E già, visto che da poche ore
sono sbarcato a Fiumicino dopo tre lunghe, belle ed intense settimane in
Indocina, parliamo di libri italiani. Tropi gironi a dover combattere con
lingue ostiche. Abbiamo inoltre tre buoni libri, di Recami, che seguo da tempo
e che approfondirò nelle sue storie di ringhiera, di Robecchi, una “new entry”
che probabilmente farà strada, e del primo libro di D’Andre, magistrale
prestito/regalo dell’ottimo Fako. In sottordine, un po’ defilato, un libro, pur
interessante anche se non riuscitissimo, di Cassani.
Francesco Recami “Gli scheletri nell’armadio” Sellerio euro 13
[A: 01/08/2015 – I: 14/08/2016 – T: 20/08/2016] - &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 219;
anno 2012]
Recami
è uno dei tanti autori italiani che seguo con abbastanza assiduità. Certo non
come Camilleri o Vitali, ma di sicuro come Pandiani, Piccolo, Fassio,
Mastrocola, e tanti altri che l’elenco è lungo (e forse poco interessante). Ne
avevo seguito le orme sulle prime uscite, il mirabile errore di Platini
piuttosto che il gradevole ragazzo che leggeva Maigret. Non avevo ancora avuto
modo di dedicarmi invece alla serie della casa di ringhiera. Per una serie di
disguidi, inoltre, ho lisciato il primo volume (che sta bene in caldo nella mia
libreria in attesa di essere letto), e sono caduto su questo secondo episodio.
Dove pare ci siano tutti (molti?) dei personaggi del primo volume, ma che, ed è
qui la bravura di Recami, sono ben presenti e non fanno rimpiangere, come
spesso accade ai personaggi di libri-seriali, di non aver letto il primo. Forse
ne avremmo saputo di più. Ma ci sta bene e ci basta. Che tanto anche qui
facciamo la conoscenza di tutti gli “eroi” della casa. A cominciare dal
protagonista indiscusso, Amedeo Consonni, ex-tappezziere ed appassionato di
cronaca nera. Tanto che si reinventa non dico un lavoro da investigatore, ma
quanto meno uno straccio di professione, che tutti quelli che ne hanno bisogno
lo coinvolgono nelle loro trame, grandi o piccoli. Come in questo caso
l’ex-collega Barzaghi che, ristrutturando una casa in campagna, trova delle
ossa nell’intercapedine di un muro. Amedeo indaga, scartabella il suo enorme
archivio di cronaca nera. Trova anche possibili riscontri. Come la scomparsa
dell’ingegnere Viganò o quella altrettanto misteriosa di tre scout. Di certo
non vi dirò la soluzione di questo piccolo mistero, che poi è il filo nero del
libro. Che, appunto, intreccia tutte le altre storie della casa. Quella di
Angela, che ha una storia con Amedeo, e che cerca a più riprese di narrare una
sua avventura all’amico-amante. Ma Angela non è dotata del dono della sintesi,
ed ogni volta che inizia il racconto, ad Amedeo viene un sonno micidiale. Per
cui forse… Quella di Caterina, la figlia di Amedeo, che vede con occhio storto
questo rapporto tra i due (ah, gli amori degli anziani…), anche se ha bisogno
del padre per badare al figlio. Amedeo tra l’altro è “innamoratissimo” del
nipotino Enrico, tanto che casca nella depressione che Enrico stesso ha per la
scomparsa dell’orsetto Bubu. Scomparsa di cui è colpevole Caterina. Ricerca che
Enrico fa per tutta casa, dove scopre anche le ossa degli scheletri di
Barzaghi. Soluzione che troverà alla fine Amedeo, con grande soddisfazione di
Enrico. Le storie anch’esse intrecciate di Erika, lasciata inopinatamente dal
marito, che si consola con Claudio, un alcolista non pentito, che, per aver
dato uno schiaffo ai figli (e capiremo leggendo che, benché contro la violenza,
forse lo schiaffo ci voleva), viene lasciato dalla moglie. Claudio che medita
vendetta con una strana bottiglia di whiskey torbato. Infine c’è il signor De
Angelis, il cosiddetto “anziano” con la passione della auto. Passione che cerca
di sfruttare il nipote con un raggiro che si avviluppa intorno ad una BMW Z3
3.2. Su tutto e tutti, poi, come una punteggiatura delle diverse avventure, e
quasi a mo’ di raccordo, abbiamo la signorina Mattia-Ferri, che tutto osserva
dalla sua finestra sulla ringhiera, che tutto ascolta, e che, come i migliori
comic di un tempo, tutto interpreta in modo sbagliato. Quello che mi piace è
proprio l’afflato da piccolo mondo che si respira nelle porte che si affacciano
sulla ringhiera, quell’intreccio da piccolo paese, quelle gelosie, quegli
amori, quegli aiuti che ci si dà. Un palcoscenico da microstorie, che però si
accavallano nel testo senza perdere il loro filo, temporale e personale.
Qualche volta Recami ha forse il vezzo, solito in chi usa questo tipo di
scrittura, di andare avanti ed indietro nel tempo, anche se di poco. Elemento
che rallenta il ritmo. Ma che, nel complesso, del ritmo e del testo, risulta
marginale. Esce fuori una bella scrittura, un testo che si segue con affetto,
ed anche con qualche sorriso. E con quel finale che lascia intravedere altre
possibili puntate della gente di ringhiera. Continuo a mettere questo libro tra
gli “atipici” del noir italiano, anche se non è un noir, né tanto meno un
giallo, pur avendo una trama che utilizza degli spunti investigativi. So che
Recami non sarebbe contento di questa collocazione, ma lo preferisco qui, che
trovo sia in buona compagnia e che ci faccia la sua più che onesta figura.
Alessandro Robecchi “Questa non è una canzone d’amore” Sellerio euro 15
(in realtà, scontato a 11,90 euro)
[A: 01/09/2015 – I: 24/09/2016 – T: 26/09/2016] - &&&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 420;
anno 2014]
Si
nota ed è piacevole ritrovarlo che Robecchi non è uno che scrive parole a caso.
Vogliamo dimenticarci gli esordi su “Cuore”? O le scritture per gli spettacoli
di Maurizio Crozza? Per non dimenticare che è stato anche critico musicale su
“Il Mucchio selvaggio”? Con tante buone presentazioni, mi aspettavo un libro
gradevole. E, miracolo, lo è davvero. In genere, quando mi aspetto qualcosa da
un libro, spesso le mie aspettative sono un po’ gonfiate dal desiderio. Qui,
pur con distinguo, attenzioni ed altri diminutivi, la resa è stata buona, la
lettura gradevole ed il libro risulta in una buona posizione di gradimento.
Veniamo anche subito alla parte musicale di questo libro, che io continuo
ostinatamente a mettere tra i “noir d’autore” anche se forse non lo è (non è noir,
che d’autore lo è). Al fatto che sia farcito di amore per Bob Dylan (e scritto
in periodo non sospetto, cioè due anni prima del contestato Nobel). Al titolo,
che riprende quello di un disco (“This is not a love song”) grande successo del
1983 della banda post-punk PIL. Che tutti voi conoscete, ma per quei pochi che
ne sono ignoti, è una band fondata da John Lydon quando decise di lasciare i
Sex Pistols, dove cantava con il nome di Johnny Rotten. Lydon la scrisse per
rispondere a chi lo accusava di essere diventato commerciale (e venduto).
Ovviamente è stato il più grande successo dei PIL. Questa è la storia parallela
del protagonista del romanzo di Robecchi: Carlo Monterossi. Carlo è l’ideatore
(quasi per caso) di un programma televisivo bomba: “Crazy Love”, modellato sui
milioni di programmi di Maria de Filippis, dove appunto si raccontano i
tradimenti, i sotterfugi inscenati, gli odi che si scatenano, insomma tutta la
gamma dei sentimenti di gente comune sotto lo slogan “anche questo fa fare
l’amore”. Dopo stagioni di successo decide di abbandonare il programma per
smettere di speculare sulla pelle della “gente qualunque”. Ma non riesce a
godersi la tranquillità (ipotetica): i media ed il suo agente lo assillano, ma,
soprattutto, un killer cerca di ucciderlo, riuscendo solo (con suo grande
dolore) a rovinare un bellissimo poster di Bob Dylan. La polizia avvia le
indagini, ma anche Carlo non sta proprio fermo, ingaggiando la detective
informatico-lesbica Nadia ed il segugio tuttofare Oscar. Così, tra un
ritornello del grande Bob e qualche battuta più da Cuore che da Crozza, la
storia si dipana e si complica. C’è un imprenditore cui serve un terreno per le
sue speculazioni edilizie che contratta un avvocato per tirarsi fuori dalle
secche, visto che il terreno è adibito a campo nomadi. L’avvocato,
avventatamente, coinvolge tal Sergio, un elemento di destra estrema, ma
veramente poco abile in tutto quello che fa. Tanto che l’assalto al campo
nomadi finisce con un rogo in cui muore un bambino rom. Peccato, inoltre, che
fuggendo dal luogo Sergio investa ed uccida una signora che tornava a casa in
motorino. A casa dal marito, dopo aver fatto una visita all’amante. Due testimoni
sono presenti, ma Sergio ed i faccendieri vari li convincono a tacere (in
cambio di denaro). Comincia così una sarabanda di agnizioni, di inseguimenti e
di morti. Il marito e l’amante fanno comunella per vendicare la “loro” donna,
uccidendo i testimoni reticenti, e cercando di uccidere (ma questa volta per
errore) il Carlo centro della vicenda. Due zingari sinti vengono ingaggiati dai
nomadi per vendicare il bambino. Abili e/o fortunati risalgono la catena delle
casualità, arrivando al famoso Sergio, e lasciandosi dietro una striscia di
morti, specialmente nazisti in revival o nostalgici di ogni genere.
Dimenticavo, che l’avvocato di cui sopra ingaggia anche due killer per cercare
anche lui Sergio che ne combina una più dell’elefante in un negozio di porcellana.
Che intanto negli ultimi anni aveva instaurato un commercio di reperti
nazi-fascisti con un losco figuro di Sirmione. Ma questa è un’altra storia. I
morti si accumulano sui morti. Dopo i due testimoni di cui sopra, i killer
uccidono il duo marito-amante. Sia i sinti che Nadia trovano Marzia, l’ex-donna
di Sergio. I sinti ricavano notizie per trovare Sergio, innescando la lunga
catena di morti violente (compagni della band, il vecchio di Sirmione, e così
via). Nadia ricava una nuova amante ed inizia una nuova grande storia d’amore.
Che Carlo pensa di sfruttare per trovare Sergio, mandandola in onda nel suo
ex-programma “Crazy Love”. Tutto riesce, anche se non proprio in modo dritto.
Carlo ha una nuova luminosa carriera davanti. Nadia un nuovo amore. I sinti la
loro vendetta. I killer muoiono anche loro. E muoiono tanti altri. Insomma se
non fosse ironico, sarebbe un noir splatter alla francese. Ma Robecchi riesce a
farci sorridere, anche usando stereotipi. Killer dall’animo filosofico.
Televisione tra Castagna e De Filippis. Amori dritti, rovesciati, incrociati.
Battute. Qualche tirata su televisioni commerciali, nomadi e sinti, nazisti ed
ebrei, ed altre frecciate. Insomma, un piccolo equilibrismo con qualche
affermazione da condividere condita da qualche sorriso, cosa che non fa mai
male. Credo che si tornerà su altre prove dello scrittore milanese. Tra
l’altro, proprio per la sua milanesità ci restituisce non solo le case di
ringhiera come Recami, ma posti milanesi che i non autoctoni non conoscono o
dimenticano. Che la Milano di Robecchi è quella di oggi, degli studi
televisivi, delle villette dell’hinterland, fino a luoghi come Rozzano e
Samarate. Bravo!
“Quando un uomo con la pistola incontra un
uomo con un bicchiere di whisky … beh, non ci vuole Sergio Leone per capire chi
vince” (34)
Massimo Cassani “Sottotraccia” TEA euro 9
[A: 01/11/2014 – I: 03/11/2016 – T: 04/11/2016] - &&
e ¾
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 295;
anno 2008]
Anche
qui, scelta sfortunata degli editori (o mia che ne seguo le orme). Uscito un episodio
del commissario Micuzzi sui Noir del Sole, letto e piaciuto, ecco che ne esce
un libro nelle edizioni (strane perché non si riesce a trovarne un catalogo
serio) TEA, collana Mystery Tea. Ovviamente è un episodio precedente a quello
già letto, e qualcosa si ingarbuglia (oppure da qualcosa mi aspetto già dei
ritorni positivi, anticipando la trama). Intanto, e fuor di trama, da questo
primo episodio scopriamo alcuni perché: Micuzzi viene messo in disparte perché,
forse senza sua colpa, durante una colluttazione uccide un balordo. Legittima
difesa, ma palla al balzo per metterlo defilato. In un commissariato dove
conoscerà la bravissima agente Rosaria Della Vedova, che diventerà parte della
sua squadra futura. E viene anche a conoscenza di Corinna, la moglie dello
scomparso scrittore venezuelano Arau, che anche qui, come nel successivo
romanzo, fa una comparsata breve ed una scopata (lunga?) con il commissario,
per poi rifugiarsi a Parigi, e rimanere avvolta in qualche mistero. Comunque,
anche in questa prima storia, Cassani non sembra in grado di reggere con la stessa
intensità le 300 pagine, e soprattutto, cerca forse di ingarbugliare troppo le
storie, facendocene seguire due in parallelo, e mettendo molti (e giusti)
accenti sull’una, per poi risolvere la prima in due paginette. Capisco la
necessità di fare una fotografia della realtà che in genere è più complessa di
quanto ci si aspetta. Ma forse si poteva seguire la storia principale,
lasciando il serial killer dei travestiti ad altre e più agili romanzate. Che
prima vengono uccisi quattro travestiti e/o gay, poi, mentre l’indagine
principale langue (e lo fa per 4 mesi) nessuno muore. E nel momento in cui si
riprende la lena, ricominciano i morti gay. Quasi a volerci spingere a fare un
collegamento, che fin dall’inizio è inesistente. Il nostro Micuzzi, pur
defilato, mette subito (almeno subito relativamente a quando riesce a ragionare
senza pressione) la parola fine al serial killer. Appunto, però, questo è il
contorno. Il piatto forte è dato dalla morte del professor Susanni. E
dall’intreccio che se ne ricava. Un poco abile presunto scrittore a corto di
soldi accetta l’ingaggio di un piccolo malavitoso per una facile rapina (che è
facile in quanto pilotata ma lo sapremo poi da come e da chi). Nella casa rapinata,
Xavier (lo scrittorucolo) nota un bel quadro di El Greco, e, senza che nessuno
lo veda, ruba anche alcune chiavette USB. Mentre il ladruncolo lo paga, salta
in aria la macchina del malavitoso. Xavier pensa sia morto, e fugge,
eclissandosi, e riapparendo solo 4 mesi e 200 pagine dopo. Ovviamente (ma noi
s’era capito subito), avendo scoperto un grande romanzo nelle chiavette rubate.
E decidendo di pubblicarlo a suo nome. Peccato che nella rapina doveva
scomparire altro (che scopriremo poi essere cocaina), che non si sa che fine
abbia fatto, e che doveva essere nascosto per poco tempo dal professore, per un
compenso che lo avrebbe risollevato dall’aver perso 200.000 euro nel crack
Parmalat (ci vuole un po’ di contestualizzazione al reale, no?). Per questo il
cattivo di turno lo uccide. E sulle piste della morte, cercando di aiutare al
50% il commissario, si mette anche la giovane Asia, laureanda di Susanni. Ci si
dilunga e ci si incarta, perché oltre a Xavier scompare lo scrittore
venezuelano Arau, sopra menzionato. La cui bella moglie è appunto la Corinna di
cui sopra e di cui al secondo episodio (cui rimando senza tornarci sopra).
quando poi, dopo 4 mesi, ed essendo Micuzzi emarginato come già accennato,
Xavier decide di pubblicare il libro, tutto esce allo scoperto. Micuzzi legge
il libro e si appassiona al prete-investigatore che fuma toscani. Corinna,
intervistata perché lo stile di Xavier ricorda Arau, parla di sigarette. Su
questa debole traccia, Micuzzi risale le fila del giallo principale. Scoprendo
che Asia è… Scoprendo che le chiavette sono di… Scoprendo che il programma Word
è di proprietà di … (ma questo qualsiasi persona assennata avrebbe provveduto a
far scomparire le tracce). Scoprendo che se nel libro di Xavier si parla di
Rosacroce, se Susanni aveva (o si suppone avesse) una collezione di libri sui
Rosacroce. Se Arau era fissato con i Rosacroce. Se il conte Colonna, amico del
professore, sembra fissato sui Rosacroce. Beh, qualche legame ci sarà. E molto
si risolverà, anche se, al solito i questi autori che non riescono a gestire
troppe pagine e troppe storie, la fine è troppo veloce. Non si sa il seguito
della vicenda Xavier. Non si capisce se il ladruncolo sia realmente quello che
dice di essere. Non si capisce (o si intuisce solo) chi possa aver voluto incastrare
Micuzzi. Non si capisce il ruolo di Corinna (se c’è). Non si capisce
l’evolversi della figura di Asia (se si evolve). Insomma, un Van Dine avrebbe
tagliato molti fili, e ricucito i rimanenti alla meglio. Cassani ci lascia con
un po’ troppo di non detto, anche se le passeggiate serali nella Milano “non da
bere” rimangono un ottimo elemento delle sue storie, e che non dimenticheremo.
“I ricordi sono come i tatuaggi. Nel bene o
nel male non te li scrolli più di dosso.” (71)
“E or veniva scaricato per sms … Forse una
telefonata avrebbe rimesso in discussione una decisione sofferta, alla quale
era arrivata dopo una notte insonne … e della quale non era neppure tanto
convinta.” (194)
“Eppure … doveva aver capito che le cose non
potevano andare avanti sempre così … andavano anche un minimo forzate, guidate.
Non era forse quella la prerogativa dei maschi? … Le occasioni vanno
indirizzate.” (209)
“Ho avuto paura che innamorandomi di te non
avrei avuto abbastanza energie per affrontare la situazione. Voglio ancora bene
a mio marito, ma con te non è stata solo un’avventura. Non ci sono tagliata,
io, per le cose così.” (237)
Luca D’Andrea “La sostanza del male” Einaudi s.p. (prestito di Fako)
[A: 27/09/2016 – I: 25/11/2016 – T: 28/11/2016] – &&&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 451;
anno 2016]
Avendo
deciso di leggere prima possibile i libri prestati (o regalati), ecco che
questo giallo italiano esce subito allo scoperto. Una buona scoperta ed un
ringraziamento ai (quasi) sempre felici passaggi del mio amico Fako. La
scoperta è questo scrittore altoatesino che scrive, bisogna ammetterlo, un
libro onesto e leggibile. Non travolgente, ma ha delle parti che prendono, una
trama adeguata, ed alcuni momenti di felice ispirazione. Soprattutto quando
parla d’altro. Quando parla della montagna, delle montagne, del camminarci, del
ritrovarcisi. Quando narra del clima del Trentino, con la sua dipendenza dalla
complessa orografia del terreno, con quel suo variare da continentale a
mediterraneo, tanto che ci si domanda se possa essere un territorio anomalo. Ma
questo lo lascio ai geo-meteorologi, che è pasta di altri cibi, non dei miei.
Quando parla del Bletterbach (che non conoscevo) e che risulta un canyon molto
interessante, nonché (aldilà della finzione del libro) un parco geologico pieno
di sorprese (e di fossili). Quando parla infine della storia del Soccorso
Alpino Dolomitico (nome che adombra l’esistente, ben noto e sempre da
ringraziare per il suo intervento nei casi di soccorso dell’”Aiut Alpin
Dolomites”). Meno coinvolgente è invece la scrittura quando, per dare enfasi al
racconto, scivola in “lamentazioni” degne più di horror di seconda mano, che
per fortuna rimangono speso tali. O nella parte storica precedente della vita
del protagonista Jeremiah Salinger, della sua storia di fortunato sceneggiatore
di un serial di successo, dell’incontro con Annalise. Insomma di tuta la prima
parte del libro, fino ad arrivare al primo punto cruciale. Una catastrofe di
montagna (che vi lascio gustare in lettura) da cui si salva miracolosamente il
solo Salinger (lo chiamo così perché per tutto il libro preferisce farsi
chiamare per cognome, anche se questo rimanda ad un ben noto scrittore). Che,
ovviamente, rimane scioccato. E che continuerà, lui americano, a vivere la sua
convalescenza lì in Trentino, dove l’ha portato la moglie Annalise, insieme
alla simpatica figlia Clara. Dove vive il padre di Annalise, Werner. Tutti
sanno che le vittime di una catastrofe hanno decisi strascichi psicologici. Per
cercare di superarli, il nostro non trova di meglio che attaccarsi ad una
storia incompiuta di un’altra tragedia che si è svolta proprio nei dintorni.
Anzi proprio nel Bletterbach. Dove trenta anni prima furono trucidati Kurt con
la moglie Evi ed il fratello di lei Markus. Mentre tenta di risalire ai fatti
di quella tragedia, Salinger si imbatte in tutta una serie di rivoli, che, devo
dire, D’Andrea riesce a gestire discretamente. Non è facile, lo sappiamo tutti,
mettere molta carna al fuoco senza farne bruciare un po’. Ma il nostro ne
inventa di tutti i colori per farci stare sulle spine e sopravvivere per 450
pagine. Abbiamo quindi la storia di Werner, Max, Günther e Hannes, valligiani e
montanari. Gli ultimi due morti (forse suicidi) poco dopo la tragedia (ed erano
stati loro a ritrovare i corpi, essendo Hans il padre di Kurt). Werner uno dei
fondatori dei fondatori del Soccorso di cui sopra. Max ora capo forestale e
qualcosa di più. Evi che diventa geologa, che va ad Innsbruck, dove la
raggiunge Kurt. Markus che ogni tanto li va a trovare, accompagnato da Max in
quanto minorenne. Evi che distrugge la carriera di un ricercatore austriaco,
Oswald, pubblicando un libro di smentite alle folli teorie di questo sul
Primiano (era giurassica) e sui suoi fossili. Oswald che sparisce
contemporaneamente alla morte dei tre. Evi che pubblica una memoria per
sventare la costruzione di un eco mostro nel canyon, il prototipo del futuro
Geoparc. Che sarà realizzato dal fratello di Günther. Werner che pochi giorni
dopo la morte dei tre, va via dalla valle, per tornare solo anni dopo, con la moglie
e la figlia Annalise. Max che ha, in un suo maso nella foresta, un archivio
completo della vicenda. E Salinger che mette continuamente in pericolo sia la
sua storia con Annalise, sia la vita stessa della figlia Clara per la continua
ossessione della vicenda dei tre. Bella la maestria del narratore nella parte
finale, dedicata ai complessi sottofinali della vicenda. Dove uno dopo l’altro
possono diventare colpevoli Werner, Max, Oswald, altri… Dove, alla fine uscirà
il vero colpevole, che ovviamente è uno dei nomi citati in questa trama. Ed
anche se con le ossa rotte (non solo metaforicamente) ne usciranno Salinger,
Annalise e Clara. Devo anche dire che i colpi finali sono discretamente ben
tirati, e conseguenti. Si poteva capire, ma D’Andrea è stato bravo a nascondere
il tutto (o io non sono stato bravo a capirlo). Quindi, certamente qualcosa in
più della sufficienza, anche per avermi fatto ricordare qualche campeggio
alpino di quasi quaranta anni fa, con la mia incapacità (allora come ora) di
saper far qualcosa con le mani (beh, disastri tanti, e non solo con le mani).
Meglio che io continui a fare quello che so fare in montagna. Come direbbe
Clara, con felice intuito, undici lettere.
“Se ci lasciamo non saremo mai più felici in
tutta la nostra vita!” (329)
“Si diventa adulti quando si impara a
chiedere scusa.” (331)
Essendo,
anche se siamo oltre la metà, alla prima trama del mese, veniamo alla
riproposizione del lungo elenco dei libri letti nel novembrino mese di pausa e
riflessione. Tanti, anche se di una qualità media, senza nessun particolare acuto,
e con due libri decisamente sottotono, una poco eccelsa prova del pur bravo
Vitali ed un inutile libro italo-spagnolo di Alberto Marini.
#
|
Autore
|
Titolo
|
Editore
|
Euro
|
J
|
1
|
Hallgrìmur
Helgason
|
101
Reykjavik
|
Faber
& Faber
|
20
|
3
|
2
|
George Pelecanos
|
Non temerò alcun male
|
Repubblica MondoNoir
|
7,90
|
2
|
3
|
Massimo Cassani
|
Sottotraccia
|
TEA
|
9
|
3
|
4
|
Friedrich Glauser
|
I primi casi del sergente Studer
|
Sellerio
|
s.p.
|
2
|
5
|
Andrea Franco
|
L’odore dell’inganno
|
Mondadori
|
5,90
|
2
|
6
|
José Saramago
|
La zattera di pietra
|
Feltrinelli
|
9,50
|
3
|
7
|
Andrea Vitali
|
Un bel sogno d’amore
|
Garzanti
|
9,90
|
2
|
8
|
Andrea Vitali
|
Biglietto, signorina
|
Garzanti
|
9,90
|
2
|
9
|
Sue Grafton
|
S is for
Silence
|
Putnam
|
10
|
3
|
10
|
Andrea Vitali
|
Quattro sberle benedette
|
Garzanti
|
9,90
|
1
|
11
|
Alberto Marini
|
Bed Time
|
Mondadori
|
5,90
|
1
|
12
|
Andrea Camilleri
|
Il casellante
|
Sellerio
|
11
|
3
|
13
|
Andrea Camilleri
|
I sogni di Andrea Camilleri
|
Sellerio
|
s.p.
|
2
|
14
|
Qiu Xialong
|
Le lacrime del lago Tai
|
Marsilio
|
12
|
3
|
15
|
Marcello Fois
|
Memoria del vuoto
|
Einaudi
|
12
|
3
|
16
|
Luca D’Andrea
|
La sostanza del male
|
Einaudi
|
s.p.
|
3
|
17
|
Clive Cussler & Justin Scott
|
Sabotaggio
|
TEA
|
9,90
|
3
|
Come dicevo all’inizio, eccoci di
ritorno dopo un nuovo viaggio, tutto sommato non difficile, anche perché ero
contornato da amici, che hanno reso queste settimane lievi. Pur nel dolore,
intenso e non eliminabile, seguito alla notizia dell’ultimo viaggio del mio
amico Carlo. Cui dedico i miei pensieri in queste ore, unito nei giorni
luttuosi ai mancamenti, recenti e meno recenti, del padre di Alessandra e di
mio padre. Per questa settimana, il mio unico bacio andrà verso Carlo.
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