Ma non nel senso delle a me veramente ostiche
compilation letterario-noir che puntualmente ogni anno cerca di propinarci
Sellerio (che salto da quando Elvira guidava con mano ferma!). alcune puntate
dei serial gialli che seguo da anni. Un nuovo episodio delle ossa di Temperance
Brennan, un episodio di Thomas Pitt e ben due di William Monk. C’è n’è per
passare qualche ora sotto l’albero, a leggere (e magari sul lettore mettere uno
dei primi LP dei Grateful Dead).
Kathy Reichs “Le ossa non mentono” BUR euro 15 (in realtà, scontato a
7,50 euro)
[A: 13/07/2015– I: 20/05/2016 – T: 25/05/2016] - &&&
e ½
[tit. or.: Bones Never Lie; ling. or.: inglese; pagine: 380;
anno 2014]
Dopo quasi due anni di
lontananza, eccoci di nuovo a Temperance Brennan ed alla sua serie di ossa (e
nel frattempo si è visto anche qualche puntata del serial che ne è stato tratto,
e non è male). Un po’ di anni fa, la vena di Kathy sembrava stesse esaurendosi,
e le storie si arrotolavano intorno a sé stesse, quasi servissero solo ad
autoperpetuarsi. Ora, pur non avendo gli scatti delle prime uscite, si ha quasi
la sensazione che si voglia uscire dalle secche. Con fatica, e qualche
strascico ancora. Ad esempio, e questo è uno dei punti negativi del romanzo,
volendo di nuovo tirare fuori una sequenza da episodi passati e risolti forse
solo in parte. Ma se le sequenze hanno senso nella parte “vita personale” della
serie, nella parte “risolvi i misteri” si rischia di cadere un po’ nel déjà vu
(o nello scopiazzo). Tanto che questo diciassettesimo romanzo si ricollega ad
alcuni episodi del settimo, “Morte di lunedì”, ed alle avventure culminate con
la scomparsa della famigerata Anique Pomerleau. L’inizio sembra portare ad
altro, tanto che troviamo Tempe alle prese con degli omicidi che non trovano
spiegazione. Nel 2007, venne trovata morta Nellie Grower, una ragazzina di 12
anni che scompare mentre tornava a casa da scuola in bici, nel Vermont.
L’assassino non sembrò aver lasciato nessuna traccia né sul corpo della
giovane, né nell’area circostante al ritrovamento del cadavere. La vittima era
stata rinvenuta in una cava di granito vestita e pettinata ordinatamente, come
se fosse in posa. L’ispettore del caso fu Umparo Rodas. Dopo anni di ricerche
senza nessun risultato, decise di immettere il modus operandi dell’omicidio e
altri dettagli in un database dell’FBI chiamato VICAP. Sorpresa: trovò una
corrispondenza con un altro caso irrisolto avvenuto a Charlotte, il paese in
cui lavora la dottoressa Brennan. Lizzie Nance, 11 anni, scompare nel 2009 e il
suo corpo venne trovato in una riserva naturale, anch’esso in posa. Ma la cosa
più sconvolgente fu che alcuni campioni di DNA, ritrovati sul corpo di Nellie
Grower nel 2007, analizzate con moderne tecnologie, hanno rivelato l’identità
del presunto serial killer di adolescenti: Anique Pomerleau. Questo nome
riporta nella vita di Brennan anche il fantasma del canadese Andrew Ryan, suo
ex che da lei si è allontanato negli ultimi episodi. Già … Ryan. La polizia del
distretto di Charlotte-Maklenburg e i federali americani, vorrebbero che Ryan
collaborasse alle indagini. Lui che era stato a pochissimo dalla cattura della
Pomerleau e che conosceva a memoria tutti gli aspetti delle passate indagini
svolte in Canada. Tempe è “costretta”, quindi, ad andarlo a cercare addirittura
in Costa Rica, dove il nostro si è sepolto dopo la morte della figlia per overdose,
in un isolamento da eremita. Dovrà ritrovarlo e riportarlo alla vecchia vita e
dovrà anche fare in fretta, prima che la Pomerleau uccida di nuovo. Si
costituisce così una strana task force dedicata alle indagini: Temperance
Brennan, Umparo Rodas (il detective incaricato del caso Nellie Grower), Honor
Barrow, Beau Tinker (agente dell’SBI – State Bureau of Investigation) ed
Erskine Slidell (detective della omicidi del North Carolina) dovranno dare una
risposta. Facendo in fretta visto che un’altra ragazza è stata rapita: Michelle
“Shelly” Leal. Sarà solo quando finalmente Tempre riuscirà a coinvolgere Ryan,
che l’antropologa forense inizierà un cammino lungo e pericoloso a caccia di
una terribile e feroce criminale. Il ritorno di Ryan permetterà infatti alle
indagini di scorrere più veloci e di aggiungere altri tasselli di assoluta
importanza. Ed a scoprire che la Pomerleau … (lasciamolo ai lettori). Per
arrivare ad un finale con ben due colpi di scena che ci fanno aspettare con
ansia il 18° volume. La Reichs è sempre attenta al contorno, ai personaggi
cosiddetti minori. Sicuramente i poliziotti di contorno. Ma in questo episodio
vediamo soprattutto che riceve aiuti inaspettati dalla madre, esperta hacker
benché ormai minata da un male incurabile. Con un riferimento incrociato alla
serie televisiva cui accennavo sopra. Come spesso accade poi nei suoi libri,
essendo Kathy un’antropologa forense essa stessa, siamo sempre confortati da
nuovi dettagli e scoperte. Così in questo volume impariamo anche cosa sia la
amelogenina ed il suo ruolo nello sviluppo dentario (capitolo 14); come viene
prodotto lo sciroppo d’acero che tanto ha accompagnato ed accompagnerà le mie
pantagrueliche mangiate di pancake in America (capitolo 21); come gli antichi
conservavano i corpi nel miele (capitolo 22). Insomma, solita buona lettura e
decisa risalita nello sviluppo degli intrecci e del lato “noir” delle storie.
Speriamo continui così.
Anne Perry “Un mare senza sole” Mondadori euro 4,90
[A: 09/11/2014– I:
27/08/2016 – T: 30/08/2016] - &&& --
[tit. or.: A Sunless Sea; ling. or.: inglese; pagine: 312; anno 2012]
Nell’alternanza delle vicende
descritte da Anne Perry questa volta torniamo al 1864 ed alle vicende
dell’ispettore fluviale William Monk, di sua moglie Hester e del loro amico sir
Olivier Rathbone. Leggo sempre con piacere gli scritti di questa scrittrice,
ammirandone la volontà, anno dopo anno, libro dopo libro, di lasciarsi alle
spalle un pesante passato, continuando a riempire i suoi scritti non solo di
storie poliziesche, ma soprattutto di dilemmi. E di dilemmi giudiziari, avendo
fatto tesoro dei suoi propri personali, come sa chi mi legge da tempo. Dilemmi
che si trascinano in questo caso di libri in libro, collegandosi strettamente
con la precedente storia di Monk. Quei “Dannati del Tamigi” che avevano visto
la morte del perverso Bollinger e l’eredità pesante che questi lascia a sir
Oliver. Una cassa di lastre fotografiche ritraenti persone influenti in
atteggiamenti depravati. Uno dei due dilemmi che percorrono il romanzo è se sia
lecito o meno utilizzare queste foto per indirizzare la giustizia su binari
percorribili. L’altro, non direi dilemma, ma constatazione e instanziazione
storica, è la presenza dell’oppio sul territorio inglese. Su chi lo introduce,
su chi ne fa un lucroso affare. Sappiamo dai bellissimi libri di Amitav Gosh
molto sulle guerre dell’oppio, che videro la liberalizzazione del commercio
dopo che le armate inglese sconfiggono i cinesi che ne volevano limitare il
commercio. Guerre terminate poco tempo prima (precisamente nel 1860 a Canton).
Per dar modo a questi dilemmi di scatenarsi, la nostra scrittrice imbastisce
una trama che prende le mosse dal ritrovamento di un cadavere di una donna,
orrendamente mutilato, su un molo del Tamigi. Ovvio che ad occuparsi della
morte sarà l’ispettore fluviale Monk. Che iniziando a scavare trova subito una
dissonanza: la morta, di nome Zenia, era visitata periodicamente dal dottor
Lambourn, sostenitore della regolamentazione dell’oppio per motivi medicali.
Scopre anche subito dopo che il dottore, pochi mesi prima, sembra essersi
suicidato, non resistendo alla distruzione politica del suo libro e delle sue
ricerche sul cattivo uso dell’oppio. Trova molte porte chiuse Monk, tanto che
comincia a chiedersi il perché di questi sbarramenti, molto politici, che trova
nelle sue indagini. Insieme alla moglie hanno un’idea geniale: incolpare Dinah,
la moglie del dottore, della morte di Zenia. Ed imbastire un processo che vede
come avvocato difensore proprio sir Oliver. Abbiamo quindi di nuovo un saggio
delle capacità descrittive dei processi dell’era vittoriana, un altro elemento
di piacere nelle letture dei libri di Anne Perry. Schermaglie verbali si
susseguono, mente Monk ed Hester continuano ad indagare. Scoprendo che forse le
ricerche di Lambourn non erano poi così cattive. Scoprendo che dall’oppio
fumato si sta passando all’oppio iniettato in vena. Scoprendo altri altarini
che coinvolgono, almeno sembra, una lontana sorella del dottore, il suo debole
marito ed il capo di questi, Bawtry, un politico in carriera molto fulminea. Ma
c’è qualcuno che vuole chiudere in fretta il processo, e mettere tutto a
tacere. Anche perché si avvicina il Natale. Qui sir Oliver si trova davanti al
suo dilemma: se usa una delle foto, può costringere il giudice del processo a
non ostacolare, come sta facendo, il dibattimento. Dall’altra abbiamo
digressioni sull’uso dell’oppio. Nonché il ritrovamento, da parte di Hester, di
un medico, ora schiavo della droga, che tuttavia cerca, nei momenti di
lucidità, di aiutare i derelitti drogati. Che conosceva le ricerche di
Lambourn, anzi era forse uno dei pochi ad averle lette ed a sostenere che
fossero nel giusto. Tutti i nodi come ben ci aspettiamo, precipiteranno insieme
nelle ultime sedute del processo. Si scopre che Zenia era la vera moglie di
Lambourn, che non aveva divorziato ma che aveva allontanato la legittima
consorte avviata anch’essa sulla china della droga. Si scopre che Dinah era
quindi una sua amante more uxorio. Monk si riavvicina anche al suo vecchio capo
nella polizia, il sovraintendente Runcorn. Insieme scoprono anche come possa
essere stato ucciso Lambourn. In tribunale quindi convergono tutti: Dinah come
imputata, il giudice, sir Oliver, Monk, Hester, il medico drogato, Bawtry, la
sorella ed il cognato di Lambourn. Riuscirà sir Oliver ad avere un equo
processo? Riuscirà ad indicare chi e come ha eseguito i due assassinii? Lascio
a chi ne ha voglia di leggere il finale della storia nella piacevole scrittura
di Anne Perry. Io rimango a guardare una bella foto dell’epoca vittoriana, una
bella ricostruzione degli avvenimenti. Resto infine a pensare se sia giusto
utilizzare mezzi ai limiti dell’onestà per ottenere giustizia. Io do la mai
risposta. Voi, se volete, leggendone. Anne Perry la dà scrivendone.
“La cosa peggiore è ciò che uno ha nella testa. Perché da quello non si
può scappare, mai.” (83)
Anne Perry “Gli inganni di Dorchester Terrace” Mondadori euro 4,90
[A: 03/04/2015– I: 19/09/2016 – T: 20/09/2016] - &&&
--
[tit. or. Dorchester Terrace; ling. or.: inglese; pagine: 272;
anno 2011]
Appena tornato dall’India,
avevo bisogno di immergere la testa in qualche cosa di completamente altro.
Sono quindi tornato subito alle storie dell’Ottocento di Anne Perry, passando
questa volta dagli intrighi di Monk, che avevo terminato subito prima di
partire per Leh, a quelli meno “dilemmatici” di Thomas Pitt e compagnia, che ho
divorato mentre qui, in questa Roma calda e umida passo il primo fine settimana
a “bassa quota”. In tutti i sensi. Ma qui si parla di libri, o no? E si parla
della nostra scrittrice prolifica e, almeno in questa serie, più rilassante.
Qui non deve fare i conti con il suo passato, con le vicende giudiziarie. Qui
si parla di indagini, anche di intrighi se vogliamo, ma con un tono più “easy”.
Intanto rimarchiamo che il titolo (inglese) torna all’originale designazione di
un luogo, Dorchester Terrace per l’appunto, come nella quasi totalità delle
avventure di Pitt. Impagabili i traduttori italiani nell’appiccicare la parola
“inganni”, come se in una vicenda di spie non siano all’ordine del giorno.
Ricordate intanto che la Regina Vittoria aveva detto a Pitt che non si sarebbe
dimenticata di lui? Infatti ecco che, messo prima per tappare un buco come capo
della Sicurezza Nazionale, ora ne diventa il motore primo a tutti gli effetti,
con beneplacito reale. Il problema di Pitt è che lui viene dalla gavetta e si
sente inadeguato nel mondo “dei pizzi e delle crinoline” che la sua carica gli
impone di frequentare. Per fortuna che la zia Vespasia gli è comunque d’aiuto,
anche se proprio da un’amica della zia ha il via una parte preponderante della
vicenda. Serafina, ottuagenaria ed in via di demenza senile, è stata ai suoi
bei tempi giovanili una pasionaria che nello splendore dei suoi trenta anni,
intorno alla metà del secolo, aveva girato l’Europa in lungo ed in largo,
cercando ovunque dove ci fosse luogo e possibilità di rivolta. In uno dei tanti
momenti di lotta si incontra con Vespasia, diventano sodali, anche se poi
Serafina rimane sul campo, mentre l’amica ritorna alla sua Inghilterra ed al
suo mondo dorato. Scopriremo poi, tra le tante attività, che Serafina era stata
amante di un irredentista croato, Lazar Dragovic, che qualcuno dell’entourage
inglese aveva tradito e fatto mettere a morte dagli austriaci. Sarà stato il
vecchio Lord Tregarron, a sua volta preso da una tresca con Serafina, o Evan
Blantyre, ora ex-diplomatico, ma all’epoca giovane in carriera negli uffici di
Vienna? Serafina sa, e sa che nella sua demenza qualcosa gli può sfuggire
mettendo in pericolo la sicurezza nazionale. Anche qualcun altro sa, Evan o
forse il giovane Lord Tregarron. E Serafina muore. Uccisa da una dose eccessiva
di laudano. Tutti gli occhi (almeno quelli collegati a Pitt) si appuntano su
Adriana Blantyre, che in realtà è la figlia di quel Dragovic tradito da qualche
inglese. Adriana che aveva possibilità e movente. Ma anche Adriana muore, ed
anche questo, Pitt lo scoprirà presto, non è un suicidio. Tutto questo intrigo,
oltre che dalle paure di Serafina, è anche messo in moto dalla visita a Londra,
del duca Alois d’Asburgo. Dove gli informatori di Pitt scoprono che qualcuno
vuole attentare alla vita dell’ospite austriaco in territorio inglese. Ma Alois
è solo uno studioso, come si diletta a mostrare, oppure qualcosa di più, magari
un pezzo grosso della sicurezza austro-ungarica, come sospetta Pitt. Certo un
tale attentato metterebbe in moto elementi che potrebbero, con venti anni
d’anticipo, portare ad un conflitto mondiale. Tuttavia sappiamo che le cose
sono collegate. Anche perché Pitt ha un piccolo aiuto, pur se titubante, dal
cognato Jack, entrato nell’entourage di Lord Tregarron, e che fornisce, a volte
senza rendersi conto, informazioni preziose a Pitt. Dopo pagine e pagine con le
quali Anne Perry ci porta a spasso tra mondi dorati di corte da un lato e
loschi intrecci dall’altro, la fine, come spesso purtroppo accade nei romanzi
della nostra scrittrice, è affrettata e relegata in poche pagine (quattro
questa volta). Pitt scopre tutti i meccanismi, scopre chi ha fatto cosa e
perché (e come). Deve solo decidere se, visto che la giustizia ordinaria non
potrà fare nulla, arrogarsi una scelta dura, ma necessaria per la sicurezza
nazionale. Decidere anche se questo passo avrà la forza o meno di portarlo
avanti per il resto della sua vita. Non vi dico quale passo sia, ma è ovvio che
Pitt lavora per il bene e come tutti gli eroi di Anne Perry, decide per il
meglio, anche se questo lo ferirà per sempre. Speriamo che l’aria cupa che si respira
nella Sicurezza Nazionale non inquini le prossime avventure di Pitt e di sua
moglie Charlotte. Che la lettura risulta sempre rilassante, come ho già
espresso, e serve, a volte (o anche più di talvolta) qualche momento in cui si
stacca la spina.
“Tutti ci dimentichiamo [di qualcosa] … Forse i giovani un po’ meno, ma
perché hanno meno da ricordare.” (33)
“Nessuno vince sempre, a meno che non abbia obiettivi troppo facili.”
(149)
Anne Perry “Giustizia cieca” Mondadori euro 5,90
[A: 06/07/2015– I: 20/10/2016 – T: 27/10/2016] - &&&
--
[tit. or.: Blind Justice; ling. or.: inglese; pagine: 271;
anno 2013]
Non
stupitevi della lunga lettura. In genere gli scritti di Anne Perry vengono
letti molto più velocemente. Qui, nel framezzo, c’è stato un bellissimo week-end
a Bilbao, a gustare l’aria spagnola, la cucina basca ed il museo Guggenheim.
Detto questo, veniamo al libro, al suo testo ed al suo contesto. Che qui, più
che altrove, la nostra scrittrice si avvicina al nocciolo duro dei suoi
problemi, alla ricostruzione (qui mentale e fittizia) di quella parte oscura
della sua giovinezza. Là dove ha dovuto, a forza, fare i conti con quella
giustizia, che qui definisce cieca, ma che, a volte, ci vede benissimo (come la
sfortuna, che ci vede benissimo e colpisce sempre forte e duro). Ricordo
brevemente, per i più distratti, che Anne Perry, da adolescente, insieme alla
sua amica Patricia, uccise la madre di quest’ultima in Nuova Zelanda. E qui
affronta per pagine e pagine un tema scottante proprio sulla giustizia e sulla
legge: è lecito ad un giudice offrire elementi di colpevolezza di un imputato
se ne viene a conoscenza? Ed in che modo? Ma facciamo un passo indietro per
capire meglio la storia. Del libro, ovvio, che la storia di Juliet Hulme poi
diventata Anne Perry la potete vedere su Internet o sul primo film interpretato
da Kate Winslet, “Creature del cielo”. Qui siamo nella serie dedicata a William
Monk ed alle sue vicissitudini. Tuttavia non si narra di azioni della polizia
fluviale, ma piuttosto dello scenario dei personaggi che compongono il mondo di
Monk. In particolare, la moglie Hester e l’amico sir Oliver Rathbone. Tutto
nasce da una piccola indagine privata svolta da Hester per capire come mai la
famiglia di una sua amica si stia riducendo in rovina. Si scopre ben presto che
il padre della sua amica, subornato da un sedicente predicatore, mister Taft,
ha donato alla sua chiesa più di quanto in suo possesso, finendo in
ristrettezze. Ma la chiesa di Taft è solo un paravento, manovrato da lui e dal
suo accolito Drew, per raggranellare soldi a loro personale vantaggio. Viene
così istituito un processo per truffa, dove viene chiamato a giudice sir
Oliver, passato dal ruolo di brillante avvocato a quello, appunto, di giudice.
Le prove sembrano palesi ed acclarate, la truffa pare non avere dubbi di
sussistenza. Tuttavia la difesa, avvalendosi dell’abile benché mendace
deposizione di Drew, sta ribaltando il processo. A questo punto si innesta
tutta la problematica pregressa, legata a sir Oliver ed alle vicende che con
lui hanno visto protagonisti la famiglia Monk. Il suocero di Rathbone aveva
messo in piedi un’impresa di corruzione legata alla pedofilia, ricattando
eminenti personaggi dopo averli ripresi in foto oscene. Il suocero era morto
per questo (e rimando ai capitoli precedenti se ne volete la narrazione),
lasciando come pesante eredità a Oliver le suddette foto. Tra le quali, il neo
giudice, non avendole ancora distrutte, riconosce una in cui è presente proprio
Drew. In maniera poco professionale, invero, Oliver la fa avere all’accusa che,
utilizzandola, scredita Drew, capovolgendo il processo. Ma prima che finisca,
Taft uccide moglie e figlie e si toglie la vita. Almeno così sembra, che noi
abbiamo subito dei sospetti. Ma non è questo che interessa la nostra scrittrice.
Bensì le conseguenze per Oliver, che, accusato dall’ex-moglie, viene
imprigionato ed accusato di ostacolo alla giustizia. Seguiamo quindi tutta la
fase processuale dove l’ex-avvocato e giudice sale sul banco degli imputati.
Dove un amico del padre se ne assume la difficile difesa. Dove Monk cerca di
trovare delle prove a vantaggio dell’amico. La questione quindi si incentra
tutto sul quesito iniziale. Oliver, avendo le prove delle malefatte di Drew,
come si doveva comportare? Se avesse presentato pubblicamente le stesse, si
sarebbe dovuto dimettere dal processo, che sarebbe stato annullato, consentendo
a Taft di allontanarsi prima che ne potesse essere istituito uno nuovo. Oliver,
con la sua mossa, consente al processo di avviarsi alla sua giusta fine. Ma
esce dai suoi poteri giurisdizionali. Inoltre viene accusato di istigazione al
suicidio. Sarà Monk a trovare le prove che non fu suicidio, ma omicidio ben
orchestrato, e che, quindi, qualche cattivo andrebbe (e sicuramente andrà)
punito. Vi lascio scoprire meglio questa parte. Quello che ci interessa è la
rilevanza che la soluzione del caso porta alle prime azioni di sir Oliver, che,
benché non del tutto in linea con la legge, vanno punite deontologicamente e
non penalmente. Questa ritengo la parte migliore del racconto, anche se molto
legata alla legislazione anglo-sassone di cui conosco poco. Però i buoni,
compreso il piccolo Scuff, fanno una bella figura, ed i cattivi, compresa
l’ex-moglie di Oliver, non ne escono bene. Forse neanche Oliver ne esce al
meglio, ma sicuramente potrà riprendere la via di una retta vita, avendo deciso
cosa fare delle foto. Ed avendo al suo fianco un vero amico. Cosa che non è da
poco. Vorremmo tutti averne, ed io, fortunatamente, qualcuno ne ho. Ma si sa,
oltre che un valente tramatore, sono “un ragazzo fortunato”.
“All’amore servono fiducia ed equilibrio. …
L’amore deve comprendere la pietà e la gratitudine per la gioia della vita.”
(45)
“[Gli errori] di solito si pagano. Ma a
volte no. A volte, per una specie di grazia, si viene perdonati anche senza
merito. In quel caso bisogna fare ogni sforzo per meritarsela dopo, quella
grazia, e non dimenticarsene mai.” (130)
“Il delitto è proprio questo, perdere il
senso di quello che è giusto.” (150)
“Cercò di immaginarsi … [la sua compagna]
remissiva. E non avrebbe funzionato. Gli sarebbero mancate le idee di lei, le
sue risate, perfino le sue canzonature, insomma la percezione compiuta di avere
accanto qualcuno, un’altra persona, vicina ma diversa. Senza, la solitudine sarebbe
stata devastante.” (197)
Sperando
che tutti possiate avere delle belle e serene feste, con qualche regalo (senza
esagerare) magari inaspettato anche se sperato (come fortunatamente ho avuto
io), voglio condividere il bel regalo che mi ha inviato Ennio (a sua volta
preso in prestito da Donato, che bisogna sempre rispettare le paternità). A voi
quindi l’anagramma “Regalo di Natale à Donate
allegria”