che inizi il racconto. Qui, il mistero è di ben 18 anni precedente al momento in cui conosciamo la giovane Gwenda che torna in Inghilterra con il marito Gilles alla ricerca di una casa per il loro futuro. Casa che trova a Dillmouth, e dove comincia ad avere dei “dejà vu”: stanze con delle porte che non ci sono più, giardini con scalini scomparsi. Sino alla rivelazione durante la rappresentazione della “Duchessa di Amalfi”, dramma di John Webster. Qui si comprende il basso gradimento del testo che ove si conosca John Webster, drammaturgo inglese coevo di Shakespeare, oppure si conosca la storia di Giovanna d’Aragona, nobile napoletana del Quattrocento, i misteri del libro sono già rivelati. Gwenda aveva, in effetti, vissuto a tre anni in quella casa, con il padre e la matrigna, e dove questa era scomparsa o morta, e da lì spedita dai parenti in Nuova Zelanda. Gwenda assiste alla tragedia per combinazione con Miss Marple. E da qui, la nostra simpatica vecchietta un po’ defilata, e Gwenda e Gilles in primo piano, si ricostruisce la storia di Helen la matrigna. Helen viveva a Dillmouth con il fratellastro, il dottor Kennedy. Si era fidanzata con tale Jack, un arrivista, allontanato subito dal dottore. Poi aveva frequentato l’avvocato Walter, ma senza grande trasporto. Questi, scottato, era partito per l’India. Helen, dopo un po’ della claustrofobica vita cittadina, decide di sposarlo e parte anche lei per l’India. Tuttavia sulla nave incontra l’accattivante Peter, se ne innamora, ma questi è sposato. Per cui, arrivata a Bombay, lascia per la seconda volta Walter (che un po’ s’innervosisce), lascia l’amante Peter e ritorna in Inghilterra. Sulla nave conosce il padre di Gwenda, da poco vedovo, e lo sposa. Andando a vivere nella casa ora acquistata dalla stessa Gwenda. Lì potrebbe essere avvenuto il fattaccio. In quell’estate, a Dillmouth, oltre a Helen, il marito ed il fratello, convergono Walter, tornato a fare l’avvocato, Jack, che si occupa di viaggi turistici, e Peter, in vacanza con la moglie. Miss Marple e noi attenti lettori già sappiamo la possibile conclusione. Agatha la tira per le lunghe, in una lunga tiritera dove cerca di dimostrare la possibile colpevolezza di ognuno dei possibili assassini. Anche del padre di Gwenda, che si era autoaccusato del fatto, anche se non si trovò il cadavere, e morì fuori di testa in manicomio. Alla fine tutto torna al proprio posto, anche a costo di una nuova morte, per fortuna non dei personaggi principali. Inciso finale: questo libro, scritto in parallelo con l’ultima avventura di Poirot, presenta un’altra analogia. Nelle discussioni intorno al possibile omicida, questo, come in “Sipario”, viene chiamato “Mr.X”. Ed allora lasciamo andare Miss Marple verso il suo declino, anche se non verso una fine certa, come quella di Poirot. Lasciamo anche andare l’ottima Christie, che per una trentina di libri ci ha accompagnato nell’ultimo anno. Salutiamo ora, nel quarantesimo anniversario della morte, avvenuta nel gennaio del 1976, rendendo il doveroso omaggio ad una delle migliori produzioni complessive della storia del giallo.
Anche se non è domenica, è comunque il primo del mese, e prima di partire di nuovo, ecco le letture di maggio, ultimo mese ben nutrito, che poi i viaggi ci hanno portato a lavorare di più e leggere di meno. Dodici libri, tendenti molto all’uniformità verso il basso, eccetto il solito ottimo Maigret, sicuramente sopra media, ed il dolente ed attualissimo libro del marito di uno dei morti del Bataclan. Non eccelso, ma sentitissimo.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Astrid Lindgren
Kalle Blomkvist, il grande detective
Repubblica Noir Junior
6,90
3
2
Elda Lanza
Il matto affogato
Salani
9,90
2
3
Carlo Feltrinelli
Senior Service
Feltrinelli
s.p.
2
4
Giuseppe Culicchia
E così vorresti fare lo scrittore
Laterza
9,50
3
5
Antoine Leiris
Non avrete il mio odio
Corbaccio
s.p.
4
6
Georges Simenon
I Maigret – 5
Adelphi
s.p.
4
7
Fabio Stassi
Fumisteria
Sellerio
12
3
8
Gabriel Garcia Marquez
L’autunno del patriarca
Mondadori
9
2
9
Mario Pasqualotto
L’estate delle falene
Repubblica Noir Junior
6,90
2
10
Kathy Reichs
Le ossa non mentono
Rizzoli
15
3
11
Hermann Hesse
Narciso e Boccadoro
Mondadori
s.p.
2
12
J. K. (Robert Galbraith) Rowling
Il baco da seta
Repubblica Noir
7,90
2

Comincia un grande agosto, speriamo con qualche riposo in più. Ed io andrò europeando in giro per due settimane.

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