domenica 19 febbraio 2017

Ritorno in Italia - 19 febbraio 2017

E già, visto che da poche ore sono sbarcato a Fiumicino dopo tre lunghe, belle ed intense settimane in Indocina, parliamo di libri italiani. Tropi gironi a dover combattere con lingue ostiche. Abbiamo inoltre tre buoni libri, di Recami, che seguo da tempo e che approfondirò nelle sue storie di ringhiera, di Robecchi, una “new entry” che probabilmente farà strada, e del primo libro di D’Andre, magistrale prestito/regalo dell’ottimo Fako. In sottordine, un po’ defilato, un libro, pur interessante anche se non riuscitissimo, di Cassani.
Francesco Recami “Gli scheletri nell’armadio” Sellerio euro 13
[A: 01/08/2015 – I: 14/08/2016 – T: 20/08/2016] - &&& +
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 219; anno 2012]
Recami è uno dei tanti autori italiani che seguo con abbastanza assiduità. Certo non come Camilleri o Vitali, ma di sicuro come Pandiani, Piccolo, Fassio, Mastrocola, e tanti altri che l’elenco è lungo (e forse poco interessante). Ne avevo seguito le orme sulle prime uscite, il mirabile errore di Platini piuttosto che il gradevole ragazzo che leggeva Maigret. Non avevo ancora avuto modo di dedicarmi invece alla serie della casa di ringhiera. Per una serie di disguidi, inoltre, ho lisciato il primo volume (che sta bene in caldo nella mia libreria in attesa di essere letto), e sono caduto su questo secondo episodio. Dove pare ci siano tutti (molti?) dei personaggi del primo volume, ma che, ed è qui la bravura di Recami, sono ben presenti e non fanno rimpiangere, come spesso accade ai personaggi di libri-seriali, di non aver letto il primo. Forse ne avremmo saputo di più. Ma ci sta bene e ci basta. Che tanto anche qui facciamo la conoscenza di tutti gli “eroi” della casa. A cominciare dal protagonista indiscusso, Amedeo Consonni, ex-tappezziere ed appassionato di cronaca nera. Tanto che si reinventa non dico un lavoro da investigatore, ma quanto meno uno straccio di professione, che tutti quelli che ne hanno bisogno lo coinvolgono nelle loro trame, grandi o piccoli. Come in questo caso l’ex-collega Barzaghi che, ristrutturando una casa in campagna, trova delle ossa nell’intercapedine di un muro. Amedeo indaga, scartabella il suo enorme archivio di cronaca nera. Trova anche possibili riscontri. Come la scomparsa dell’ingegnere Viganò o quella altrettanto misteriosa di tre scout. Di certo non vi dirò la soluzione di questo piccolo mistero, che poi è il filo nero del libro. Che, appunto, intreccia tutte le altre storie della casa. Quella di Angela, che ha una storia con Amedeo, e che cerca a più riprese di narrare una sua avventura all’amico-amante. Ma Angela non è dotata del dono della sintesi, ed ogni volta che inizia il racconto, ad Amedeo viene un sonno micidiale. Per cui forse… Quella di Caterina, la figlia di Amedeo, che vede con occhio storto questo rapporto tra i due (ah, gli amori degli anziani…), anche se ha bisogno del padre per badare al figlio. Amedeo tra l’altro è “innamoratissimo” del nipotino Enrico, tanto che casca nella depressione che Enrico stesso ha per la scomparsa dell’orsetto Bubu. Scomparsa di cui è colpevole Caterina. Ricerca che Enrico fa per tutta casa, dove scopre anche le ossa degli scheletri di Barzaghi. Soluzione che troverà alla fine Amedeo, con grande soddisfazione di Enrico. Le storie anch’esse intrecciate di Erika, lasciata inopinatamente dal marito, che si consola con Claudio, un alcolista non pentito, che, per aver dato uno schiaffo ai figli (e capiremo leggendo che, benché contro la violenza, forse lo schiaffo ci voleva), viene lasciato dalla moglie. Claudio che medita vendetta con una strana bottiglia di whiskey torbato. Infine c’è il signor De Angelis, il cosiddetto “anziano” con la passione della auto. Passione che cerca di sfruttare il nipote con un raggiro che si avviluppa intorno ad una BMW Z3 3.2. Su tutto e tutti, poi, come una punteggiatura delle diverse avventure, e quasi a mo’ di raccordo, abbiamo la signorina Mattia-Ferri, che tutto osserva dalla sua finestra sulla ringhiera, che tutto ascolta, e che, come i migliori comic di un tempo, tutto interpreta in modo sbagliato. Quello che mi piace è proprio l’afflato da piccolo mondo che si respira nelle porte che si affacciano sulla ringhiera, quell’intreccio da piccolo paese, quelle gelosie, quegli amori, quegli aiuti che ci si dà. Un palcoscenico da microstorie, che però si accavallano nel testo senza perdere il loro filo, temporale e personale. Qualche volta Recami ha forse il vezzo, solito in chi usa questo tipo di scrittura, di andare avanti ed indietro nel tempo, anche se di poco. Elemento che rallenta il ritmo. Ma che, nel complesso, del ritmo e del testo, risulta marginale. Esce fuori una bella scrittura, un testo che si segue con affetto, ed anche con qualche sorriso. E con quel finale che lascia intravedere altre possibili puntate della gente di ringhiera. Continuo a mettere questo libro tra gli “atipici” del noir italiano, anche se non è un noir, né tanto meno un giallo, pur avendo una trama che utilizza degli spunti investigativi. So che Recami non sarebbe contento di questa collocazione, ma lo preferisco qui, che trovo sia in buona compagnia e che ci faccia la sua più che onesta figura.
Alessandro Robecchi “Questa non è una canzone d’amore” Sellerio euro 15 (in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 01/09/2015 – I: 24/09/2016 – T: 26/09/2016] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 420; anno 2014]
Si nota ed è piacevole ritrovarlo che Robecchi non è uno che scrive parole a caso. Vogliamo dimenticarci gli esordi su “Cuore”? O le scritture per gli spettacoli di Maurizio Crozza? Per non dimenticare che è stato anche critico musicale su “Il Mucchio selvaggio”? Con tante buone presentazioni, mi aspettavo un libro gradevole. E, miracolo, lo è davvero. In genere, quando mi aspetto qualcosa da un libro, spesso le mie aspettative sono un po’ gonfiate dal desiderio. Qui, pur con distinguo, attenzioni ed altri diminutivi, la resa è stata buona, la lettura gradevole ed il libro risulta in una buona posizione di gradimento. Veniamo anche subito alla parte musicale di questo libro, che io continuo ostinatamente a mettere tra i “noir d’autore” anche se forse non lo è (non è noir, che d’autore lo è). Al fatto che sia farcito di amore per Bob Dylan (e scritto in periodo non sospetto, cioè due anni prima del contestato Nobel). Al titolo, che riprende quello di un disco (“This is not a love song”) grande successo del 1983 della banda post-punk PIL. Che tutti voi conoscete, ma per quei pochi che ne sono ignoti, è una band fondata da John Lydon quando decise di lasciare i Sex Pistols, dove cantava con il nome di Johnny Rotten. Lydon la scrisse per rispondere a chi lo accusava di essere diventato commerciale (e venduto). Ovviamente è stato il più grande successo dei PIL. Questa è la storia parallela del protagonista del romanzo di Robecchi: Carlo Monterossi. Carlo è l’ideatore (quasi per caso) di un programma televisivo bomba: “Crazy Love”, modellato sui milioni di programmi di Maria de Filippis, dove appunto si raccontano i tradimenti, i sotterfugi inscenati, gli odi che si scatenano, insomma tutta la gamma dei sentimenti di gente comune sotto lo slogan “anche questo fa fare l’amore”. Dopo stagioni di successo decide di abbandonare il programma per smettere di speculare sulla pelle della “gente qualunque”. Ma non riesce a godersi la tranquillità (ipotetica): i media ed il suo agente lo assillano, ma, soprattutto, un killer cerca di ucciderlo, riuscendo solo (con suo grande dolore) a rovinare un bellissimo poster di Bob Dylan. La polizia avvia le indagini, ma anche Carlo non sta proprio fermo, ingaggiando la detective informatico-lesbica Nadia ed il segugio tuttofare Oscar. Così, tra un ritornello del grande Bob e qualche battuta più da Cuore che da Crozza, la storia si dipana e si complica. C’è un imprenditore cui serve un terreno per le sue speculazioni edilizie che contratta un avvocato per tirarsi fuori dalle secche, visto che il terreno è adibito a campo nomadi. L’avvocato, avventatamente, coinvolge tal Sergio, un elemento di destra estrema, ma veramente poco abile in tutto quello che fa. Tanto che l’assalto al campo nomadi finisce con un rogo in cui muore un bambino rom. Peccato, inoltre, che fuggendo dal luogo Sergio investa ed uccida una signora che tornava a casa in motorino. A casa dal marito, dopo aver fatto una visita all’amante. Due testimoni sono presenti, ma Sergio ed i faccendieri vari li convincono a tacere (in cambio di denaro). Comincia così una sarabanda di agnizioni, di inseguimenti e di morti. Il marito e l’amante fanno comunella per vendicare la “loro” donna, uccidendo i testimoni reticenti, e cercando di uccidere (ma questa volta per errore) il Carlo centro della vicenda. Due zingari sinti vengono ingaggiati dai nomadi per vendicare il bambino. Abili e/o fortunati risalgono la catena delle casualità, arrivando al famoso Sergio, e lasciandosi dietro una striscia di morti, specialmente nazisti in revival o nostalgici di ogni genere. Dimenticavo, che l’avvocato di cui sopra ingaggia anche due killer per cercare anche lui Sergio che ne combina una più dell’elefante in un negozio di porcellana. Che intanto negli ultimi anni aveva instaurato un commercio di reperti nazi-fascisti con un losco figuro di Sirmione. Ma questa è un’altra storia. I morti si accumulano sui morti. Dopo i due testimoni di cui sopra, i killer uccidono il duo marito-amante. Sia i sinti che Nadia trovano Marzia, l’ex-donna di Sergio. I sinti ricavano notizie per trovare Sergio, innescando la lunga catena di morti violente (compagni della band, il vecchio di Sirmione, e così via). Nadia ricava una nuova amante ed inizia una nuova grande storia d’amore. Che Carlo pensa di sfruttare per trovare Sergio, mandandola in onda nel suo ex-programma “Crazy Love”. Tutto riesce, anche se non proprio in modo dritto. Carlo ha una nuova luminosa carriera davanti. Nadia un nuovo amore. I sinti la loro vendetta. I killer muoiono anche loro. E muoiono tanti altri. Insomma se non fosse ironico, sarebbe un noir splatter alla francese. Ma Robecchi riesce a farci sorridere, anche usando stereotipi. Killer dall’animo filosofico. Televisione tra Castagna e De Filippis. Amori dritti, rovesciati, incrociati. Battute. Qualche tirata su televisioni commerciali, nomadi e sinti, nazisti ed ebrei, ed altre frecciate. Insomma, un piccolo equilibrismo con qualche affermazione da condividere condita da qualche sorriso, cosa che non fa mai male. Credo che si tornerà su altre prove dello scrittore milanese. Tra l’altro, proprio per la sua milanesità ci restituisce non solo le case di ringhiera come Recami, ma posti milanesi che i non autoctoni non conoscono o dimenticano. Che la Milano di Robecchi è quella di oggi, degli studi televisivi, delle villette dell’hinterland, fino a luoghi come Rozzano e Samarate. Bravo!
“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo con un bicchiere di whisky … beh, non ci vuole Sergio Leone per capire chi vince” (34)
Massimo Cassani “Sottotraccia” TEA euro 9
[A: 01/11/2014 – I: 03/11/2016 – T: 04/11/2016] - && e ¾  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 295; anno 2008]
Anche qui, scelta sfortunata degli editori (o mia che ne seguo le orme). Uscito un episodio del commissario Micuzzi sui Noir del Sole, letto e piaciuto, ecco che ne esce un libro nelle edizioni (strane perché non si riesce a trovarne un catalogo serio) TEA, collana Mystery Tea. Ovviamente è un episodio precedente a quello già letto, e qualcosa si ingarbuglia (oppure da qualcosa mi aspetto già dei ritorni positivi, anticipando la trama). Intanto, e fuor di trama, da questo primo episodio scopriamo alcuni perché: Micuzzi viene messo in disparte perché, forse senza sua colpa, durante una colluttazione uccide un balordo. Legittima difesa, ma palla al balzo per metterlo defilato. In un commissariato dove conoscerà la bravissima agente Rosaria Della Vedova, che diventerà parte della sua squadra futura. E viene anche a conoscenza di Corinna, la moglie dello scomparso scrittore venezuelano Arau, che anche qui, come nel successivo romanzo, fa una comparsata breve ed una scopata (lunga?) con il commissario, per poi rifugiarsi a Parigi, e rimanere avvolta in qualche mistero. Comunque, anche in questa prima storia, Cassani non sembra in grado di reggere con la stessa intensità le 300 pagine, e soprattutto, cerca forse di ingarbugliare troppo le storie, facendocene seguire due in parallelo, e mettendo molti (e giusti) accenti sull’una, per poi risolvere la prima in due paginette. Capisco la necessità di fare una fotografia della realtà che in genere è più complessa di quanto ci si aspetta. Ma forse si poteva seguire la storia principale, lasciando il serial killer dei travestiti ad altre e più agili romanzate. Che prima vengono uccisi quattro travestiti e/o gay, poi, mentre l’indagine principale langue (e lo fa per 4 mesi) nessuno muore. E nel momento in cui si riprende la lena, ricominciano i morti gay. Quasi a volerci spingere a fare un collegamento, che fin dall’inizio è inesistente. Il nostro Micuzzi, pur defilato, mette subito (almeno subito relativamente a quando riesce a ragionare senza pressione) la parola fine al serial killer. Appunto, però, questo è il contorno. Il piatto forte è dato dalla morte del professor Susanni. E dall’intreccio che se ne ricava. Un poco abile presunto scrittore a corto di soldi accetta l’ingaggio di un piccolo malavitoso per una facile rapina (che è facile in quanto pilotata ma lo sapremo poi da come e da chi). Nella casa rapinata, Xavier (lo scrittorucolo) nota un bel quadro di El Greco, e, senza che nessuno lo veda, ruba anche alcune chiavette USB. Mentre il ladruncolo lo paga, salta in aria la macchina del malavitoso. Xavier pensa sia morto, e fugge, eclissandosi, e riapparendo solo 4 mesi e 200 pagine dopo. Ovviamente (ma noi s’era capito subito), avendo scoperto un grande romanzo nelle chiavette rubate. E decidendo di pubblicarlo a suo nome. Peccato che nella rapina doveva scomparire altro (che scopriremo poi essere cocaina), che non si sa che fine abbia fatto, e che doveva essere nascosto per poco tempo dal professore, per un compenso che lo avrebbe risollevato dall’aver perso 200.000 euro nel crack Parmalat (ci vuole un po’ di contestualizzazione al reale, no?). Per questo il cattivo di turno lo uccide. E sulle piste della morte, cercando di aiutare al 50% il commissario, si mette anche la giovane Asia, laureanda di Susanni. Ci si dilunga e ci si incarta, perché oltre a Xavier scompare lo scrittore venezuelano Arau, sopra menzionato. La cui bella moglie è appunto la Corinna di cui sopra e di cui al secondo episodio (cui rimando senza tornarci sopra). quando poi, dopo 4 mesi, ed essendo Micuzzi emarginato come già accennato, Xavier decide di pubblicare il libro, tutto esce allo scoperto. Micuzzi legge il libro e si appassiona al prete-investigatore che fuma toscani. Corinna, intervistata perché lo stile di Xavier ricorda Arau, parla di sigarette. Su questa debole traccia, Micuzzi risale le fila del giallo principale. Scoprendo che Asia è… Scoprendo che le chiavette sono di… Scoprendo che il programma Word è di proprietà di … (ma questo qualsiasi persona assennata avrebbe provveduto a far scomparire le tracce). Scoprendo che se nel libro di Xavier si parla di Rosacroce, se Susanni aveva (o si suppone avesse) una collezione di libri sui Rosacroce. Se Arau era fissato con i Rosacroce. Se il conte Colonna, amico del professore, sembra fissato sui Rosacroce. Beh, qualche legame ci sarà. E molto si risolverà, anche se, al solito i questi autori che non riescono a gestire troppe pagine e troppe storie, la fine è troppo veloce. Non si sa il seguito della vicenda Xavier. Non si capisce se il ladruncolo sia realmente quello che dice di essere. Non si capisce (o si intuisce solo) chi possa aver voluto incastrare Micuzzi. Non si capisce il ruolo di Corinna (se c’è). Non si capisce l’evolversi della figura di Asia (se si evolve). Insomma, un Van Dine avrebbe tagliato molti fili, e ricucito i rimanenti alla meglio. Cassani ci lascia con un po’ troppo di non detto, anche se le passeggiate serali nella Milano “non da bere” rimangono un ottimo elemento delle sue storie, e che non dimenticheremo.
“I ricordi sono come i tatuaggi. Nel bene o nel male non te li scrolli più di dosso.” (71)
“E or veniva scaricato per sms … Forse una telefonata avrebbe rimesso in discussione una decisione sofferta, alla quale era arrivata dopo una notte insonne … e della quale non era neppure tanto convinta.” (194)
“Eppure … doveva aver capito che le cose non potevano andare avanti sempre così … andavano anche un minimo forzate, guidate. Non era forse quella la prerogativa dei maschi? … Le occasioni vanno indirizzate.” (209)
“Ho avuto paura che innamorandomi di te non avrei avuto abbastanza energie per affrontare la situazione. Voglio ancora bene a mio marito, ma con te non è stata solo un’avventura. Non ci sono tagliata, io, per le cose così.” (237)
Luca D’Andrea “La sostanza del male” Einaudi s.p. (prestito di Fako)
[A: 27/09/2016 – I: 25/11/2016 – T: 28/11/2016] – &&& e ½    
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 451; anno 2016]
Avendo deciso di leggere prima possibile i libri prestati (o regalati), ecco che questo giallo italiano esce subito allo scoperto. Una buona scoperta ed un ringraziamento ai (quasi) sempre felici passaggi del mio amico Fako. La scoperta è questo scrittore altoatesino che scrive, bisogna ammetterlo, un libro onesto e leggibile. Non travolgente, ma ha delle parti che prendono, una trama adeguata, ed alcuni momenti di felice ispirazione. Soprattutto quando parla d’altro. Quando parla della montagna, delle montagne, del camminarci, del ritrovarcisi. Quando narra del clima del Trentino, con la sua dipendenza dalla complessa orografia del terreno, con quel suo variare da continentale a mediterraneo, tanto che ci si domanda se possa essere un territorio anomalo. Ma questo lo lascio ai geo-meteorologi, che è pasta di altri cibi, non dei miei. Quando parla del Bletterbach (che non conoscevo) e che risulta un canyon molto interessante, nonché (aldilà della finzione del libro) un parco geologico pieno di sorprese (e di fossili). Quando parla infine della storia del Soccorso Alpino Dolomitico (nome che adombra l’esistente, ben noto e sempre da ringraziare per il suo intervento nei casi di soccorso dell’”Aiut Alpin Dolomites”). Meno coinvolgente è invece la scrittura quando, per dare enfasi al racconto, scivola in “lamentazioni” degne più di horror di seconda mano, che per fortuna rimangono speso tali. O nella parte storica precedente della vita del protagonista Jeremiah Salinger, della sua storia di fortunato sceneggiatore di un serial di successo, dell’incontro con Annalise. Insomma di tuta la prima parte del libro, fino ad arrivare al primo punto cruciale. Una catastrofe di montagna (che vi lascio gustare in lettura) da cui si salva miracolosamente il solo Salinger (lo chiamo così perché per tutto il libro preferisce farsi chiamare per cognome, anche se questo rimanda ad un ben noto scrittore). Che, ovviamente, rimane scioccato. E che continuerà, lui americano, a vivere la sua convalescenza lì in Trentino, dove l’ha portato la moglie Annalise, insieme alla simpatica figlia Clara. Dove vive il padre di Annalise, Werner. Tutti sanno che le vittime di una catastrofe hanno decisi strascichi psicologici. Per cercare di superarli, il nostro non trova di meglio che attaccarsi ad una storia incompiuta di un’altra tragedia che si è svolta proprio nei dintorni. Anzi proprio nel Bletterbach. Dove trenta anni prima furono trucidati Kurt con la moglie Evi ed il fratello di lei Markus. Mentre tenta di risalire ai fatti di quella tragedia, Salinger si imbatte in tutta una serie di rivoli, che, devo dire, D’Andrea riesce a gestire discretamente. Non è facile, lo sappiamo tutti, mettere molta carna al fuoco senza farne bruciare un po’. Ma il nostro ne inventa di tutti i colori per farci stare sulle spine e sopravvivere per 450 pagine. Abbiamo quindi la storia di Werner, Max, Günther e Hannes, valligiani e montanari. Gli ultimi due morti (forse suicidi) poco dopo la tragedia (ed erano stati loro a ritrovare i corpi, essendo Hans il padre di Kurt). Werner uno dei fondatori dei fondatori del Soccorso di cui sopra. Max ora capo forestale e qualcosa di più. Evi che diventa geologa, che va ad Innsbruck, dove la raggiunge Kurt. Markus che ogni tanto li va a trovare, accompagnato da Max in quanto minorenne. Evi che distrugge la carriera di un ricercatore austriaco, Oswald, pubblicando un libro di smentite alle folli teorie di questo sul Primiano (era giurassica) e sui suoi fossili. Oswald che sparisce contemporaneamente alla morte dei tre. Evi che pubblica una memoria per sventare la costruzione di un eco mostro nel canyon, il prototipo del futuro Geoparc. Che sarà realizzato dal fratello di Günther. Werner che pochi giorni dopo la morte dei tre, va via dalla valle, per tornare solo anni dopo, con la moglie e la figlia Annalise. Max che ha, in un suo maso nella foresta, un archivio completo della vicenda. E Salinger che mette continuamente in pericolo sia la sua storia con Annalise, sia la vita stessa della figlia Clara per la continua ossessione della vicenda dei tre. Bella la maestria del narratore nella parte finale, dedicata ai complessi sottofinali della vicenda. Dove uno dopo l’altro possono diventare colpevoli Werner, Max, Oswald, altri… Dove, alla fine uscirà il vero colpevole, che ovviamente è uno dei nomi citati in questa trama. Ed anche se con le ossa rotte (non solo metaforicamente) ne usciranno Salinger, Annalise e Clara. Devo anche dire che i colpi finali sono discretamente ben tirati, e conseguenti. Si poteva capire, ma D’Andrea è stato bravo a nascondere il tutto (o io non sono stato bravo a capirlo). Quindi, certamente qualcosa in più della sufficienza, anche per avermi fatto ricordare qualche campeggio alpino di quasi quaranta anni fa, con la mia incapacità (allora come ora) di saper far qualcosa con le mani (beh, disastri tanti, e non solo con le mani). Meglio che io continui a fare quello che so fare in montagna. Come direbbe Clara, con felice intuito, undici lettere.
“Se ci lasciamo non saremo mai più felici in tutta la nostra vita!” (329)
“Si diventa adulti quando si impara a chiedere scusa.” (331)
Essendo, anche se siamo oltre la metà, alla prima trama del mese, veniamo alla riproposizione del lungo elenco dei libri letti nel novembrino mese di pausa e riflessione. Tanti, anche se di una qualità media, senza nessun particolare acuto, e con due libri decisamente sottotono, una poco eccelsa prova del pur bravo Vitali ed un inutile libro italo-spagnolo di Alberto Marini.

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Autore
Titolo
Editore
Euro
J
1
Hallgrìmur Helgason
101 Reykjavik
Faber & Faber
20
3
2
George Pelecanos
Non temerò alcun male
Repubblica MondoNoir
7,90
2
3
Massimo Cassani
Sottotraccia
TEA
9
3
4
Friedrich Glauser
I primi casi del sergente Studer
Sellerio
s.p.
2
5
Andrea Franco
L’odore dell’inganno
Mondadori
5,90
2
6
José Saramago
La zattera di pietra
Feltrinelli
9,50
3
7
Andrea Vitali
Un bel sogno d’amore
Garzanti
9,90
2
8
Andrea Vitali
Biglietto, signorina
Garzanti
9,90
2
9
Sue Grafton
S is for Silence
Putnam
10
3
10
Andrea Vitali
Quattro sberle benedette
Garzanti
9,90
1
11
Alberto Marini
Bed Time
Mondadori
5,90
1
12
Andrea Camilleri
Il casellante
Sellerio
11
3
13
Andrea Camilleri
I sogni di Andrea Camilleri
Sellerio
s.p.
2
14
Qiu Xialong
Le lacrime del lago Tai
Marsilio
12
3
15
Marcello Fois
Memoria del vuoto
Einaudi
12
3
16
Luca D’Andrea
La sostanza del male
Einaudi
s.p.
3
17
Clive Cussler & Justin Scott
Sabotaggio
TEA
9,90
3

Come dicevo all’inizio, eccoci di ritorno dopo un nuovo viaggio, tutto sommato non difficile, anche perché ero contornato da amici, che hanno reso queste settimane lievi. Pur nel dolore, intenso e non eliminabile, seguito alla notizia dell’ultimo viaggio del mio amico Carlo. Cui dedico i miei pensieri in queste ore, unito nei giorni luttuosi ai mancamenti, recenti e meno recenti, del padre di Alessandra e di mio padre. Per questa settimana, il mio unico bacio andrà verso Carlo.

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