Ultima trama del breve (per
trame) mese di giugno. In attesa di capire se vedremo presto il Medio Oriente,
se torneremo presto verso il Nord Europa, se la Cina sarà sempre vicina, in
questa settimana riposante torniamo all’antica Roma, con quattro romanzi
imperniati su Publio Aurelio Stazio, l’investigatore-senatore romano inventato
dalla ben documentata penna di Danila Comastri Montanari. Sembrano un po’
invecchiare nell’impianto e nella resa, tanto che si avvicinano ad una scarsa
sufficienza. Sono comunque ottime letture estive da ombrellone.
Danila Comastri Montanari “Saturnalia” Mondadori euro 9,90 (in realtà,
scontato a 6,93 euro)
[A: 28/11/2014 – I: 07/04/2016 – T: 09/04/2016] - &&&--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 241;
anno 2002]
Una sufficienza stiracchiata per
la nuova avventura dell’investigatore dell’antica Roma Publio Aurelio Stazio,
come recita il lancio pubblicitario di Mondadori. Una casa editrice che
continua a pubblicare tante cose, anche interessanti (non mi riferisco solo a
questi libri, ovvio), ma che continua altresì a fornire notizie fuorvianti al
lettore. Infatti, nei risvolti editoriali si cita come copyright il 2014, anno
in cui Mondadori ha acquisito una serie di diritti sull’opera della nostra Danila.
Ma questo libro, come riporto sopra, è stato scritto nel 2002, uscendo per i
tipi di una sotto-casa editrice, la “Hobby&Work”. Ristabilite quindi le
proporzioni editoriali, possiamo passare alla disamina del romanzo, che, pur
nel solco della sempre degna scrittura della nostra possiamo quasi dire amica,
storica e scrittrice, raggiunge con un po’ di fatica la mia sufficienza di
gradimento. Sembra quasi un passaggio, da una serie di romanzi, ognuno dedito
ad un qualche aspetto della vita nell’Antica Roma, ad un momento quasi di
secondo piano. Certo, c’è il contesto che rimanda ad un momento della vita del
tempo di sicuro interessi: le feste saturnali. Intanto abbiamo l’indicazione di
quando comincia l’azione narrata: il sedicesimo giorno prima delle calende di
gennaio del 799 aUC. Cioè, tradotto in termini “nostri”, il 17 dicembre del 46
dopo Cristo (ricordo che aUC sta per ab Urbe Condita, cioè anni trascorsi dalla
fondazione di Roma). I Saturnali (seppur codificati in maniera fissa nel
calendario solo sotto Domiziano nell’81 d.C.) erano una festa (poi
sovrappostasi alle festività natalizie) in cui si lasciavano andare un po’ i
costumi, ci si scambiava regali, e, soprattutto, c’era un momento di inversione
dei ruoli. Gli schiavi venivano serviti dai loro padroni, in una giornata di
feste e banchetti. In questo contesto si inseriscono alcune morti “sospette”:
un augure, Caio Catulo, poi un piccolo ladruncolo, Tiberillo, infine un
antesignano del sinistro Fagin di Dickens, il cattivo Adriatico. Il nostro
Aurelio viene coinvolto in queste morti da Quinzia Metella, la Virgo Maxima
delle Vestali. Perché queste erano le depositarie dei testamenti degli onorati
romani. E Catulo, nel suo, disereda i suoi due figli, viventi, in favore di un
poco noto figlio avuto dalla sorella di Quinzia, poi morta di parto. Aurelio
non può sottrarsi dal coinvolgimento perché (come sappiamo da uno dei primi
romanzi) ebbe una storia con una vestale, e se questa fosse risaputa potrebbe
andare della sua incolumità. Ovviamente Quinzia ha le prove della “marachella”
di Aurelio. Che inizia quindi le sue indagini. Che non ci coinvolgono più di
tanto, ma che rivelano altri due aspetti (a me poco o per nulla noti) della
vita romana. L’importanza della casta degli auguri, di cui faceva parte Catulo,
come interpreti della volontà degli dei attraverso l’osservazione del volo
degli uccelli. Meno nota invece la pervicace usanza di sposarsi e divorziare in
uso tra tutte le alte classi. Per legare tra loro le diverse famiglie,
attraverso vincoli di sangue. Ed altre complicate interrelazioni, che riusciamo
a seguire in un lungo intervento di Pomponia, l’amica gossippara di Aurelio.
Alla fine si rivelano intrecci perversi tra famiglie diversi, i Catuli, gli
Enni, i Metelli. Apprezziamo le doti di Aurelio che da un lato sventa un
tentativo di depauperare le riserve auree dell’imperatore, attraverso un lungo
giro di ruberie e monete false facenti capo ad Appio, il primogenito di Catulo
(poi anche lui morto) ed a Publio Comniano, tutore della secondogenita dei Metelli.
Dall’altro imbastisce una possibile ricostruzione del figlio perduto della
Metella morta, convincendo che in realtà possa essere una figlia, e favorendone
le nozze con Mamerco, secondogenito dei Catuli. In realtà non tutto è come
appare, ed alla fine verranno fuori altre possibili spiegazioni. Ma queste le
lascio a voi volenterosi lettori, che vi dedicherete con piacere alla scoperta
di altre spigolature della vita romana. Nonché a fare il tifo affinché il
nostro Aurelio (che confessa di avere quarantatré anni) continui le sue
conquiste amorose delle belle matrone romane (e non solo). Però, come detto
all’inizio, manca un po’ quella tensione verso la scoperta di intrecci tra
momenti alti e bassi della Storia che era presente in altre e migliori prove. Rimanendo
tuttavia una lettura di svago certo, ma che consente, a chi lo voglia, di far
funzionare i nostri pochi neuroni rimasti.
Danila Comastri Montanari “Ars Moriendi” Mondadori euro 9,50 (in
realtà, scontato a 7,15 euro)
[A: 18/03/2015 – I: 04/07/2016 – T: 06/07/2016] - &&&
+
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 262;
anno 2003]
Proseguiamo
nelle intense letture (in quanto a numero almeno) delle storie “romane” della
professoressa bolognese. Qui abbiamo una “special edition”. Nel senso che è un
libro omaggio alla città di Pompei (ed all’ambiente napoletano in genere), che
già si concretizza nella dedica del libro che riporto. “A tutti coloro che si
battono contro il tempo, l’incuria, i furti, i vandalismi e l’esiguità di
risorse economiche per studiare Pompei e tramandarla ai posteri”. Già questo
dovrebbe predisporre benevolmente al libro. Ma lo sforzo di Danila si
concretizza anche in una minuziosa ricostruzione della città 32 anni prima
della devastante eruzione. Quest’amore per Pompei, ed alcuni elementi sulla
costruzione del giallo che qui si evidenziano (e che più avanti citerò) danno
una piccola sufficienza ad un libro dove invece la trama in sé è di una
complicazione unica, tanto che non so se riuscirò a farvela apprezzare
pienamente. Ma dicevamo di Pompei. Nella ricostruzione storica che ci fa
Danila, troviamo ad esempio che l’alloggio di Publio Aurelio Stazio è noto come
“Casa della Venere in Conchiglia”, anche se il dipinto citato da Castore fu
dipinto solo dopo il 69 dc. La casa dove il nostro incontra la moglie del
decano è la “casa della Fontana Piccola”, mentre Pomponia, l’amica gossippara
di Aurelio, alloggia nella “Casa del Fauno”. L'ambulatorio di Pustula si trova
presso la Casa del Chirurgo: gli scavi della domus portarono alla luce il
corredo di bisturi e altri strumenti medici che Aurelio offre in dono al
cerusico. Il forno sulla Via Consolare dove Aurelio si reca alla ricerca di
Luccio si caratterizza per essere stato ricavato da una precedente domus
familiare e vi sono ancora visibili le grandi mole per la macinazione dei
cereali e la bocca dove veniva messo a cuocere il pane. Lo spaccio di
Abinerrico deriva dal nome di origine giudea Abner, e da lì ci sono arrivate
sedici anfore di vino con il suo nome. Inoltre oltre al garum normale (salsa
piccante di spezie e pesce) sono state ritrovate sei anfore di garum castum,
ovvero garum rigorosamente kasher. Infine per non essere prolisso e pedante, la
statuetta della dea indiana Laskmi, che Sara mostra al senatore venne trovata
in una casa di Via dell’Abbondanza. Mentre è inventata la via centrale delle
vicende, il Vico del Sacello Bianco, dove invece il nome echeggia il nome londinese
di Whitechapel, teatro delle nefande imprese di Jack lo Squartatore. Qui,
invece siamo molto prima delle vicende Ottocentesche inglesi, anche se siamo
coerentemente poco dopo il romanzo precedente. L’azione si svolge infatti in
dieci giorni nel febbraio del 47 d.C. Notiamo la consecutio con “Saturnalia”,
anche perché Pomponia risente ancora di una caduta che avviene nel precedente
libro. Questo ci dà modo di tornare sul punto che si diceva della costruzione
degli elementi fondanti del giallo (o di questo tipo di giallo) seriale. Ad
esempio è importante che le azioni non siano tanto diluite nel tempo, perché
molta della messa in scena del “detective Stazio” dipende dal suo mentore,
l’imperatore Claudio. Ora siamo nel 47, ed è vero che Claudio impera sino al
54, ma a Danila serve come contraltare dell’imperatore la dissoluta Messalina,
che però fu condannata a morte da Claudio nel 48, quindi molte vicende devono
restringersi nel tempo per avere efficacia. Inoltre, Danila alterna gli
scenari, che mantenendosi troppo nelle stesse location, si avrebbe un
congelarsi delle caratteristiche degli “attori” che, anch’esso, sebbene possa
essere consono ai due personaggi principali, Aurelio e Castore il suo (in-)fido
segretario, non lo è per il contorno. Ad esempio per le avventure amorose di
Aurelio, che con questo stratagemma riesce ad avere una “storia” per libro
sempre con donne diverse. Quindi, se “Saturnalia” si svolge in Roma, qui ci si
deve spostare. La scusa, che capziosamente si può leggere in controluce
nell’exergo da “Ars Amandi” di Ovidio, dove si disquisisce del corretto
comportamento delle donne maritate, è un’indagine che lo stesso Claudio
commissiona direttamente ad Aurelio: in gioventù, lo zoppo futuro imperatore
aveva rapporti più che altro con “lupe” (termine del tempo per indicare donne
praticanti sesso dietro compenso). Una delle sue più fedeli, Fortunata, di nome
se non di fatto, viene trovata barbaramente uccisa in quel di Pompei dove si
godeva la pensione elargitale da Claudio come compenso delle sue opere
giovanili. Giunto nella cittadina in incognito, il senatore Aurelio si trova
subito ad affrontare l'omicidio di un'altra donna: Velasia, donna libera datasi
al meretricio e rampolla di una delle famiglie più in vista di Pompei.
Quest'omicidio e quello successivo di Mulvia, madre di Velasia, getta la
gaudente cittadina nel panico su cui si staglia tenebrosa l'ombra di un
serial-killer che si accanisce esclusivamente contro le donne. Aurelio scopre
anche che ci sono altre morti di altre donne a complicare lo scenario. La trama
è alquanto ingarbugliata, seppure i nostri si muovano (e noi con loro) nella
cittadina napoletana, mangiando nelle taverne, ma soprattutto usufruendo delle
famose terme, uno dei gioielli dell’epoca. Come detto, la trama non è delle più
lineari. Danila si diverte a complicare gli scenari, mettendo in campo lupe,
donne maritate, avventurieri ed altre storie di contorno, che lascio ai fedeli
lettori di dipanare. Quello che risalta è il crogiolo di civiltà che convergono
in quei porti di mare, in articolare con qualche tocco di esoteriche credenze
orientali. Come quella dedicata al dio Attis, dove i sacerdoti, per ingraziarsi
gli dei, si eviravano pubblicamente. Sono molti i personaggi accusati e poi
(quasi tutti) assolti: il procuratore dei Tiburzi, il losco Sepurio Orbato, il
super dotato decurione Cullelolo Afro, il decano Settimio Occio ed anche la sua
stessa moglie Amanda. Ovvio che Aurelio sfrutterà le sue doti investigativa per
capire che l’omicida non può che essere un liberto proveniente da Oriente, che
ha i denti guasti, al contrario dei pompeiani che, usando la benefica acqua
locale, sono tutti forniti di bellissime dentature. Inoltre, la morte di tante
donne, ed in maniera efferata, non può che orientarci verso qualcuno privo dei
giusti attributi. L’avete capito no? Pur cercando di sgarbugliare la trama, del
libro preferisco ricordare appunto le parti descrittive, la vita pompeiana ante
catastrofe, ed i bei luoghi intorno a Baia, Bacoli e Pozzuoli.
“L’ha conosciuta a Baia, il luogo peccaminoso
per eccellenza, noto per trasformare le più fedeli delle Penelopi in ardenti
Elene di Troia.” (74)
Danila Comastri Montanari “Olympia” Mondadori euro 12 (in realtà,
scontato a 8,40 euro)
[A: 13/07/2015 – I: 20/08/2016 – T: 23/08/2016] - &&
e ½
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 243;
anno 2004]
Se
ricordate quanto detto nella precedente trama, sul modo di concatenare le
storie, in maniera da non rimanere incartati in trame poco gestibili, questo
nuovo romanzo (ricordo che la storica bolognese ne ha fatti uscire per un lungo
periodo uno ogni anno) avrebbe potuto svolgersi di nuovo in Roma. L’autrice
però preferisce prendersi una pausa, e riandare un po’ indietro nel rullo del
tempo. Tanto che torniamo al 41 d.C., giusto al tempo in cui Claudio prende il
posto di Caligola assassinato. Poiché il giovane senatore Publio Aurelio Stazio
è meglio rimanga fuori dagli eventi, ci spostiamo un po’ verso Oriente. In
particolare ad Olimpia, per assistere alla 205sima edizione dei Giochi
Ellenici. Quelli che ora, nella nostra prospettiva storica, chiamiamo
“Olimpici” in lode al luogo ove si svolgevano. La bella prova di scrittura, è
darci la sensazione di come questi giochi si svolgevano, noi che a ben altre
Olimpiadi siamo adusi. Solo un piccolo dubbio da pignolo. Poiché siamo nel 41
d.C. e l’ultima Olimpiade si tenne nel 393 d.C., essendo questa la 205esima,
l’ultima avrebbe dovuto essere la numero 293, mentre in realtà fu la numero
292. A parte questa domanda, Danila ci dice correttamente che i vincitori
venivano premiati con fronde di oleastro, il progenitore selvatico dell’olivo.
Pianta che era talmente sacra in Grecia che chiunque veniva sorpreso a
danneggiarlo veniva punito con l’esilio (bisognerebbe riproporlo). Quindi olivo
e simili, non alloro, cioè foglie di lauro, che invece erano di discendenza romana
e non greca. Altri elementi che ci sottolinea la scrittura, e che sono da
tenere in mente nel corretto inquadramento storico delle vicende, sono le gare
che si svolgevano: il pugilato, la corsa, il pentatlon – l’insieme di 5 gare il
salto in lungo, la corsa, il lancio del disco, il lancio del giavellotto, la
lotta - e la corsa dei cavalli. Altro elemento caratterizzante, è la
partecipazione riservata ai cittadini greci maschi liberi. Elemento che molte
città-stato elleniche tentavano di aggirare, adottando atleti provenienti da
ogni dove. Tanto che si mise presto anche un secondo codicillo: dovevano essere
uomini (e si sa che le donne non potevano neanche assistere, dato che gli
atleti gareggiavano nudi) che parlavano la lingua greca. Alla faccia delle
competizioni internazionali. Dopo questo excursus, che mi diverte dandomi modo
di spigolare qua e là nel mondo dei pettegolezzi di alto profilo, veniamo
allora alla trama in sé. Come sappiamo dalla tradizione i giuochi si svolgevano
d’estate, quindi erano solo sei mesi che Claudio aveva preso il titolo di
imperatore (Caligola fu assassinato il 24 gennaio) e la moglie Messalina di
conseguenza divenne la prima donna dell’impero. Claudio entrò in rotta di
collisione con il Senato, per cui il nostro giovane senatore accetta di buon
grado l’invito della matrona Pomponia di guidare la delegazione dei suoi
cavalli per conquistare l’oleastro. Pomponia non può muoversi da Roma, e Aurelio
dovrà badare di scongiurare atti di sabotaggio (ben frequenti all’epoca).
Aurelio, con il fido Castore, segretario, ma ancora schiavo e tuttavia il
migliore contraltare del senatore (una specie di duetto investigativo
ante-litteram tra Holmes e Watson e tra Wolfe e Goodwin). Castore è pronto ad
approfittare delle opportunità (anche economiche derivanti da scommesse) ed
Aurelio ad indulgere nel suo passatempo preferito (corteggiare belle donne,
portando a buon fine i suoi assedi). Invece vengono presto coinvolti in una
serie di morti. In rapida sequenza vengono assassinati: prima, a coltellate, un
tifoso, poi un pentatleta, sgozzato con un disco da competizione dal bordo
tagliente, ed infine un velocista, trucemente trafitto da un giavellotto.
Sembrano le azioni di un serial killer, votato ad eliminare possibili
concorrenti. Tanto che gli indizi si concentrano su di un discobolo di Corinto,
Pirro. Sia per le armi usate, sia, soprattutto, perché risulta irreperibile.
Aurelio, in quanto senatore, viene invitato dai giudici di gara, che dovrebbero
sovraintendere alla moralità delle gare, ad indagare. Cosa che il nostro compie
con zelo, non solo coinvolgendo una serie di personaggi più o meno loschi che
si aggirano per i campi atletici, ma anche indagando sul conto dei giudici
stessi. Qui al solito Danila comincia ad intorbidire le acque. Mettendo in
mezzo tante storie, con lo smaccato intento di metterci in difficoltà. C’è
Diagora, giudice che possiede tutti i terreni che affitta per le gare con
enorme profitto e che vede minacciate le sue entrate. C’è Busiride, che ha un
figlio segreto che partecipa alle gare e che probabilmente lo vorrebbe
vincente. C’è Zarzas, un cartaginese che ha in odio tutti i romani, ancora
memore della sconfitta nelle guerre puniche. C’è Tullia che sta brigando
affinché il fratello Tadio, esiliato da Roma per brogli economici, venga
riammesso entro i confini dell’impero. C’è Ermete, matematico orgoglioso ed
irascibile, reduce da una terribile sciagura familiare dove furono trucidati
tutti i componenti della sua famiglia, eccetto il suo secondogenito Frisso.
Aurelio riesce a risolvere tutti i nodi delle varie storie, primo fra tutti
quello di Ermete, dove si domanda la sua strana attrazione per Frisso (che
spaventa Castore, il quale provvede a fargli avere subito un incontro con
l’etera Aglaia). Fortunatamente Frisso è in realtà una donna travestita, anche
se non esente da colpe. Risolve anche il dilemma di Tullia, nonché fa la pace
con il cartaginese. Il quale lo aiuta anche nel momento che il vero colpevole
stava per assalire anche Aurelio. Colpevole che aveva ucciso il tifoso che
aveva assistito ad una sua transazione con Pirro, ucciso Pirro per poterlo
incolpare della morte del pentatleta, ucciso il pentatleta davanti a tutti,
usando un trucco simile a quello utilizzato in un vecchio racconto dalla stessa
autrice, ma che non vi svelo. Insomma tutto al proprio posto, con Aurelio e
Castore che possono trionfalmente tornare nella Roma delle congiure e delle
trame. Meglio la parte che descrive le gare e l’atmosfera che si respira ad
Olimpia. Meno bene la trama gialla, o le trame, un po’ ingarbugliate. Con
l’unico pregio che, alla fine, Aurelio ci svela tutti i misteri che sono
intercorsi nei cinque giorni di gara. Speriamo risalga presto che ultimamente,
pur riconoscendone le bellezze esteriori, le storie di Aurelio si stanno
fermando. Parafrasandone il nome, stanno diventando stazionarie (terribile
battuta).
Danila Comastri Montanari “Tenebrae” Hobby&Work euro 17 (in realtà,
scontato a 7,65 euro)
[A: 12/04/2016 – I: 25/05/2017 – T: 27/05/2017] - &&&
--
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 303;
anno 2005]
Con
questo nuovo libro, la nostra ormai amica storica bolognese riprende invece il
corso degli eventi, tornando “al tempo presente”. Ovviamente tra virgolette,
perché il tempo è quello cui ci ha abituato lo scorrere della vita del senatore
nonché investigatore dell’antica Roma, Publio Aurelio Stazio. Torniamo allora
al 47 d.C., per immergerci in nuove avventure. Metto non a caso il plurale,
perché qui trattiamo di quattro racconti, cosa che, purtroppo, fa scendere un
poco il gradimento del testo. Infatti, ho già avuto modo di dire più volte, che
Danila riesce meglio nella gestione di storie medio-lunghe, piuttosto che in
brevi racconti. Direi anzi, che il racconto lungo o romanzo breve è la sua
misura ideale: nel racconto, spesso ci sono parti affrettate e non risolte, nel
romanzo, a volte si nota una certa stanchezza, quasi a voler riempire delle
pagine con altro, rispetto alla trama principale. Fortunatamente, qui, i
racconti sono tuttavia ben intrecciati temporalmente. Quattro episodi, che
scorrono, e che, anche quando vanno indietro nel tempo, sono funzionali alla
storia di vita del senatore romano. C’è una storia di fondo che fa da collante
al testo (“Il caso della finestra sul cortile”) da cui si dipartono due
avventure coeve ed un ricordo di una investigazione precedente (anche se solo
di un anno), che serve tuttavia ad illustrare meglio il carattere ed i modi
usati da Publio Aurelio nel suo procedere. Il collante nasce dalla richiesta di
Pomponia, amica storica del nostro, di far luce su quello che a lei sembra un
crimine. Che ricorda, come suggerisce il titolo, uno dei più bei film di
Hitchcock. Da una finestra, Pomponia vede un assassinio, ma quando arrivano
Aurelio e il comandante dei vigili Mummio Vero, poco si trova. Mentre Aurelio
mette in un angolo la questione (facendo alterare non poco Pomponia), arriva
l’invito di una sua cugina a festeggiare un genetliaco nell’agro laziale (“Il
caso delle sette sorelle”). Ma Ocellina muore prima dell’arrivo di Aurelio e
del fido Castore. Per cui non resta che indagare sulla morte violenta della
cugina. Dove ad essere indagate sono le sue sette figlie: Petronia, Ermione e
Petronilla figlie del primo marito Petronio; Bibula figlia di Bibulo Blando,
aristocratico senza il becco di un quattrino; Fabia e Fabiola figlie di Fabio
un liberto; Alba figlia di Albo Fulcino, anch'egli senza danari. Certo che il
nostro, sempre cedevole al fascino muliebre, si trova una bella congerie di
donne pronte a cascargli nel letto, vuoi per calcolo vuoi per altro. Meno
Petronilla, cieca dalla nascita. E meno Alba, il cui unico intento è capire che
abbia ucciso suo padre Fulcino. Una volta capito che fu la stessa Ocellina a
volerne la morte prima che questi dissipasse i suoi averi, aiutata da Apuleio,
che poi risulta essere il vero padre di Petronilla, molti tasselli tornano al
loro posto. Ed Aurelio può tornare a Roma, dove lo attende una misteriosa lettera
da una sua tenuta in Toscana, in cui si parla di delitti. Parte allora di
nuovo, lancia in resta (“Il caso dell’Etruria”), adottando per la seconda volta
il travestimento usato nella sua prima impresa. Fa finta di essere schiavo al
servizio di Castore, al fine di introdursi tra gli schiavi della sua proprietà.
Scoprendo le malversazioni del nuovo padrone, le angherie dell’aguzzino Micione
(con cui avrà uno scontro atletico ma vincente), e sventando una finta rivolta
tesa soltanto a mettere ai ferri gli schiavi buoni. Con uno stratagemma degno
di von Clausewitz (dare ai tre sospettati tre indizi diversi, e quindi scoprire
il colpevole), riesce a concludere tutto per il meglio, restituendo la sua
proprietà ad un prospero futuro. E mentre nella sua dimora, riflette ancora sul
primo caso, quello della finestra, Castore gli ricorda un caso analogo dove
sembrava acclarato il colpevole ma tutto era un inganno. Era l’anno prima,
nella sua casa di Baia (“Il caso della fullonica”), dove Aurelio accoglie le richieste
della schiava Ianira, a torto accusata della morte della moglie di Pisandro,
proprietari di una ‘fullonica’ (nome romano per lavanderia e tintoria, derivata
da passaggi vari a partire da follare, opera di finissaggio della tintura,
passata per il lavoratore ad essa addetto, fullone, e quindi nella casa dove
egli lavora, appunto fullonica). In pochi passaggi, aiutato dalla bella Cissa
(con cui ha anche una piccola parentesi non proprio da investigatore) scopre le
losche trame proprio di Pisandro, avido figuro alla ricerca di un modo per
avere tutta per sé la tintoria. Salvando nel contempo Ianira e soprattutto il
di lei fratello Belo. Ritornando al presente, questa trama gli permette di far
luce sugli avvenimenti visti da Pomponia, dove anche lì si trattava di eredità,
di persone non viste, e di altri stratagemmi. Così tutto torna al proprio
posto, e noi ci prepariamo, in futuro, a gustare altre prove di Aurelio (e
soprattutto di Castore). Rimarcando la precisione filologica che l’autrice mai
cessa di perseguire, sia nell’andamento storico (seguiamo sempre passo dopo
passo i vari mesi del regno di Claudio) sia nella precisa ricostruzione delle
attività dell’antica Roma. Dopo tante avventure, tuttavia, mi viene anche il
dubbio, sollevato da quella finestra e dalle sue citazioni, che Danila cerchi
anche in altri posti alcuni “debiti di scrittura”. Tanto che, come in molte
opere di investigazione, abbiamo sempre l’eroe principale ed un suo aiutante.
Ma non nella versione attiva di Conan Doyle, quanto (con le debite proporzioni)
nella versione semi-passiva di Rex Stout, dove il nostro Castore-Archie viene
coinvolto nelle trame di Aurelio-Nero senza mai comprendere bene cosa debba
fare e perché. Sarà un paragone azzardato, per ora, ma ci si tornerà sopra,
prima o poi.
“In breve, si vede sempre e soltanto
quello che ci si aspetta di vedere.” (216)
Seconda
trama, e come si aspettano i miei più affezionati lettori, eccovi allora anche
un po’ di cure per le vostre malattie letterarie. Questa volta cercheremo di
curare la crisi della mezza età con un bel libro finlandese.
Nel
nostro mondo sempre più crudele, finisco questa trama e questo mese con nient’altro
che un saluto alla cagnetta Trilli, che, benché onusta, ci ha lasciato
anzitempo. Sicuramente ora a passeggio con Gastone, sperando di salutare Franco
che tanto avrebbe voluto un cane. Mestamente vi saluto.CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni
GIUGNO 2017
Giugno è stato sempre un mese di
viaggi, almeno negli ultimi anni. Cosa non mancata anche questo, con il bel
ritorno a Gerusalemme. Si potrebbe prima o poi tornare anche sui passi delle
trame di Arto, a prescindere dalle crisi che ci narrano le nostre libropeute.
MEZZA ETÀ, CRISI DI
Arto
Paasilinna “L'anno della lepre”
Vorreste
partire verso il tramonto su una potente, palpitante auto sportiva, fieri sul
vostro sedile rivestito in pelle, con in mano la leva del cambio, rigida e
lucida? Avete pensato alla vostra segretaria come potenziale passeggero?
Risparmiatevi questa vergogna. Fate scivolare questo volumetto nella vostra
ventiquattr’ore la prossima volta che partirete per un viaggio d’affari e
riprendetelo in mano ogni volta che sarete presi dalla crisi di mezza età.
Si potrebbe
dire che Vatanen, il giornalista eroe di questo romanzo picaresco, soffre
dell’archetipo della crisi di mezza età. E uno di due uomini «cinici e
insoddisfatti» - l’altro è un suo collega fotografo - che «si avvicinano alla
mezza età». Nessuno ci spiega perché Vatanen senta il bisogno di andarsene da
Helsinki per vivere un’avventura con una lepre; succede e basta. Quando durante
un incarico insieme al fotografo la loro auto investe una lepre, lui scende e
scopre che la povera creatura si è rotta una gamba. Mentre si prende cura di
lei, rifiutandosi di rispondere alle domande del collega rimasto in macchina,
quest’ultimo perde la pazienza e riparte senza di lui. Non importa; Vatanen non
ha comunque molta voglia di tornare a Helsinki da sua moglie.
Si imbarca
dunque in una serie di avventure che lo portano fino in cima alla Finlandia,
facendo lavori saltuari lungo la strada. Tra le altre cose viene coinvolto in
un incendio nella foresta, vive per un po’ nella casa di campagna di un
commissario di polizia che, davanti a una bottiglia di vodka, condivide con lui
la prova inquietante che il presidente della Finlandia forse non è quella
meraviglia che tutti credono, e viene arrestato perché sembra sospetto quando,
con la lepre in un cestino, bussa alla porta di qualcuno in mezzo alla foresta,
sperando di aver trovato un posto dove dormire. Ci sono anche momenti di
estrema ubriachezza (che in un caso dura otto giorni), un giro in elicottero e
una drammatica caccia all’orso.
Tutto questo è
allegro, energico e stimolante. Leggete L’anno della lepre: contiene tutta
l’avventura che cercate ed eviterà che facciate gesti inconsulti e combiniate
chissà quali guai. Anche se, ovviamente, se portaste con voi un bell’animale
selvatico invece delia segretaria riuscireste forse a salvare capra e cavoli e
vivere la vostra crisi senza conseguenze.
Bugiardino
Ho letto del grande finlandese,
ed ammiro la sua ironia e causticità. A volte forse un po’ criptica per noi
poveri “sudisti”. Ma lo ritengo un autore di cui tutti dovrebbero leggere
almeno un libro.
Arto Paasilinna “L’anno della lepre” Iperborea euro 13 (in realtà,
scontato a 9,75 euro)
[trama pubblicata il 01 maggio 2015]
Se
non avessi letto “Piccoli suicidi tra amici” (ancora grazie, Emilio) non avrei
avuto una così alta ed intensa partecipazione a questo libro (uno dei primi)
del grande scrittore finlandese. Durante un viaggio in macchina con un suo
collega Vatanen investe un leprotto; l'animale benché ferito ad una zampa
posteriore riesce a scappare ed a nascondersi tra l'erba di un piccolo campo
poco distante dalla strada. Vatanen scende dall'auto e trovata la lepre, ormai
immobile per la frattura all'arto, la prende in braccio. E da quel momento,
come toccato dalla magia della natura, Vatanen si lascia andare, abbandona la
moglie, il lavoro e il caos della civiltà per iniziare un lungo viaggio
all'interno della natura più incontaminata, sicuramente molto familiare
all'autore, il quale prima di affermarsi come scrittore faceva il guardaboschi.
E come per i “suicidi”, il bello ed il buono del romanzo sono nei mille
incontri, nei mille piccoli bozzetti di personaggi, talvolta buoni, talvolta
meno, e pur tuttavia emblematici del modo di vivere finlandese. Non a caso, Arto, qui e nei suoi migliori
libri, è l’ideatore di quel filone di letteratura che andrà sotto il nome di
“umorismo ecologico”. Per tutto il romanzo, seguiamo Vatanen e la sua lepre partire
da Heinola, e continuare il loro viaggio visitando Mikkeli, Kuopio, Nurmes
Sonkajärvi, Kuhmo, Posio, Rovaniemi e Sodankylä (e che poesie rievocano questi
nomi ignoti). Sconfinerà anche in Unione Sovietica, per alcune avventure
estranianti, per poi completare il cerchio tornando a Helsinki. Cercando di
prendersi cura della sua lepre, inoltre, Vatanen impara a poco a poco a comunicare
con la natura. Il suo incontro con la natura si riflette anche in alcuni
episodi: una lotta contro un grande incendio nei boschi, l’assistenza al parto
di una vacca, farsi assumere come boscaiolo, lottare per salvare il suo pasto
assalito da un corvo vorace. La sarabanda di incontri tra folli e casuali
raggiunge i suoi punti magistrali con le discussioni con l’ex Commissario
Hannikainen, convinto che nel 1968 il presidente simbolo della Finlandia, Urho
Kekkonen sia stato sostituito da un sosia. E poi il parroco Laamanen di Sonkajärvi,
che distrugge la sua Chiesa a colpi di fucile per cacciare il leprotto di
Vatanen. E Kurko un suo collega boscaiolo, un po’ bracconiere, un po’
imbroglione, che vende illegalmente rottami di materiale militare abbandonato
dai tedeschi in ritirata durante la Guerra della Lapponia. O Kaartinen, l’esaltato
dei boschi, che riprende le credenze delle antiche religioni arboricole
finlandesi e cerca di sacrificare il povero leprotto. Dopo un episodio in cui
mette in ridicolo le forze armate finlandesi, e punteggiato dall'attacco di un
orso, Vatanen si sveglia in compagnia della giovane Leila, con la quale, da
ubriaco, si era fidanzato. Ma non è un incontro sterile, che anche Leila è
orientata ecologicamente. E dopo una caccia all’orso, che lo porta a sconfinare
ed essere arrestato oltre cortina, al suo ritorno nelle patrie galere, lui, la
lepre e Leila, fuggono e fanno perdere le loro tracce. Uno dei momenti “alti”
dell’eco-umorismo di Paasilinna si ha a pagina 187, dove le autorità finlandesi
fanno l’elenco dei reati da lui commessi, in pratica quasi un riassunto del
libro. E noi vediamo come le autorità, la burocrazia e l’insipienza possano
travisare i fatti, presentarli sotto luci improbabili. Insomma, in una specie
di sommario il nostro scrittore decritta il libro, e ce ne fa meglio apprezzare
i pregi. Certo, è un libro datato (scritto nel 1975, nel pieno del terzo ed
ultimo mandato presidenziale di Kekkonen), ed è anche un libro molto finlandese
(con quel luteranesimo dei paesi scandinavi, per cui non si beve durante la
settimana, ma ci si ubriaca il venerdì, per poi essere riaccompagnati a casa da
un tassista). A me dispiace averlo scoperto tardi, ma ritengo che possa valere
uno sforzo di lettura. Ed anche uno sforzo di viaggio, che Helsinki e la
Finlandia presentano comunque interessanti lati da scoprire. Vi lascio quindi
alle peripezie di Vatanen, (riportando in allegato il farsesco “riassunto”) con
la sua “lepre bianca” (questo sarebbe il nome italiano del “Lepus timidus”) e
la sua ecologia ante-litteram (e se il mio amico Ciccio non lo ha letto, gliene
consiglio vivamente un ripasso).
Conclusioni
Non so se per “alleviare” la mezz’età
sia il caso di fuggire e ricostruirsi. So di certo che, se si arriva ad un
punto morto della propria esistenza, che sia adolescenza, mezz’età o vecchiaia,
bisogna fermarsi, pensare e soprattutto cambiare. Grazie Arto per i tuoi
pensieri in libertà che ci permetteranno di sicuro di cambiare qualcosa.
Allegato - RIASSUNTO IMMAGINARIO DELL’ANNO DELLA LEPRE
Le
accuse dei “ridicoli” sovietici che ci fanno scoprire il “viaggio” di Vatanen.
Vatanen è stato accusato: 1) di adulterio,
2) di aver ingannato le autorità per non aver segnalato un cambiamento di
indirizzo, quando in estate aveva 3) abbandonato la casa coniugale. 4) È stato
quindi accusato di vagabondaggio. 5) Vatanen aveva tenuto un paio di giorni un
animale selvatico in suo possesso, senza autorizzazione. In Nilsiä (6) Vatanen
aveva illegalmente pescato con la fiocina insieme ad un tal Hannikainen senza
licenze di pesca; 7) nel corso di un incendio boschivo, aveva violato la legge
consumando bevande alcoliche distillate illegalmente, 8) Inoltre, durante lo
stesso incendio, Vatanen aveva trascurato le sue mansioni per ventiquattro ore
per consumare alcool con un uomo di nome Salosensaari; 9) a Kuhmo, Vatanen
aveva profanato un defunto; 10) nel villaggio di Meltaus, Vatanen è stato
coinvolto nel trafugamento e nella vendita illegale di un bottino di guerra
tedesco; 11) a Posio, Vatanen aveva torturato un animale 12) al
Ruscello-del-Cacchio aveva malmenato un maestro di sci di nome Kaartinen; inoltre
13) Vatanen aveva omesso di informare le autorità in tempo per la presenza di
un orso nella zona delle Gole-Ansimanti, a Sompio; 14) ha preso parte ad una illecita
caccia all'orso, senza il porto d’armi: 15) aveva partecipato, senza invito
formale a una cena organizzata dal Ministero degli Affari Esteri; 16) aveva
fatto curare la sua lepre in un istituto di ricerca pubblico a Helsinki senza
pagare le tasse corrispondenti; aveva inoltre (17) malmenato nel bagno di un ristorante
di Helsinki il Segretario della Federazione Giovanile del Partito Conservatore;
18) aveva guidato una bicicletta in stato di ebbrezza, sulla strada per Kerava;
19) si è fidanzato, essendo ancora sposato, con una tale Leila Heikkinen;
Vatanen era ancora (20) recidivo avendo di nuovo cacciato un orso senza il
porto d’armi; e 21) nel corso della caccia, aveva oltrepassato il confine tra
la Finlandia e l'Unione Sovietica, senza passaporto e senza visti; era allora
colpevole dei fatti che aveva confessato (22) alle autorità sovietiche.
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