domenica 25 giugno 2017

Torniamo a Roma (antica) - 25 giugno 2017

Ultima trama del breve (per trame) mese di giugno. In attesa di capire se vedremo presto il Medio Oriente, se torneremo presto verso il Nord Europa, se la Cina sarà sempre vicina, in questa settimana riposante torniamo all’antica Roma, con quattro romanzi imperniati su Publio Aurelio Stazio, l’investigatore-senatore romano inventato dalla ben documentata penna di Danila Comastri Montanari. Sembrano un po’ invecchiare nell’impianto e nella resa, tanto che si avvicinano ad una scarsa sufficienza. Sono comunque ottime letture estive da ombrellone.
Danila Comastri Montanari “Saturnalia” Mondadori euro 9,90 (in realtà, scontato a 6,93 euro)
[A: 28/11/2014 – I: 07/04/2016 – T: 09/04/2016] - &&&-- 
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 241; anno 2002]
Una sufficienza stiracchiata per la nuova avventura dell’investigatore dell’antica Roma Publio Aurelio Stazio, come recita il lancio pubblicitario di Mondadori. Una casa editrice che continua a pubblicare tante cose, anche interessanti (non mi riferisco solo a questi libri, ovvio), ma che continua altresì a fornire notizie fuorvianti al lettore. Infatti, nei risvolti editoriali si cita come copyright il 2014, anno in cui Mondadori ha acquisito una serie di diritti sull’opera della nostra Danila. Ma questo libro, come riporto sopra, è stato scritto nel 2002, uscendo per i tipi di una sotto-casa editrice, la “Hobby&Work”. Ristabilite quindi le proporzioni editoriali, possiamo passare alla disamina del romanzo, che, pur nel solco della sempre degna scrittura della nostra possiamo quasi dire amica, storica e scrittrice, raggiunge con un po’ di fatica la mia sufficienza di gradimento. Sembra quasi un passaggio, da una serie di romanzi, ognuno dedito ad un qualche aspetto della vita nell’Antica Roma, ad un momento quasi di secondo piano. Certo, c’è il contesto che rimanda ad un momento della vita del tempo di sicuro interessi: le feste saturnali. Intanto abbiamo l’indicazione di quando comincia l’azione narrata: il sedicesimo giorno prima delle calende di gennaio del 799 aUC. Cioè, tradotto in termini “nostri”, il 17 dicembre del 46 dopo Cristo (ricordo che aUC sta per ab Urbe Condita, cioè anni trascorsi dalla fondazione di Roma). I Saturnali (seppur codificati in maniera fissa nel calendario solo sotto Domiziano nell’81 d.C.) erano una festa (poi sovrappostasi alle festività natalizie) in cui si lasciavano andare un po’ i costumi, ci si scambiava regali, e, soprattutto, c’era un momento di inversione dei ruoli. Gli schiavi venivano serviti dai loro padroni, in una giornata di feste e banchetti. In questo contesto si inseriscono alcune morti “sospette”: un augure, Caio Catulo, poi un piccolo ladruncolo, Tiberillo, infine un antesignano del sinistro Fagin di Dickens, il cattivo Adriatico. Il nostro Aurelio viene coinvolto in queste morti da Quinzia Metella, la Virgo Maxima delle Vestali. Perché queste erano le depositarie dei testamenti degli onorati romani. E Catulo, nel suo, disereda i suoi due figli, viventi, in favore di un poco noto figlio avuto dalla sorella di Quinzia, poi morta di parto. Aurelio non può sottrarsi dal coinvolgimento perché (come sappiamo da uno dei primi romanzi) ebbe una storia con una vestale, e se questa fosse risaputa potrebbe andare della sua incolumità. Ovviamente Quinzia ha le prove della “marachella” di Aurelio. Che inizia quindi le sue indagini. Che non ci coinvolgono più di tanto, ma che rivelano altri due aspetti (a me poco o per nulla noti) della vita romana. L’importanza della casta degli auguri, di cui faceva parte Catulo, come interpreti della volontà degli dei attraverso l’osservazione del volo degli uccelli. Meno nota invece la pervicace usanza di sposarsi e divorziare in uso tra tutte le alte classi. Per legare tra loro le diverse famiglie, attraverso vincoli di sangue. Ed altre complicate interrelazioni, che riusciamo a seguire in un lungo intervento di Pomponia, l’amica gossippara di Aurelio. Alla fine si rivelano intrecci perversi tra famiglie diversi, i Catuli, gli Enni, i Metelli. Apprezziamo le doti di Aurelio che da un lato sventa un tentativo di depauperare le riserve auree dell’imperatore, attraverso un lungo giro di ruberie e monete false facenti capo ad Appio, il primogenito di Catulo (poi anche lui morto) ed a Publio Comniano, tutore della secondogenita dei Metelli. Dall’altro imbastisce una possibile ricostruzione del figlio perduto della Metella morta, convincendo che in realtà possa essere una figlia, e favorendone le nozze con Mamerco, secondogenito dei Catuli. In realtà non tutto è come appare, ed alla fine verranno fuori altre possibili spiegazioni. Ma queste le lascio a voi volenterosi lettori, che vi dedicherete con piacere alla scoperta di altre spigolature della vita romana. Nonché a fare il tifo affinché il nostro Aurelio (che confessa di avere quarantatré anni) continui le sue conquiste amorose delle belle matrone romane (e non solo). Però, come detto all’inizio, manca un po’ quella tensione verso la scoperta di intrecci tra momenti alti e bassi della Storia che era presente in altre e migliori prove. Rimanendo tuttavia una lettura di svago certo, ma che consente, a chi lo voglia, di far funzionare i nostri pochi neuroni rimasti.
Danila Comastri Montanari “Ars Moriendi” Mondadori euro 9,50 (in realtà, scontato a 7,15 euro)
[A: 18/03/2015 – I: 04/07/2016 – T: 06/07/2016] - &&&
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 262; anno 2003]
Proseguiamo nelle intense letture (in quanto a numero almeno) delle storie “romane” della professoressa bolognese. Qui abbiamo una “special edition”. Nel senso che è un libro omaggio alla città di Pompei (ed all’ambiente napoletano in genere), che già si concretizza nella dedica del libro che riporto. “A tutti coloro che si battono contro il tempo, l’incuria, i furti, i vandalismi e l’esiguità di risorse economiche per studiare Pompei e tramandarla ai posteri”. Già questo dovrebbe predisporre benevolmente al libro. Ma lo sforzo di Danila si concretizza anche in una minuziosa ricostruzione della città 32 anni prima della devastante eruzione. Quest’amore per Pompei, ed alcuni elementi sulla costruzione del giallo che qui si evidenziano (e che più avanti citerò) danno una piccola sufficienza ad un libro dove invece la trama in sé è di una complicazione unica, tanto che non so se riuscirò a farvela apprezzare pienamente. Ma dicevamo di Pompei. Nella ricostruzione storica che ci fa Danila, troviamo ad esempio che l’alloggio di Publio Aurelio Stazio è noto come “Casa della Venere in Conchiglia”, anche se il dipinto citato da Castore fu dipinto solo dopo il 69 dc. La casa dove il nostro incontra la moglie del decano è la “casa della Fontana Piccola”, mentre Pomponia, l’amica gossippara di Aurelio, alloggia nella “Casa del Fauno”. L'ambulatorio di Pustula si trova presso la Casa del Chirurgo: gli scavi della domus portarono alla luce il corredo di bisturi e altri strumenti medici che Aurelio offre in dono al cerusico. Il forno sulla Via Consolare dove Aurelio si reca alla ricerca di Luccio si caratterizza per essere stato ricavato da una precedente domus familiare e vi sono ancora visibili le grandi mole per la macinazione dei cereali e la bocca dove veniva messo a cuocere il pane. Lo spaccio di Abinerrico deriva dal nome di origine giudea Abner, e da lì ci sono arrivate sedici anfore di vino con il suo nome. Inoltre oltre al garum normale (salsa piccante di spezie e pesce) sono state ritrovate sei anfore di garum castum, ovvero garum rigorosamente kasher. Infine per non essere prolisso e pedante, la statuetta della dea indiana Laskmi, che Sara mostra al senatore venne trovata in una casa di Via dell’Abbondanza. Mentre è inventata la via centrale delle vicende, il Vico del Sacello Bianco, dove invece il nome echeggia il nome londinese di Whitechapel, teatro delle nefande imprese di Jack lo Squartatore. Qui, invece siamo molto prima delle vicende Ottocentesche inglesi, anche se siamo coerentemente poco dopo il romanzo precedente. L’azione si svolge infatti in dieci giorni nel febbraio del 47 d.C. Notiamo la consecutio con “Saturnalia”, anche perché Pomponia risente ancora di una caduta che avviene nel precedente libro. Questo ci dà modo di tornare sul punto che si diceva della costruzione degli elementi fondanti del giallo (o di questo tipo di giallo) seriale. Ad esempio è importante che le azioni non siano tanto diluite nel tempo, perché molta della messa in scena del “detective Stazio” dipende dal suo mentore, l’imperatore Claudio. Ora siamo nel 47, ed è vero che Claudio impera sino al 54, ma a Danila serve come contraltare dell’imperatore la dissoluta Messalina, che però fu condannata a morte da Claudio nel 48, quindi molte vicende devono restringersi nel tempo per avere efficacia. Inoltre, Danila alterna gli scenari, che mantenendosi troppo nelle stesse location, si avrebbe un congelarsi delle caratteristiche degli “attori” che, anch’esso, sebbene possa essere consono ai due personaggi principali, Aurelio e Castore il suo (in-)fido segretario, non lo è per il contorno. Ad esempio per le avventure amorose di Aurelio, che con questo stratagemma riesce ad avere una “storia” per libro sempre con donne diverse. Quindi, se “Saturnalia” si svolge in Roma, qui ci si deve spostare. La scusa, che capziosamente si può leggere in controluce nell’exergo da “Ars Amandi” di Ovidio, dove si disquisisce del corretto comportamento delle donne maritate, è un’indagine che lo stesso Claudio commissiona direttamente ad Aurelio: in gioventù, lo zoppo futuro imperatore aveva rapporti più che altro con “lupe” (termine del tempo per indicare donne praticanti sesso dietro compenso). Una delle sue più fedeli, Fortunata, di nome se non di fatto, viene trovata barbaramente uccisa in quel di Pompei dove si godeva la pensione elargitale da Claudio come compenso delle sue opere giovanili. Giunto nella cittadina in incognito, il senatore Aurelio si trova subito ad affrontare l'omicidio di un'altra donna: Velasia, donna libera datasi al meretricio e rampolla di una delle famiglie più in vista di Pompei. Quest'omicidio e quello successivo di Mulvia, madre di Velasia, getta la gaudente cittadina nel panico su cui si staglia tenebrosa l'ombra di un serial-killer che si accanisce esclusivamente contro le donne. Aurelio scopre anche che ci sono altre morti di altre donne a complicare lo scenario. La trama è alquanto ingarbugliata, seppure i nostri si muovano (e noi con loro) nella cittadina napoletana, mangiando nelle taverne, ma soprattutto usufruendo delle famose terme, uno dei gioielli dell’epoca. Come detto, la trama non è delle più lineari. Danila si diverte a complicare gli scenari, mettendo in campo lupe, donne maritate, avventurieri ed altre storie di contorno, che lascio ai fedeli lettori di dipanare. Quello che risalta è il crogiolo di civiltà che convergono in quei porti di mare, in articolare con qualche tocco di esoteriche credenze orientali. Come quella dedicata al dio Attis, dove i sacerdoti, per ingraziarsi gli dei, si eviravano pubblicamente. Sono molti i personaggi accusati e poi (quasi tutti) assolti: il procuratore dei Tiburzi, il losco Sepurio Orbato, il super dotato decurione Cullelolo Afro, il decano Settimio Occio ed anche la sua stessa moglie Amanda. Ovvio che Aurelio sfrutterà le sue doti investigativa per capire che l’omicida non può che essere un liberto proveniente da Oriente, che ha i denti guasti, al contrario dei pompeiani che, usando la benefica acqua locale, sono tutti forniti di bellissime dentature. Inoltre, la morte di tante donne, ed in maniera efferata, non può che orientarci verso qualcuno privo dei giusti attributi. L’avete capito no? Pur cercando di sgarbugliare la trama, del libro preferisco ricordare appunto le parti descrittive, la vita pompeiana ante catastrofe, ed i bei luoghi intorno a Baia, Bacoli e Pozzuoli.
 “L’ha conosciuta a Baia, il luogo peccaminoso per eccellenza, noto per trasformare le più fedeli delle Penelopi in ardenti Elene di Troia.” (74)
Danila Comastri Montanari “Olympia” Mondadori euro 12 (in realtà, scontato a 8,40 euro)
[A: 13/07/2015 – I: 20/08/2016 – T: 23/08/2016] - && e ½  
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 243; anno 2004]
Se ricordate quanto detto nella precedente trama, sul modo di concatenare le storie, in maniera da non rimanere incartati in trame poco gestibili, questo nuovo romanzo (ricordo che la storica bolognese ne ha fatti uscire per un lungo periodo uno ogni anno) avrebbe potuto svolgersi di nuovo in Roma. L’autrice però preferisce prendersi una pausa, e riandare un po’ indietro nel rullo del tempo. Tanto che torniamo al 41 d.C., giusto al tempo in cui Claudio prende il posto di Caligola assassinato. Poiché il giovane senatore Publio Aurelio Stazio è meglio rimanga fuori dagli eventi, ci spostiamo un po’ verso Oriente. In particolare ad Olimpia, per assistere alla 205sima edizione dei Giochi Ellenici. Quelli che ora, nella nostra prospettiva storica, chiamiamo “Olimpici” in lode al luogo ove si svolgevano. La bella prova di scrittura, è darci la sensazione di come questi giochi si svolgevano, noi che a ben altre Olimpiadi siamo adusi. Solo un piccolo dubbio da pignolo. Poiché siamo nel 41 d.C. e l’ultima Olimpiade si tenne nel 393 d.C., essendo questa la 205esima, l’ultima avrebbe dovuto essere la numero 293, mentre in realtà fu la numero 292. A parte questa domanda, Danila ci dice correttamente che i vincitori venivano premiati con fronde di oleastro, il progenitore selvatico dell’olivo. Pianta che era talmente sacra in Grecia che chiunque veniva sorpreso a danneggiarlo veniva punito con l’esilio (bisognerebbe riproporlo). Quindi olivo e simili, non alloro, cioè foglie di lauro, che invece erano di discendenza romana e non greca. Altri elementi che ci sottolinea la scrittura, e che sono da tenere in mente nel corretto inquadramento storico delle vicende, sono le gare che si svolgevano: il pugilato, la corsa, il pentatlon – l’insieme di 5 gare il salto in lungo, la corsa, il lancio del disco, il lancio del giavellotto, la lotta - e la corsa dei cavalli. Altro elemento caratterizzante, è la partecipazione riservata ai cittadini greci maschi liberi. Elemento che molte città-stato elleniche tentavano di aggirare, adottando atleti provenienti da ogni dove. Tanto che si mise presto anche un secondo codicillo: dovevano essere uomini (e si sa che le donne non potevano neanche assistere, dato che gli atleti gareggiavano nudi) che parlavano la lingua greca. Alla faccia delle competizioni internazionali. Dopo questo excursus, che mi diverte dandomi modo di spigolare qua e là nel mondo dei pettegolezzi di alto profilo, veniamo allora alla trama in sé. Come sappiamo dalla tradizione i giuochi si svolgevano d’estate, quindi erano solo sei mesi che Claudio aveva preso il titolo di imperatore (Caligola fu assassinato il 24 gennaio) e la moglie Messalina di conseguenza divenne la prima donna dell’impero. Claudio entrò in rotta di collisione con il Senato, per cui il nostro giovane senatore accetta di buon grado l’invito della matrona Pomponia di guidare la delegazione dei suoi cavalli per conquistare l’oleastro. Pomponia non può muoversi da Roma, e Aurelio dovrà badare di scongiurare atti di sabotaggio (ben frequenti all’epoca). Aurelio, con il fido Castore, segretario, ma ancora schiavo e tuttavia il migliore contraltare del senatore (una specie di duetto investigativo ante-litteram tra Holmes e Watson e tra Wolfe e Goodwin). Castore è pronto ad approfittare delle opportunità (anche economiche derivanti da scommesse) ed Aurelio ad indulgere nel suo passatempo preferito (corteggiare belle donne, portando a buon fine i suoi assedi). Invece vengono presto coinvolti in una serie di morti. In rapida sequenza vengono assassinati: prima, a coltellate, un tifoso, poi un pentatleta, sgozzato con un disco da competizione dal bordo tagliente, ed infine un velocista, trucemente trafitto da un giavellotto. Sembrano le azioni di un serial killer, votato ad eliminare possibili concorrenti. Tanto che gli indizi si concentrano su di un discobolo di Corinto, Pirro. Sia per le armi usate, sia, soprattutto, perché risulta irreperibile. Aurelio, in quanto senatore, viene invitato dai giudici di gara, che dovrebbero sovraintendere alla moralità delle gare, ad indagare. Cosa che il nostro compie con zelo, non solo coinvolgendo una serie di personaggi più o meno loschi che si aggirano per i campi atletici, ma anche indagando sul conto dei giudici stessi. Qui al solito Danila comincia ad intorbidire le acque. Mettendo in mezzo tante storie, con lo smaccato intento di metterci in difficoltà. C’è Diagora, giudice che possiede tutti i terreni che affitta per le gare con enorme profitto e che vede minacciate le sue entrate. C’è Busiride, che ha un figlio segreto che partecipa alle gare e che probabilmente lo vorrebbe vincente. C’è Zarzas, un cartaginese che ha in odio tutti i romani, ancora memore della sconfitta nelle guerre puniche. C’è Tullia che sta brigando affinché il fratello Tadio, esiliato da Roma per brogli economici, venga riammesso entro i confini dell’impero. C’è Ermete, matematico orgoglioso ed irascibile, reduce da una terribile sciagura familiare dove furono trucidati tutti i componenti della sua famiglia, eccetto il suo secondogenito Frisso. Aurelio riesce a risolvere tutti i nodi delle varie storie, primo fra tutti quello di Ermete, dove si domanda la sua strana attrazione per Frisso (che spaventa Castore, il quale provvede a fargli avere subito un incontro con l’etera Aglaia). Fortunatamente Frisso è in realtà una donna travestita, anche se non esente da colpe. Risolve anche il dilemma di Tullia, nonché fa la pace con il cartaginese. Il quale lo aiuta anche nel momento che il vero colpevole stava per assalire anche Aurelio. Colpevole che aveva ucciso il tifoso che aveva assistito ad una sua transazione con Pirro, ucciso Pirro per poterlo incolpare della morte del pentatleta, ucciso il pentatleta davanti a tutti, usando un trucco simile a quello utilizzato in un vecchio racconto dalla stessa autrice, ma che non vi svelo. Insomma tutto al proprio posto, con Aurelio e Castore che possono trionfalmente tornare nella Roma delle congiure e delle trame. Meglio la parte che descrive le gare e l’atmosfera che si respira ad Olimpia. Meno bene la trama gialla, o le trame, un po’ ingarbugliate. Con l’unico pregio che, alla fine, Aurelio ci svela tutti i misteri che sono intercorsi nei cinque giorni di gara. Speriamo risalga presto che ultimamente, pur riconoscendone le bellezze esteriori, le storie di Aurelio si stanno fermando. Parafrasandone il nome, stanno diventando stazionarie (terribile battuta).
Danila Comastri Montanari “Tenebrae” Hobby&Work euro 17 (in realtà, scontato a 7,65 euro)
[A: 12/04/2016 – I: 25/05/2017 – T: 27/05/2017] - &&& --
[tit. or.: originale; ling. or.: italiano; pagine: 303; anno 2005]
Con questo nuovo libro, la nostra ormai amica storica bolognese riprende invece il corso degli eventi, tornando “al tempo presente”. Ovviamente tra virgolette, perché il tempo è quello cui ci ha abituato lo scorrere della vita del senatore nonché investigatore dell’antica Roma, Publio Aurelio Stazio. Torniamo allora al 47 d.C., per immergerci in nuove avventure. Metto non a caso il plurale, perché qui trattiamo di quattro racconti, cosa che, purtroppo, fa scendere un poco il gradimento del testo. Infatti, ho già avuto modo di dire più volte, che Danila riesce meglio nella gestione di storie medio-lunghe, piuttosto che in brevi racconti. Direi anzi, che il racconto lungo o romanzo breve è la sua misura ideale: nel racconto, spesso ci sono parti affrettate e non risolte, nel romanzo, a volte si nota una certa stanchezza, quasi a voler riempire delle pagine con altro, rispetto alla trama principale. Fortunatamente, qui, i racconti sono tuttavia ben intrecciati temporalmente. Quattro episodi, che scorrono, e che, anche quando vanno indietro nel tempo, sono funzionali alla storia di vita del senatore romano. C’è una storia di fondo che fa da collante al testo (“Il caso della finestra sul cortile”) da cui si dipartono due avventure coeve ed un ricordo di una investigazione precedente (anche se solo di un anno), che serve tuttavia ad illustrare meglio il carattere ed i modi usati da Publio Aurelio nel suo procedere. Il collante nasce dalla richiesta di Pomponia, amica storica del nostro, di far luce su quello che a lei sembra un crimine. Che ricorda, come suggerisce il titolo, uno dei più bei film di Hitchcock. Da una finestra, Pomponia vede un assassinio, ma quando arrivano Aurelio e il comandante dei vigili Mummio Vero, poco si trova. Mentre Aurelio mette in un angolo la questione (facendo alterare non poco Pomponia), arriva l’invito di una sua cugina a festeggiare un genetliaco nell’agro laziale (“Il caso delle sette sorelle”). Ma Ocellina muore prima dell’arrivo di Aurelio e del fido Castore. Per cui non resta che indagare sulla morte violenta della cugina. Dove ad essere indagate sono le sue sette figlie: Petronia, Ermione e Petronilla figlie del primo marito Petronio; Bibula figlia di Bibulo Blando, aristocratico senza il becco di un quattrino; Fabia e Fabiola figlie di Fabio un liberto; Alba figlia di Albo Fulcino, anch'egli senza danari. Certo che il nostro, sempre cedevole al fascino muliebre, si trova una bella congerie di donne pronte a cascargli nel letto, vuoi per calcolo vuoi per altro. Meno Petronilla, cieca dalla nascita. E meno Alba, il cui unico intento è capire che abbia ucciso suo padre Fulcino. Una volta capito che fu la stessa Ocellina a volerne la morte prima che questi dissipasse i suoi averi, aiutata da Apuleio, che poi risulta essere il vero padre di Petronilla, molti tasselli tornano al loro posto. Ed Aurelio può tornare a Roma, dove lo attende una misteriosa lettera da una sua tenuta in Toscana, in cui si parla di delitti. Parte allora di nuovo, lancia in resta (“Il caso dell’Etruria”), adottando per la seconda volta il travestimento usato nella sua prima impresa. Fa finta di essere schiavo al servizio di Castore, al fine di introdursi tra gli schiavi della sua proprietà. Scoprendo le malversazioni del nuovo padrone, le angherie dell’aguzzino Micione (con cui avrà uno scontro atletico ma vincente), e sventando una finta rivolta tesa soltanto a mettere ai ferri gli schiavi buoni. Con uno stratagemma degno di von Clausewitz (dare ai tre sospettati tre indizi diversi, e quindi scoprire il colpevole), riesce a concludere tutto per il meglio, restituendo la sua proprietà ad un prospero futuro. E mentre nella sua dimora, riflette ancora sul primo caso, quello della finestra, Castore gli ricorda un caso analogo dove sembrava acclarato il colpevole ma tutto era un inganno. Era l’anno prima, nella sua casa di Baia (“Il caso della fullonica”), dove Aurelio accoglie le richieste della schiava Ianira, a torto accusata della morte della moglie di Pisandro, proprietari di una ‘fullonica’ (nome romano per lavanderia e tintoria, derivata da passaggi vari a partire da follare, opera di finissaggio della tintura, passata per il lavoratore ad essa addetto, fullone, e quindi nella casa dove egli lavora, appunto fullonica). In pochi passaggi, aiutato dalla bella Cissa (con cui ha anche una piccola parentesi non proprio da investigatore) scopre le losche trame proprio di Pisandro, avido figuro alla ricerca di un modo per avere tutta per sé la tintoria. Salvando nel contempo Ianira e soprattutto il di lei fratello Belo. Ritornando al presente, questa trama gli permette di far luce sugli avvenimenti visti da Pomponia, dove anche lì si trattava di eredità, di persone non viste, e di altri stratagemmi. Così tutto torna al proprio posto, e noi ci prepariamo, in futuro, a gustare altre prove di Aurelio (e soprattutto di Castore). Rimarcando la precisione filologica che l’autrice mai cessa di perseguire, sia nell’andamento storico (seguiamo sempre passo dopo passo i vari mesi del regno di Claudio) sia nella precisa ricostruzione delle attività dell’antica Roma. Dopo tante avventure, tuttavia, mi viene anche il dubbio, sollevato da quella finestra e dalle sue citazioni, che Danila cerchi anche in altri posti alcuni “debiti di scrittura”. Tanto che, come in molte opere di investigazione, abbiamo sempre l’eroe principale ed un suo aiutante. Ma non nella versione attiva di Conan Doyle, quanto (con le debite proporzioni) nella versione semi-passiva di Rex Stout, dove il nostro Castore-Archie viene coinvolto nelle trame di Aurelio-Nero senza mai comprendere bene cosa debba fare e perché. Sarà un paragone azzardato, per ora, ma ci si tornerà sopra, prima o poi.
“In breve, si vede sempre e soltanto quello che ci si aspetta di vedere.” (216)
Seconda trama, e come si aspettano i miei più affezionati lettori, eccovi allora anche un po’ di cure per le vostre malattie letterarie. Questa volta cercheremo di curare la crisi della mezza età con un bel libro finlandese.
Nel nostro mondo sempre più crudele, finisco questa trama e questo mese con nient’altro che un saluto alla cagnetta Trilli, che, benché onusta, ci ha lasciato anzitempo. Sicuramente ora a passeggio con Gastone, sperando di salutare Franco che tanto avrebbe voluto un cane. Mestamente vi saluto.

CURARSI CON I LIBRI di Ella Berthoud e Susan Elderkin con i “bugiardini” di Giovanni

GIUGNO 2017
Giugno è stato sempre un mese di viaggi, almeno negli ultimi anni. Cosa non mancata anche questo, con il bel ritorno a Gerusalemme. Si potrebbe prima o poi tornare anche sui passi delle trame di Arto, a prescindere dalle crisi che ci narrano le nostre libropeute.

MEZZA ETÀ, CRISI DI

Arto Paasilinna                   “L'anno della lepre”
Vorreste partire verso il tramonto su una potente, palpitante auto sportiva, fieri sul vostro sedile rivestito in pelle, con in mano la leva del cambio, rigida e lucida? Avete pensato alla vostra segretaria come potenziale passeggero? Risparmiatevi questa vergogna. Fate scivolare questo volumetto nella vostra ventiquattr’ore la prossima volta che partirete per un viaggio d’affari e riprendetelo in mano ogni volta che sarete presi dalla crisi di mezza età.
Si potrebbe dire che Vatanen, il giornalista eroe di questo romanzo picaresco, soffre dell’archetipo della crisi di mezza età. E uno di due uomini «cinici e insoddisfatti» - l’altro è un suo collega fotografo - che «si avvicinano alla mezza età». Nessuno ci spiega perché Vatanen senta il bisogno di andarsene da Helsinki per vivere un’avventura con una lepre; succede e basta. Quando durante un incarico insieme al fotografo la loro auto investe una lepre, lui scende e scopre che la povera creatura si è rotta una gamba. Mentre si prende cura di lei, rifiutandosi di rispondere alle domande del collega rimasto in macchina, quest’ultimo perde la pazienza e riparte senza di lui. Non importa; Vatanen non ha comunque molta voglia di tornare a Helsinki da sua moglie.
Si imbarca dunque in una serie di avventure che lo portano fino in cima alla Finlandia, facendo lavori saltuari lungo la strada. Tra le altre cose viene coinvolto in un incendio nella foresta, vive per un po’ nella casa di campagna di un commissario di polizia che, davanti a una bottiglia di vodka, condivide con lui la prova inquietante che il presidente della Finlandia forse non è quella meraviglia che tutti credono, e viene arrestato perché sembra sospetto quando, con la lepre in un cestino, bussa alla porta di qualcuno in mezzo alla foresta, sperando di aver trovato un posto dove dormire. Ci sono anche momenti di estrema ubriachezza (che in un caso dura otto giorni), un giro in elicottero e una drammatica caccia all’orso.
Tutto questo è allegro, energico e stimolante. Leggete L’anno della lepre: contiene tutta l’avventura che cercate ed eviterà che facciate gesti inconsulti e combiniate chissà quali guai. Anche se, ovviamente, se portaste con voi un bell’animale selvatico invece delia segretaria riuscireste forse a salvare capra e cavoli e vivere la vostra crisi senza conseguenze.

Bugiardino

Ho letto del grande finlandese, ed ammiro la sua ironia e causticità. A volte forse un po’ criptica per noi poveri “sudisti”. Ma lo ritengo un autore di cui tutti dovrebbero leggere almeno un libro.
Arto Paasilinna “L’anno della lepre” Iperborea euro 13 (in realtà, scontato a 9,75 euro)
[trama pubblicata il 01 maggio 2015]
Se non avessi letto “Piccoli suicidi tra amici” (ancora grazie, Emilio) non avrei avuto una così alta ed intensa partecipazione a questo libro (uno dei primi) del grande scrittore finlandese. Durante un viaggio in macchina con un suo collega Vatanen investe un leprotto; l'animale benché ferito ad una zampa posteriore riesce a scappare ed a nascondersi tra l'erba di un piccolo campo poco distante dalla strada. Vatanen scende dall'auto e trovata la lepre, ormai immobile per la frattura all'arto, la prende in braccio. E da quel momento, come toccato dalla magia della natura, Vatanen si lascia andare, abbandona la moglie, il lavoro e il caos della civiltà per iniziare un lungo viaggio all'interno della natura più incontaminata, sicuramente molto familiare all'autore, il quale prima di affermarsi come scrittore faceva il guardaboschi. E come per i “suicidi”, il bello ed il buono del romanzo sono nei mille incontri, nei mille piccoli bozzetti di personaggi, talvolta buoni, talvolta meno, e pur tuttavia emblematici del modo di vivere finlandese.  Non a caso, Arto, qui e nei suoi migliori libri, è l’ideatore di quel filone di letteratura che andrà sotto il nome di “umorismo ecologico”. Per tutto il romanzo, seguiamo Vatanen e la sua lepre partire da Heinola, e continuare il loro viaggio visitando Mikkeli, Kuopio, Nurmes Sonkajärvi, Kuhmo, Posio, Rovaniemi e Sodankylä (e che poesie rievocano questi nomi ignoti). Sconfinerà anche in Unione Sovietica, per alcune avventure estranianti, per poi completare il cerchio tornando a Helsinki. Cercando di prendersi cura della sua lepre, inoltre, Vatanen impara a poco a poco a comunicare con la natura. Il suo incontro con la natura si riflette anche in alcuni episodi: una lotta contro un grande incendio nei boschi, l’assistenza al parto di una vacca, farsi assumere come boscaiolo, lottare per salvare il suo pasto assalito da un corvo vorace. La sarabanda di incontri tra folli e casuali raggiunge i suoi punti magistrali con le discussioni con l’ex Commissario Hannikainen, convinto che nel 1968 il presidente simbolo della Finlandia, Urho Kekkonen sia stato sostituito da un sosia. E poi il parroco Laamanen di Sonkajärvi, che distrugge la sua Chiesa a colpi di fucile per cacciare il leprotto di Vatanen. E Kurko un suo collega boscaiolo, un po’ bracconiere, un po’ imbroglione, che vende illegalmente rottami di materiale militare abbandonato dai tedeschi in ritirata durante la Guerra della Lapponia. O Kaartinen, l’esaltato dei boschi, che riprende le credenze delle antiche religioni arboricole finlandesi e cerca di sacrificare il povero leprotto. Dopo un episodio in cui mette in ridicolo le forze armate finlandesi, e punteggiato dall'attacco di un orso, Vatanen si sveglia in compagnia della giovane Leila, con la quale, da ubriaco, si era fidanzato. Ma non è un incontro sterile, che anche Leila è orientata ecologicamente. E dopo una caccia all’orso, che lo porta a sconfinare ed essere arrestato oltre cortina, al suo ritorno nelle patrie galere, lui, la lepre e Leila, fuggono e fanno perdere le loro tracce. Uno dei momenti “alti” dell’eco-umorismo di Paasilinna si ha a pagina 187, dove le autorità finlandesi fanno l’elenco dei reati da lui commessi, in pratica quasi un riassunto del libro. E noi vediamo come le autorità, la burocrazia e l’insipienza possano travisare i fatti, presentarli sotto luci improbabili. Insomma, in una specie di sommario il nostro scrittore decritta il libro, e ce ne fa meglio apprezzare i pregi. Certo, è un libro datato (scritto nel 1975, nel pieno del terzo ed ultimo mandato presidenziale di Kekkonen), ed è anche un libro molto finlandese (con quel luteranesimo dei paesi scandinavi, per cui non si beve durante la settimana, ma ci si ubriaca il venerdì, per poi essere riaccompagnati a casa da un tassista). A me dispiace averlo scoperto tardi, ma ritengo che possa valere uno sforzo di lettura. Ed anche uno sforzo di viaggio, che Helsinki e la Finlandia presentano comunque interessanti lati da scoprire. Vi lascio quindi alle peripezie di Vatanen, (riportando in allegato il farsesco “riassunto”) con la sua “lepre bianca” (questo sarebbe il nome italiano del “Lepus timidus”) e la sua ecologia ante-litteram (e se il mio amico Ciccio non lo ha letto, gliene consiglio vivamente un ripasso).

Conclusioni

Non so se per “alleviare” la mezz’età sia il caso di fuggire e ricostruirsi. So di certo che, se si arriva ad un punto morto della propria esistenza, che sia adolescenza, mezz’età o vecchiaia, bisogna fermarsi, pensare e soprattutto cambiare. Grazie Arto per i tuoi pensieri in libertà che ci permetteranno di sicuro di cambiare qualcosa.

Allegato - RIASSUNTO IMMAGINARIO DELL’ANNO DELLA LEPRE
Le accuse dei “ridicoli” sovietici che ci fanno scoprire il “viaggio” di Vatanen.

Vatanen è stato accusato: 1) di adulterio, 2) di aver ingannato le autorità per non aver segnalato un cambiamento di indirizzo, quando in estate aveva 3) abbandonato la casa coniugale. 4) È stato quindi accusato di vagabondaggio. 5) Vatanen aveva tenuto un paio di giorni un animale selvatico in suo possesso, senza autorizzazione. In Nilsiä (6) Vatanen aveva illegalmente pescato con la fiocina insieme ad un tal Hannikainen senza licenze di pesca; 7) nel corso di un incendio boschivo, aveva violato la legge consumando bevande alcoliche distillate illegalmente, 8) Inoltre, durante lo stesso incendio, Vatanen aveva trascurato le sue mansioni per ventiquattro ore per consumare alcool con un uomo di nome Salosensaari; 9) a Kuhmo, Vatanen aveva profanato un defunto; 10) nel villaggio di Meltaus, Vatanen è stato coinvolto nel trafugamento e nella vendita illegale di un bottino di guerra tedesco; 11) a Posio, Vatanen aveva torturato un animale 12) al Ruscello-del-Cacchio aveva malmenato un maestro di sci di nome Kaartinen; inoltre 13) Vatanen aveva omesso di informare le autorità in tempo per la presenza di un orso nella zona delle Gole-Ansimanti, a Sompio; 14) ha preso parte ad una illecita caccia all'orso, senza il porto d’armi: 15) aveva partecipato, senza invito formale a una cena organizzata dal Ministero degli Affari Esteri; 16) aveva fatto curare la sua lepre in un istituto di ricerca pubblico a Helsinki senza pagare le tasse corrispondenti; aveva inoltre (17) malmenato nel bagno di un ristorante di Helsinki il Segretario della Federazione Giovanile del Partito Conservatore; 18) aveva guidato una bicicletta in stato di ebbrezza, sulla strada per Kerava; 19) si è fidanzato, essendo ancora sposato, con una tale Leila Heikkinen; Vatanen era ancora (20) recidivo avendo di nuovo cacciato un orso senza il porto d’armi; e 21) nel corso della caccia, aveva oltrepassato il confine tra la Finlandia e l'Unione Sovietica, senza passaporto e senza visti; era allora colpevole dei fatti che aveva confessato (22) alle autorità sovietiche.

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